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Autore: Alice Jane Raynor    21/06/2019    0 recensioni
ROMANZO A PUNTATE - Ogni due settimane posterò un nuovo capitolo. Potrete leggere l'anteprima sul mio blog.
TRAMA
Dicono che chi ama la musica non possa essere malvagio. Non è così, altrimenti i musicisti non spezzerebbero i cuori.
Da qualche anno Sofia frequenta il conservatorio e la sua vita viene travolta in pieno dalle sensazioni dell'adolescenza, come l'amicizia e l'amore. Si ritrova a dipendere da un cellulare che non lampeggia e dalla volontà capricciosa di chi le ha rubato il cuore.
Ma Sofia non è fatta per essere schiava di un sentimento che le ha rubato la tranquillità.
Sofia riuscirà a dire il fatidico no e allontanarsi da una persona che le sta facendo del male? Oppure si sottometterà alle regole dell'amore e dirà di no al suo orgoglio?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Capitolo I - Di come tutto ebbe inizio

 

Mentre risalivo la strada per arrivare in conservatorio mi ritrovai a cantare da sola, in un improbabile tedesco, il “Rollend in schäumenden Wellen”, da “La Creazione” di Haydn.

«Senza contare l’improbabile voce, visto che è un’aria maschile».

Parlottavo spesso da sola, quando camminavo. Anche quando ero a casa, per essere sincera. Avevo questa strana abitudine da sempre. Non era una questione di “amici immaginari”, sentivo che quella fosse l’unica strada per conoscermi più a fondo.

Sorpassai il cancello e scostai i capelli scuri dal volto che finivano sempre per intralciarmi. Avvicinarsi al conservatorio aveva sempre qualcosa di caratteristico. Sentivo prima il vento tra gli alberi, poi gli ottoni, i legni e, sempre più salendo, i pianoforti e i cantanti. Il luogo era strutturato in tre padiglioni più un auditorium da cui si accedeva dall’esterno. Mi dirigevo sempre nella zona superiore, il padiglione A.

Aprii il libro che tenevo in mano, “La musica romantica” una raccolta di articoli di Schumann.

 

“Magari finirete per udir nascere l’erba nella Creazione di Haydn” .

Florestano

«Spero anch’io, un giorno, di poter suonare con così tanta dolcezza da poter far crescere l’erba».

Sistemai il segnalibro all’interno del tomo, lo richiusi e lo riposi in borsa prima di entrare nell’edificio. Non avevo alcuna voglia di farmi vedere con un testo in mano: notavo spesso compagnie di ragazzi che si conoscevano e uscivano insieme, io ne ero esclusa. Non per una loro colpa, si intende. Ma mi vergognavo di farmi vedere troppo immersa nella lettura quando avrei potuto fare amicizia con qualcuno di loro. Poi finivo per rimanere in silenzio, forse prima o poi il mio desiderio di aprirmi avrebbe vinto la ritrosia.

Controllai negli orari dove si trovasse Gimmo, il mio maestro. Era il secondo anno che frequentavo con lui e, anche se mi trovavo bene, non sapevo mai in che veste lo avrei incontrato a lezione. A volte desiderava psicanalizzarmi, a volte era tutta bontà. Certi giorni era anche un po’ acido, anche se vedeva che ci rimanevo male e in qualche modo si faceva perdonare.

«Cerchi qualcuno?»

Ero talmente concentrata nelle mie riflessioni che non mi accorsi della ragazza che mi si era avvicinata. Sobbalzai. Sperai che non si fosse notato tanto. Sorrisi. Era una ragazza dai capelli biondi che mi pareva anche di aver visto nei corridoi, al liceo. Mi era rimasta impressa per il suo modo di vestire: spesso abbinava colori che facevano a pugni tra di loro e che erano così accesi che non li avrei mai usati. E per averla notata anch’io, che spesso ero rintanata nella mia di classe, voleva dire che era una di quelle persone “popolari”, che si fanno conoscere da tutti. Almeno ero convinta di questa cosa.

«Cerco il maestro Gimmo».

«È nella 5C, come tutte le volte qui».

Ringraziai e sorrisi. Non mi sfuggiva quell’abitudine del maestro ma preferivo essere sicura. Non mi sarei mai perdonata di essere entrare in un’aula in cui avrei fatto qualche brutta figura.

«Sei sua allieva?»

Non mi dispiacque che l’altra cercasse di instaurare una conversazione. Ero in anticipo: avrei dovuto aspettare. Poi forse era arrivato finalmente il giorno della svolta.

«Sì. Tu invece?»

«Anch’io!» esclamò «Potremo sparlare di lui qualche volta!»

«Molto volentieri!»

Risposi d’istinto, anche se a dire il vero non avevo proprio molto di cui sparlare. Ma era sempre un modo per parlare e magari avrei scoperto anche qualcosa in più sul nostro docente così lunatico.

«Devi fare lezione adesso? Magari potremo prendere qualcosa alle macchinette e farci un giro».

«Guarda è perfetto! Ho giusto una mezz’oretta libera».

«Andiamo allora!»

Nell’atrio non c’era nessuno. Da un lato ne ero felice. Avrei potuto approfondire quella conoscenza senza tirare in ballo altri. In genere avevo un grande problema a integrarmi nei gruppi, preferivo quindi interagire con una sola persona. Prima o poi avrei fatto il passo successivo ma per il momento, con tutti estranei, pensai che la fortuna stesse girando per il verso giusto.

«Vuoi un caffè?»

La guardai con imbarazzo. Non bevevo caffè e infatti ogni volta che mi invitavano “a prendere un caffè” con molta ingenuità mi sentivo sempre in obbligo di precisare che non ne bevevo, senza capire che fosse un’espressione come un’altra per parlare. Poi nella realtà avrei potuto anche bere il succo di frutta e nessuno se ne sarebbe lamentato.

«Ehm… preferisco la cioccolata calda!»

Avevo guardato per qualche secondo la macchinetta con uno sguardo rapace, alla ricerca di una via di fuga. Mi proposi di offrire io, avendo fatto persino un passo verso la macchinetta. Almeno non sarei sembrata impacciata, ma amichevole.

«Tu cosa preferisci?»

«Io un caffè. Per la cioccolata ci sono tre pulsanti, ti consiglio la “cioccolata cioccolata”, il “cioccolato latte” è solo acqua».

Ordinai prima il suo caffè, glielo porsi e poi preparai la mia “cioccolata cioccolata”. Avevano una grande inventiva per i nomi. Presi il mio bicchiere. Bruciava. Feci una smorfia ma non mi lamentai. Avevo un qualche problema a portare gli oggetti caldi ma mi sentivo troppo ingessata per manifestare il mio disagio. La seguii in silenzio verso l’uscita, avevamo deciso di sederci su una panchina per chiacchierare in libertà.

Era una classica giornata di primo settembre, non più calda ma gradevole. Il vento soffiava appena per rinfrescare l’aria. Amavo l’autunno, aveva il clima ideale per i miei gusti.

«Comunque non ci siamo presentate, mi chiamo Carmela».

«Io invece Sofia» risposi. «Allora tu come ti trovi con il maestro?»

Mi congratulai con me stessa per aver posto la domanda. Di solito rimanevo in silenzio e avrebbe scoraggiato la mia compagna.

Carmela si zittì per un po’, la imitai. Mi aveva sentita, ne ero sicura. Forse stava raccogliendo le idee.

Ci sedemmo. Carmela bevve e schiocco le labbra.

Io rimasi ancora in bilico con il mio bicchierino: lo tenevo appena con le punte delle dita. Forse si sarebbe anche rovesciata, ma era ancora troppo caldo.

«Non mi trovo per niente bene con il maestro. Per me è una tortura andare a lezione».

   
 
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