Annabeth.
Gli piaceva il suono di quel nome. Lo trovava soave.
Annabeth.
Lo ripeteva continuamente nella sua mente, e, quando era completamente solo, sottovoce. Quella parola, preziosa quasi quanto null’altro al mondo, non poteva sparire nel nulla. No. Ne aveva bisogno.
Annabeth.
Inizialmente, di lei ricordava solo quello: un insieme di otto lettere.
Poi i ricordi avevano iniziato man mano ad emergere, e lui ad aggrapparvisi come ad ancore di salvezza.
Annabeth.
Ora ricordava lei seduta su un molo, i piedi che sfioravano la superficie dell’acqua nella quale, immergendosi all’orizzonte, si specchiava il sole.
Tra le mani stringeva un libro. Gli sembrava che fosse un poema epico. L’Odissea, forse.
La testa di lei era posata dolcemente sulla sua spalla.
I suoi capelli biondi profumavano di limone.
Lui le cingeva le spalle con un braccio.
Le lasciò un bacio sulla fronte.
Annabeth alzò lo sguardo su di lui, sorridendo.
-Oggi sei più affettuoso del solito, Testa D’Alghe -
-Tutta colpa tua. Sei così… te –
-Beh, mi piace. Grazie, me stessa! –
Ripensava spesso a quel ricordo. Gli dava un senso di pace e felicità. Subito dopo, però, il terrore lo assaliva: e se le cose fossero cambiate da allora? Quando era accaduto? Era successo veramente, o era solo frutto della sua immaginazione?
No, no, no!
Aveva bisogno di tornare a vivere pomeriggi come quello. Pomeriggi con lei, Annabeth, con il suo stupendo sorriso e i suoi occhi grigi concentrati su una lettura o su di lui. Pomeriggi passati sapendo di esserci l’uno per l’altra.
Aveva bisogno di sapere che lei lo amava come lui faceva.
Solo quello.