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Autore: NPC_Stories    21/06/2019    4 recensioni
“Quanti drow riescono ad andare oltre la loro educazione? Spontaneamente, intendo.”
Daren ci pensò per un momento, rimandando alla mente le sue conoscenze all’interno del suo culto e le dicerie che aveva sentito all’infuori di esso. “Non lo so. Uno su… migliaia… forse.”
“E quindi hai la presunzione di essere proprio tu quell’uno su migliaia?”
[Non era amore ma almeno era Amyl]
.
Qualche mese prima degli eventi di "Non era amore ma almeno era Amyl", Johel e Daren stanno trasportando Jaylah nel lungo viaggio da Secomber alla Foresta di Mir. In una delle tappe, a Baldur's Gate, incontreranno un personaggio singolare che si sta facendo rapidamente una nomea, un drow che afferma di voler vivere in pace in Superficie.
Sarà vero? E soprattutto, saranno fatti loro?
Genere: Comico, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1361 DR - Niente in Comune


Solstizio d’estate, porto di Baldur’s Gate

“Non dovrei essere qui” sospirò Johel, per quella che doveva essere la dodicesima volta. “In questo momento, la mia gente sta... cosando la gloria del nostro dio. Oh, quanto vorrei essere a Sarenestar!”
“Quanto vorrei che tu smettessi di bere” gli fece eco il suo compagno di viaggio, in tono pragmatico. “Ti ubriachi per allontanare la tristezza e invece diventi ancora più malinconico.”
Johel sospirò ancora una volta e buttò giù un altro bicchierino di whisky. Era la sua prima esperienza con il whisky e Daren aveva già deciso che doveva essere anche l’ultima. L’amico elfo non aveva mai retto bene l’alcol, o comunque non bene quanto millantava.
“Su, lo sapevi che viaggiare con la bambina avrebbe rallentato il nostro cammino” lo rimbrottò. “Avremmo potuto prendere una nave se tu non fossi stato così ostinatamente contrario.”
Johel fece una smorfia mentre inghiottiva quel liquido che per lui bruciava come fuoco, poi per un attimo i suoi occhi fissarono il vuoto. Mantenne lo sguardo verso il basso, sul rollio ipnotico delle acque che in quell’ansa del fiume, così vicino al mare, creavano delle strane correnti.
“Niente navi” confermò, tirando fuori la voce quando ormai Daren lo dava per disperso. “Non mi piace se… viaggio su una cosa che… senza controllo. E se Jaylah cade di sotto? No, sul serio, se cade di sotto? Mi... spezzerà il cuore!” Affermò, e guardando oltre la sua ovvia sincerità alcolica Daren vide che stava per essere risucchiato nel gorgo della paranoia.
L’elfo scuro, che in quel momento era camuffato da mezzelfo, scompigliò con una mano i capelli della bimba seduta accanto a lui.
“Jaylah, a te piace il mare?” Le chiese, perché in quel momento poteva offrire una conversazione migliore di Johel.
“Ha un pofumo buffo” rispose la bambina, ridacchiando. Intanto stava giocando con una piccola nave di legno, tipico artigianato locale. “Guadda, guadda, zio, la mia bacca vola! Wooo! N’è meglio che le bacche volano, e no’ che vanno sul mare?”
“Molto meglio, se vuoi che a tuo padre venga un colpo al cuore” ridacchiò il guerriero, poi riempì di nuovo il cucchiaio di zuppa di pesce e cercò di imboccare la bambina.
Jaylah lo lasciò fare, perché sua madre le aveva tanto raccomandato di comportarsi bene. E poi quel cibo strano le piaceva. Johel non fece caso a loro, stava ancora fissando il fiume come se gli avesse fatto personalmente un torto.
“Dovrei essere già a casa” bofonchiò. “No in una stupida città di stupidi umani su uno stupido… come si chiama…”
“Portico sul fiume?”
“Quel cazzo che è” sbottò l’elfo biondo, ubriaco perso.
“Abbiamo trovato posto in una delle migliori locande in questa zona della città, ma forse tu preferivi portare una bambina di quattro anni in qualche covo di briganti e altra gentaglia, solo per stare lontano dal fiume.”
Johel non gli rispose, perché stava fissando un punto alle sue spalle. Notando il suo solito sguardo vuoto da eccesso di alcol, Daren pensò fra sé e sé che il suo amico non fosse più in grado di processare un pensiero coerente.
Dopo qualche secondo però cominciò a credere di aver giudicato male la situazione, perché tutti gli avventori stavano puntando lo sguardo nella stessa direzione. Alcuni sguardi rivelavano curiosità, altri paura o perfino sdegno, ma c’era anche qualche umano - soprattutto le cameriere - che tradiva un senso di emozione e aspettativa.
L’unica persona beatamente ignara era Jaylah, che ora stava facendo navigare la sua barca di legno nel piatto della zuppa. Daren per un momento considerò l’opzione di non voltarsi a guardare - dalle reazioni della gente non sembrava che ci fosse un pericolo imminente - ma alla fine non fu necessario. Chiunque fosse il focus di tanta attenzione si stava muovendo verso di loro.
C’era un tavolo libero alle spalle di Johel, non attaccato al loro tavolo, ce n’era un altro di mezzo; ad ogni modo quello spazio venne reclamato dai nuovi arrivati, che fecero nascere un mormorio generale. Daren capì all’istante quale fosse il problema: non era il marinaio dall’aria distinta, non era la graziosa donna umana, molto probabilmente era il drow.
Johel girò la testa per seguire i movimenti dei tre avventori, ma il suo amico gli allungò un calcio sotto il tavolo, richiamando la sua attenzione.
“Pensi che sia quello là?” Domandò l’elfo, a mezza voce. “Quello che dicono a Waterderp?”
Nella sua mente, Daren tradusse automaticamente i vaneggiamenti farfugliati di Johel in un discorso di senso compiuto; erano passati per Waterdeep alcune settimane prima, e lì avevano sentito parlare di un drow di fama crescente, che giurava di essere mosso da buone intenzioni e che si era unito a una famosa ciurma di cacciatori di pirati. Naturalmente c’era anche chi non ci credeva, chi sospettava che fosse tutto un inganno, chi suggeriva perfino che fosse una trovata pubblicitaria del capitano del Folletto del Mare per far parlare della sua nave. Non avendo altro che informazioni di seconda mano, i due viaggiatori avevano rimandato ogni giudizio.
“Mi sembra plausibile.” L’elfo scuro non si scucì. “Non lo abbiamo mai visto, ma quanti drow si mostrerebbero a Baldur’s Gate alla luce del sole?”
“La mia bacca vola acche sul sole” intervenne Jaylah, cogliendo qualche stralcio di quel discorso. Il suo linguaggio era ancora un inconscio misto di elfico e dialetto chondathan. Daren le mise in mano un pezzo di pane imburrato, per tenerla buona per qualche minuto.
Intanto il ranger si era nuovamente girato a guardare i tre nuovi arrivati, ma in fin dei conti lo stavano facendo tutti. Daren gli rifilò comunque un altro calcio.
“Johel, smettila di sbirciare il loro tavolo. Non è educato fissare la gente” gli sussurrò in tono di rimprovero.
L’elfo distolse a fatica gli occhi da quello strano gruppo e si concentrò sul suo amico. “Edu… cato?” La sua mente era offuscata dai fumi dell’alcol ma riuscì a far emergere i suoi dubbi. “Ehi… qualcosa non… tu non sei mai educato!”
“Esatto, e continuerò a prenderti a calci se non ti comporti come si deve. Questo è un giorno sacro per voi elfi, è già abbastanza brutto che tu ti sia ubriacato.”
“Sono triste perché sono… in mezzo a tutti ‘sti umani” borbottò l’elfo dei boschi, cercando di focalizzarsi sulla conversazione.
“E stai rappresentando molto male la tua razza davanti a tutti ‘sti umani.” Insistette Daren.
Johel aggrottò la fronte e poggiò un gomito sul tavolo.
“Sì…” prese in mano il cucchiaio e per qualche momento giocherellò con la zuppa di pesce. Il guerriero approfittò di quel momento di silenzio per imboccare Jaylah un altro po’. “Però tu… neanche tu rapprese… ti… bene…”
“E grazie al cielo?” Gli suggerì Daren.
“No no, non dico che… tu… devi ammazzare tutti, anche se sono umani” specificò Johel.
“Per le basette di Tyr, meno male che stai parlando in elfico. Spero che nessuno dei presenti ti capisca!” Sibilò il drow mascherato da mezzelfo. “Anche se sono umani?, quando sei ubriaco mi fai paura.”
“Voglio dire solo!” sbottò Johel, e Daren gli fece subito cenno di abbassare la voce. “Voglio dire… solo… non pensi che devi parlarci?”
“Con gli umani?” Daren finse di non capire.
“No, dai. Con quello!” Mormorò il biondo, indicando il tavolo dietro di lui con un piccolo cenno della testa.
“Ah, certo. Naturalmente dovevi andare a parare lì.” Commentò il guerriero, in tono rigido. “Stammi a sentire, io non devo fare un bel niente. Non ho alcun obbligo sociale verso gli estranei.”
“Ma dai… da dov’è... com’è arrivato qui? Non ti fa interesse?” Pressò, rivelando che lui invece era curioso. “Ghiande, adesso voglio un altro di… quei....” si guardò intorno, tastando il tavolo.
“Niente più alcol per te” lo fermò Daren, agitando un dito ammonitore. “E no, non mi interessa niente di lui, ognuno ha la sua vita.”
Johel appoggiò il mento a entrambe le mani e guardò il suo amico come se stesse cercando di vedergli attraverso.
“Io… ubriaco” mormorò. “Ma tu… non stai dicente tutto.”
Ma come diavolo fai? Pensò il drow, estremamente irritato. Neanche ti ricordi il tuo nome, a momenti, eppure riesci a capire che nascondo qualcosa? Che cosa sei, un veggente come tua madre?
Prese un bel respiro per calmarsi, poi ammise una mezza verità.
“Va bene. Non è che non mi interessi. Diciamo che non voglio saperlo. Ti va bene così?”
“Ma… perché? Avete un... di sicuro un sacco… cose che… comunano.”
“Non abbiamo niente in comune!” Sussurrò il guerriero.
A Johel sembrava che il suo amico fosse arrabbiato, ma non lo sfiorò nemmeno il pensiero che potesse essere arrabbiato con lui.
“Oh. Oooooh. Capisco. Dici che sono bugie? In realtà è nemico?” Cercò di gettare un’occhiataccia alle sue spalle ma riuscì solo a incrociare lo sguardo di un mercante umano, che ricambiò la smorfia. Daren lo ricompensò con un terzo calcio negli stinchi, questa volta un po’ più forte.
“No! Non penso questo, non vedo malvagità nel suo animo” mormorò, cercando di non farsi sentire dal fine udito del suo simile. Stavano sempre parlando in elfico, ma non si sa mai. “E non penso che sia protetto contro le divinazioni, perché guarda” mise mano all’impugnatura della sua spada bastarda, che aveva appoggiato contro il muro, e cercò di sguainarla. La lama di rifiutò di uscire, anche se il drow diede uno strattone sufficiente a far tintinnare i rinforzi di metallo del fodero. “Gonorrea ha una sua capacità di giudizio, non si lascia sguainare per qualcuno che non è un nemico.”
Jaylah si accorse che suo zio stava combinando qualcosa con la spada e si alzò in piedi sulla panca, afferrando anche lei l’impugnatura. “Zio, se la tiro fuori poi divento la regina delle fate” annunciò, tutta concentrata. “Era in una fiaba!”
“Non puoi tirarla fuori, pesa troppo per te, prima devi mangiare e diventare grande” Daren riappoggiò la spada lì dov’era con grande delusione della nipotina.
“Jaya non spiedare sulla panca” bofonchiò Johel.
“Non stare in piedi sulla panca” tradusse Daren con solerzia, aiutando la bambina a risedersi composta.
“Be’ ma qual è il problema?” Il ranger tornò alla carica. “Se non è che mente, qual è…”
“Non abbiamo niente in comune” ripetè Daren “perché lui è troppo giovane.”
Johel lasciò sedimentare l’affermazione per qualche secondo.
“Tu non stai bene” decise alla fine. “E poi non può essere che è giovane, è famoso.”
“Che ragionamento è? Dai, guardalo in faccia, si vede che è giovane! Inoltre, ribadisco, credo molto nel non approcciare la gente a caso mentre si fa i fatti suoi in taverna” concluse, in tono definitivo.
“Oh, fanfaluche!” Johel battè le mani sul tavolo e si alzò.
“Che diavolo fai?” Domandò il falso mezzelfo, sentendo il sangue che defluiva verso i piedi.
Johel si girò, attese un momento per far passare un capogiro, poi si mise risolutamente in marcia.
“Non ti azzardare...” lo ammonì Daren, non a voce alta ma abbastanza perché l’elfo sentisse.
Il ranger aveva sentito, ma non se ne stava curando. Arrivò fino al tavolo dei tre avventori così chiacchierati e lì si fermò.
Naturalmente tutti e tre entrarono in tensione, e fra la gente calò un silenzio di aspettativa. Un elfo si era appena avvicinato a un drow, sicuramente tutti si aspettavano che succedesse qualcosa.
Johel si schiarì la voce.
“Perdonate il disturbo” cominciò rivolgendosi direttamente al drow, in una lingua comune fortemente accentata. “Voi siete il tipo che parlano nel porto di Waterdisp?”

La domanda fu accolta da un silenzio imbarazzato.
“Sì, scusate. Sono ubriaco.” Ammise l’elfo biondo. “Voglio dire, siete Tiz… Diz… quello?”
“Il mio nome è Drizzt Do’Urden” rispose il drow, finalmente. “Sarei più a mio agio se mi diceste cosa posso fare per voi.”
Il suo linguaggio del corpo indicava chiaramente che il giovane drow era in tensione. Forse non si sentiva in pericolo, perché quell’elfo non aveva portato con sé le sue armi, ma era abituato alle occhiate e ai sussurri alle sue spalle, e ogni tanto capitava anche qualcuno che gli facesse domande dirette, o accuse ignobili davanti a tutti. Forse stava per accadere di nuovo… in una città dove aveva già una certa fama, e in cui sperava che non gli sarebbe più successo.
Era anche un po’ sorpreso di vedere un elfo ubriaco, non aveva idea che potessero restare vittime dell’alcol.
In quel momento si avvicinò un altro avventore, un mezzelfo con una bambina elfa in braccio. Doveva essere un amico del primo tizio, perché lo afferrò discretamente per una manica.
“Johel, lascia in pace queste persone, sei inopportuno.”
“Ma non voglio fare niente di male!” l’elfo si divincolò cocciutamente, poi tornò a guardare Drizzt. Per un momento, ma solo per un momento, i suoi occhi scivolarono sulla sua compagna umana dai capelli rossi, ma poi tornò a concentrarsi sulla sua missione principale.
“Ho una sola domanda, messer Dizz. Quanti anni avete?”
Il drow rimase per un attimo senza parole. Onestamente, si era aspettato un altro genere di domanda. Siete davvero un drow?, o Come osate camminare sotto il sole? erano le più gettonate fino a quel momento. Rimase così spiazzato che rispose sul serio.
“Sessantaquattro, più o meno.”
Questa volta fu il turno dell’elfo, restare in silenzio attonito.
“Sessantacosa?” Ripetè. “Ma siete un sum!” Mormorò, sconvolto, usando la parola elfica per bambino.
“Bene, ora hai la tua risposta” intervenne il suo amico, molto seccato. “Scusati per la tua maleducazione e andiamo via.”
“Non maleducato, io” si difese l’elfo, mettendosi una mano sul cuore. “Ma sono sconvolto!”
“Non sono mai stati affari tuoi, e adesso ti stai rendendo ridicolo” sibilò l’altro, cercando di trascinarlo via. Poi si rivolse direttamente ai due umani e al drow. “Vi prego di perdonare il mio amico, non è in sé.”

Riuscì a trascinarlo via, ma per un po’ rimasero ancora a portata d’udito. Sfortunatamente per i curiosi, ma fortunatamente per loro due, Johel tornò a parlare in elfico.
“Ecco, lui è educato, gentile” bofonchiò. “Perché tu non puoi... essere... un po’ più?”
“Lo dici in tono molto sorpreso” gli fece notare Daren, seccato. “Questo suona un po’ razzista.”
“Non sono razzista!” Protestò Johel a gran voce, e il suo compagno ringraziò gli dèi che non stesse più dicendo niente in Comune. “Mi sono fatto tua sorella.”

E dopo questa argomentazione perfettamente logica, un elfo ranger molto sorpreso si accorse che il mondo aveva iniziato a girare vorticosamente e che la superficie scura del fiume gli stava correndo incontro.
Affondò con un sonoro spruzzo, suscitando qualche risata fra gli umani alla locanda.
“Papà!” Gridò Jaylah, divincolandosi dalla stretta di suo zio. Si fermò sul molo, guardando l’acqua con grande affanno.
Dopo un paio di secondi Johel riemerse, sbracciandosi per restare a galla.
“Papà, prendi la mia bacca!” Gridò, e tirò in acqua la piccola nave di legno nel tentativo di rendersi utile. Daren invece recuperò il suo bastone da dietro la schiena e lo sporse oltre il bordo del molo, per permettere all’amico di aggrapparsi.
“Mi hai spinto?!” Lo accusò l’elfo dei boschi, tossendo acqua salmastra.
“Sei caduto perché sei ubriaco” lo corresse Daren, senza alcuna particolare inflessione. Tuttavia, non lo negò.

Il giorno dopo Johel, mortificato, fece recapitare un biglietto di scuse alla Folletto del Mare; non appena fu nuovamente in grado di viaggiare, i due elfi e la bambina si misero in marcia verso sud. Ogni tanto, nei giorni seguenti, a Daren sembrò di sentirlo mormorare “sessantaquattro!” in tono incredulo, quando pensava di non essere a portata d’orecchio.
   
 
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