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Autore: Loveless    25/07/2009    4 recensioni
Anche se non sarà mai capace di riempire il vuoto che lo riempie, può sempre provarci, testarda come la bambina che è sempre stata – come la donna che è ora davanti a lui.
Può sciogliere i lacci che lo legano, può provare a rimodellarlo a piccoli tocchi: può renderlo di nuovo qualcosa di umano, forse.
[Tanti auguri, Kaho!]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Franken Stein, Marie Mjolnir
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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And mold him into something that you find beautiful



La ferita che Justin gli ha inflitto sta guarendo, anche se lentamente, ed al posto del precedente taglio slabbrato ora c’è una lunga, sottilissima linea rosso vivo che si snoda dritta all’altezza del fianco; la pelle sensibile tutt’attorno gli brucia, di tanto in tanto, e quando passa un dito sopra la cicatrice ancora fresca non riesce a trattenere una smorfia di fastidio.
Torna a sedersi sul bordo del letto, la maglietta accartocciata in una mano, e si sfrega le nocche sulle labbra screpolate. Non è il bruciore alla ferita in via di guarigione ad infastidirlo quanto il sapore metallico, ultimo residuo della nottata, che torna a spalmarsi sulla lingua ogni volta che osserva i punti infiammati ed incandescenti della nuova cicatrice; quando torna a passarsi il dorso della mano contro la bocca, strofinando abbastanza forte da sentire il labbro inferiore spaccarsi e cominciare a sanguinare, scopre che la pelle delle dita è ormai grigia, come se fosse ricoperta di polvere. Anche il resto del suo corpo deve avere lo stesso colore malsano e sbiadito, quasi si stesse lentamente accartocciando su se stesso; devo essere orribile, pensa con un mezzo sorriso, e sente fra i denti i rimasugli di qualcosa di amaro.
Marie, seduta sul letto dietro di lui, si allunga per toccargli una spalla con la punta delle dita.
«Non devi incolparti di niente, Stein» gli dice, prendendo a strofinargli con delicatezza il palmo della mano fra le scapole, e l’infelicità che vibra nella sua voce gli ricorda – il pensiero gli fa sempre venire un mucchio di sensi di colpa, - che brava ragazza sia Marie, e che cosa le sta facendo. 
Gira la testa di lato per poterla guardare bene in faccia ed incrociare il suo sguardo carico di tristezza e preoccupazione. Anche se apparentemente il suo viso è lo stesso, niente brilla più come prima, e Marie ora sembra opaca, spenta tanto quanto lui, improvvisamente piccola e fragile, sbiadita come se fosse sul punto di dissolversi; ecco ciò che è diventata, e la colpa è solo sua.

Chiude gli occhi: il battito dell’anima di Stein ha un ritmo freddo ed irregolare, - a volte, quando prova ad immaginarsi la sua forma, vede qualcosa di molle, puntuto, quasi una medusa color argento dotata di spine aguzze come frecce – che le si schiaccia contro le nocche in una sequenza violentissima di pulsazioni confusionarie; è la stessa natura di lui che si manifesta in tutta la sua intensità, ma non riesce a non esserne spaventata. Stein è sempre stato troppo, per lei come per il resto del mondo: potrebbe annientarla completamente solo volendolo.
E’ solo marginalmente consapevole di essere inginocchiata davanti a lui, ad occhi serrati ed il pugno premuto sul suo petto, non troppo forte da fargli male, ma abbastanza perché Stein senta la pressione che esercitano le sue dita contro il suo cuore.
«Marie?»
Il suo tono non è preoccupato né incuriosito; è neutrale, poco affezionato. Sta tornando com’era prima, vorrebbe pensare lei, ma non c’è nulla di equilibrato nelle pulsazioni frenetiche della sua anima: la calma di Stein si raggruma solo in superficie.
Distende le dita e le lascia scorrere con un mezzo sospiro lungo il torace di lui, prima di aprire gli occhi; si alza sulle ginocchia leggermente intorpidite e gli sorride il più serenamente possibile, senza guardarlo.
«Io andrei a fare una doccia»
«Mmm. Okay»
«Tutto a posto?»
Dalla poltrona, Stein le lancia uno sguardo quasi disorientato. Ha gli occhi innaturalmente stanchi e gonfi di piccoli capillari rossi - forse un giorno si abituerà a dormire con lui, forse prima o poi smetterà di rabbrividire ogni volta che le loro spalle si urtano, mentre cercano di tenersi più lontani possibile su un materasso troppo piccolo.
«Sì, Marie. Sì»
Una volta che si è chiusa dentro il box della doccia, - non ha gettato nemmeno un’occhiata allo specchio, ha quasi paura di vedere ciò che il suo riflesso potrebbe dirle, - gira la manopola più che può e si tappa freneticamente le orecchie: neanche lo scroscio dell’acqua bollente riesce a coprire il battito impazzito dell’anima di Stein che le rimbomba ancora nella testa.

Il sapore di ruggine e metallo nella sua bocca è diventato così insopportabile, così disgustoso e denso come colla, che riesce a trovare quasi soddisfazione nel prosciugarsi lo stomaco mentre, chino sul lavandino, cerca boccheggiando un po’ d’aria fra un conato e l’altro; soltanto quando le sue viscere smettono di attorcigliarsi, si azzarda ad asciugare un ultimo filamento di saliva acida che gli sporca il mento ed a spostare bruscamente dalla fronte alcuni ciuffi fradici di capelli. Vorrebbe pensare che ora starà meglio, che presto passerà tutto, ma sa fin troppo bene che il sollievo è solo momentaneo. La sua mente ancora non è completamente insensibile al dolore, all’orrore per se stesso ed alle allucinazioni, ma la cosa non dura mai troppo a lungo. I suoi sogni torneranno ad essere troppo vividi, le dita intirizzite che gli sfiorano la nuca troppo reali, i sussurri troppo tangibili per essere ignorati: il peso della propria colpevolezza è un blocco solido a metà fra gola e stomaco.
Se fosse meno debole, non sarebbe ridotto così. Marie non soffrirebbe così tanto.
Alza gli occhi verso lo specchio; il suo sguardo è lucido e la sua bocca è tirata in una linea dura ed obliqua.
Non posso crollare, pensa, puntellandosi con le mani sul bordo del lavandino per riuscire a stare dritto. Il suo riflesso traballa leggermente, ma non crolla. Resiste.
«Non posso crollare» ripete ad alta voce, guardando gli occhi allucinati che lo fissano dall’altra parte dello specchio, «Ho troppe cose da fare per lasciar perdere adesso»
Apre il rubinetto e si sfrega una mano bagnata sulla faccia: l’acqua troppo fredda gli ghiaccia i denti, ma il sapore della bile rimane comunque, lontano, depositato in fondo alla sua gola.
Quando torna a letto, vede che Marie non si è svegliata. E’ ancora rannicchiata dalla sua parte del materasso, con il viso completamente nascosto dai capelli, immobile e tranquilla; sembra voglia farsi ancora più piccola per non rischiare di disturbarlo inavvertitamente.
Rimane a guardarla per un po’, Marie mentre dorme, le dita che sfiorano il pavimento e le ciocche dorate sparse in disordine sul cuscino: gli basterebbe appoggiare una mano sulla sua testa per frantumare quel poco di integro che è rimasto di lei. Se solo sfiorasse la curva delle sue scapole, o il rilievo appena visibile della spina dorsale, la annienterebbe; è troppo distrutta, troppo fiduciosa, troppo trasparente per lui. Se soltanto fosse un uomo migliore, o semplicemente meno codardo, l’avrebbe già lasciata sola. Non l’avrebbe mai costretta a stargli vicino come un animaletto, un cagnolino fedele ed adorante, solo per non sentirsi abbandonato: se tenesse veramente a lei, l’avrebbe già lasciata andare via.
Eppure, ogni volta che Marie lo guarda, capisce con quanta forza lei voglia stargli vicino, sopportata ma non amata, senza nutrirsi illusioni su se stessa ma accontentandosi di essere un’ombra.
Torna a tirarsi le lenzuola fin sopra le spalle ed a chiudere gli occhi. Non ha mai desiderato così tanto sognare.

Tiene la testa di lui sulla sua spalla, le braccia attorno alle spalle, ed è come se cullasse un bambino. La fronte di Stein le preme contro la guancia, stranamente pesante, e gli occhi di lui sono bianchi, vuoti come biglie.
«Stein» sussurra, passandogli una mano fra i capelli, sforzandosi di ingoiare il nodo di pianto che la soffoca, «Stein, Stein…»
Il corpo di lui è abbandonato, debole e molle su pavimento della camera, e se non fosse per il respiro che le sfiora il collo, potrebbe anche essere morto; quando gli prende una mano e se la porta alla guancia, la sente scivolare morbidamente lungo la faccia e cadere, inerte, al suo fianco.
Lo prende con delicatezza per il polso e si porta il dorso della sua mano vicino alla bocca, sfiorandogli le nocche scorticate con le labbra, continuando a mormorare il suo nome, perché non può fare altro se non essergli accanto; spera che la sua voce lo raggiunga nel baratro in cui è sprofondato e lo aiuti a risalire, gli faccia capire che non è solo e che non lo sarà mai, finché lei è viva.
Ritorna, lo prega a voce bassissima, per favore, Stein, ritorna, dovunque tu sia. Ho bisogno di te.
«...Sei tu, Marie?»
Continua a stringerlo forte ed a far scorrere una mano sulle sue tempie, ascoltando il suo battito normalizzarsi ed il suo respiro tornare deciso, caldo come sempre.
All’improvviso si rende conto che potrebbe sopportare l’idea della sua morte, ma non quella di lui; se anche Stein morisse, se all’improvviso non esistesse più, lei continuerebbe a vivere, ma non potrebbe sopravvivere: senza i suoi silenzi, i suoi malumori e l’essenza gelata e puntuta della sua vita, non potrebbe mai essere felice. Le basta che lui viva, che stia bene: il resto non è importante.
«Per favore, promettimi che non sparirai mai»
Stein non ride, la guarda senza traccia d'irritazione; anche se non sarà mai capace di riempire il vuoto che lo riempie, può sempre provarci, testarda come la bambina che è sempre stata – come la donna che è ora davanti a lui. Può sciogliere i lacci che lo legano, può provare a rimodellarlo a piccoli tocchi: può renderlo di nuovo qualcosa di umano, forse.
La testa di Stein ha un breve e quasi impercettibile cenno d’assenso.
«Te lo prometto, Marie»



Questa è, con tutta probabilità, la fanfiction più SteinMarie che sia mai riuscita a concepire finora. Mi piace, in un modo oscuro e misterioso che ancora adesso non riesco a capire, l'atmosfera che regna in questa storia: è carica di sottintesi, di tensione e di non-detto molto diverso da quello che c'è fra Stein e Medusa; ho voluto riprendere lo Stein e la Marie che ho lasciato in Breakaway, quindi si può considerare questa storia una sorta di sua prosecuzione ambientata dopo il capitolo 61 del manga. Ehm, sì, lo so che teoricamente Stein non è stato ferito durante la battaglia contro Justin e che, anzi, gode di ottima salute quando ricompare sulla scena assieme a Marie, ma visto che l'idea di questa fanfiction l'avevo ben prima dell'uscita del capitolo, mi sono divertita a fare un pò di testa mia. Spero me lo perdoniate.
Questa storia è un regalo di compleanno per Kaho-chan, a cui spero riesca gradita. Tanti auguri, anche se in ritardo imperdonabile e mostruoso! ♥
  
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