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Autore: carachiel    17/06/2019    1 recensioni
La vita ha avuto un modo bizzarro per ripresentare un'occasione di cambiare a Thomas Arclight, facendolo tornare indietro nel tempo a cercare di rimettere assieme i frammenti della sua vita.
Incatenato a un passato che sa di dover cambiare, con responsabilità che non può condividere, dovrà riuscire a cambiare le sofferenze, gli inganni, il fluire stesso degli eventi per sé e per la propria famiglia
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Thomas Arclight/ Four
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Hibernation
 
 
I - Abbacinamento
 
La prima sensazione che avvertì fu il calore.
Fin troppo eccessivo, gli andava penetrando dentro il corpo, un’onda intensa e violenta fino a che non sentì l’impulso, dapprima labile, poi sempre più impellente, di strapparsi via la pelle e lasciare a nudo i muscoli e le ossa per poter guadagnare un po’ di frescura.
Ma quello era davvero il fuoco infernale, allora doveva dar per scontato di essere morto, del resto sapeva che quelli come lui non andavano certo in paradiso…
La sensazione perdurò per istanti che parsero ore, i denti digrignati per cercare di resistere a un calore che gli andava incendiando anche l’anima, se ancora ne aveva una, un fievole lamento che fuoriusciva dalle labbra imperlate di sudore, per poi passare tutta d’un tratto.
 
L’istante successivo si ritrovò afferrato per la collottola, compresso col viso rivolto verso una lastra di un qualche materiale che risultava gelido e umido, forse ghiaccio, senza comprendere quale forza continuasse a esercitare pressione sulla sua spina dorsale, spingendolo sempre più contro quella gelida barriera.
Tentò di divincolarsi, ma quella presa ferrea non si alleggerì fintantoché Four non smise di percepire nitidamente la parte compressa, iniziando a pensare che sarebbe morto per il freddo, il sangue che ormai pareva del tutto incapace di circolare. E proprio allora sentì il forte e sonoro “Craaack”. Rumore di cui chiunque lo tenesse parve rallegrarsi, al punto da spingerlo con ancora maggiore veemenza contro quel gelido muro.
E Four era ormai pressoché certo che quella barriera, per qualche motivazione a lui oscura, dovesse essere sfondata. Il tutto utilizzandolo come ariete, senza neppure avere la certezza di come fosse situata. Orizzontale? Verticale? Era impossibile definirlo dato che i suoi piedi sembravano non incontrare alcun punto di contatto con altre superfici, e la sua testa iniziava da dolere per la pressione.
Al primo “Craaack” ne seguirono altri, rapidi come fucilate, finché la superficie non si dissolse in centinaia di schegge e la presa che lo teneva ancorato contro essa si dissolse, lasciandolo a boccheggiare avanzando di colpo per poi crollare contro qualche altra superficie.
La pressione continua e il muro di ghiaccio gli avevano lasciato la pelle insensibile e un profondo gelo gli andava divorando il resto dell’epidermide. Cercò di prendere aria per tentare di riscaldarsi col suo fiato, ma finì solo col raggomitolarsi su sé stesso, a sperare che quella sensazione di freddo si esaurisse velocemente, mentre il mondo intorno perdeva consistenza e colore.
 
 
Quando riacquistò i sensi, percepì di trovarsi disteso in un letto, con ancora la persistenza di quel gelo provato nel sogno addosso, se davvero era un sogno.
Solo parzialmente rassicurato dalla morbidezza delle coperte e con il freddo che non voleva saperne di andarsene, aprì cautamente un occhio per poi richiuderlo di colpo sentendosi aggredito dal vortice di colori che gli fece venire la nausea.
Qualche istante dopo qualcuno cautamente infilò la mano sotto le coltri in cui era sprofondato e gli tastò delicatamente la fronte. A quel contatto Four ebbe la pulsione di allontanarsi e rimanere sotto le coperte finché il gelo non fosse passato.
Gelo come la mano che l’aveva toccato, realizzò un istante dopo. Doveva essere Five, solo lui aveva delle mani così fredde.
 
E mentre tirava fuori la testa dalla coperta, e ormai sicuro che fosse stato solo un sogno, mentalmente si preparava all’inevitabile rimprovero che il fratello era solito presentargli quando si ammalava, come se fosse stata colpa sua.
Tuttavia la prima cosa che mise a fuoco furono due occhi blu che lo guardavano con preoccupazione.
Four era piuttosto sicuro nell’affermare che Five non l’aveva mai guardato così. E l’idea gli provocò una fastidiosa stretta allo stomaco.
La seconda cosa che notò fu la morbida treccia che gli teneva raccolti i capelli chiari e che penzolava su una spalla.
“Come ti senti Thomas?” gi mormorò in tono gentile lo sconosciuto, che somigliava in maniera spaventosa a Five.
Four era troppo occupato a tentare di metabolizzare le informazioni per rispondere, perciò si limitò a fare un cenno che sperò potesse intendersi come segno che non stava troppo male.
“Va bene, tornerò più tardi per portarti qualcosa da mangiare. Se hai bisogno di qualcosa sono al piano di sotto.” concluse l’altro alzandosi e avviandosi verso la porta.
 
Four dopo quel fugace incontro era sempre più turbato. Dov’era, come ci era finito ma soprattutto perché quel tizio assomigliava in maniera assurda a Five?
E perché l’aveva chiamato col nome reale, e non con lo pseudonimo?
Per pensare si portò una mano al viso e rimase un secondo sbigottito nel constatare che la sua mano era quella di un bambino, piccola e priva di cicatrici, senza alcuna traccia dei segni biancastri e irregolari lasciati dall’incendio all’inizio dei polsi. La rigirò osservandola con occhio clinico, ma pareva realmente intatta.
Sospirando, con la percezione imperante che qualcosa di quella situazione sempre più assurda gli stesse sfuggendo, si passò la mano tra i capelli e sobbalzò nel sentirli così corti, a stento gli arrivavano alle spalle.
Guardandosi attorno alla ricerca di un calendario o di uno specchio che potessero confermare i suoi dubbi si rese conto di essere nella sua vecchia stanza da letto, riconoscendo via via le pareti rosso scuro, le pile di carte ammonticchiate sul tavolo che formavano Deck, Side Deck ed Extra Deck, persino un vecchi skateboard su cui aveva fatto innumerevoli cadute.
Trovò un calendario appeso dietro la porta della sua stanza, secondo cui era il 17 Agosto del 2208
Esattamente sei anni prima.
Facendo un rapido calcolo considerò che se quel calendario diceva il vero, lui aveva compiuto dodici anni da due settimane.
L’idea gli fece per un attimo mancare la terra sotto i piedi, realizzando di essere tornato indietro nel tempo.
E che quel ragazzo dalla treccia candida che lo aveva sfiorato… Era suo fratello Christopher.
 
Cercò di pensare razionalmente, dicendosi che non era possibile, che il viaggio nel tempo era un'utopia fantascientifica, mentre intanto la stanza aveva preso a vorticare sempre più rapidamente, la percezione del suolo sotto di sé che si faceva sempre più distante, spalancando un abisso, con i suoni ormai indistintamente fusi in un ronzìo senza fonte, così come anche i colori, un arcobaleno nauseante.
Cadde in ginocchio, senza comprendere più se ciò che vedeva era reale o allucinazione, la coscienza ormai in procinto di spegnersi, e l’ultimo, bruciante pensiero di quanto potesse essere crudele un abbacinamento simile.
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Ennesimo esperimento stracolmo di Angst, che va a sommarsi alla lista di storie in corso che concluderò in un tempo variabile tra un giorno e mai.
Portate pazienza, mentre vi chiedo che se questo inizio vi è piaciuto potete lasciare una recensioncina, con bandierina verde, bianca, rossa, non ha importanza!
 
   
 
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