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Autore: Alley    24/06/2019    3 recensioni
[a Maria, per il suo compleanno]
“Lunga vita e prosperità, quindi.” Jim si sforza di tenere assieme le dita in modo da tracciare una V tra medio e anulare; la facilità con cui Spock ci riesce lo fa sembrare un gioco da ragazzi, mentre lui deve impiegare tutta la concentrazione di cui è capace. “Ce ne sono altri?”
“I Vulcaniani si affidano molto alla mimica: i gesti compongono il nostro linguaggio tanto quanto le parole.”
“Insegnamene qualcuno.”

Cinque volte in cui Jim e Spock si sono toccati le mani senza che avesse una valenza sentimentale e una in cui l'ha avuta.
[universo reboot]
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James T. Kirk, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«We'll always be friends forever, won't we?»
«Yeah, forever.»





 


























#1

Quando Jim apre gli occhi, la prima cosa che vede è la mano di Spock adagiata sulla sua.

Non c’è una lastra di vetro a fare da barriera, questa volta: il contatto è pelle contro pelle, è la pressione leggera che le dita di Spock esercitano, residuo di quella che dev’esser stata una stretta prima che subentrasse il sonno.

Spock è accasciato scompostamente sul bordo del materasso su cui Jim giace, incastrato in una piccola sedia di plastica; per un momento, l’immagine si sovrappone a quella più familiare in cui è erto in postazione sulla plancia di comando e la differenza stona come il rumore di unghie che grattano contro il vetro.

Una cosa, però, resta invariata: Spock è al suo fianco, seppur addormentato e non vigile e pronto all’azione come durante i loro viaggi nello spazio profondo. È confortante, un punto fermo che riesce a far sentire bene Jim perfino mentre è bloccato su un letto di ospedale con la testa pesante come un blocco di cemento e ogni parte del corpo indolenzita.

Spock ha la schiena curva e i tratti del viso distesi dal torpore. Jim penserebbe che è la prima volta che appare così totalmente umano, se il ricordo della voce di Spock che trema come cristallo pronto a spaccarsi non si stagliasse nitido nella sua mente.

"Ho paura, Spock. Aiutami a non averne. Come fai a scegliere di non provare nulla?"
"Non lo so. In questo momento non ci sto riuscendo."


Le immagini riemergono dal fondo della sua coscienza, accompagnate dall’eco della paura che ha sentito esplodere dentro di sé mentre la vita lo abbandonava e Spock stava lì a guardarla scivolare via, tutto proteso verso di lui, in viso una maschera scomposta di dolore in cui Jim ha faticato a riconoscere la sua faccia.

Jim sente un milione di parole affastellarglisi dentro la gola, condensandosi in un grumo difficile da sciogliere: nessuna, però, sembra essere adatta a esprimere il sentimento che gli ribolle dentro.

Nessuna pare essere abbastanza.

Così, le ingoia tutte e si limita a rinnovare la stretta.

#2

Non sempre succede.

A volte i rimorsi svaniscono tra il tintinnare dei bicchieri e in mezzo ai sorrisi che riscaldano il brindisi di auguri, altre invece resistono, inossidabili, macchie di sporco che Jim non ha nemmeno voglia di provare a mandar via.

Questa è una di quelle volte: una di quelle in cui festeggiare pare uno sfregio sulla lapide di suo padre e chiamare sua madre uno stupido rituale senza significato, una farsa portata avanti per dirsi che almeno lei c’è ancora quando in realtà non c’è mai stata davvero; una di quelle in cui nemmeno l’alcol basterebbe ad annegare i pensieri.

Quelli nuotano bene come piranha, Jim.

È la voce di Bones che mormora il monito nella sua testa; quella che gli arriva alle orecchie, invece, proviene dall’esterno e non appartiene a lui.

“Capitano.” Spock resta in attesa di un cenno che gli dia il diritto di entrare. Jim si è premurato di sbrigare tutte le faccende in agenda prima di chiudersi nel suo isolamento volontario, ma la presenza che staziona sulla soglia indica che è subentrato altro di cui occuparsi.

“Prego, Mr Spock.”

Quello che Spock ha da dire, però, non ha a che vedere con doveri a cui adempiere: “Gli altri sostengono che stare da soli non sia un modo consono di trascorrere una ricorrenza come quella odierna.”

Jim sbatte le palpebre, sorpreso, poi riacquista il controllo. “Be’, non sono più solo” osserva, cercando di imprimere al proprio tono una leggerezza che non possiede davvero.

“Non credo che questo influisca sul loro---”

“Lo so, Spock.” Il silenzio scende tra di loro come un manto calato dall’alto. L’espressione di Spock è impassibile, un blocco di marmo privo di scanalature. “E tu? Cosa ne pensi?”

Spock soppesa la domanda, la studia come se ponesse un problema che richiede analisi e calcoli per venir risolto e non una semplice opinione.

“La logica vorrebbe che abbiano ragione: quello in cui si compie gli anni è un giorno in cui si può godere delle attenzioni altrui; avanzare qualsivoglia richiesta con la consapevolezza che verrà esaudita; circondarsi dell’affetto dei propri cari. Partendo da questo presupposto, è ragionevole ritenerlo uno spreco. Ma, personalmente, non penso che lei debba fingere di sentirsi in un modo diverso da come in realtà si sente.”

È una risposta totalmente inaspettata, ma ciò che succede a quel punto lo è ancora di più: Spock gli prende la mano.

Il gesto coglie Jim totalmente alla sprovvista, e lo trasforma in una statua di sale. Non è la sorpresa a immobilizzarlo, però: se si presta alla stretta anziché sottrarvisi è perché lo vuole; perché gli sembra semplicemente giusto che Spock sia la persona che gli sta vicino nel momento in cui ha bisogno di qualcuno.

Ma non è così: Spock è il suo Primo Ufficiale, il suo migliore amico, ma non quello che Jim vorrebbe così disperatamente che fosse; quanto più a lungo si concederà di coltivare quell’illusione tanto più difficile sarà lasciarla andare quando si accorgerà di non potersi più cullare al suo interno.

Jim non ha il tempo di indugiare oltre su quei pensieri: la sua attenzione viene dirottata verso una nuova sensazione che gli sboccia nel petto come un germoglio nutrito dall’aria di Primavera.

Jim la sente spandersi dentro di sé, eppure, sente anche che non è da lì che proviene.

Impiega un attimo a identificarne la fonte: è il contatto tra la sua mano e quella di Spock. Spock lo sta utilizzando come trasmettitore, esattamente come fatto dalla sua versione più anziana su Delta Vega.

Questa volta il sentimento condiviso non è la paura, ma una serenità che Jim descriverebbe come una piatta superficie d’acqua brillante: passa dalle dita di Spock al suo spirito come se si trattasse di calore che si propaga da un corpo all’altro, di linfa immessa direttamente nel suo organismo.

Quando Spock scioglie la presa, Jim deve reprimere la tentazione di trattenerlo. In un primo momento interrompere la connessione è come perdere la terra sotto i piedi, ma, dopo un attimo di assestamento, Jim si scopre capace di tenersi in piedi anche da solo.

Spock si alza, gli occhi di Jim rigorosamente puntati addosso. “Dirò agli altri che non c’è nulla di cui preoccuparsi.”

Jim insegue la sua figura fino a quando non la vede scomparire oltre il portellone metallico, gli effetti benefici del legame ancora radicati dentro la sua mente.

Per la prima volta da quando ha aperto gli occhi, la giornata cessa di essere un macigno addossato sulle sue spalle.

#3

Il fitto confabulare di Uhura e del delegato venuto ad accoglierli giunge al termine, lasciando il posto a un silenzio gravido di aspettativa e di interrogativi.

La durata della negoziazione non lascia presagire nulla di buono; quando Uhura si rivolge ai membri dell’equipaggio presenti per annunciarne l’esito, Jim è ufficialmente pronto al peggio.

“Dobbiamo…” Al peggio, forse, ma non a quello. “…tenerci per mano.”

“Tenerci per mano?”

“Be’, non è la cosa peggiore che ci sia stata chiesta. Ricordate quando abbiamo dovuto salire le scale del palazzo di Gravitol stando sulle ginocchia?”

Jim non potrebbe dimenticarlo nemmeno volendo: Bones lo ha maledetto per un mese per via dei dolori e dell’infermeria strapiena.

Uhura ha ragione: non è la cosa peggiore che abbiano dovuto fare. “Digli che va bene” proclama sicuro.

Uhura traduce il consenso ricevuto nell’idioma locale; nel frattempo, braccia cominciano a spostarsi e mani ad allacciarsi l’una all’altra.

In un moto fatto di puro istinto, Jim afferra quella di Spock; solo quando il gesto si concretizza in un impasto di pelle e calore realizza pienamente di averlo compiuto.

È totalmente inappropriato e, quel che è peggio, è spaventosamente simile alla realizzazione di quelle stupide fantasie da adolescente che di tanto in tanto – piuttosto spesso – gli capita di avere: quelle in cui lui e Spock possono sciogliere il sollievo in un abbraccio dopo una missione particolarmente rischiosa; quelle in cui può entrare nella cabina di Spock senza il bisogno di un pretesto e passarci la notte; quelle in cui si tengono per mano come se fosse la cosa più naturale dell’universo.

“Capitano?” La voce di Spock lo riporta al presente. Jim si aspetta di vederlo svincolarsi dalla presa e dirigersi verso Uhura, ma nulla di simile accade; Spock si limita a fare un passo in avanti e a strattonarlo gentilmente per invitarlo ad avanzare a sua volta, senza sbrogliare l’incastro delle loro mani. “I Croiton hanno fama di essere un popolo piuttosto suscettibile: credo sia meglio non farli attendere.”

“Uh, certo.”

Jim indugia per un ultimo istante sul groviglio di dita prima di decidersi ad avanzare.

#4

“Non ce n’è bisogno.”

“Essendoci di mezzo il suo stato di salute, mi vedo costretto a insistere.”

“Ci penserà Bones al suo arrivo.”

Arrivo che, stando all’insistenza con cui la neve continua a cadere, potrebbe non avvenire tanto presto: Jim stesso ha tassativamente vietato l’invio di una squadra di soccorso prima che smetta.

La tormenta è scoppiata violenta e improvvisa; così, dopo essere uscito indenne dallo scontro con gli Orsi corazzati che hanno provato a sbranarli, Jim ha finito per ferirsi scassinando la serratura del casolare in cui hanno cercato rifugio.

Iceland è famoso per la ferocia della sua fauna e per quella del suo clima: Jim si sarebbe aspettato di dover temere la prima più che il secondo e, per dimostrargli che si sbagliava, il destino ha pensato bene di regalargli un palmo squartato dal chiavistello forzato per sfuggire alla tempesta.

“Se passasse troppo tempo potrebbe rendersi necessaria l’amputazione.”

“Non essere melodrammatico, Spock. Sono morto; cosa vuoi che sia un graffio?”

L’espressione di Spock si trasforma di colpo; Jim la vede diventare più vuota, e poi assorta, e capisce di aver detto la cosa sbagliata.

Non hanno mai parlato di quello; non fino in fondo, non davvero, non nel modo in cui avrebbero dovuto. Ci sono state volte in cui il discorso ha aleggiato tra di loro come un fantasma, e altre in cui sarebbe bastata una parola di più per farlo emergere, ma entrambi hanno preferito fingere di non vedere quelle occasioni e lasciarlo seppellito sotto uno spesso strato di non detti.

Avrebbero potuto proseguire in quel modo per chissà quanto, con il cuore pesante ma almeno tenuto al sicuro, se lui non fosse un maledetto imbecille che parla a vanvera.

Jim potrebbe gettare la maschera e decidersi a tirare fuori ciò che tiene accuratamente nascosto; oppure, potrebbe chiedere scusa a Spock per aver mostrato la sensibilità di un elefante che si aggira tra gli scaffali di un negozio di cristalli. Potrebbe, ma non fa niente di tutto questo; da vigliacco qual è, si limita a porgergli la mano. “Va bene” dice. “Fa’ pure.”

Spock si ricompone all’istante, come se l’emozione che gli è esplosa in viso un attimo prima non fosse mai nemmeno esistita; strappa un pezzo di stoffa dalla maglia della propria divisa, con la stessa facilità con cui un essere umano straccerebbe un pezzo di carta da una pagina di quaderno, e afferra la mano di Jim.

La stringe in modo pratico, come se si trattasse di un oggetto da riparare. Poggia un’estremità della garza sul palmo di Jim e la fa passare attorno al suo pollice per avvolgerlo; con la mano libera fa pressione sull’orlo del tessuto per tenerlo fermo, con l’altra ripete l’operazione fino a quando non dà vita a un bendaggio in grado di tenere.

I suoi gesti sono metodici ma anche…delicati. È l’ultima parola che Jim assocerebbe a Spock, ma è anche la prima a delinearsi nella sua mente mentre lo osserva portare avanti l’operazione con la rigida concentrazione che riserva ai compiti che gli vengono affidati sull’Enterprise.

Sembra impossibile che si tratti delle stesse mani che sono state a un passo dallo strangolarlo sulla scia delle provocazioni che Jim gli ha scagliato contro per sostituirlo al comando della nave.

È un’altra di quelle cose per cui dovrebbe scusarsi.

“Ripenso spesso a quel momento.” Assente com’era, Jim si ritrova quasi a sobbalzare. “Non vorrei, perché è uno di quei ricordi spiacevoli da rivivere, ma ho rinvenuto una falla nel mio comportamento e non posso fare a meno di prenderla in esame.”

Una falla? vorrebbe chiedere, ma non è come se riuscisse davvero a parlare: non è in grado di fare assolutamente nulla, a parte stare lì in balia di Spock e del suo tocco.

“Lei stava morendo e io ero totalmente impotente: tutto ciò che potevo fare era restare a guardare.” Jim registra un’esitazione; nella voce che s’inceppa come davanti a un ostacolo invisibile, nelle dita che restano sospese per un momento prima di tornare a svolgere il loro compito. “Guardare mi procurava un dolore lacerante, ma per nessun motivo al mondo avrei distolto lo sguardo: sarebbe stato come abbandonarla.”

Jim si permette di piegare appena il pollice, sfiorando le nocche di Spock in quella che è l’ombra di un gesto di conforto; se Spock è infastidito da quella confidenza, non lo dà a vedere.

“Ed è qui che subentra la falla: è stato qualcosa di completamente illogico, ma che potevo sentire con la stessa chiarezza con cui si avverte la terra sotto i propri piedi. Quando lei ha poggiato la mano contro quel vetro – non avrebbe posto fine alla sua agonia, non sarebbe servito a salvarla, eppure…ogni singola parte di me era animata dal desiderio di poterla toccare.”

Spock fissa con un nodo l’estremità della benda, come se non avesse appena dato al cuore di Jim uno scossone pari a quello di un terremoto. “Reggerà fino all’arrivo del dottore” sancisce.

Jim deglutisce; il rumore che produce sembra rimbombare tra le pareti spoglie con la potenza di un colpo di cannone.

“Grazie” riesce a dire soltanto; ma quello che intende è molto, molto di più.

#5

“Non vedo nessun filo verde.”

“Te l’ho detto che non c’era.”

“Ci penso io.”

Scotty si cala sul pavimento lucido e si sistema a carponi, spostando malamente Spock per prendere il suo posto davanti al groviglio di cavi che si annoda dietro il pannello spalancato. Jim lo sente borbottare in un sibilo seccato qualcosa che alle sue orecchie suona come devo fare tutto io su questa astronave. Il che, pensa Jim, non è affatto vero; lui e Spock sono lì proprio per dargli una mano. Che non abbiano abbastanza confidenza con l’ingegnerese da seguire le sue direttive è un altro paio di maniche.

“Ingrato” dice Jim, porgendo una mano a Spock affinché la utilizzi come punto di appoggio per sollevarsi. Quando Spock la afferra, la voce di Bones li raggiunge da un punto alle loro spalle.

“Non chiedetemi di farvi da testimone.”

Jim non è il tipo che si lascia mettere in imbarazzo con poco, eppure, basta quella battuta perché le guance prendano a pizzicargli fastidiosamente.

Spock riesce addirittura a peggiorare la situazione. “Testimone di cosa?” domanda, tutta l’innocenza del mondo racchiusa nella sua voce.

Jim sente che potrà affrontare l’argomento più lucidamente senza Spock posizionato in quella maniera, quindi, stringe la mano adagiata sul suo palmo e lo aiuta a rimettersi in piedi.

“Di nozze” dice, e Spock aggrotta la fronte. “Sulla Terra è tradizione inginocchiarsi per proporre alla persona che ami di sposarti."”

“Potresti chiederlo a Chekov.”

“Bones.”

Il problema, in realtà, non è Bones: il problema sono gli scenari totalmente sbagliati che la sua mente produce in merito a quell’argomento, scenari in cui quella di Bones non è una semplice provocazione ma la risposta scorbutica che gli fornisce prima di acconsentire alla sua richiesta.

“Ricordalo per quando lo chiederai a Uhura.” Jim si sforza di distogliere la sua mente da quei pensieri. “È un’usanza desueta, ma fa sempre il suo effetto.”

Spock scosta impercettibilmente lo sguardo, preda di un sentimento che pare averlo assalito all’improvviso: Jim penserebbe che si tratti di disagio se, be’, mettere Spock a disagio non fosse praticamente impossibile.

“Io e il comandante Nyota abbiamo deciso di comune accordo di interrompere la nostra relazione sentimentale.”

“Oh.” Mi dispiace, suggerisce una voce dentro la sua testa, ma Jim non riesce ad assecondarla. “Capisco.”

“Eccolo!” La voce di Scotty risale trionfante dal punto in cui è prostrato. “Vi avevo detto che c’era, maledizione.”

La tempistica del ritrovamento non potrebbe rendere Jim più felice.

+1

“Lunga vita e prosperità, quindi.” Jim si sforza di tenere assieme le dita in modo da tracciare una V tra medio e anulare; la facilità con cui Spock ci riesce lo fa sembrare un gioco da ragazzi, mentre lui deve impiegare tutta la concentrazione di cui è capace. “Ce ne sono altri?”

“I Vulcaniani si affidano molto alla mimica: i gesti compongono il nostro linguaggio tanto quanto le parole.”

“Insegnamene qualcuno.”

Spock riflette, vagliando le possibilità a disposizione; alla fine, allunga indice e medio tenendoli attaccati l’uno all’altro. “Fai lo stesso.” Jim obbedisce, registrando distrattamente la caduta di quelle formalità che Spock si ostina a mantenere anche quando non c'è il protocollo a imporle. Spock fa incontrare la punta delle loro dita e poi inclina la mano; Jim imita il movimento, i polpastrelli incollati a quelli di Spock.

È stranamente intimo, più di quanto lo siano state altre situazioni vissute da Jim in cui c'erano più pelle esposta e meno vestiti di mezzo; è quasi spaventoso, ma, questa volta, Jim non si concederà scappatoie né rifugi fatti di silenzi e omissioni.

“Che significa?”

“È il bacio vulcaniano.”

Jim alza la testa con uno scatto; trova Spock che lo fissa di rimando e contro ogni previsione, contro tutte le sirene d’allarme che gli strimpellano nella testa e i dubbi e le paure attaccati alle pareti del cuore, si scopre capace di sostenere il suo sguardo.

Schiude le labbra, ma non produce alcun suono, come se la sua voce non trovasse la strada per arrivare alla superficie; forse, però, non ha davvero bisogno di utilizzarla.

Senza pensarci, e senza darsi il tempo per cominciare a farlo, Jim si sporge e preme le labbra contro quelle di Spock; contemporaneamente, le dita di Spock si spingono contro le sue, riversando nel contatto una forza simile a quella con cui Jim lo sta baciando.

I due gesti si consumano all’unisono; quando Spock ritrae la mano, Jim arretra quel tanto che basta a permettere alle parole di uscire. “Spero che non parlassi di un bacio sulla guancia.”

Il sorriso che increspa le labbra di Spock è specchio di quello che si disegna sulle sue. “No.”











































Note
- Gli Orsi corazzati non sono una mia invenzione, ma una creazione di Philip Pullman (Queste oscure materie) che mi sono permessa di prendere in prestito.
  
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