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Autore: Department of Illusion    10/06/2019    0 recensioni
Sei brevi capitoli su qualcuno che pensava di morire e invece gli succede qualcosa di appena migliore.
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“Ti prego, ti prego, apri” aveva sentito ancora prima dello scatto della maniglia, la voce affannata e rotta dalla corsa, e poi aveva visto il ragazzo, voltarsi frenetico a guardare la strada.
“Per favore, cazzo, quelli mi ammazzano, ti prego” aveva detto facendosi più vicino, talmente veloce che le parole si erano accavallate l’una sull'altra in un bisbiglio disperato.
Claude si era fatto indietro e l’altro non aveva esitato un momento, neanche nella sorpresa di quella strana concessione senza domande, si era infilato nella casa spingendolo di lato, si era sbattuto la porta alle spalle e si era accasciato per terra.
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Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                           J E   S U I S



Aveva pensato a sua madre. Aveva subito pensato a sua madre. Non la sentiva da settimane e probabilmente erano venuti a tirarlo fuori di casa ora che aveva l’aveva ignorata abbastanza a lungo da ucciderla di dolore. Mentre attraversava il corridoio, però, si rendeva conto che quella con cui stavano bussando non era una violenza consona ad una rispettosa comunicazione di morte. Quando si era avvicinato allo spioncino i colpi erano diventati più veloci e forti e l’immagine della madre era andata sfumandosi sempre di più, rimpiazzata dalla sagoma nebulosa di qualcuno che avrebbe potuto avercela con lui. Qualcuno a cui aveva rubato il parcheggio. Qualcuno che non aveva pagato. Lo spazzino delle otto che gli diceva sempre di chiudere i sacchi della spazzatura. Françoise.
    Prima di poter distinguere i colori di qualcosa di conosciuto, il frastuono sul legno si era fatto così presente e impetuoso, così importante, che invece di spingerlo ad una ritirata l’aveva costretto ad un’azione, un’apertura, una risposta qualsiasi.
“Ti prego, ti prego, apri” aveva sentito ancora prima dello scatto della maniglia, la voce affannata e rotta dalla corsa, e poi aveva visto il ragazzo, voltarsi frenetico a guardare la strada.
“Per favore, cazzo, quelli mi ammazzano, ti prego” aveva detto facendosi più vicino, talmente veloce che le parole si erano accavallate l’una sull’altra in un bisbiglio disperato. Claude si era fatto indietro e l’altro non aveva esitato un momento, neanche nella sorpresa di quella strana concessione senza domande, si era infilato nella casa spingendolo di lato, si era sbattuto la porta alle spalle e si era accasciato per terra.
    Si era portato dentro un po’ di pioggia e l’attesa di un segno qualsiasi di salvezza o condanna, che si era appena trasformata in un’attesa più intensa, perché maggiormente piena di possibilità di vittoria, possibilità di non essere trovati, possibilità di vivere un po’ più a lungo di quello che si era aspettato. Era rimasto immobile, la schiena sulla porta, ad ascoltare i suoni della strada, e mentre si concentrava sulle vibrazioni nell’aria si era scordato di non piangere, come se per impiegare tutte le sue forze su un compito solo le avesse sottratte ad ogni autocontrollo, e le lacrime erano scese veloci, senza che se ne accorgesse. Claude si era seduto, a pochi passi da lui, il più piano possibile, assecondando il silenzio vitale per la riuscita del rifugio, sperando che quel silenzio bastasse per renderli trasparenti a chiunque lo stesse cercando.
    Erano rimasti fermi fino a che il telefono di casa non aveva squillato, quindici minuti più tardi, facendoli sobbalzare appena e Claude aveva guardato il ragazzo in cerca di un permesso di movimento e lui aveva annuito con le lacrime secche sul collo, così Claude si era alzato e aveva risposto, aveva detto che no, non aveva intenzione di tornare al vecchio gestore telefonico che ora assicurava offerte migliori. Poi aveva attaccato e si era inginocchiato di nuovo nel punto in cui si era seduto all’inizio.
“Ora te ne devi andare” aveva detto senza cattiveria.
“Cinque minuti. Giuro che me ne vado. Non mi hanno visto entrare, stai tranquillo.”
“Se ti hanno visto potrebbero pensare che ci conosciamo e tornare a cercarti da me.”
“Se mi hanno visto, farmi uscire adesso non ti servirebbe a niente.”
Claude si era chiuso in un silenzio preoccupato.
“Non mi hanno visto” aveva ripetuto il ragazzo con sicurezza, perché altrimenti la porta che li separava dalla strada sarebbe già stata distrutta, le stanze riempite di grida, i vetri delle finestre sul pavimento. Se l’avessero visto, quel corridoio non sarebbe mai riuscito a rimanere così tranquillo e intatto, così segreto da farlo sentire al sicuro in un posto che non conosceva.

Claude era scomparso in spazi invisibili attraverso le pareti, ma era tornato subito, gli aveva posato un bicchiere d’acqua accanto e l’aveva guardato a lungo.
“Non dirmi niente”, perché aveva letto nei movimenti del ragazzo un rilassamento, una fiducia, l’aveva visto sull’orlo di una confessione. Così lui aveva bevuto e basta, poi si era alzato ed era entrato nella prima stanza a destra, da dove era arrivato lo scrosciare dell’acqua e il suono di stoviglie pochi minuti prima, aveva posato il bicchiere nel lavandino ed era tornato nel corridoio.
“Alex” aveva detto mentre tirava su la zip della giacca a vento logora, “mi chiamo Alex” e il suono era rimbalzato sui muri come un insulto. Per quello che ne sapeva quella poteva essere l’ultima conversazione della sua vita, e non gli interessava se l’unico essere umano in grado di ascoltarlo avrebbe fatto finta di non sentirlo, voleva dire il suo nome, perché lo rendeva reale e tangibile, ancora lì, ancora vivo per tutti i minuti che gli restavano.
“Alex, hai lasciato il telefono a terra.”
“Ah. Grazie.”
Si era chinato e l’aveva rimesso in tasca, poi era uscito, con il cappuccio in testa tirato giù fino al naso, ed aveva corso veloce, il più veloce possibile.

  
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