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Autore: carillon493    27/06/2019    2 recensioni
Sherlock sta indagando da solo su un caso, ma questa volta tenere all'oscuro John comporterà risvolti pericolosi e inattesi. Ovviamente i personaggi sono solo presi in prestito, nulla mi appartiene né mai lo farà.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap I
“Ehi Sherlock, sono a casa. Miracolosamente non c’erano visite domiciliari e ho pensato di preparare la cena dopo il terzo cinese in tre g…” Sherlock sente la voce di John sulle scale e trasalisce, non si aspettava rincasasse così presto, sono solo le cinque.
“Ohh, non sapevo avessimo visite”
“John il signore è un tappezziere, gli ho chiesta un preventivo per rifoderare il divano. Non ti dispiace vero?”
L’uomo in piedi in mezzo al soggiorno accanto a Sherlock gli tende la mano “Alvin Frake, piacere di conoscerla”. John allunga la mano, il contatto con quella dell’uomo, grande e ruvida, non gli piace. “Piacere, John Watson, non avevamo parlato di rinnovare il divano, ma mi sembra un’ottima idea”. John guarda Sherlock e lo vede teso, è solo un attimo, ma ormai conosce ogni più piccola smorfia di quel viso e ogni posa del suo corpo.
Sherlock si rivolge all’uomo sui quarant’anni che li scruta con attenzione “Grazie per essersi disturbato a venire Mr. Frake, mi contatti pure non appena ha pronto il preventivo, potremmo passare al suo laboratorio con la padrona di casa per scegliere il tessuto”. Così dicendo Sherlock lo accompagna alla porta precedendolo di sotto, porgendogli elegantemente la mano per salutarlo.
La porta al piano terra si richiude quasi subito e Sherlock risale nell’appartamento. “Non sapevo avessimo intenzione di far rifoderare il divano, la signora Hudson ne sarà felice. Ho fatto la spesa, stasera pollo al curry e verdure saltate”, il detective gli lancia un’occhiata che John non riesce a decifrare, “Non ho fame John mi spiace, e poi devo uscire”, il dottore lo scruta ”Posso venire con te, è per un caso? Il pollo può aspettare” “Più o meno John, ma è meglio di no, è solo un’idea non voglio farti perdere tempo, goditi il pomeriggio libero”.
Sherlock indossa velocemente il suo adorato cappotto con la martingala, i guanti ed esce senza aggiungere una parola. John resta solo, in mezzo al salotto a contemplare il divano “Si, in effetti una rinnovata non gli farebbe male” borbotta tra sé e sé.
Il detective è salito sul primo taxi disponibile ed è ora diretto alla sede di Scotland Yard, ha bisogno di parlare con Lestrade, questa volta preferisce lasciare John fuori da questa storia, d’altra parte è iniziata prima che lo conoscesse mentre l’ispettore ha seguito il caso dal primo momento. In realtà non è per quello che non vuole condividere le sue idee col dottore e a dirla tutta non sarebbe dovuto tornare prima a casa proprio oggi. Da quando lavora all’ambulatorio non c’è stata una volta che lui ricordi, ok, non ci fa sempre caso ma ne è abbastanza convinto, che sia rientrato due ore prima perché non c’era neppure uno straccio di visita da fare a domicilio.
Come entra negli uffici della New S.Y. viene accolto dal solito coro di battutine, “Che ridano pure, poveri imbecilli senza un briciolo di intuito, né cervello”.
“Ottima scelta Donovan il dolcevita, nasconde alla perfezione il morso che hai proprio lì sotto l’orecchio destro, potremmo far fare un calco per vedere chi te lo ha fatto…” detto ciò Sherlock si infila nell’ufficio del D.I.
“Ispettore…” Sherlock saluta Gregory Lestrade cercando sempre di evitare il suo nome di battesimo, è più forte di lui, non riesce a memorizzarlo, forse perché un po’ lo invidia, bello, con un cervello e una vita normale, cose a lui negate. “Sherlock, vieni entra.” L'Ispettore lo accoglie sempre con un largo sorriso, certo, non fosse per lui la sua scrivania e il suo intero ufficio sarebbero sommersi dai casi mai risolti, ma lui è proprio fatto così, sembra quasi un grande cucciolone di labrador, ci manca solo che scodinzoli.
Lestrade lo aggiorna sugli sviluppi del caso che stanno seguendo insieme. Tre settimane prima è stato ritrovato in un vicolo di Whitechapel il corpo di una donna sulla trentina, discreto sovrappeso, decisamente non bella. Il cadavere, era seduto composto, nudo, le mani in grembo, causa della morte intossicazione da una sostanza volatile non ben precisata, coma e morte nel giro di 36 ore. Segni particolari? Delle pietre cucite con cura e mano ferma sulle arcate sopraccigliari, e un grosso diamante sintetico in bocca.
“Sherlock hai qualche novità? Non perdo neppure tempo a dirti che la scena del crimine non ha rivelato alcunché. Abbiamo cercato come hai detto tu qualsiasi materiale sul cadavere, colla, fibre, ma nulla. L’unica cosa sicura è che per fare quel ricamo hanno usato un normalissimo filo da sutura che vendono in tutte le farmacie d’Inghilterra. Un po’ vago come indizio. Per il resto la zona intorno è pulita, pulita… per quello che può esserlo un vicolo di Londra. Diciamo che non abbiamo trovato nulla di strano, ma hai visto anche tu. Insomma non ho nulla, assolutamente nulla”. Il detective guarda Lestrade, le mani giunte poggiate sulle labbra. “E’ qualcuno che lavora con le mani, cuce, ha dimestichezza con ornamenti, decori. L’altra volta, tre anni fa abbiamo sbagliato a pensare fosse un medico o qualcosa di attinente a quel campo. Ci siamo fatti fuorviare dal filo per sutura, ma se avesse usato un filo da sartoria sarebbe stato come lasciarci un biglietto da visita, o quasi.”
Sherlock si riferisce ad un altro caso di tre anni prima, in cui era stata trovata una donna, stessa età all’incirca, stessa corporatura, non bella neppure quella. Era stata ritrovata nuda con le mani cucite dietro la schiena tenute strette da un fiocco di raso rosa che si annodava elegantemente dai gomiti alle dita. Avevano messo il caso sul database di S.Y. ma non era uscita nessuna corrispondenza, niente che richiamasse l’uso di nastri né quel tipo di sutura. Anche lì la morte era stata per intossicazione e arresto cardiaco, una qualche sostanza che non erano riusciti a individuare, probabilmente quando avevano trovato il corpo era troppo degradata. Era difficile datare la scomparsa delle vittime perché entrambe le donne, che oramai consideravano come le vittime di un serial killer, erano sole, lavoravano saltuariamente, entrambe depresse per una vita sentimentale tutt’altro che esaltante. Potevano basarsi solo sul parere del medico legale che aveva sentenziato 36 ore massimo per entrambe per un’intossicazione di quel tipo non trattata.
“Ne sono certo, è un sarto o un tappezziere. Peccato che solo a Londra ce ne siano quarantacinquemila. Questa mania di imbottire tutto, rivestire tutto, per non parlare delle donne e dei loro cappellini. Quegli odiosi arnesi su cui fanno appiccicare qualsiasi cosa fino a sembrare l’abat-jour accanto al letto. Ti ricordi durante l’ispezione nell’appartamento del primo corpo ritrovato? Una tua assistente aveva notato un cuscino del divano, nuovo e bellissimo a detta sua, e in effetti era una cosa che stonava in quell’appartamento trascurato. E ora lo stesso in quello di quest’ultima vittima, la lampada con la stessa stoffa della tovaglia del tavolino, nuove entrambe. Si Lestrade, è uno che fa questo lavoro. Ho già esaminato la lista dei tappezzieri che lavorano nei quartieri limitrofi a dove sono state ritrovate le donne, non sarebbe così cretino da rapire qualcuno che abita accanto a dove lavora, ne ho selezionato una cinquantina. La maggior parte sono vecchi e tenderei a escluderli. Oggi ne ho incontrato uno a casa, mi ha fatto una buona impressione. Nel senso che potrebbe essere lui. Ci ho parlato per dieci minuti, maniaco del controllo, intelligente, furbo, belloccio. Non è sufficiente per incriminarlo, me ne rendo conto. Io continuerei su questa strada. Stasera, ho altri due appuntamenti, uno tra mezz’ora. Ti ho portato la lista, vedi se qualcuno è nei tuoi database. Ci aggiorniamo domani.” Così dicendo Sherlock lascia gli uffici di S.Y. Un serial killer, per Sherlock dovrebbe essere quasi “Natale” ma qualcosa lo trattiene dell’essere euforico per la caccia.
La mattina dopo lui e John si incontrano per un attimo mentre il dottore fa colazione, non parlano molto, solo un assonnato buongiorno di John che sa che quella sera non avrà la stessa fortuna del giorno prima e rientrerà stremato dopo dieci ore di lavoro. Sherlock dal canto suo è bello come sempre, pimpante di prima mattina da dare quasi fastidio, senza quasi. John prende la borsa, si salutano e si incammina verso l’ambulatorio.
Sono le 18.30 quando dopo una giornata veramente lunga si avvicina all’indirizzo della sua ultima visita serale. Una strada elegante, c’è freddo e poco traffico, lui è a piedi che cammina sul marciapiede cercando il numero civico giusto quando lo vede. Il furgoncino di un tappezziere, deve essere periodo di rinnovare casa a Londra. Non fa in tempo a formulare il pensiero che lo stesso tipo del giorno prima, gli sembra più alto stasera, gli si para davanti. L’ultima cosa che ricorda è uno straccio bagnato premuto sul viso e poi più nulla, solo il buio.
Si sveglia in un posto con un odore pungente che non riconosce, è stordito, ha la nausea. E’ stato evidentemente drogato, ha la vista incerta, sfocata, c’è comunque poca luce dove è stato portato. E’ legato su un tavolo, non è freddo, c’è un materassino tra lui e quella superficie rigida, mani e piedi sono stretti in delle fascette stringicavo ancorate a degli anelli del tavolo. Impossibile romperle, ci prova ma l’unica cosa che ottiene è di spaccarsi la pelle e farsi salire un conato per lo sforzo, e non è proprio il caso perché in quella posizione soffocherebbe. Cerca di capire, di ricordare. Chi dei tanti nemici, adesso usa anche lui quel termine ridicolo, può essere ad averlo portato lì, poi in un flash il volto di quel tipo, il tappezziere, gli balena davanti agli occhi. E’ possibile che quel ragazzo dall’aria scaltra sia il responsabile di questa situazione surreale in cui si trova? E perché soprattutto. E’ sicuro che Sherlock gli abbia mentito a questo punto. Altro che rifoderare il divano, chissà chi cazzo si è portato a casa e perché. Lui sempre così premuroso con quel sociopatico, lui che lo ammira, in tutto, per la sua mente più che brillante, per il suo aspetto così elegante. E lui? Lui se lo tira dietro solo per fare bella figura. Non appena riuscirà ad uscire da questa situazione gliene canterà quattro. Uscire da questa situazione, più facile a dirsi che a farsi. E’ rimasto svenuto per quasi tutto il tempo. Ricorda di aver visto il furgoncino prima di essere aggredito ma poi ricorda un luogo angusto che somiglia più al portabagagli di una macchina che a un furgone. Maledetta la sua statura, Sherlock col cavolo che lo potresti mettere comodamente nel cofano di un’auto. Magari era pure un’utilitaria.
Mentre i pensieri di John spaziano tra la rabbia, lo stupore per essere finito in quella situazione surreale nemmeno fosse ancora in guerra, lo sconforto che lo coglie ogni volta che cerca di scuotere mani e piedi, una porta si apre su un locale più illuminato ed entra lui, ancora lui. Il fatto che si faccia vedere così a volto scoperto non è un buon segno. John tende il collo il tanto che riesce per guardarlo in faccia. “Cosa vuoi da me? Chi sei? Pensi di aver fatto un buon affare? Sherlock ci metterà mezz’ora a trovarci”
“Sherlock… si certo” Una risata risuona in quel locale scuro e vuoto a giudicare da come il suono rimbomba sulle pareti. “Ieri pensavo di aver accettato un noioso appuntamento di lavoro e invece guarda un po’… Ho trovato un giocattolo divertente. Avevo già sentito il nome di Sherlock Holmes prima di ieri, ma non me ne sono mai interessato, per quanto il tuo amico si vanti della propria intelligenza ci ha messo anni a formulare anche solo una parvenza di sospetto su di me. Che sciocco a farmi andare a casa sua, non ha avuto la minima idea di quello che avrebbe potuto mettere in moto”.
Più quell’esaltato parla e più John non capisce. Di cosa Sherlock lo doveva sospettare, che diavolo ha fatto quest’uomo e chi è in realtà? Gli vengono in mente i loro nemici più fantasiosi, travestirsi da tappezziere, proprio non lo sa.
“L’ho visto sai ieri quando sei arrivato? Non è riuscito a nascondere il fatto che era teso. Quando un pazzo assassino mette gli occhi sulla persona che ami è difficile far finta di nulla. E tu? Come una brava mogliettina vai a fare la spesa e prepari la cena. Molto romantico.”
Il dottore a quegli sproloqui si agita tendendo i lacci che lo tengono stretto “Cosa stai farneticando? Io e Sherlock siamo amici, nessun amore. Ci tiene a me e io a lui, ma non dire cazzate.”
“Mi spiace mio caro dottore, pensavo fossi più intelligente e attento. A me sono bastati cinque minuti per vedere in quegli occhi un amore incondizionato per te piccolo essere. Vuoi dirmi che tu sei l’unico a non essertene accorto. Era lì che mi faceva le sue domande, cercando di carpirmi più informazioni possibili per capire se potevo essere io, se ero abbastanza intelligente per commettere due omicidi e farla franca, senza lasciare un indizio o una traccia, quando sei arrivato tu, l’ho visto chiaramente tendersi al suono della tua voce, i suoi occhi cambiare colore come sei entrato nella stanza e licenziarmi immediatamente preoccupato che potessi capire oltre e interessarmi a te ”
“Io e Sherlock siamo amici, viviamo insieme da tempo”, John non riesce a dire altro, sconvolto da quello che quel pazzo gli sta suggerendo. Che la vita, spiritosa fino alle lacrime, possa scegliere quel modo surreale per far conoscere a John i sentimenti di Sherlock gli sembra impossibile. Sherlock che lo ama, che si preoccupa per lui perché sono in presenza di un assassino seriale nel loro soggiorno.
L’uomo passeggia davanti a lui, gli fanno male i muscoli del collo a tenere la testa sollevata. John la ripoggia al tavolo mentre l’uomo continua.
“Mi sa che di me non sai nulla, l’ho capito ieri dal tuo sguardo quando mi hai visto sul marciapiede davanti a te, eri quasi contento di vedermi, quale coincidenza incontrare una persona conosciuta appena ieri davanti alla casa della tua ultima visita domiciliare. Che idiota! Devo dirti che la visita era un bluff, una scusa per portarti in una zona dove non ci sono telecamere per strada e caricarti indisturbato sul mio furgone?”
Il pazzo sembra orgoglioso di questo fatto, ha evidentemente voglia di parlare, di vantarsi delle sue gesta. John riesce a pensare solo a quello che glia ha detto, che Sherlock lo ama, può essere vero? E questo cosa comporta? Pensa anche che finché quello parla non lo tocca e i suoi amici hanno il tempo per capire che fine ha fatto. Non ha neppure idea di che ora sia. E' arrivato di fronte all’indirizzo della visita alle 18.30. Che ora può essere? E soprattutto Sherlock ha già capito che qualcosa non va o ha pensato sia uscito per qualche stupido appuntamento con una donna senza dirglielo come è già successo. Sherlock che lo ama... Lo ama anche lui, oddio come un amico, come un fratello. Ci ha mai pensato veramente? Forse si, ogni volta che ripete come un mantra “Io non sono gay”. L’ipotesi che quell’uomo incredibile possa amare lui non lo ha nemmeno mai sfiorato, come sperare tanto? John si stupisce da solo dei propri pensieri mentre il suo carceriere continua col suo racconto.
"Il tuo innamorato pensa che sia colpevole di due omicidi. Povero illuso, se sapesse che il numero si aggira su dieci volte tanto sarebbe ancora più preoccupato per te. La polizia è stupida e il mondo è tanto, tanto grande. Basta cambiare Paese una volta ogni tot anni, cambiare tipologia di vittime e il gioco è fatto, quegli stupidi database non hanno capacità di immaginazione fortunatamente per me. Ti domanderai caro John, John giusto? Com’è che un uomo è finito sulla mia lista. In effetti da quando sono a Londra il mio target è stato solo donne, brutte, sole e senza alcun valore. A parte la prima caratteristica posso affermare che tu rientri perfettamente nella categoria. Direi senza pericolo di smentita che sei un tipo insignificante, bruttino, e da quello che ho letto stanotte sul tuo blog, se non ti avesse raccattato dalla strada quel sociopatico con cui ti accompagni, saresti solo come un cane. Proprio come quelle due che pensavano di aver trovato finalmente qualcuno che si interessava a loro, illuse. Sarebbero dovute essere orgogliose che le ho scelte al posto di piangere e strillare fino all’ultimo. Ieri quando mi sono informato su voi due e ho concluso foste semplicemente una patetica coppia di finocchi, ho pensato perché no? D’altra parte il tuo “amico”, sei più contento così? si è permesso di sfidarmi, quale migliore vendetta che dimostrargli che posso prendere la persona più importante al mondo per lui, rendergliela un po’ più carina e sparire ancora una volta senza lasciare traccia?"
John prova ancora a strattonare le fascette non ottenendo nulla se non di far sanguinare la pelle che graffia sulla plastica. Quel pazzo sta iniziando a spaventarlo, parla di una ventina di omicidi, e lui deve vedere Sherlock, deve assolutamente.
 
Cap II
Il pazzo si allontana verso uno degli angoli del locale, accende una lampada e inizia a trafficare con qualcosa di metallico a giudicare dal suono. Con il collo teso allo spasimo per riuscire a vedere, John intravede una serie di alambicchi in vetro. Ha cercato di fare mente locale ma non è riuscito a ricollegare quell'uomo agli omicidi di cui ha parlato. Londra è talmente fantasiosa in quel campo che non riesce a ricordare due assassinii che abbiano caratteristiche simili da ricondurre alla stessa mano.
L'uomo torna verso il tavolo dove John giace legato "Sai dottore, avevo in serbo per la mia prossima vittima un trattamento molto particolare, se ne sarebbero ricordati per anni, ma non ho proprio il tempo e poi, diciamocelo, non hai " le phisique du role", mi rovineresti tutto. Invece come ti accennavo prima mi accontenterò di un lavoretto svelto, ma piacerà al tuo Sherlock quando ti vedrà, la tua figura tozza ha bisogno di essere affusolata, slanciata. Non potrai vedere il risultato ma fidati, sarai splendido."
Così dicendo poggia una serie di arnesi sul tavolo, John riesce a intravedere delle pinze, un ago cannula ricurvo e degli anelli in metallo. Il sangue gli si gela nelle vene, è veramente finito nelle mani di un pazzo sadico. Attento come è a quegli attrezzi non ha notato che l'uomo è ormai accanto a lui con una pezza bagnata in mano e che sta per premergliela sulla faccia. Ancora una volta bastano poche boccate e John inizia a sentirsi stordito, la testa vortica. Come l’uomo toglie lo straccio dal viso gli sale in gola un conato di vomito e questa volta non può fare nulla se non piegare la testa di lato per evitare di soffocare. E’solo bile che gli raschia l'esofago e la gola, non ricorda neppure se ha mangiato qualcosa a pranzo. Prima di perdere definitivamente i sensi vede il pazzo armeggiare con la sua maglia, le pinze sul suo ventre, una porzione di pelle tesa e il dolore dell'ago cannula che gli buca la pelle. L'ultimo pensiero che riesce a formulare è che Sherlock ci tiene a lui e lo troverà. Ne è certo.
Due ore prima al 221b di Baker Street Sherlock fa i diciassette gradini del loro appartamento in fretta, è stato tutto il giorno fuori e non vede l'ora di buttarsi sulla sua poltrona davanti al fuoco, e perché no? Per una volta mangiare anche qualcosa. E’ ancora preoccupato per il caso del tappezziere, come ormai lo chiama, ma forse lo ha sopravvalutato, perché fissarsi sul fatto che avrebbe dovuto prendere di mira lui. Lo sue vittime sono donne, loro cosa c'entrano?
" John, sono a casa" Le parole entrando nel soggiorno gli muoiono in gola, c'è la luce accesa ma solo perché, come al solito, se l'è dimenticata accesa lui la mattina. La casa è immersa nel silenzio, nessun tegame sfrigola sul fuoco né c’è segno del passaggio di John anche solo per cambiarsi dopo il lavoro e riuscire.
"Ok, non è rientrato, ma questo non vuol dire che sia successo qualcosa, e cosa mai dovrebbe succedergli poi? John è un uomo adulto, un ex- soldato, l'ho visto cento volte cavarsela meglio di me. Si ma lui non aveva idea da dove potesse venire il pericolo questa volta." Sherlock pensa, ragiona attraversando il soggiorno a grandi falcate. È preoccupato ma sono solo le 21, magari qualche visita domiciliare di troppo visto che il giorno prima non ce n'erano state.
Si siede nella sua poltrona, cerca di calmarsi, pensa -solo cinque minuti e poi chiamo-. Ma la vista della poltrona vuota davanti a lui gli dà una brutta sensazione. Non aspetta neppure quei cinque minuti e compone il numero di John sul cellulare. Niente, o il telefono non ha campo o è spento. " Non è da lui, sono io quello che la maggior parte delle volte non è reperibile."Non aspetta più nemmeno un secondo, il primo numero che vola sulla tastiera è quello dell'Ispettore "Lestrade? Non mi interessa con chi sei a cena, John non è a casa, il cellulare è spento, ho paura possa essergli successo qualcosa. Lo so che sono solo le 9 e che è un uomo adulto, ma quel tipo che ho fatto venire a casa ieri non mi è piaciuto. Prendilo come un favore personale, manda una squadra alla tappezzeria e dove vive e fai localizzare il suo telefono e quello di John. Non me ne frega un cazzo se ti serve un mandato. Come chiudo con te sto chiamando Mycroft, occorre altro?".
Lestrade è stupito di sentire il detective così in ansia, a malincuore abbandona la cena e mentre esce dal ristorante ha già composto il numero di emergenza della sua unità'. A Sherlock non resta che fare quello che ha detto, gli occorre suo fratello. Solo lui in un battito di ciglia può fornirgli tutti i numeri che gli servono. "Mycroft sono io, mi servi. Sono a casa, John non c’è ... e tre, lo so che è un uomo adulto, ma qualcuno si vuole fidare di me? Ho dei buoni motivi per credere che ci sia più di qualcosa che non va. Mi servono, ora, i numeri di tutti quelli che lavorano al ricevimento all'ambulatorio con John, devo sapere a che ora è andato via e se è successo qualcosa di particolare oggi", "Fratellino mi fa piacere che abbia preso l'Intelligence Governativa per l'elenco telefonico..." la voce di Mycroft è gelida alle richieste apparentemente senza senso del fratello ma Sherlock non lo fa finire "Non sto scherzando, mandami quei numeri ora e mettimi a disposizione una tua squadra, stiamo parlando di un pazzo assassino" I numeri degli impiegati dell'ambulatorio arrivano in un soffio e Sherlock inizia a comporli uno per uno, non ha idea chi dei quattro fosse di turno quel giorno. Le uniche informazioni che riesce ad avere alla terza telefonata dalla donna che era di turno quando John è uscito sono l'indirizzo delle sue visite domiciliari e la testimonianza che non è successo nulla di particolare durante la serata, anzi tutto molto tranquillo, i pazienti in ambulatorio erano tutti facce conosciute. Il telefono squilla, Lestrade gli comunica che entrambi i telefoni sono spenti, quello del tappezziere risulta nel suo laboratorio e quello di John è localizzato a Kensington esattamente dove aveva l'ultima visita domiciliare constata Sherlock. Ok, ora possono preoccuparsi ufficialmente, il dottore non si separa mai dal suo telefono, nemmeno in caso di attacco nucleare.
Sherlock richiama Mycroft, gli dice che l'indirizzo a cui risulta il cellulare coincide con l'ultima visita che John doveva fare. "Occorre che invii un tuo uomo, a me non direbbero nulla, so che era una voce maschile quando hanno chiamato per richiedere la visita. Io nel mentre con le chiavi di riserva di John vado nell'ambulatorio, potrebbe esserci qualcosa." Mycroft all'idea del fratello che si intrufola dove lavora il dottore grugnisce "Sherlock non puoi, lo sai benissimo, lascia che mandi un mio uomo" "E quando mai ho potuto? Probabilmente quello non riconoscerebbe John nemmeno se ci cadesse sopra."
Detto ciò Sherlock mette giù e trovate le chiavi si avvia di corsa verso lo studio medico.
Una volta lì il detective apre e accende tutte le luci, al diavolo, chiamino pure la polizia, ci penseranno Lestrade e suo fratello a toglierlo dai guai nel caso. Inizia a girare per lo studio, guardando sulle scrivanie, nei cestini della carta, sotto i mobili, nei cassetti. Nulla, non un appunto che gli lasci dedurre qualcosa di strano. Apre l'ultimo cassetto della scrivania dell'ufficio dove lavora John. "Un caricabatterie... Non è della marca del suo telefonino, non mi ha mai parlato di un telefonino di lavoro, ma forse non è suo, non solo per lo meno". Mycroft sarà sicuramente felice di trovare il numero."Fratellino, lo studio dove lavora John deve avere un cellulare che dà ai medici per le visite esterne o qualcosa di simile. Trovalo, in tutti i sensi, il numero e localizzalo, non ho altro al momento." Cinque minuti dopo, quando ormai la visita nello studio non ha prodotto ulteriori risultati il cellulare squilla due volte. La prima volta e' Lestrade che comunica a Sherlock che il laboratorio è pulito, non hanno trovato nulla. L'appartamento dove vive quel tizio è praticamente vuoto, uno molto spartano. Pochissimi mobili e vestiti e nulla neppure lì. L'unica cosa che ha trovato che stona con una vita impeccabile è il risultato delle ricerche sul suo nome. È apparso quasi quattro anni fa in Inghilterra, da veramente non si capisce dove, perché non sono riusciti a risalire a un indirizzo precedente ovunque fosse. "Cazzo! te lo avevo detto. Quasi quattro anni e il primo omicidio è di tre anni fa, ci dobbiamo MUOVERE!" Sherlock non aspetta che l'ispettore si giustifichi dicendo che non hanno nulla per proseguire, chiude e il telefono squilla ancora. La voceb di Mycroft ora è più concitata "Sherlock il telefono esiste e si è agganciato alla cella di una zona di Londra tutt'altro che residenziale. Vecchie fabbriche abbandonate a Nord-est. Ti sto mandando una macchina, chiamo anche la polizia con l'unità cinofila, hai qualcosa di John con te? Allora passa a casa a prenderla. Ci vediamo lì, e abbiamo chiamato all'indirizzo dell'ultima visita del dottore e non risulta nessuno abbia chiamato, nessuno sta' male e nessuno aveva bisogno di una visita in quella casa, e… mi dispiace Sherlock"
Dall'altra parte di Londra sono le undici passate da poco quando quell'uomo ha finito con John, gli c'è voluta solo mezz'ora. Sa di non avere più tempo, ma quell'investigatore da quattro soldi non arriverà mai lì in tempo, sono anni che usa quei locali e a parte qualche cane randagio non lo ha mai disturbato nessuno. È pronto a sparire ancora una volta, la corriera che lo porterà al tunnel sotto la Manica e poi in Francia partirà tra un'ora, giusto il tempo di arrivare e salire. Guarda lo scempio sul corpo del dottore e sorride. Un nastro di raso nero è stato intrecciato sul suo addome tonico, tra la leggera peluria che lo ricopre, agganciato a otto anelli che gli bucano la pelle, ancora macchiata dalle gocce di sangue coagulato. Ha sempre adorato la body art. Avrebbe fatto ben di meglio ma deve andare. Imbeve un'ultima volta lo straccio e lo passa sul viso di John già agonizzante per aver inalato quella sostanza tossica più e più volte. Non è solito lasciare le sue "opere" vive, seppur in coma, ma oggi non può fare diversamente. Avrebbe anche voluto portarlo fuori, farlo trovare magari in una stradina accanto a Baker Street ma sarebbe troppo pericoloso. Domani farà arrivare un messaggio in qualche maniera per trovarlo, a quel punto senza dubbio morto.
Controlla un'ultima volta che tutto sia in ordine, porta con sé il barattolo col liquido trasparente e lo straccio, si premura di spegnere la luce e se ne va senza voltarsi.


Cap III
Come Mycroft aveva promesso l'auto non tarda più di due minuti. Mentre corrono verso un punto non precisato verso Nord-est dopo essere passati in Baker Street, il telefono di Sherlock squilla ancora. "Sono io, ho brutte notizie" a quell'espressione del fratello il cuore del detective salta un battito. "Su qualsiasi cosa sia il cellulare di John si sta muovendo, cosa facciamo? Dobbiamo andare ancora lì o lo dobbiamo seguire?" "Per la miseria no!" Urla Sherlock "Sta fuggendo, perché dovrebbe tirarsi dietro un ostaggio. Andiamo nel punto dove era fermo prima il segnale. Non occorre ti dica di mandargli comunque dietro un'intera squadra e ben armata" "Va bene Sherlock, proseguiamo".
Il viaggio in auto dura venti interminabili minuti nonostante la guida realmente spericolata dell'autista e la velocità oltre ogni limite consentito. Si fermano arrivati in mezzo a un parcheggio, intorno tutto è abbandonato, non un'anima viva ne' una luce ad indicare una presenza umana, solo dei vecchi edifici fatiscenti dove anni prima dovevano esserci stati degli stabilimenti industriali. Le sue indagini non lo avevano mai condotti in quella zona, sembrava che il luogo fosse appannaggio solo di quel pazzo. Sherlock trova Mycroft ad attenderlo, lui e una squadra di 10 uomini si guardano intorno. L'unità cinofila è già lì, Sherlock corre a raggiungerlo porgendogli uno dei maglioni di John, un cappellino e una sciarpa. Mycroft li consegna agli agenti pronti con tre pastori tedeschi che pare non vedano l'ora di annusarli. Maneggiare gli indumenti dell'amico fa provare una stretta al cuore a Sherlock, ha un presentimento orrendo in fondo a quel cuore. Il suo Mind Palace è chiuso e spento, Sherlock sa che in quel momento non riuscirebbe ad accoglierlo per nessun motivo. Come previsto i cani scattano immediatamente e, cosa rincuorante, corrono all'unisono nella stessa direzione. Mycroft lancia un'occhiata al fratello prima che tutti vadano nella direzione indicata dagli animali, non ricorda ne' quando, ne' se ha mai visto il fratello così distrutto. Tutti con le torce in mano corrono all'interno di un edificio a 300 metri dal piazzale dove si sono fermati. Le porte e le finestre sono tutte murate tranne una. Nulla avrebbe fatto pensare ad una presenza umana lì negli ultimi anni, ma i cani abbaiano e guaiscono. Trovano ad ostacolare il loro percorso solo una comune porta chiusa a chiave, non occorre neppure far saltare la serratura, bastano due spallate degli uomini dell'MI6. Entrano in quello che è un locale piuttosto grande e buio. Fanno roteare le torce in giro e lo vedono. Come sempre il primo a scattare è Sherlock che corre verso il tavolo dove ha visto giacere una figura umana. "Oddio!" Quello che vede lo lascia senza fiato. Cosa ha fatto quel pazzo maniaco? La sua mano vola sul polso di John disteso su quel tavolo, il viso pallido piegato di lato, la bocca socchiusa da cui è colata bava e vomito, il fisico sfregiato con un macabro fiocco nero sul ventre impiastricciato di sangue. Sherlock stringe le dita sul polso, non si rende neppure conto del trambusto dietro di lui che un'unità mobile dell'elisoccorso ha fatto correndogli dietro non appena atterrata davanti al caseggiato. Il polso di John non dà segni di vita, il suo volto è cereo con gli occhi chiusi e nemmeno un centimetro del suo corpo ha reagito al loro arrivo. Mycroft in un attimo è accanto al fratello, spostandolo di peso per lasciare spazio ai soccorsi. Per la prima volta da quando aveva tre anni Sherlock si aggrappa a lui, mormorando sulla sua spalla "Cos'ho fatto? Cos'ho fatto!" prima di cadere in ginocchio con la fronte poggiata a terra su quel pavimento lurido e polveroso.
La voce del medico inizia a dare compiti precisi a ogni paramedico “Polso quasi assente, pressione 85 su 45, temperatura 35,02. Ossigeno. Stabilizziamo il battito e prepariamolo al trasferimento”. Mycroft mette una mano sulla spalla del fratello “Hai sentito Sherlock? Non è finita. Dobbiamo andare, l’elicottero ci aspetta. Forza”
 
Cap IV
I soccorritori sono riusciti a stabilizzare le condizioni di John. Non si capisce se sia più pallido lui o Sherlock. La voce del fratello lo riscuote dal torpore in cui è caduto. "Sherlock mi devi raccontare a cosa stavate lavorando, chi stiamo inseguendo. Come si devono comportare i miei uomini una volta che l'hanno individuato? Ti prego parlami, fallo per lui" dice Mycroft rivolgendo lo sguardo a John. Il più piccolo dei fratelli con grande fatica inizia a raccontare degli omicidi a cui stava lavorando da solo, del tappezziere, dell'errore di averlo fatto venire a casa loro, finché non ripete ancora una volta che è tutta colpa sua e non è più possibile fargli dire nulla. 
Con una mano poggiata al vetro nel reparto di unità intensiva Sherlock sente il suono delle parole del medico che parla con suo fratello lontane e allo stesso tempo rimbombargli nel cervello “Ventilazione forzata, intossicazione da sostanza depressiva del sistema nervoso centrale non identificata, ipotermia." Le prossime trentasei ore, prosegue il medico, sarebbero state fondamentali e poi i danni cerebrali, avrebbero dovuto aspettare il suo risveglio per valutare se e quali potessero essere. Mycroft poggia una mano sulla spalla di Sherlock “Vieni, andiamo di là, qui potremmo essere di intralcio, è in buone mani e c’è l’ispettore Lestrade così vi aggiorno sugli sviluppi" Il detective si lascia portare nella sala accanto al reparto di rianimazione. “Ispettore” inizia Mycroft porgendogli la mano, “immagino le abbiano detto delle condizione del dott. Watson, mio fratello mi ha aggiornato sull’indagine e su chi i miei uomini stavano seguendo. Sherlock” continua Mycroft “se il tuo coinquilino non avesse avuto la prontezza di nascondere il suo telefono di lavoro sotto il tappetino del portabagagli dell’auto nella quale è stato trasportato, che probabilmente è sfuggito ad una perquisizione sommaria del suo rapitore, non lo avremmo mai localizzato. E’ stato molto pronto nonostante dovesse essere già drogato.” La mente di Sherlock vola alla prima indagine che hanno seguito insieme, il loro caso in rosa, per un attimo un angolo della sua bocca si tira verso l’alto, in un sorriso tra il dolce e il beffardo. “I miei uomini hanno seguito quell'uomo che era già pronto a lasciare l’Inghilterra e dirigersi in Francia passando per il Channel sotto la Manica, come siamo arrivati in ospedale e i medici hanno escluso categoricamente che conoscere esattamente quale sostanza lo avesse intossicato sarebbe stato rilevante ai fini della sua ripresa, ho dato l’ordine di non andarci tanto per il sottile. Una volta individuato l’obiettivo non è stato possibile catturarlo vivo. Mi spiace Ispettore non poterglielo consegnare per interrogarlo, tra poco sarà all’obitorio del Bart’s”. “Sinceramente non penso sia una gran perdita per l’umanità” sono le uniche parole che Lestrade pronuncia a quella notizia, esprimendo il sentimento che tutti e tre gli uomini condividono.
Le ore si susseguono lente, nelle prime ventiquattro non ci sono miglioramenti, ma piano piano il fisico del dottore, temprato da anni passati al fronte, inizia a reagire alle cure intensive a cui è sottoposto, la respirazione torna autonoma, i valori migliorano. Lo stato di coma non muta ma i medici si dicono decisamente più ottimisti. Sherlock è sempre lì, in piedi o seduto davanti al vetro dietro il quale il suo amico, il suo unico amico, la persona a cui tiene di più al mondo, continua a lottare senza arrendersi. I suoi occhi color del ghiaccio vuoti, incapace di scambiare una parola con chiunque.
I giorni diventano sei, i visitatori, solo una ristretta lista autorizzata da Mycroft, sono ormai ammessi nella sua camera. I medici sono convinti il suo risveglio sia questione di ore. Sherlock è lì, seduto accanto al letto, le mani giunte davanti alle labbra. John muove le dita, stringe i pugni e le pupille saettano dietro le palpebre chiuse. Finalmente dopo quasi 144 ore di incoscienza apre gli occhi, il suo amico si china su di lui, gli prende la mano e inizia a chiamarlo piano, è preparato al fatto che il peggio potrebbe venire ora. Invece gli occhi di John mettono a fuoco il suo volto e Sherlock sente una stretta sulla sua mano. Ancora una volta il detective è spostato di peso dai medici accorsi all'insistente suono prolungato del campanello della camera di John. Li vede controllargli le pupille, li sente chiamare il suo nome, finché non gli chiedono di provare a dirglielo lui il suo nome. Con un filo di voce John lo pronuncia tralasciando il suo secondo nome, è un buon segno per Sherlock, d’altra parte perché dirlo quell’Hamish, lo ha sempre odiato. Altra domanda “John, dove abiti?” ancora solo un sussurro “Abito con uno stronzo sociopatico”. A quelle parole Sherlock sente la morsa che gli ha stretto il cuore per troppo tempo sciogliersi e può iniziare nuovamente a respirare. Lascia la stanza in silenzio e si avvia verso l’uscita dell’ospedale.
Dopo quasi sei giorni di coma la ripresa di John richiede tempo, i movimenti sono rigidi, scoordinati, ma non è emerso nessun danno permanente. L’umore dopo i primi giorni in cui è stato buono inizia lentamente a mutare prima in tristezza poi in rabbia davanti all’evidenza che il suo amico Sherlock lo sta evitando come la peste. E’ già una settimana che fa fisioterapia e mai una volta è passato a trovarlo. Ha chiesto conferma ai medici, non sia mai che averlo visto lì quando si è risvegliato sia stato solo uno scherzo della sua mente appannata. No, non lo ha sognato, Sherlock era lì, era stato lì ogni singolo attimo, veniva fisicamente scortato da due uomini di Mycroft una volta al giorno a casa per lavarsi e cambiarsi d’abito e poi tornava in ospedale. Non aveva praticamente dormito né mangiato, a parte il tè che la signora Hudson gli portava tutti i giorni zuccherato fino alla saturazione per fargli ingurgitare qualche caloria e qualche biscotto che sempre lei lo costringeva a buttare giù. John può immaginare il perché quel sociopatico del cazzo stia tenendo quel comportamento ma lo odia comunque.
Inizialmente non ricorda nulla di quello che è accaduto in quel locale abbandonato alla periferia di Londra dove è stato portato, così per lo meno ha appreso dal fratello di Sherlock che è andato a fargli visita, poi la tranquillità e il silenzio della sua camera in ospedale, cadenzata solo dai bip dei macchinari che monitorano tutte le sue funzioni vitali, è stata violata dai flash di quelle poche ore in cui è stato cosciente dopo essere stato rapito da quello scellerato. Gli torna in mente che ha giocato con pinze e piercing sul suo torace, poco male, le ferite si stanno già rimarginando e non rimarrà neppure un segno e gli tornano in mente le sue parole. “Quando un pazzo assassino mette gli occhi sulla persona che ami è difficile far finta di nulla” “…amore incondizionato…”. Quelle parole ributtano John nello stesso stato d’animo che hanno provocato quando le ha udite la prima volta. Il suo cervello ancora rallentato nonostante tutto da quel liquido tossico che gli ha fatto inalare ancora e ancora, si interroga se può essere la verità e su cosa prova lui a poterle credere vere. Tante immagini danzano davanti ai suoi occhi in quelle giornate vuote, lui e Sherlock che corrono per i vicoli di Londra all’inseguimento del criminale di turno o del testimone che non vuole collaborare, le loro cene take-away a casa, i loro continui battibecchi sul perché debba essere sempre lui a fare la spesa, a cucinare quando ne ha il tempo, perché debba scostare parti anatomiche di cadaveri dal banco della cucina e dagli scomparti del frigo. E poi altre più imbarazzanti, cosa prova quando le loro ginocchia si sfiorano mentre visionano le carte di un caso, quando una mano sulla spalla ci si attarda un po’ più a lungo o quando Sherlock suona il violino dopo cena per lui mentre si appisola sul divano? E la volta che lo ha visto quasi nudo a Buckingham Palace avvolto in quel lenzuolo, o quando a casa va in giro solo con la sua vestaglia chiusa alla bell'e meglio, lui stupido pazzo dal corpo pressoché perfetto nonostante tutto quello che gli fa patire, i suoi capelli ribelli che si ravvia ogni volta che nessuno lo guarda, nessuno tranne lui, perché quando sono nella stessa stanza, ovunque siano, i suoi occhi non lo abbandonano mai. La verità è che ama guardarlo, gli suscita talmente tante emozioni che non sarebbe in grado di catalogarle tutte. E questo pensiero un po’ lo spaventava, dietro quello che lui ha sempre chiamato ammirazione, stima, invidia per quella mente così brillante da intimorire, dietro la meraviglia, l’incanto per quegli occhi liquidi da quanto sono trasparenti può celarsi qualcosa di diverso che lui ha sempre negato con quelle quattro parole ripetute fino allo sfinimento agli altri ma soprattutto a sé stesso “IO NON SONO GAY”?
Due sere prima di essere dimesso John riceve la visita di Lestrade. L’ispettore è andato diverse volte a trovarlo in quelle settimane, rallegrandosi ad ogni visita di averlo trovato un po’ più vicino alla completa ripresa. John ha anche riacquistato peso, il suo appetito ha quasi stupito i medici dopo quello che il suo organismo ha dovuto sopportare. Ma non sanno che John ha una missione ben precisa una volta uscito da lì e gli servono tutte le sue energie per affrontarla.
“John, mi fa veramente piacere rivederti in piedi”, “Il piacere è tutto mio Greg” risponde il dottore col sorriso sulle labbra. “Senti sono felice sia passato, parlare con un amico mi farà decisamente bene. Puoi chiudere la porta per cortesia.” L’Ispettore chiude piano la porta della camera e si accomoda in una delle poltroncine per i visitatori, John si siede sul letto di fronte a lui. “Non prendermi per pazzo, ma questa storia mi sta ossessionando da settimane, ti chiedo solo di rispondermi quanto più sinceramente puoi perché è molto importante per me.” “John se posso esserti di aiuto lo sai... siamo amici”.
“Ti sembrerà paradossale sentire questa storia ma ho bisogno di parlarne con qualcuno. Avete pensato al perché quel pazzo abbia rapito proprio me e mi abbia incluso tra le sue vittime anche se fino a quel momento erano state solo donne? Tu stesso mi hai detto che siete riusciti a risalire ad altre otto donne uccise in America che sono compatibili con il suo target ed il suo modus operandi, e siete riusciti a seguire i suoi spostamenti prima della sua comparsa in Inghilterra e anche quelli sono compatibili con quegli omicidi. Perché ad un certo punto ha rapito me? Un uomo.”
"Abbiamo pensato ad una vendetta nei confronti di Sherlock" "Si, infatti, giusta deduzione. Quello che probabilmente non avete dedotto è che non mi ha rapito in qualità di collega o amico di Sherlock. A detta sua lo ha fatto perché durante la visita a casa nostra ha chiaramente percepito..." John prende una grossa boccata d'aria e prosegue "Ha capito che Sherlock è innamorato di me e ha voluto punirlo portandogli via la persona a cui tiene di più per essersi permesso, dopo decenni di crimini impuniti, di essersi avvicinato alla verità. Bene, l'ho detto... Ora Greg dimmi cosa ne pensi, sono i vaneggiamenti di una mente malata o tu che ci hai visto mille volte insieme puoi pensare che possa anche lontanamente aver visto giusto in quei dieci minuti in cui è stato con noi a casa?" Il dottore è tornato pallido, gli si legge l'ansia in fondo agli occhi.
"John lo sai come l'ho sempre pensata. Non ti svelerei un segreto se ti dicessi che secondo me Sherlock ti adora, da sempre, dalla prima volta che sei comparso al suo fianco. Sai che lo conosco da parecchi anni e non l'ho mai visto desiderare la compagnia di qualcuno. E questi giorni cosa sono stati per lui... Pensavo di vederlo stramazzare a terra da un momento all'altro per un infarto finché non sei uscito dal coma e i medici si sono dichiarati ottimisti per una tua completa guarigione. Dopo che ha raccontato a Mycroft a cosa stava lavorando e quali fossero i suoi sospetti mentre venivate qui in ospedale non ha più detto una parola nemmeno per lamentarsi, per sei giorni e stiamo parlando di Sherlock... A proposito qualche giorno fa ha accettato finalmente di lavorare sulla sostanza tossica che usava quel disgraziato e ci ha svelato che era un alogenuro alchilico modificato di modo da sostituire l'etene con non so cosa per renderlo inodore e più tossico che mai. Quindi ora grazie a lui possiamo attribuirgli la morte di quelle donne senza ombra di dubbio avendo ritrovato residui di questo composto nei cadaveri riesumati, e lo stesso potremo fare con i casi sospetti che emergeranno piano piano, ne sono sicuro, d’altra parte a te ha parlato di una ventina di omicidi se non erro." John non può che essere una volta di più orgoglioso del suo Sherlock. "Si Greg, esatto. Quindi, dimmi per favore per cosa propendi? E’ un si o un no?" "John io propendo per un si, ho sempre fatto il tifo per voi due."
Due giorni dopo un taxi lascia John al 221b di Baker Street, come nelle settimane precedenti del suo coinquilino non ha avuto notizie. Come è sul marciapiede con la borsa in spalla prende le chiavi e le infila nella serratura. Cerca di infilarle perché non c’è verso, è fin troppo palese che qualcuno l’ha fatta cambiare. Dentro John monta la rabbia che fino a quel momento ha tenuto repressa. Suona quel campanello con la stessa determinazione con cui avrebbe sparato a un nemico armato. Dopo un intero minuto attaccato a quel trillo diabolico la signora Hudson va ad aprire aspettandosi la polizia e i pompieri tutti insieme perché la casa ha preso fuoco a sua insaputa. "John caro! Che piacere vederti a casa, non sapevo ti avrebbero dimesso oggi." "Talmente un piacere che avete cambiato la serratura?!" "E' Sherlock che ha insistito, ha detto che dopo quello che è successo saremmo stati tutti più sicuri" "Gliela do io la sicurezza a quel genio, dov'è? È' in casa?" Urla il dottore già sui primi gradini per salire nel loro appartamento. "Penso caro, lo sai che non mi aggiorna…" "Non importa, lo troverò, non si preoccupi se sente dei colpi di sopra, non salga signora Hudson".
John fa gli ultimi otto gradini che lo separano da quella che fino a meno di venti giorni prima è stata casa sua. La porta è chiusa ma non a chiave e John entra come una furia sbattendo il suo borsone a terra. Sherlock è nel soggiorno, in piedi, ha ovviamente sentito il trambusto di sotto ed è pronto per resistere alle rimostranza di John.
"Tu? Sei completamente impazzito? Sono settimane in ospedale e non una volta che ti sia degnato di passare o di fare una telefonata, senza contare che non hai mai risposto alle mie non appena sono stato in grado di tenere in mano un telefono!" Sherlock assolutamente imperturbabile, perfettamente vestito, in piedi al centro del salotto lo degna appena di uno sguardo. "John, mi fa piacere ti sia ripreso, ma penso il nostro sodalizio finisca qui, mi è parso chiaro dopo quest'ultima volta che è meglio che io lavori da solo, mi intralci". "Ti intralcio? Tu brutto deficiente" il dottore si mangia in due balzi la distanza che li separa e in preda a quella rabbia che le ultime parole del detective hanno reso ingestibile, carica il destro e sferra un pugno sul viso di Sherlock, che senza fare un suono piomba a terra sul tappeto tra le loro due poltrone. Non contento John lo blocca sotto di sé mettendosi a cavalcioni della sua vita, le mani a premere le sue spalle sul pavimento. "Tu brutto stronzo, non solo mi stai scacciando dalla tua vita ma mi sbatti fuori anche da casa mia! Non è che è meglio se lavori da solo, hai fatto un errore, si questa volta lo hai fatto, ma è esattamente l'opposto. Se avessi condiviso con me i tuoi sospetti invece di tenermi fuori per paura di non so cosa, non sarebbe mai successo quello che hai visto, sarei stato in guardia e attento, non un povero coglione come mi son fatto trovare". John non finisce neppure di formulare quel pensiero che sente la rabbia che pensava infinita già sfumare alla vista di Sherlock sotto di lui con un labbro sanguinante per colpa sua e il fisico molto più esile di quello che si ricordava. Pensa “questo scemo non deve aver veramente mangiato nulla in queste settimane...”. Gli tornano in mente tutti i pensieri formulati in ospedale e il suo amico gli fa infinitamente tenerezza. Mentre il detective cerca di divincolarsi e urlargli ancora una volta di andarsene che quella non è più casa sua John si china su di lui e bacia delicatamente le sue labbra, insistendo gentilmente su quello che ha spaccato lui stesso pochi minuti prima. Gli occhi di Sherlock diventano improvvisamente scuri, le pupille tanto dilatate dallo stupore da lasciare solo un alone trasparente intorno. Come John si stacca per lasciarlo respirare cerca di balbettare qualcosa ma ormai il dottore ha deciso. "Si Sherlock, dobbiamo parlare, ma ti dispiace se lo facciamo tra un po'?" Cattura le mani dell'amico e le porta sopra la sua testa mentre si abbassa a dargli un altro bacio e un altro ancora. John lo sa, le cose tra loro non saranno mai ne' semplici, ne' facili ma ora non gli importa. L'unica cosa che conta è quella sensazione di dolcezza che prova stringendo quell'uomo e che gli sta riempiendo il cuore come mai prima nella sua vita. E’ occorso uno psicopatico che lo ha quasi ucciso per svelargli questo lato di sé stesso, ma ora con Sherlock lì sotto di lui gli sembra che ne sia valsa decisamente la pena.

 
   
 
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