Anime & Manga > Bungou Stray Dogs
Ricorda la storia  |       
Autore: Ellie_x3    21/06/2019    3 recensioni
A volte a Chuuya mancava qualcuno che gli tenesse compagnia senza essere...beh, Dazai.

La stessa persona che aveva “sbadatamente” dato fuoco al suo armadio e che gli hackerava la carta di credito ogni due giorni e che a volte camminava per casa nel cuore della notte, i piedi scalzi e l’espressione vuota, in preda ai fantasmi dell’inquietudine.
Convivere con quell'idiota era un lavoro a tempo pieno.
Tuttavia, più spesso di quanto volesse ammettere, si era chiesto come avesse fatto a sopravvivere in quattro anni di separazione.
[Dazai Happiness Week 2019]
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Fuck up My Life and Say that you Love Me

or

The Life and Times of Two Idiots

 

 

I want you to fuck up my nights
yeah, all of my nights


I want you to bring it all on
If you make it all wrong, then I'll make it all right

 

Non è che Chuuya e Dazai avessero deciso di vivere insieme, esattamente.
Era stato un avvicinamento graduale costruito in anni di condivisione degli spazi, quando due quindicenni pigri avevano compreso che convivere era meglio che lavare i piatti da soli, cucinare da soli, percorrere in solitudine i tetri corridoi della Port Mafia per raggiungere l’altro e giocare ai videogiochi quando — per quanto li infastidisse reciprocamente — erano gli unici adolescenti nell’intero edificio.
Kouyou O’nee-san l’aveva suggerito per prima.
Dopotutto, sarebbe stata una soluzione ottimale perché Dazai smettesse di rompere bicchieri (e studiare fantasiosi usi del vetro per porre fine alla propria miseria) e per assicurarsi che Chuuya si svegliasse in tempo per le riunioni quando giocava fino a tardi, perchè Dazai non avrebbe mai negato a sè stesso il piacere di svegliare il proprio partner nelle maniere più crudeli possibili, compreso il caricarselo direttamente in spalla e lanciarlo dal cinquantesimo piano. Come aveva previsto, Chuuya aveva ripreso conoscenza e utilizzato la propria abilità ben prima di sfracellarsi al suolo; peccato.
Per strano che fosse, erano una coppia che funzionava.
A dispetto dei loro superiori, e di loro stessi, eccellevano nella quotidianità come nelle missioni, una macchina ben oliata che aveva stupito chiunque.
Quando aveva lasciato la Port Mafia, Dazai si era trasferito nei dormitori della Armed Detective Agency perché sostanzialmente incapace di prendersi cura di una casa propria.
Quattro anni dopo la loro ultima convivenza, esasperato dall'ennesima missione in cui Mori e Fukuzawa li obbligavano a collaborare e dal fallimento annunciato nella caccia contro Hunting Dogs, Chuuya aveva urlato addosso all'ex partner che per colpa sua non aveva assolutamente idea di come fare una lavatrice, e che sempre a causa della terribile influenza di Dazai non aveva nemmeno intenzione di imparare.
Ancora una volta non l’avevano deciso, ma era successo e nessuno dei due si era tirato indietro.


Così erano quietamente finiti a vivere insieme di nuovo, concordando che una partnership come la loro poteva, con discrezione, rendere la vita più facile a tutti, organizzazioni comprese.
Per meglio dire, Dazai si era presentato alla porta di Chuuya una sera dopo l’altra dichiarando di non aver nulla per cucinare, e l’altro era troppo schiavo del proprio buon cuore — e inorridito dall’idea che Dazai si lasciasse morire di fame e Mori lo potesse incolpare, come se avere un ex partner idiota fosse colpa sua — per poter rifiutare, a patto che lo spreco di bende si rendesse utile in casa.
La verità era che, dopo tutti quegli anni insieme, all’inizio Chuuya aveva amato il silenzio e la pace della solitudine, ma erano divenuti presto compagni ingombranti e costanti, come una patina grigia su una vita che era sempre stata fastidiosamente colorata.
A volte se ne pentiva, maledicendo la propria socialità e il fatto di aver sempre vissuto — prima di Arahabaki — in compagnia di altre persone ma, non avendo intenzione di tornare a fare il babysitter a Q, aveva accettato di buon grado di vivere con Dazai: dopotutto, cosa poteva andare storto?
“Nee, sei proprio un cane, chibikko, se ti lasciano troppo solo soffri.”
“Vaffanculo, kuso Dazai.”
“Non temere, ora il tuo padr—” il suono secco del tagliere che volava e si schiantava contro lo stomaco di Dazai lo interruppe a metà, accompagnato da un ‘ooof’ soffocato.
“Consideralo un avvertimento,” sbottò Chuuya, lanciandogli un’occhiata da sopra la spalla. L'uomo era piegato in due dal colpo e una sola lacrima faceva capolino sul suo volto, ma Chuuya non aveva intenzione di scoprire se si trattasse di sorpresa o divertimento.
“Da quando in qua prima colpisci e poi avverti?”
“Non hai capito, il tagliere era un avvertimento. La prossima volta ti ammazzo.”
“Detto come un vero mafioso!” commentò allegramente lui, alzando l’indice.
L’orgoglio di qualunque altro assassino sarebbe stato disintegrato vedendo una stupida mummia — con la prestanza fisica di un cucciolo storpio, per di più— non batter ciglio di fronte ad un colpo del genere, ma Dazai era più resistente di quanto sembrasse e Chuuya scosse le spalle e si limitò a tornare a versare il vino con attenzione, senza sprecarne nemmeno una goccia.
Prima di poterlo scacciare, Dazai gli era andato vicino, il mento appoggiato sulla testa dell’ex partner e le mani che riposavano sulle sue spalle.
“Cosa c’è per cena, Chuuya?”
“Uva.”
“Il vino non è uva e non è una cena,” sbottò Dazai, con un broncio appena accennato.
Oh no, non ha diritto di parola, si disse l’executive, sospirando pesantemente, quando lui e quell’altro detective si nutrivano di dolcetti e gelato. 
“Io devo lavorare. Se vuoi mangiare, chiama qualcosa a casa.”
“Ma—”
“O muori di fame, non mi interessa.”
“Hm. Potrei ordinare Pizza Hut, e fartela mangiare mentre dormi...”
Un ghigno si era dipinto sul volto di Dazai, spaccandolo da guancia a guancia, e Chuuya avvertì un brivido gelido corrergli lungo la schiena.
Chiunque lo conoscesse sapeva che il  aveva sviluppato un certo palato per il cibo costoso, vivendo con O’nee-san, e apprezzava la buona cucina; ovviamente, Dazai era uno stronzo con una creatività pressoché illimitata, ed aveva avuto modo di darne prova durante una missione in America.
Chuuya, nel pieno del proprio addestramento con Kouyou O’nee-san, un ragazzino raffinato che sapeva leggere il silenzio in una casa da tè nonostante il calcio facile e l’insulto ancor più pronto, era stato costretto a sopravvivere unicamente a pessima pizza americana dagli ingredienti più improponibili per due settimane, impossibilitato ad uscire dalla Safe House e con Dazai come unico corriere — il bastardo.
Solo a sentirla nominare, sentì uno sforzo di vomito risalirgli lungo la gola.
“Non ti azzardare, squilibrato!” ringhiò, girando bruscamente sui tacchi per puntare un dito contro il coinquilino. Partner. Ex-partner, quello che era. “Ti uccido, giuro che questa volta è quella buona.”
Tuttavia, Dazai era già sparito, lasciandolo a parlare da solo. 

 

- - -

 

Per qualche motivo, il fatto che vivessero insieme aveva dato nuova vita a Soukoku.
Mori-san, una volta notato che Akutagawa tallonava la tigre dell’Agenzia quasi senza rendersene conto e in qualche modo il destino finiva sempre per riunirli, aveva dichiarato di non aver intenzione di ignorare il loro potenziale ed, evidentemente, era ancora dell'idea che solo una coppia di diamanti gemelli potesse provvedere all'addestramento: Dostoevsky era un fantasma nel buio, sempre in agguato, e quella che Dazai aveva rinominato ‘shin Soukoku’ (si era guadagnato un pugno) poteva essere la carta che avrebbe rivoluzionato l’intera partita.
Così, Chuuya era giunto alla conclusione che Yokohama fosse una città troppo piccola per tutti loro, e che aveva bisogno di una lunga vacanza lontano da qualsiasi cosa riguardasse l'ex partner e la coppia che stava tramando per formare.
Nel frattempo, però, non poteva che eseguire gli ordini.

 

“Ah, Dazai-San! E... Nakahara-San?!”
Essere un executive implicava molte comodità, ma anche degli occasionali momenti di imbarazzo che, solitamente, coinvolgevano almeno un corpo senza vita, Rashomon e una tigre minorenne, ex orfano ritrovatosi figlio adottivo di Dazai (non poteva andargli peggio). Chuuya lasciò che gli occhi di Jinko lo studiassero, verdi e lucidi e dalla bizzarra sfumatura violacea, carichi di domande alle quali non osava dar voce.
Dazai, le mani in tasca ed appostato di fronte al cadavere di Tsuchiyama Miyamoto — 53 anni, broker dall’abilità utile quanto innaffiare i cactus e pessimo truffatore — sorrise ad Atsushi e ad Akutagawa, che era come un’ombra scura alle spalle della tigre, seguito a propria volta dalla figura minuta di Kyouka.
“Atsushi-kun!” salutò, “è andato tutto bene?”
“Sí— sembrerebbe d—”
“Hm. Dunque il target principale è stato annientato.” lo interruppe Akutagawa, in una buffa imitazione in nero di Dazai, con il capo piegato e le mani affondate nelle tasche del cappotto scuro.
"Annientato è un termine incredibilmente forte per una missione così basilare," replicò Chuuya, lanciando uno sguardo di sottecchi a Dazai.
“Chuuya qui ha fatto il lavoro sporco.”  
A propria volta, Kyouka si inchinó brevemente.
“Grazie per esservi presi carico della missione. Il perimetro è sicuro.” disse, e quelle parole — la sfumatura di Kouyou in esse, il ricordo di un sè stesso più giovane sottoposto al medesimo addestramento— addolcirono il sorriso dell'executive.
“Ottimo lavoro, Kyouka-chan.”
Gli occhi azzurri della ragazzina gli si puntarono contro, certo indecisa su cosa farsene dell'approvazione del nemico; ogni pausa aveva un significato, con i protetti di Kouyou, ma dopo un attimo di esitazione annuì, stringendo il cellulare che portava al collo.
Onii-chan; c’era stato un periodo in cui Kyouka aveva sorriso, seppur raramente, in sua presenza, chiamandolo come un fratello, ma nessuno con un po’ di amor proprio rimaneva mai nella mafia a lungo.
“È stato troppo facile.” mormorò Akutagawa, scrollando il capo.
“Akutagawa-kun, come sai non era una missione da cui ci aspettavamo un’abilità particolarmente offensiva,” Chuuya si lanciò un’occhiata alle spalle, al corpo esanime le cui braccia e gambe erano piegate in angoli innaturali, “riserva la ricerca di un avversario degno a quando ce ne sarà uno.”
“Se mai imparerai a cercarli nel posto giusto.”
“Oi, mackerel—”
“Akutagawa-kun, non sopravvalutarti.”
La voce di Dazai tagliava come un coltello, e scavava nelle viscere di Akutagawa con la precisione data dall’esperienza.
In silenzio, Chuuya vide il giovane incassare il colpo; ogni attenzione di Dazai per lui era un regalo piovuto dal cielo, una nuova motivazione, ma Chuuya sentì lo stomaco stringersi nel cogliere lo smarrimento nei suoi occhi scuri. Nonostante non fosse più un suo superiore, l'uomo spingeva costantemente le capacità di Akutagawa al limite, testando la forza di Rashomon, ma non gli interessava il prezzo — non gli era mai interessato.
Nel frattempo, la figura minuta di Atsushi si era accucciata accanto al cadavere; Akutagawa lo seguì dopo un istante.
“Com’è morto?”
“Cause naturali,” disse Chuuya, togliendosi il cappello per passarsi pigramente una mano fra i capelli, improvvisamente stanco.
Atsushi gli scoccò uno sguardo sconvolto, le labbra socchiuse.
“Nakahara-San, non credo sia plausibile...”
In silenzio e con quella che voleva essere discrezione, Akutagawa piantò un gomito nelle costole di Atsushi, guadagnandosi una protesta soffocata da parte dell’interessato e un sopracciglio sollevato dall’executive, perplesso ed indeciso sul perchè Akutagawa dovesse proteggere uno come Jinko. Certo, ogni singola cellula di Nakajima Atsushi urlava per essere costantemente guidata lungo il percorso della società — da parte sua, Chuuya non poteva dire di non capire ciò che Jinko stesse provando— ma Akutagawa era...bizzarro. Amichevole.
O, meglio, più violentemente protettivo del solito.
“Lascia perdere, Jinko.” gli aveva sussurrato, in quella che sembrava una minaccia.
Istintivamente, Chuuya incrociò le braccia al petto.
“Che diavolo sta succedendo qui?”
Il volto pallido di Atsushi si tinse di scarlatto; tuttavia Dazai, in piedi accanto al proprio protetto, si era concesso un sospiro esasperato.
“Chuuya, lascia perdere. E non scrivere nel rapporto che è morto per cause naturali… L’hai spinto dal ventesimo piano.”
“La gravità è perfettamente naturale.”
“Quanto sei idiota, hatrack.”
“Io? Chi é quello che ha pensato tutto questo teatrino, eh, stupido mackerel?” gli si scagliò contro Chuuya, il pugno chiuso nascosto dal guanto, e che sventolava ad un palmo dal naso dell’ex partner. Dovette chiamare a sè tutto il proprio autocontrollo per non colpire, e unicamente perché non era sicuro di voler dare ad Akutagawa segnali contrastanti riguardo quello che il ragazzo considerava ancora un mentore.
“Ma ha funzionato, no?”
“Se l’idea è quella di farlo apparire un incidente non possiamo urlare all’assassinio, ti pare, spreco di bende? E togliti quel sorriso dalla faccia, mi dai i brividi.”
Due ore dopo, nella quiete dell’ingresso dell’appartamento che condividevano, Dazai sorrideva ancora.
A dispetto del broncio del proprio ex partner, che si sentiva le membra pesanti e un fastidioso pulsare alla testa, il sedicente maniaco del suicidio era felice come una scolaretta, talmente di buon umore da aver abbracciato Kunikida una volta tornato all'agenzia. 
Solo a ripensarci, Chuuya sentiva brividi infastiditi corrergli lungo il corpo.
“Ahh, che soddisfazione.” commentó Dazai, togliendosi l’impermeabile nell’ingresso e allentandosi il colletto della camicia, “un’altra missione andata a buon fine per i mini me.”
“Nessuno vorrebbe essere un mini te, mackerel. Sei la peggior figura paterna sulla faccia del pianeta.”
“Oh! Sei preoccupato per Akutagawa? E con Kyouka-chan… Sei proprio una mamma chioccia come si deve, Chuu-u-ya!”
“Ti uccido”.
Non era una minaccia— non toccare il mio cappello, quella era una minaccia, quello che era sfuggito dalle labbra di Chuuya era più un intercalare, e Dazai lo accolse con una risata.
“È molto dolce come hai preso Akutagawa-kun sotto la tua ala protettrice, chibikko, considerato che è più alto di te.”
“Qualcuno doveva pur farlo,” sbottò, scrollando il capo e lasciandosi cadere sul divano. “Visto che qui una certa mummia non ha dignità.”
Inizialmente, Chuuya aveva intenzione di prendere un divano in pelle: un pezzo d'arredamento minimal ed elegante che si adattasse al suo gusto in fatto di interni di design, ma Dazai sosteneva che non fosse abbastanza 'comodo e adatto a risollevare lo spirito quando il peso esistenziale diventava insostenibile', qualsiasi cosa quell’idiota volesse intendere. Quando il peso esistenziale bussava alla sua porta Chuuya rispondeva con una bottiglia di vino, non rotolandosi tra i cuscini come una ragazzina. Ad ogni modo, alla fine ovviamente aveva vinto l’idiozia sullo stile.
“Non ho idea di cosa tu stia dicendo.”
“Giuro che ci puoi arrivare.”
“Hm. Vediamo… dimmi, come ci si sente ad essere guardati dall’alto da Rashomon, n-a-n-o?”
Digrignando i denti, Chuuya pregò per della pazienza, perchè con ancora un po’ più di forza e Arahabaki avrebbe disintegrato la città intera pur di assicurarsi di polverizzare Dazai.
“Non sono affari tuoi.”
“Però è innegabile che sia migliorato, Ryunosuke, ed è più composto: hai visto come dava di gomito ad Atsushi? Pare aver imparato qualcosa, dopotutto. Sono quasi fiero di lui.”
Quasi. 
Akutagawa non sarebbe stato contento di sentirlo, ma Chuuya sospettava fosse un buon passo avanti.
“Direi di sì.”
“Sono sollevato; sapevo che avresti fatto un lavoro migliore del mio, Chuuya.”
Sorpreso dal tono assorto, con una vena che con ogni altro essere umano non sarebbe stato azzardato definire malinconica, ma si parlava di Dazai, Chuuya alzò gli occhi sul proprio partner.
“Hm? Davvero?”
“Ovviamente no, vuole ancora più bene a me.”
L’uomo era fortunato che Chuuya non avesse intenzione di lavare il sangue dal tappeto bianco, ma nulla gli impedì di far volare un cuscino direttamente sulla faccia dell’ex partner, il quale poteva anche averlo previsto ed evitato, ma non aveva calcolato — non poteva averlo calcolato— il libro che gli era volato addosso dalla libreria alle sue spalle.
Chuuya pregò di potergli rompere il naso, e che fosse sufficiente a farlo stare zitto, ma Dazai si scansò abbastanza in fretta da prendere l'ex partner alla sprovvista, colpendo l'oggetto con un gesto secco per abbassarne la traiettoria.
Per un momento, la visuale di Chuuya si tinse di bianco, poi di nero, e il dolore era una rosa scarlatta che gli avvolgeva la faccia.
Con orrore, si rese conto non solo di avere una mano imbrattata di sangue, ma di aver permesso all’idiota di rigirare Per Il Dolore Corrotto contro di lui.
“Ma sei impazzit—”
“Ho vinto. Mi spiace, Chibi.”
Masticando un insulto tra i denti, Chuuya si domandò per l’ennesima volta perchè, fra tutti, il destino l’aveva appaiato con il peggior bastardo della città. Mori aveva naturalmente caldeggiato la possibilità che la convivenza con l’ex partner convincesse Dazai a tornare sui propri passi — riguardo Fukuzawa, Chuuya non aveva la minima idea di come lo spreco di bende l’avesse convinto — ma il giovane iniziava a sentire il peso dell’esperimento sociale sulle proprie spalle.
“Sei diventato più lento, chibikko. Stai bene?”
Chuuya si strinse istintivamente nelle spalle, dal momento che una domanda del genere da parte di Dazai non poteva che portare a delle pessime conseguenze. Per qualche motivo, finiva sempre male.
“Non mi lanciare le tue solite maledizioni, bambola voodoo ambulante."
Dazai alzò gli occhi al cielo con fare drammatico e, con una mano ancora sul volto dolorante, Chuuya avrebbe voluto strangolarlo.
Come osava alzare gli occhi, proprio lui che era un fastidio continuo? Per di più, Dazai non aveva il diritto di riservargli il trattamento del silenzio dopo avergli quasi rotto il naso.
“Oi, maledetto Dazai!”
“Per l’ennesima volta, osservare con attenzione è tutto fuorché magia nera. Anche se posso capire che ci sia poco spazio per i neuroni, in quel tuo piccolo cervello da gamberetto.”
“Non accetto commenti del genere da una mummia. Porti sfortuna,” dichiarò Chuuya, affondando quasi completamente fra i cuscini.
Da quando si era unito alle fila della Armed Detective Agency, per qualche motivo Dazai era ancor più inquietante del solito: vivere con lui era come vivere con una tavola Ouija, interrogarlo era come disporre un bicchiere sulle lettere annerite per dare la parola ad un fantasma vendicativo, senza mai sapere se ne sarebbe venuto fuori qualcosa di utile o un insulto con tanto di emoji finale.
Dazai sorrise — un sorriso ampio, allegro, sin troppo allegro — e non rispose.
La mattina dopo, Chuuya ovviamente aveva scoperto di avere abbastanza linee di febbre da costringere a letto una persona normale per settimane: Dazai sosteneva di averlo semplicemente notato prima, ma Chuuya era sempre più convinto che l’ex partner portasse sfortuna.

 

- - -

 

Avevano deciso di vivere insieme perchè Chuuya si prendeva a cuore le persone, proprio malgrado; aveva un'innata predisposizione alla leadership che all’altro mancava, ma doveva ammettere che lo spreco di bende era un buon alleato nella vita quotidiana.
Chuuya si assicurava che Dazai mangiasse decentemente e Dazai si assicurava che Chuuya avesse sempre qualcuno che gli posava una coperta sulle spalle quando si addormentava sul tavolo, russando piano con la testa poggiata su dei documenti.
Non parlavano dei rispettivi ambienti di lavoro se non era necessario, e Chuuya aveva pregato Mori-san di non rendere le cose più complesse di quanto già non fossero, ma questo non impediva all’executive di minacciare Dazai di rispedirlo a calci nei dormitori, se non si fosse comportato bene.
Oppure, dal momento che al mackerel idiota piacevano così tanto i felini troppo cresciuti, l’avrebbe chiuso personalmente nel recinto delle tigri allo zoo, liberando per sempre il mondo dalla sua ingombrante presenza.

“Ah, quindi non ti dispiacerebbe se decidessi di vivere con Atsushi-kun, che è così dolce e vuole bene, non come un certo chihuahua rabbioso?”
“Nessuno si merita il peso esistenziale di vivere con te, Dazai, tantomeno il ragazzino.”
Naturalmente, dato che la reazione naturale sarebbe stata troppo normale per uno come Dazai, la risposta suscitò in lui un gridolino di soddisfazione mentre gli lanciava le braccia al collo.
“Chuuya! Mi stai dicendo che devo vivere solo con te?”
“Ti sto dicendo che rendi la mia vita un inferno, stupido mackerel” brontolò. Che non era esattamente una negazione, ma solo perchè Dazai era una persona con cui sapeva di poter convivere senza uccidersi (se non altro perchè gli era stato esplicitamente ordinato il contrario).
Inoltre, tutto era meglio del costante banco di prova che era vivere con Kouyou O'nee-san — in confronto, per quanto fosse inquietante e fastidioso, Dazai era quasi rasserenante: dopotutto, Dazai non lo costringeva a sostenere terribili meeting nè a organizzare combinazioni floreali solo per vedere se aveva ancora presa sulla propria eleganza, oltre che sull’essere un ventenne che prendeva a calci la gente. Kouyou aveva sempre insistito che Chuuya fosse entrambe le cose.
L’aveva odiata a sedici anni quando era stato costretto a mettersi un rossetto rosso e infiltrarsi nella più schifosa casa da tè che avesse mai visto, e a volte la odiava a ventidue perché ora sapeva flirtare e leggere esattamente il non detto in ogni pausa, in ogni alzata di sopracciglio.
A volte, era meglio non sapere.
C’erano sere in cui però gli mancava, la lussuosa casa tradizionale di O’nee-San. A volte gli mancava qualcuno che gli tenesse compagnia senza essere...beh, Dazai.
La stessa persona che aveva “sbadatamente” dato fuoco al suo armadio, con una particolare attenzione ai cappelli d’importazione che collezionava. La stessa persona che gli hackerava la carta di credito ogni due giorni e che a volte camminava per casa nel cuore della notte, i piedi scalzi e l’espressione vuota, in preda ai fantasmi dell’inquietudine (Chuuya lo obbligava a sedersi sul divano e gli faceva compagnia, in silenzio, domandandosi cosa potesse fare per migliorare le cose). La stessa persona che, e questo meritava enfasi particolare, improvvisava match per Atsushi e Akutagawa nel loro salotto, spingendoli clamorosamente l’uno contro l’altro con promesse che non aveva alcuna intenzione di mantenere.
Era un lavoro a tempo pieno, convivere con quell’idiota, ed era vero che gli rendeva la vita un inferno.
Tuttavia, più spesso di quanto volesse ammettere, si era chiesto come avesse fatto a sopravvivere in quattro anni di separazione.

“Neh, Mr Mafia Boss? Mi stai ascoltando? Chibikko? Chuuihuahua? Hai sentito?”
Voltando il capo verso Dazai, Chuuya sbatté le palpebre.
Qualunque cosa avesse detto o stesse dicendo, gli era scivolata addosso senza lasciare alcuna traccia; si sentì in colpa, per un istante, abbastanza da ignorare anche l’orribile soprannome. Per una volta, non c’era malizia quando replicò:
“Neanche una parola. Ripeti.”
Dazai aggrottò la fronte.
“Da dove, esattamente?”
“Dall’inizio.”
“Certo che hai persino lo span di attenzione di una pianta, chibi, sei sfiancante,” sospirò, pizzicandosi il naso nel tentativo di pensare. “Dicevo, che forse è il caso che io torni a vivere con l’Agenzia. Non mi piace la frequenza con cui Mori-san si sta presentando casualmente nel tentativo di reclutarmi.”
L’idea che Dazai tornasse a vivere in qualsiasi altro buco fuori da casa sua avrebbe dovuto riempire Chuuya di gioia; per qualche motivo, gli strinse lo stomaco in una morsa.
“Eh? Da quanto ci stai pensando, kuso Dazai?”
“Un po’.”
Era un’ammissione che aveva strappato a Dazai qualche istante di riflessione, e si prese un momento per guardare Chuuya, studiarne la reazione negli occhi chiari. Fastidio; era tutto quello che l’executive si era concesso di esternare, con una bella spolverata di non-me-ne-frega-niente come vendetta personale.
“Hm. Fai come vuoi.”
“Mi spiacerebbe, sai. Dopotutto, avere chibikko che si occupa di me come una moglie è indubbiamente una comodità, ma prima o poi si arriverà a un conflitto. Cosa faremo, quando la tregua sarà finita?”
Aggrottando le sopracciglia, Chuuya sospirò.
“Dazai, idiota, la tregua è finita da un pezzo.”
“Ecco, appunto!”
Appunto, come se avesse avuto ragione.
“Forse, se parlassi con Kunikida seriamente a riguardo…”
“Boo, noioso! Assolutamente no, voglio morire ma non di noia, e non ucciso da Kunikida per aver vissuto con un executive della Port Mafia alle sue spalle!”
Per un momento, Chuuya lasciò che il pensiero lo avvolgesse, che cadesse nel silenzio come un ciottolo lanciato nell’acqua.
Kunikida Doppo, il partner di Dazai, non sapeva che vivevano insieme.
Kunikida, l’uomo più ridicolmente attaccato alle formalità tra i membri della Detective Agency, non sapeva nulla e quel cretino sperava di tenerglielo nascosto per sempre.
D’altra parte, prima di caricare un insulto, l’uomo considerò che l’ex partner aveva sempre un motivo; qualsiasi sua mossa era calcolata, solitamente per il meglio, quindi richiuse la bocca senza farne uscire alcun suono. A ben pensarci, forse anche tutta quella conversazione era pianificata in anticipo per estorcergli qualcosa che solo Dazai vedeva con chiarezza.
“Non che mi interessi quello che deciderai in futuro, sia chiaro, ma perchè hai deciso di vivere con me, stupido mackerel? Ce l’hai una casa.”
“Non è ovvio?”
Chuuya gli lanciò uno sguardo rabbioso.
“Se te lo chied—”
“Perchè sei un fastidio continuo, ma è innegabile che funzioniamo bene assieme,” rispose Dazai, prima che potesse finire; aveva un sorriso quieto, quell’espressione che lasciava trasparire quando non aveva nessuno intorno.
Chuuya l’aveva vista quando Dazai crollava addormentato, e finalmente il suo corpo si rilassava, e in poche occasioni durante le missioni. Solitamente, accadeva dopo che aveva liberato la forma corrotta del proprio potere, come se gli stesse regalando una parte nascosta di sè per premiarlo di essersi affidato a lui ancora una volta, senza remore, senza tentennamenti.
“Per quanto chibikko sia fastidioso, e io riconosco di essere una personalità a volte sin troppo vitale ed affascinante per un microbo noioso come te, viviamo bene. Ma c’è dell’altro, a dire la verità.”
“Hm?”
“Perchè semmai dovessi dire quelle parole di nuovo, voglio essere il più vicino possibile.”

 

Grantors of dark disgrace

 

Non ci sarebbe stato bisogno, giusto? Arahabaki dormiva e dormiva e non c’era alcun bisogno di disturbarlo.

 

Do not wake me again.

 

Chuuya sperava che Dazai sarebbe stato lí, a regalargli quel sorriso quieto, ringraziandolo per essersi fidato di lui ancora una volta.

 

- - -



Avevano deciso di vivere insieme per svariati motivi, uno fra i tanti l’amicizia — la rivalità — che li legava da anni, quella legge intangibile che decretava che tutto quello che facevano insieme sarebbe andato per il verso giusto, in un modo o nell’altro.
Questo, però, significava anche ubriacarsi, convivere, smascherare le proprie debolezze, e non c’era nessun altro con cui avrebbero potuto farlo senza sentirsi infinitamente goffi e vulnerabili, perchè Chuuya conosceva Dazai e Dazai conosceva Chuuya.
Il disastro era accaduto una sera in cui Dazai era incredibilmente tornato tardi dall’Agenzia: aveva sostenuto di aver lavorato, ma un veloce check con Atsushi aveva rassicurato l’executive che Dazai aveva semplicemente finito l’ennesimo libro sul suicidio e si era addormentato sui divani messi a disposizione per i clienti. Nell’inaspettata sera di libertà, senza un ammasso di bende a gironzolare per casa, Chuuya si era appropriato della terrazza, una bottiglia di vino semivuota e una t-shirt che gli sfiorava le ginocchia, nascondendo gli shorts.
Chuuya non avrebbe mai lasciato nessuno —nessuno— in vita dopo averlo anche solo intravisto con addosso vestiti del genere, perchè aveva una dignità e anche una O’nee-san piuttosto suscettibile riguardo lo stile, ma kuso Dazai non contava: era come vivere con un fastidioso pappagallo con un repertorio di insulti troppo ampio.
Tale pappagallo aveva appena avuto la decenza di calciare via le scarpe che già aveva attraversato il salotto per raggiungere la terrazza. Immediatamente, si era lasciato cadere sulla sedia accanto a Chuuya con un sospiro pesante.
“Sono stanco,” aveva dichiarato, poggiando il mento sul tavolino.
Stanco di fare un cazzo come al solito, era stato il commento mentale dell’executive, ma per qualche motivo le parole gli risultavano difficili. Forse era colpa della bottiglia semivuota, o dei due bicchieri che si era concesso lavorando.
Forse, a ripensarci, era la stanchezza delle missioni accumulate.
“Vai a dormire, idiota.”
“Non voglio,” si lamentò l’altro, agitando debolmente le braccia; Chuuya odiò la risata che gli salì lungo la gola, e la represse con tutte le proprie forze “Come faccio ad addormentarmi senza Chuuya?”
“Oi, mackerel, non dire certe cose—”
Dazai alzò lo sguardo su di lui, gli occhi resi lucidi dalla stanchezza e la brezza serale che gli scompigliava i capelli.
“Ma è vero.”
“Dormiamo in stanze separate, idiota, non andare in giro a dire cose che la gente potrebbe fraintendere.”
“Una volta dormivamo insieme tutto il tempo. Chibikko ha i piedi freddi ed è così basso da piantarmeli nella schiena, è fastidioso anche quando dorme.”
Nonostante il peso della giornata, e con grande sorpresa dell’altro, Dazai riuscì comunque a schivare il calice di plastica che Chuuya gli aveva lanciato.
Sperò fosse abbastanza per mascherare la pelle d’oca che gli era comparsa sulle braccia al ricordo — quelle notti in città straniere, con il vago eco delle sirene fuori dalla stanza e ventilatori che ronzavano vicino alla coppia di letti gemelli in cui, tuttavia, uno rimaneva sempre intoccato. A volte crollavano semplicemente sullo stesso posto dopo una rissa, altre parlavano.
Dazai blaterava di quanto fosse bravo Oda, intelligente Ango, buono Oda, noioso Ango, e Chuuya ascoltava. A volte era Chuuya a raccontargli di come aveva dovuto evadere l’ennesimo tentativo di essere appaiato da O’nee-san, dichiarando che prima o poi sarebbe finito in un matrimonio combinato, e si lamentava rumorosamente di come tutti lo definissero ‘carino’; Dazai fingeva di vomitare.
Si addormentavano uno con la mano dell’altro al collo, ed erano i migliori ricordi che Chuuya serbasse di quelle missioni.
“Neh, Chuuya. Perchè abbiamo smesso?”
“Perchè te ne sei andato, cretino.” sbottò, automaticamente.
Era una risposta per tutto, un jolly.
Il jolly di Dazai, che Chuuya gli concedeva di malumore, era fingere che quella singola azione non avesse ferito nessuno dei due.
“Chibikko è una lumaca lenta come al solito; intendo ora che viviamo nella stessa casa.”
“Perchè siamo adulti e perchè russi, Mr. detective,” replicò, passandosi stancamente una mano fra i capelli. Era estenuante avere a che fare con Dazai, con la sua intelligenza, la sua crudeltà e la sua fastidiosa attitudine ad avere sempre ragione.
Senza che se ne accorgesse, Dazai gli aveva allontanando la bottiglia, abbracciandola come se fosse un orsetto di peluche — o, nel caso di quell’idiota, probabilmente una pistola carica o un tostapane in una vasca piena d’acqua.
“Ah! Come al solito Chuuya è una persona cattiva —“
“Piantala, kuso Dazai.” gli abbaiò contro “giuro che non ne posso più. Se non la smetti di flirtare in modo così svergognato, prima o poi smetterò di andarci leggero con te.”
Chuuya giurava, giurava con tutto il cuore, che voleva essere una minaccia. Ovviamente, intendeva che l’avrebbe ammazzato, derubandolo della possibilità di uccidersi con la sua bella donna di turno.
Ovviamente, però, la formulazione aveva acceso una luce interessata negli occhi di Dazai.
“Oh?”
“Ah— io n— non ti fare strane idee, spreco di bende!”
“Se Chuuya vuole che gli faccia compagnia deve solo dirlo,” dichiarò l’altro, inclinando il capo di lato con un ampio sorriso.
“Nella tomba.”
“Mi spiace, Chibikko, ti ho detto che per quello sto cercando una bella donna. Ma posso dormire con te, nel frattempo, tutte le notti che vuoi.”
Per un istante Chuuya lo fissò, la fronte aggrottata e uno strano, inquietante senso di insicurezza a rimescolargli lo stomaco.
Se avesse colpito Dazai, avrebbe probabilmente anche rotto la bottiglia, e non aveva intenzione di compiere tale sacrificio.
“Ho detto di non dire cose disgust—”
“Seriamente, Chuuya. Una sera sola; per favore?”
Di fronte al repentino cambio di tono, da executive con una certa fama qual era e in memoria delle vecchie tradizioni, Chuuya aveva accettato solo a patto che Dazai lo battesse a Tekken: mezzo addormentato com’era non doveva essere difficile riuscire a rubargli una vittoria, considerò, per accaparrarsi il diritto di dormire nella quiete del proprio letto solitario senza dover ospitare quello spreco di bende rumoroso e appiccicoso.
La mattina successiva, Chuuya aveva deciso — dopo una lunga consultazione con il proprio ego — che doveva smetterla di sottovalutare l’abilità ai videogiochi dell’ex partner, e che rifare un letto invece di due era un discreto risparmio di tempo.
Doveva convincersi, o non avrebbe potuto convivere con l’idea di essere tornato a condividere un letto con quell’ammasso di bende.


Alla fine non era stata una sera sola, ed una sconfitta ai videogiochi aveva —ancora una volta — portato all’inevitabile tracollo nella quiete di Nakahara Chuuya,  troppo giovane per morire e troppo stanco per continuare a gestire quell’ammasso di disagio e sprezzo per lo spazio personale altrui con cui condivideva l’esistenza.




Note:

Lol è una stupidaggine di mini-long per la Dazai Happiness Week che mi è venuta in mente durante il concerto di Ed Sheeran, dato che in apertura Zara Larsson ha cantato Ruin my life, che è la cit all'inizio.
Non ci sarà una trama precisa, sono momenti random un po' slegati, da qui il format del "life and times," che è un po' come dire "non ho sbatti di fare una raccolta altrimenti diventa infinita" 🙊😂
Baci <3

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bungou Stray Dogs / Vai alla pagina dell'autore: Ellie_x3