Serie TV > Chicago P.D.
Ricorda la storia  |       
Autore: lisi_beth99    22/06/2019    0 recensioni
Ragazze di diverse nazionalità vengono trovate drogate fuori dal night club più famoso di Chicago, tutte vittime di violenza sessuale. La squadra dell'Intelligence dovrà capire chi è il responsabile. Per farlo potrebbero aver bisogno di Alex.
AVVERTIMENTO! Questa storia è il continuo di "Nothing will drag you down - Una ragazza complicata".
Buona lettura
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jay Halstead, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 1

 


-Oddio! – stava ridendo Alex davanti ad un bicchiere di prosecco – E così ti sei lanciato in una piscina per arrestare un sospettato?! – si coprì la bocca mentre continuava a ridere. Jay annuiva con un sorrisetto sulle labbra – Era l’unica cosa che mi fosse venuta in mente di fare… - provò a giustificarsi iniziando a ridere a sua volta. – Chi è il pazzo che mette una piscina in un night club? – domandò lei cercando di ritrovare la calma. Il detective la guardò leggermente stranito, ma sempre col suo sorriso affascinante – Non frequenti molto i night vero? -. Sulle guance di Alex si fece vedere un velo di rossore – Non li amo molto… preferisco i posti più tranquilli, tipo questo. – rispose indicando l’ambiente in cui si trovavano.

Da alcune settimane Alex e Jay avevano preso ad uscire. Spesso si vedevano per bere qualcosa al Molly’s, dove ormai anche la giovane era diventata di casa. Qualche sera prima aveva avuto l’occasione di ringraziare i vigili del fuoco della caserma 51, coloro che avevano provato a salvare Monique durante l’incendio nel loro appartamento. Aveva anche avuto modo di fare due chiacchere con Sylvie Brett, il paramedico che aveva portato lei e Max al pronto soccorso.

Non c’era stato nulla fra lei ed il detective, anche se non poteva negare che ci fosse attrazione fra di loro. Jay ci andava molto cauto, temeva che potesse essere ancora troppo presto per Alex; per questo aveva deciso di invitarla sempre e solo per un drink.

-Sarà meglio che vada. – disse ad un tratto Alex, guardando l’orologio al polso – Domani devo lavorare. – spiegò mentre scendeva dallo sgabello e faceva un cenno ad Otis per pagare. – Lascia, faccio io! – la fermò Halstead ma lei gli bloccò la mano prima che estraesse il portafoglio – Hai già pagato tu le ultime volte. Questo giro pago io. – disse perentoria.

Uscirono dal Molly’s dopo aver salutato una sfilza di persone che orami la conoscevano come fosse parte della grande famiglia di Chicago. La cosa la faceva sentire strana: da una parte si sentiva protetta, come se ci fosse una nuova famiglia dalla sua parte; dall’altra non riusciva a capire se quella sensazione le piacesse. Ormai si era abituata a contare solo su se stessa.

-*-

Jay spese il motore sotto casa di Alex. Si soffermò sui suoi occhi che, nonostante la penombra dell’auto, rispendevano di luce propria. Dopo gli avvenimenti con Danny, le ci erano voluti più di dieci giorni per superare lo shock del rapimento. In quell’istante però sembrava che si fosse lasciata tutto alle spalle, che ogni suo pensiero si fosse eclissato per lasciarle godere di quella serata.

Lei si slacciò la cintura di sicurezza e mise una mano sulla maniglia della portiera ma nessuna delle sue terminazioni nervose sembrava intenzionata ad aprirla.

Poi Jay fece un movimento quasi impercettibile verso di lei e così fece lei. Si avvicinarono sempre maggiormente l’uno all’altra fino a quando le loro labbra si incontrarono. Fu un bacio che li trasportò su un pianeta lontano migliaia di anni luce dalla terra. La mano del detective prese ad accarezzare la guancia della ragazza che si fece ancora più vicina. Con il gomitò andò a premere sul clacson facendo sobbalzare entrambi. Come un fulmine Alex tornò sul suo sedile, si passò una mano sulla faccia incredula. Non aveva il coraggio di guardare nuovamente Jay. – Buonanotte. – disse frettolosamente mentre apriva la portiera e schizzava fuori dal SUV.

Halstead rimase imbambolato a fissare la giovane quasi correre per raggiungere il portone del condominio. Espirò rumorosamente, percepiva ancora il sapore di Alex sulle sue labbra. Rimise in moto la vettura e si diresse verso casa sua.

-*-

Faceva ticchettare le unghie sul bracciolo di legno della sedia nello studio del dottor Charles. – Come mai sei così agitata oggi Alex? – domandò lo psichiatra. Lei smise di muovere convulsamente le dita, come una bambina colta con le mani nel vaso di marmellata– Nulla! – si affrettò a dire – Non c’è nulla! – l’uomo si spostò gli occhiali sul naso – Ma non è ciò che ti ho chiesto… - un sorrisetto imbarazzato comparve sul viso di lei – Scusi… -

Daniel le lanciò uno sguardo quasi di tenerezza – Come stai? Sono passate sei settimane da quel fatto, hai ancora gli incubi? -. Alex si mosse nervosamente sulla sedia. Da quando era tornata a casa dopo essere quasi morta faceva una grande fatica a dormire: incubi e ricordi si susseguivano e si sovrapponevano quasi ogni notte. – Questa notte è andata meglio. – cominciò con un respiro profondo – Stranamente non ho visto mio padre, né Doherty… e tantomeno Colin. Però sentivo lo sparo ripetersi all’infinito. Ogni volta credevo di morire, poi riaprivo gli occhi e vedevo… - ma si bloccò. Lo psichiatra la incitò a continuare – Cosa? Cosa vedevi, o chi? –

Passarono alcuni istanti di silenzio – Vedevo il detective Halstead. Lo vedevo disteso a terra davanti a me. Morto. – si rendeva conto che fosse una cosa alquanto strana. Solitamente, se vedeva qualcuno ucciso, era sua madre o suo fratello, raramente suo padre. Ma mai, mai Jay. Daniel rimase leggermente sorpreso da quel dettaglio – Vi siete avvicinati in questi ultimi tempi tu e Jay, non è così? – lei rispose col capo – Perché credi che il tuo inconscio ti abbia fatto vedere proprio lui? – continuò il dottore nel tentativo di farla scavare più a fondo nel suo subconscio.
Alex rimase muta. Avrebbe dovuto dirgli del bacio? Era una cosa che avrebbe potuto aiutare? Forse era meglio tenerselo per sé, d’altronde anche il dottor Charles conosceva Halstead…

-Non devi dirmelo. L’importante è che tu ti renda conto del perché. – Aveva capito che fra i due era successo qualcosa di particolare, qualcosa che Alex non era pronta ad esprimere a parole. La cosa andava più che bene, Jay poteva aiutarla ad uscire da quel periodo difficile.

-*-

-Gisèle! – una ragazza dai capelli corti e neri scuoteva l’amica per le spalle – Gisèle! – riprovò. L’altra giovane, capelli lunghi e biondi, sembrava completamente assente. Alla terza volta che sentiva il suo nome pronunciato con accento francese, alzò lo sguardo sull’amica – Qu’est-ce que s’est passé?1 – domandò cercando di riorganizzare le poche immagini frammentate della serata passata in un night club di Chicago.

Un passante capì che qualcosa non andava, così chiamò un’ambulanza e provò a capire dalle due turiste cosa fosse successo. Quella seduta sull’asfalto non smetteva di fissare un punto senza proferire parola, l’altra non capiva la lingua e continuava a ripetere parole che per l’uomo non volevano dire nulla.

I paramedici visitarono la giovane, capendo che si trattava molto probabilmente di violenza sessuale. Diedero l’informazione alla centrale che avvisò la squadra dell’Intelligence.

-*-

Il mattino seguente, Voight mandò Hailey e Jay in ospedale per provare a capire dall’amica cosa fosse successo. Quando arrivarono in pronto soccorso incrociarono Natalie – Ciao ragazzi! – li salutò prendendo una cartellina in mano – Immagino siate qui per la mia paziente: la turista francese vittima di stupro. – Upton annuì col capo – Ci puoi dire qualcosa? – la dottoressa gli fece cenno di seguirla – Abbiamo fatto il kit stupro e l’abbiamo già mandato in laboratorio per analizzarlo. Dalle ragazze non abbiamo ancora saputo nulla, stiamo attendendo l’arrivo di un traduttore. Ma sembrerebbe che non ci sia nessuno disponibile in questo momento… - sbuffò frustrata.

Entrarono nella stanza dove la vittima sembrava dormire. L’amica vegliava su di lei con le lacrime agli occhi. – Fleur Dubois? – chiese Upton a bassa voce. La giovane si voltò riconoscendo il suo nome. Guardò i due con gli occhi rossi – C’est toute ma faute!2 – disse in francese, scoppiando a piangere. Hailey, nonostante non avesse capito le sue parole, si avvicinò per consolarla.

-Dovrebbe venire con noi. Abbiamo delle domande. – provò Jay. Qualcosa doveva aver capitò perché prese la borsetta e il giubbino in pelle e seguì i due detective fuori dalla stanza.

-*-

Antonio stava appendendo la foto di Gisèle Leroux, la vittima di quella notte, sulla lavagna bianca – E con questa siamo a quattro ragazze stuprate in meno di due settimane. Tutte turiste, tutte drogate con la scopolamina. Aspettiamo il tossicologico dell’ultima vittima per conferma, ma penso che sia la stessa anche questa volta. – il resto della squadra stava dando un’occhiata ai fascicoli delle altre vittime: una ucraina, una spagnola, la terza italiana e l’ultima scandinava. Tutte erano in vacanza a Chicago con un’amica. Sembrava impossibile non notare uno schema. Ancora non avevano chiara la dinamica, però era certo che la droga venisse somministrata nel drink delle giovani. Tutte erano state al Vertigo: un night club conosciuto in tutta la città come il posto migliore per divertirsi e sballarsi.

Voight sbatté la cornetta con fare arrabbiato, tutti i presenti si girarono verso il suo ufficio ed attesero che uscisse per capire cosa fosse successo. – A quanto pare, Chicago non dispone di traduttori francesi! Quei pochi che ci sono, sono impegnati in un qualche convegno delle Nazioni Unite… - alzò le mani in segno di rassegnazione – Come facciamo con quella ragazza? – chiese Atwater indicando la sala interrogatori in cui era stata portata Fleur Dubois.

Il sergente fissò le foto delle vittime sulla lavagna mentre il suo cervello stava già ragionando per trovare un piano alternativo. Poi schioccò le dita e si voltò per tornare nel suo ufficio. – Capo? – provò a domandare Dawson seguendolo e chiudendosi la porta alle spalle – Hai un’idea? -. L’altro digitò qualcosa sulla tastiera, lesse sul monitor l’informazione che cercava ed alzò la cornetta componendo un numero.

Dall’altro capo rispose una voce femminile – Alex? Sono il sergente Voight. Conosci il francese? – domandò guardando Antonio che iniziava a capire. – Ottimo! Passa in centrale appena puoi. – ordinò prima di riattaccare senza attendere una risposta.

Il suo collaboratore lo fissava con sguardo misto tra il divertito ed il perplesso – E così chiediamo aiuto ad una civile? – Hank alzò nuovamente la cornetta, non degnando Antonio di una risposta – Sì Trudy, sono Hank. Quando arriva Alexandra Morel, falla passare. –

L’uomo mise una mano sulla spalla del suo detective – Ascolta Antonio. Abbiamo quattro vittime di stupro, le uniche persone che potrebbero essere testimoni erano troppo ubriache per capire cosa stesse succedendo attorno a loro. La ragazza che sta nella stanza accanto potrebbe essere la svolta che stavamo aspettando. E poi la Morel si è rivelata una tipa sveglia. E conosce il francese. – detto ciò, riaprì la porta e tornò dal resto della squadra.

-*-

Ricevere una chiamata dal sergente Voight non poteva essere una grande cosa. Nonostante avesse avuto l’occasione di vederlo fuori dal suo regno, le era sembrato sempre minaccioso e imponente. Quell’uomo le faceva una strana sensazione.

Per quale assurdo motivol’avesse cercata per chiederle se sapesse il francese restava un mistero; almeno fino a quando sarebbe arrivata al distretto e avrebbe potuto parlargli a quattr’occhi.

Camminò rapidamente per le vie di Chicago fino ad arrivare alla sua meta. Ancora quel marciapiede, nonostante fossero passati due mesi, le faceva lo stesso effetto del giorno dopo la morte di suo fratello. Si bloccò per un secondo a fissare il punto in cui Max era stato colpito e le aveva detto quelle parole che ancora le risuonavano nella mente: “Ti saluto la mamma…”.

Si riscosse da quel pensiero e salì i pochi scalini per entrare nell’edificio. Come sempre, c’era il sergente Platt al bancone dell’entrata. Si avvicinò e la salutò cordialmente – Alexandra! Hank ti sta aspettando. – la donna le fece cenno di salire all’ufficio dell’Intelligence ma poi si ricordò di una cosa e la richiamò – Il dipartimento attende una tua risposta in merito alla targa commemorativa per tuo fratello Max. so che è una questione delicata ma le famiglie delle altre vittime sono d’accordo, manca solo il tuo consenso. –

Alex posò una mano sulla superficie liscia del bancone – L’ho già detto: non voglio nulla del genere per Max. La famiglia Morel ha una concezione diversa della morte. E poi non credo che abbia senso una targa commemorativa se non c’è nessuno che lo commemori. – si allontanò senza aspettare una replica ed attese che il sergente Platt premesse il pulsante per aprirle il cancello che portava all’ufficio dell’Intelligence.

 
1 Cos’è successo?
2 è tutta colpa mia!
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Chicago P.D. / Vai alla pagina dell'autore: lisi_beth99