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Autore: Hana_Weasley    28/06/2019    1 recensioni
Un lieve tocco.
Il sonaglio a vento comincia a muoversi.
Piccoli e colorati pezzi di vetro che sbattono l’uno contro l’altro andando a creare una dolce e rilassante melodia che si diffonde per tutta la casa.
Lui si stende sul divano, si lascia cullare dalla sinfonia creata dal sonaglio mentre chiude gli occhi.
Libera la mente e si lascia andare, lascia che uno solo pensiero, un solo desiderio persista.
Incontrarlo.
Minjoon | Soulmate AU
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Kim Namjoon/ RapMonster, Kim Taehyung/ V, Park Jimin
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Somewhere Only We Know







Un lieve tocco.
Il sonaglio a vento comincia a muoversi.
Piccoli e colorati pezzi di vetro che sbattono l’uno contro l’altro andando a creare una dolce e rilassante melodia che si diffonde per tutta la casa.
Lui si stende sul divano, si lascia cullare dalla sinfonia creata dal sonaglio mentre chiude gli occhi.
Libera la mente e si lascia andare, lascia che uno solo pensiero, un solo desiderio persista.
Incontrarlo.
 
*
 
Quando apre gli occhi, a Jimin sembra di aver dormito per un’eternità. Sente gli occhi appesantiti, gli chiedono pietà, gli chiedono di tornare nell’oscurità.
Jimin si guarda intorno, non riuscendo a riconoscere il luogo in cui si trova.
 
È una stanza luminosa, i muri sono giallo limone, i pochi immobili all’interno bianchi e verde lime.
Jimin non pensa di essere mai stato quel posto, non ne ha memoria e non sa come ci sia finito.
Si rende conto di trovarsi su un letto, o meglio, un semplice materasso posato a terra.
Accanto a lui c’è una coperta gialla.
 
Jimin è confuso.
Che posto è quello? Perché si trova lì? C’è qualcun altro oltre a lui?
Si guarda ancora una volta intorno per confermare di essere solo.
La stanza è chiusa, senza finestre ma stranamente la cosa non mette ansia al ragazzo.
Non capisce neppure lui perché ma il fatto di trovarsi in quella sconosciuta stanza conforta il suo cuore.
 
Il suo corpo è stanco, i suoi occhi sono pesanti, la sua testa è annebbiata.
Jimin sente di nuovo il bisogno di tornare a letto, sente il bisogno di raggomitolarsi come un gatto in quella coperta gialla e dormire un altro po’.
 
E quasi lo fa. È pronto per stendersi quando sente un rumore.
All’inizio sembra lontano, riecheggia ovattato per tutta la stanza. Poi si fa sempre più vicino, si fa sempre più chiaro e definito.
È una musica delicata quella che Jimin sente, un insieme di note che si susseguono l’una all’altra creando una dolce melodia che sembra ipnotizzarlo.
 
Jimin non sa da dove arrivi, non è neppure sicuro di sapere che strumento sia o se sia reale o tutto nella sua testa.
Probabilmente è un sonaglio, pensa distrattamente.
Ma non importa.
Non importa perché quella melodia sta portando vita alla stanza, sta svegliando Jimin.
Lo mette in uno stato d’allerta, quasi come se quella sinfonia fosse solo l’annuncio dell’arrivo di qualcosa o di qualcuno.
 
Si sente improvvisamente in trepidante attesa, i suoi occhi sono più vivi che mai e Jimin sente l’adrenalina scorrergli nelle vene.
E poi, così come è iniziata, la melodia si ferma.
Jimin si guarda intorno in attesa di un segno.
 
Vede un’ombra alla fine della stanza ed il suo cuore fa una capriola.
 
La figura si avvicina e Jimin può finalmente prestarle la giusta attenzione.
A venirgli incontro è un ragazzo.
Capelli chiari e mossi che gli ricadono in modo adorabile sulla fronte, occhi sottili e profondi, sorriso sulle labbra.
È alto, Jimin si rende conto. Tuttavia la differenza d’altezza non lo mette a disagio.
 
Jimin non sa chi sia quel ragazzo, non pensa di averlo mai visto prima ma il suo cuore fa un tuffo e le farfalle cominciano a svolazzare nel suo stomaco.
 
E Jimin non sa cosa fare. Quindi rimane fermo al suo posto a fissare lo sconosciuto, in attesa che questo parli, gli dica qualcosa.
Magari gli dica in che posto si trovano.
 
Ma il ragazzo rimane in silenzio a sua volta. Lo osserva senza che il sorriso lasci il suo viso.
 
Ha delle fossette, nota Jimin.
 
“Chi sei?” chiede. La sua voce esce più rauca di quello che è di solito, come se non parlasse da troppo tempo.
 
Il ragazzo però non risponde nuovamente. Al contrario, si limita ad inchinarsi a mo di saluto.
 
Jimin è di nuovo confuso. Che non possa parlare?
Non gli è dato saperlo dato che sembrano essere gli unici due in quella stanza.
 
Fa un respiro profondo e poi picchietta sul materasso accanto a lui, facendo segno al ragazzo di sedersi insieme a lui.
Non ha molte aspettative ma il ragazzo fa come richiesto e si siede sul materasso, silenziosamente.
 
Jimin vorrebbe parlare, vorrebbe riempire il silenzio impossessatosi della stanza ma con il passare dei secondi si rende conto che non si tratta di un silenzio teso o imbarazzato.
È un silenzio confortante e così Jimin decide di lasciarsi cullare da esso.
 
Il ragazzo lo osserva con curiosità e Jimin ricambia lo sguardo, studia i tratti del suo viso.
 
Per essere il primo incontro stanno facendo qualcosa di oltremodo intimo.
Osservarsi a vicenda, memorizzare le particolarità l’uno dell’altro. Respirare l’uno accanto all’altro, lasciare rilassare il proprio corpo in presenza dell’altro.
 
Jimin non sa esattamente quanto tempo i due passino così, gli sembrano istanti, minuti al massimo.
Eppure il suo corpo comincia ad un certo punto a sentirsi nuovamente pesante, stanco.
È in quel momento che Jimin si rende conto che deve essere passata qualche ora.
 
Sta per aprire bocca e dire al ragazzo di essere stanco, che magari farà un sonnellino, ma in modo totalmente inspiegabile lui sembra averlo già capito perché si alza dal materasso, si sistema i pantaloni color kaki un po’ sgualciti e si stiracchia.
Picchietta poi sul cuscino e lascia che Jimin si stenda per poi coprirlo con la coperta gialla.
Gli rivolge un sorriso luminoso e poi gli fa un cenno con la mano.
Jimin vorrebbe rimanere sveglio, vorrebbe vedere dove sta andando ma i suoi occhi sono immensamente pesanti e quindi con un ultimo sguardo al ragazzo ormai di spalle, Jimin si addormenta.
 
*
 
Quando Jimin sente la stessa melodia diffondersi per tutta la stanza, ormai non si stupisce più quando vede spuntare il ragazzo.
È ormai qualche giorno – o almeno Jimin presume – che il ragazzo sembra arrivare insieme alla dolce musica del dondolo.
 
Ancora non parla, si limita a sorridergli, quello sempre, e ad esprimersi con qualche gesto.
Jimin vorrebbe capire se non parla per necessità o perché non può. Vorrebbe capire perché viene sempre a trovarlo, vorrebbe capire chi è.
 
Jimin è incuriosito, addirittura affascinato da quel ragazzo, della sua identità, dalla sua entità. È affascinato non dal suo aspetto – o meglio, non solo per quello – ma per il suo comportamento, per la sua riservatezza.
Jimin vuole sapere, sapere, sapere.
 
“Ormai penso di aver capito che non ti sentirò mai parlare ma stiamo passando molto tempo insieme e mi sembra naturale voler conoscerti conoscere meglio o farmi conoscere meglio.” Gli dice così Jimin.
Lui ascolta con attenzione e annuisce alle sue parole, probabilmente concordando.
 
“Quindi voglio parlarti di me, se a te va bene, ovviamente.”
 
Lui gli sorride dolcemente e Jimin lo prende come un sì.
“Sono Jimin e ho ventitre anni.” Si presenta porgendogli la mano e il ragazzo di fronte a sé la afferra senza esitazione.
La sua mano è molto più grossa di quella di Jimin ma soffice, delicata. Il suo calore fa da contrasto con la freddezza della sua mano che immediatamente viene però riscaldata.
 
E Jimin si sente strano perché quel piccolo contatto è riuscito a provocare mille e più scariche elettriche che attraversano il suo corpo e mai, in tutti quegli anni, Jimin ha sperimentato qualcosa di simile.
E non sa se esserne spaventato, se chiedersi se ci sia qualcosa che non vada o come sia possibile che si senta così ma al tempo stesso sente di non averne bisogno, sa di non dover avere paura perché, seppure non conosca il ragazzo che gli è davanti, non può fare a meno che fidarsi.
 
Il contatto termina relativamente presto ma Jimin non sente quella strana sensazione abbandonarlo, anzi, sembra cullarlo.
 
“Vengo da Busan ma dopo le scuole superiori mi sono trasferito a Seoul. Sai, all’inizio il mio doveva solo essere un viaggio di breve durata, per fare un po’ di esperienza e aprire i miei orizzonti. Ma a Seoul mi sono trovato bene e ho fatto amicizia e quindi alla fine ho deciso di rimanere.
“Anche tu vivi a Seoul?” chiede titubante. Non è sicuro se riceverà una risposta ma vuole provarci.
 
Il ragazzo gli sorride, le fossette subito in vista, e poi annuisce.
Jimin si illumina e batte le mani estasiato di aver scoperto qualcosa su quel ragazzo.
“Meraviglioso! E lavori?” decide di chiedere ancora.
 
Lui annuisce nuovamente e poi con la mano imita il movimento che viene fatto per scrivere.
“Oh! Sei uno scrittore?”
Annuisce nuovamente sorridendogli.
 
“Amo leggere! Quando ero ragazzino penso di aver divorato un sacco di libri fantasy e gialli, erano i miei preferiti all’epoca. Adesso leggo di meno rispetto a prima a causa del lavoro e dei miei impegni ma quando posso mi concedo sempre il piacere di un libro!”
Lui sorride e batte le mani, entusiasta del discorso di Jimin. Poi Jimin lo vede mettersi una mano in tasca e, dopo averci frugato dentro per un po’, tira fuori un pezzo di carta e lo porge a Jimin.
 
Lo prende titubante e al tempo stesso trepidante in mano e si accorge che è un pezzo di quaderno a righe sul quale vi sono scritte parole, o meglio, frasi con inchiostro blu.
Ci sono cancellature e modifiche, e chiaramente il testo non è completo, ma mentre Jimin legge con attenzione il suo contenuto, si rende immediatamente conto di trovarsi di fronte ad una poesia.
 
“L’hai scritta tu?” chiede con un sussurro.
Lui annuisce.
 
E allora Jimin capisce che lui non è propriamente uno scrittore, non ha scritto uno dei romanzi che si trova negli scaffali della libreria preferita di Jimin.
È un poeta. Scrive poesie.
 
Jimin non ha mai letto poesie a meno che non dovesse farlo per scuola, non ha mai provato ad avvicinarsi a delle poesie eppure, quelle poche incomplete parole scarabocchiate su quel foglietto lo commuovono, o almeno ci sono vicine a farlo.
Jimin riconosce che ci sia una certa profondità in quelle parole, riconosce che probabilmente non riesce neppure a comprendere il vero significato che si cela in quella poesia.
 
Jimin è sempre più curioso. È curioso perché il ragazzo davanti a lui non parla, si esprime a gesti e sorrisi, eppure sembra avere una galassia dentro di sé, una galassia fatta di pensieri, di idee, di creatività e di arte.
E Jimin vuole esplorare quella galassia più di quanto possa volere qualsiasi altra cosa.
Vuole conoscere nel profondo la persona che gli siede davanti, vuole comprenderla, vuole entrarle dentro.
 
Jimin non si ricorda mai quello che sogna ma mentre dorme, quella notte,  è abbastanza sicuro di aver sognato di due profondi occhi castano e di due fossette.
 
*
 
Jimin ormai è sicuro di aver perso la cognizione del tempo.
Non sa più quanto tempo sia passato, da quanto esattamente si trovi in quella stanzetta e l’unica cosa che sembra segnalare l’arrivo di una nuova giornata è vedere il ragazzo arrivare con dei vestiti diversi rispetto ai precedenti.
Sono vestiti un po’ inusuali, nota Jimin.
In tutti quegli anni si è abituato a vedere persone indossare semplici jeans, maglioni eleganti, vestiti del tutto comuni.
Lui non veste quelle cose. O meglio, non si veste solo così.
Il suo modo di vestire è estroso, originale, organico.
 
Jimin si trova ogni volta ad aspettare impazientemente di vedere come si vestirà il giorno dopo.
Metterà uno dei suo pantaloni di canapa? Oppure uno dei suoi lunghi e soffici cardigan? O magari indosserà di nuovo quel fischietto al collo!
 
“Oh! Moon eccoti qui!” Jimin da il benvenuto come ogni volta.
Lui si immobilizza per qualche istante e poi inclina lievemente la testa verso destra, sul volto dell’evidente confusione.
Jimin scoppia a ridere forte, quasi esagerato per la situazione. Lascia piegare il suo corpo in avanti rischiando di perdere l’equilibrio e si porta una mano a coprirsi la bocca.
 
“Non so ancora come ti chiami dopo tutto questo tempo e quindi ho pensato di darti un soprannome.”
Gli spiega.
In realtà la scelta del soprannome non è stata del tutto casuale per Jimin.
 
Quando era piccolo, Jimin amava passare le serate ad osservare il cielo. Sotto la sua coperta preferita guardava fuori dalla finestra mentre la luce della luna lo illuminava dolcemente.
Era intrigato, Jimin.
 
La luna gli sembrava così vicina eppure, nella realtà, era distante anni luce della terra.
Sembrava così semplice, una sfera argento che galleggiava nel cielo e circondata da milioni e milioni di stelle.
Ed invece era molto di più.
La luna affascinava il piccolo Jimin. Lo incuriosiva. Lo attirava.
 
Lui gli ricorda la luna.
Perché è sempre accanto a lui ma a Jimin sembra un’entità lontana.
Perché gli riserva sempre dei dolci sorrisi ma Jimin sa che dietro c’è dell’altro, ma non sa bene cosa sia questo altro.
Perché lui sembra una semplice persona di passaggio ma Jimin è sicuro sia qualcosa di più.
E Jimin, così come lo era della luna, non può fare a meno di essere affascinato dal mistero che è quel ragazzo.
 
Quel giorno, Jimin si sente vivo in un modo che non provava da tempo.
Parlare a Moon, nonostante la mancanza di risposte, era gratificante. Moon lo ascoltava, annuiva, comprendeva i suoi ragionamenti. Era interessato davvero a ciò che Jimin gli diceva.
E non era che Jimin non avesse amici che lo ascoltavano, tutto il contrario, ma parlare a Moon era terapeutico, era qualcosa che Jimin non era capace di spiegare a parole.
Era liberatorio.
 
Moon aveva una certa luce negli occhi che faceva venire la pelle d’oca a Jimin.
Moon era calore, era affetto, era gentilezza e delicatezza.
Era l’ancora che stava permettendo a Jimin di non affondare, di non lasciarsi buttar giù in un abisso.
Moon, in quel breve periodo di tempo, era diventato la costante di Jimin, la sua fonte vitale, la sua penicillina.
 
Quel giorno, poco prima di addormentarsi, Jimin prende la pallina verde che ha in tasca e la da a Moon.
Non è molto, è un oggetto insignificante e di nessuna importanza, ma è l’unica cosa che Jimin ha trovato in quella stanza, l’unica cosa che può dar via.
 
Moon lo guarda confuso mentre però afferra la pallina dalla sua mano.
“Così non ti dimenticherai di me neppure nel posto in cui stai quando non sei qui.” Gli dice Jimin.
 
Prima di addormentarsi, Jimin può giurare di aver visto gli occhi di Moon lucidi per la commozione.
 
Quello che non sa Jimin è che, quella che era una pallina nella stanza, si era trasformata in un’arancia nella stanza di Moon.
Quello che Jimin non sa è che Moon pensa ogni istante della sua giornata a pensare a Jimin anche senza bisogno della pallina.
 
*
 
Jimin a volte pensa di star sognando.
 
Sono le volte in cui la sua mente non può fare a meno di chiedersi dove vada Moon nel tempo in cui Jimin è addormentato nonostante Jimin non veda né porte né finestre in quella stanza. Sono i momenti in cui Jimin sente dei rumori, dei sussurri lontani. Non riesce a distinguerli, sono come un’eco, ovattati e mormorati e capitano raramente, quando sente la sua testa leggera e distante.
 
Sono le volte in cui Jimin sente la mente annebbiata e quasi distaccata dal corpo che sembra galleggiare, vuoto e inutilizzato.
       
        Ma Jimin sente.
Jimin sente così tanto. Il suo cuore è completamente allo sbaraglio soggetto ad ogni piccola variazione del suo umore, ad ogni piccola emozione e paura, ad ogni sorriso di Moon.
 
Ed è possibile sentire in modo tanto intenso durante un sogno? È possibile sentire una fitta al cuore mentre si sogna, mentre si dorme?
Jimin non ne è per nulla convinto.
 
Non lo è quando quel giorno comincia con un dolore al cuore lacerante.
Quando le lacrime gli rigano il viso e l’unica cosa che Jimin può fare è rimanere rannicchiato a letto, sotto la soffice coperta gialla, a singhiozzare mentre un mano sfrega il suo stesso petto proprio a livello del cuore, in un misero tentativo di alleviare il dolore.
 
È così che Moon lo trova.
 
Jimin non si accorge neppure del suo arrivo, il suo corpo e la sua mente completamente oscurati.
Capisce di non essere più solo nel momento in cui sente delle forti braccia circondare completamente il suo piccolo e debole corpo.
Quando sente un corpo solido e grosso aderire completamente al suo.
Quando sente il fresco e rassicurante respiro di Moon sulla nuca ed una mano accarezzargli lievemente i capelli corvini.
 
E Jimin non può far altro che piangere più forte.
Perché gli manca la sua famiglia.
Gli manca sentire la voce allegra di sua madre al telefono che gli racconta com’è andata la sua giornata ed i messaggi di suo padre pieni di emojis e le lettere che suo fratello gli manda dal servizio militare.
 
E a Jimin mancano anche i suoi amici.
Gli mancano i messaggi senza senso di Jungkook accompagnate dalle foto di animali che gli manda.
Gli mancano le discussioni notturne con Taehyung su tutto e nulla.
Gli mancano i pomeriggi passati in un confortante silenzio con Yoongi a bere caffè.
 
Jimin è stanco.
È stanco di non sapere nulla, di trovarsi in questa sorta di limbo fuori dallo spazio e dove il tempo sembra dilatarsi e non passare mai.
È stanco di vedere solo il bianco e il verde delle pareti, è stanco di non poter vedere la luce del sole, di non poter prendere una boccata d’aria fresca, di vivere, di respirare.
 
Jimin è stanco, è stremato, è distrutto, è triste.
 
E lo sente. Sente come Moon faccia di tutto per farlo sentire al sicuro,per confortarlo.
Lo sente nella presa forte che le sue braccia hanno, nelle timidi carezze che gli sta facendo.
 
Moon sa, Jimin ne è sicuro.
Se una cosa Jimin è riuscita a capirla in tutto quel tempo, è che lui e Moon condividono una connessione.
Non sa se sia qualcosa che si stia solo immaginando o se sia qualcosa di reale, di tangibile. Non sa se si tratti di una semplice sensazione o se vi è la presenza di una scossa che attraversa il suo corpo e raggiunge quello di Moon, o di un filo rosso che alle due estremità è attaccato ai loro mignoli.
 
Ma Moon è capace di capirlo al volo, gli basta uno sguardo per capire lo stato d’animo di Jimin e sapere come agire.
E qualsiasi cosa Moon faccia in quel momento, si rivela essere sempre la cosa giusta.
 
Al tempo stesso, Jimin riesce a comprendere perfettamente quello che Moon cerca di dirli senza che il ragazzo parli. Fin dall’inizio, per Jimin non è mai stato complicato comprenderlo, capirlo, ascoltare i suoi silenzi.
 
Questa situazione non era da meno.
 
Jimin prova nostalgia per la sua vita.
Prova nostalgia per la sua famiglia e i suoi amici, per il suo lavoro e per le sue piccole abitudini.
A Jimin mancano le piccole conversazioni con la vicina quando quest’ultima passa per lasciargli una torta appena sfornata.
A Jimin manca accarezzare tutte le mattine il gatto del proprietario del negozio di ottica sulla via per il suo lavoro.
A Jimin manca mangiare i black noodles del suo ristorante preferito.
A Jimin manca la bottiglia di soju che si concede ogni weekend.
E il suo drama preferito, quella maglietta a righe che tanto gli piace e addirittura le discussioni con il suo pignolo capo.
 
E Moon sembra esserne conscio mentre muove delicatamente il suo corpo, finché non si ritrovano l’uno di fronte all’altro. Mentre permette a Jimin di affondare la testa nell’incavo del suo collo continuando a stringerlo tra le braccia e accarezzarlo.
 
Moon sembra voler infondere tutto l’affetto e l’amore che prova nei suoi confronti con quei gesti, con quelle carezze e in quell’abbraccio.
 
E Jimin si sente meglio, lentamente, dolorosamente, ma riesce a sentirsi meglio. Il lieve profumo che Moon emana ha un potere calmante su di lui ed il suo caldo abbraccio gli ricorda quello di Taehyung, lo sente familiare.
 
Jimin si lascia sprofondare in quella dolce morsa e lentamente si riaddormenta.
 
Il cuore gli fa meno male.
 
 
Quando si risveglia, Jimin ammette di essere stupito quando si accorge di non essere solo in quel materasso.
Moon è ancora lì accanto a lui, le sue braccia ancora lo stringono, anche se la presa è leggera.
 
Ha gli occhi chiusi e a Jimin sembra un angelo, completamente in pace.
Il suo respiro è leggero, le sue labbra incurvate in un piccolissimo sorriso.
 
Jimin si chiede se Moon sia capace di non sorridere.
Perché gli sorride sempre, continuamente, e ora scopre che il ragazzo sorride anche mentre dorme.
 
Jimin sa che è sbagliato, osservare qualcuno quando dorme, quando non è cosciente di ciò che lo circonda e con la guardia abbassata, quando è completamente indifeso, vulnerabile ed esposto.
Sa anche che lui e Moon non si conoscono da molto e che non dovrebbe avere certi pensieri in testa.
Ma non può fare a meno di pensare che Moon sia indubbiamente bellissimo.
Non può fare a meno di desiderare di poterlo baciare, di poter sentire il suo sapore.
 
Jimin vuole immergersi nella sua galassia, vuole esplorarla e assaporarla e toccarne ogni satellite, anche a costo di perdersi nell’universo.
 
E quindi si lascia andare, si concede un piccolo piacere.
Lentamente e titubante, Jimin sporge il braccio finché la sua mano non sfiora i capelli castano di Moon.
Con delicatezza, Jimin li sposta dalla sua fronte e lascia una piccola carezza.
La mano poi sembra incapace di fermarsi, ha preso il comando e si muove da sola o forse, Jimin non fa nulla per fermarla.
Ha avuto un piccolo assaggio di cosa vuol dire sfiorare Moon, della consistenza e della sofficità della sua pelle e vuole di più, è egoista, non le importa del resto, vuole e pretende di più.
Con una lentezza esasperante il palmo della sua mano arriva a toccare la guancia di Moon, soffice e calda al tocco.
 
Jimin non sa quanto tempo passi a lasciare carezze su tutto il volto di Moon, ma ad un certo punto, il ragazzo apre lentamente gli occhi e quando, dopo qualche secondo, mette a fuoco Jimin e percepisce la sua mano sulla sua guancia, quando si rende conto della situazione, Moon sorride radioso.
 
Raggiunge la mano di Jimin con la sua e dopo averla afferrata, porta il palmo ad aderire completamente alle sue labbra.
 
Vi lascia un lieve bacio, facendo arrossire Jimin completamente.
 
E Jimin non sa bene come reagire a quel gesto.
Non sa se sorridergli a sua volta, se approfondire il contatto fisico ed emozionale che stanno condividendo. Non sa se cogliendo i segnali nel modo sbagliato e se sia pronto a donare il suo cuore e la sua fiducia al ragazzo di fronte a lui.
 
Perché ormai Jimin ne è certo. Non può più scappare dai suoi sentimenti e dal suo cuore. Per tutto quel tempo non ha fatto altro che tentare di zittirlo ma non può più.
Jimin è pronto per esplorare quella galassia, è pronto, è anzi impaziente di lasciarsi inghiottire da essa.
 
“Mi piaci così tanto.” Sussurra quindi. Perché è inutile trattenersi, è inutile mentire e ignorare i suoi sentimenti.
Mette quindi le cose immediatamente in chiaro, sperando e pregando di averci visto giusto, che Moon ricambi i sentimenti, che Moon sia interessato a perdersi a sua volta in Jimin.
 
E Jimin potrebbe come potrebbe non essersi emozionato quando vede gli occhi di Moon brillare e il sorriso sul suo volto diventare sempre più grande. Quando lo vede annuire comprensivo con la testa.
Potrebbe come potrebbe non aver lasciato cadere qualche lacrima nel momento in cui Moon gli prende il viso tra le mani e lascia che le loro labbra si incontrino in un dolce e casto bacio.
 
Ed in quel momento Jimin sente il suo cuore scoppiare. Lo sente martellare impazzito nella cassa toracica, come se volesse uscire dal suo corpo e donarsi completamente al ragazzo di fronte a lui.
 
Jimin sa che è assurdo provare così tanto per una persona conosciuta da poco tempo. Sa che non dovrebbe sentirsi così attaccato a lui, che non dovrebbe chiamare già amore questo sentimento che gli riempie il petto ma Jimin dà la colpa alla connessione che condividono.
 
Che sia qualcosa di immaginario o meno, a Jimin non importa. Che siano davvero anime gemelle o meno, a Jimin non interessa.
Decide solo di ascoltare ciò che gli sussurra il cuore e se dentro di sé, sente che Moon sia la sua anima gemella, la sua persona, il suo punto di svolta, beh allora vuol dire che lo è.
 
Il bacio è seguito da molti altri. Alcuni sono solo leggeri tocchi tra le loro labbra, altri sono più intensi e profondi. In alcuni la lingua decide di essere la protagonista, in altri è solo una comparsa.
Le loro mani vagano nel mentre, sfiorano parti del loro corpo, accarezzano lembi di pelle.
Jimin è incapace di staccarsi, di riprendere il controllo. Gli sembra davvero di essersi immerso in una galassia.
 
Quando, minuti, ore, istanti dopo, i due ragazzi si staccano, gli occhi di entrambi brillano, brillano come se all’interno avessero tutte le stelle del creato. I loro sorrisi sono l’uno lo specchio dell’altro, le labbra gonfie e rosse, così come le loro gote.
Le loro fronti si scontrano dolcemente e Moon porta una mano ad accarezzare lo zigomo di Jimin.
 
Jimin si sente al sicuro. Si sente amato.
 
Si addormentano poco dopo così, stretti l’uno all’altro, i sorrisi ancora sulle labbra e le mani concatenate.
 
*
 
Le cose, dopo quel giorno, cominciano ad andare meglio.
 
Jimin sente ancora la mancanza della sua vita, vive ancora momenti in cui la tristezza lo pervade ma Moon è sempre pronto a tenerlo tra le sue braccia, ad asciugargli le lacrime dal volto tempestato successivamente da una miriade di baci delicati quanto i petali di un fiore.
 
Moon, in quel momento, diventa definitivamente la sua ancora, il suo supporto.
E Jimin gli è grato, lo è immensamente, tanto che non sa neppure come esprimere quella gratitudine, come far capire a Moon la sua importanza.
 
Jimin può solo baciarlo con tutto il trasporto e l’attenzione e l’affetto che merita, può solo baciarlo e carezzarlo nella speranza che Moon si renda conto, attraverso i suoi gesti, quello che prova Jimin.
 
Quel giorno, Jimin decide di fare uno scherzo a Moon.
Nell’istante in cui sente la solita melodia creata dal sonaglio e che annuncia l’arrivo di Moon, Jimin si alza da materasso e corre a nascondersi sotto la scrivania.
 
Lo sa che verrà trovato abbastanza velocemente. Infondo, in quella stanza c’è davvero poco dove potersi nascondere.
Sa anche che nascondino è un gioco infantile e per bambini, ma Jimin ha voglia di divertirsi quel giorno, ha voglia di sentirsi bambino ancora una volta, insieme a Moon.
 
Moon arriva poco dopo e Jimin deve trattenersi per non scoppiare a ridere e rovinare tutto.
Dalla piccola fessura al lato può vedere il viso di Moon, può vedere la confusione e anche la preoccupazione sul suo volto.
 
Vede come Moon comincia a muoversi nervoso per la stanza e Jimin quasi decide di uscire dal suo nascondiglio, preoccupato che il suo scherzo non piaccia a Moon.
 
Poi, Moon guarda nella sua direzione e fa un respiro profondo, quasi di sollievo.
Lo raggiunge in qualche istante e gli sorride immediatamente. Non il suo solito sorriso brillante, un più composto e intimo.
 
Jimin invece gli sorride malandrino. “Scherzetto!” esclama per poi uscire dal suo nascondiglio ed iniziare a correre per la stanza mentre Moon scoppia a ridere e comincia a rincorrerlo.
 
Si divertono così per gran parte della giornata.
Jimin, con la sua coperta gialla sulle spalle fingendo sia un mantello, che trotterella per la stanza mentre Moon lo rincorre, fingendo di non essere capace di raggiungerlo.
 
È solo quando entrambi si ritrovano con il fiatone per la fatica che Moon si avvicina da dietro e gli circonda i fianchi con le sue braccia mentre gli lascia un rumoroso bacio sulla nuca.
 
Jimin ridacchia e poi voltando leggermente il viso gli lascia un bacio sulla guancia.
Un bacio seguito da un altro bacio sul collo, e poi un altro e un altro ancora.
 
E poi Jimin si gira nell’abbraccio di Moon e finalmente lo bacia sulle labbra, profondo e disordinato.
 
Ed i due ragazzi si lasciano trasportare, si tengono stretti mentre si lasciano cadere sul materasso e ridacchiano tra un bacio e l’altro.
Le loro mani si sfiorano ovunque, le loro labbra sono instancabili mentre si donano piacere a vicenda.
I respiri sono affannati e gli occhi socchiusi mentre si lasciano guidare dal piacere.
 
E poi Jimin prende la coperta gialla e con un sorrisetto furbo la porta a coprire completamente entrambi rendendola unica testimone del loro amore.
 
*
 
Namjoon sa che il momento è arrivato.
Deve dire addio alla stanza bianca e verde.
 
Sa che i ricordi saranno sempre dentro di lui, indelebili ma non può fare a meno di sentirsi nostalgico. Perché, nonostante tutto è in quella stanza che è sbocciato il loro amore. In cui lo ha visto e ammirato e tenuto tra le braccia per la prima volta.
 
Namjoon crede ciecamente nel destino, ma non può controllare la sua paura.
Sa che è una paura immotivata quella di non rivedere più Jimin, lo sa.
È scritto nelle stelle, sono fatti l’uno per l’altro, nati l’uno per l’altro. Ma Namjoon non può fare a meno di avere paura che questo si tratta di un addio.
 
Seduto sulla veranda, Namjoon osserva il sonaglio incapace di riprodurre più alcun suono, prende in mano l’arancia che Jimin tempo fa gli aveva regalato e la lascia cadere a terra.
 
*
 
Jimin sa che qualcosa non va quel giorno.
Moon non si è ancora fatto vivo, la sua testa è sempre più leggera, come se si stesse disconnettendo dal suo corpo e dallo spazio circostante.
Le voci sono sempre più rumorose. Si sovrappongono l’un l’altra non permettendo a Jimin di capire ciò che dicono ma si fanno sempre più vicine.
 
Jimin è confuso e ha paura. Vorrebbe accanto a sé Moon ma ha come la sensazione che il ragazzo non arriverà .
 
Si porta le ginocchia al petto e chiude gli occhi tentando di controllare il respiro.
Quando li riapre e guarda in alto spalanca la bocca, completamente sbalordito.
 
Dal soffitto cadono decine e decine di palline – lo stesso tipo che aveva regalato a Moon – che lentamente si posano a terra, circondandolo.
È un’esperienza completamente fuori dall’ordinario e Jimin non sa come reagire, non sa cosa fare.
 
Improvvisamente non riesce più a muoversi, sta perdendo il controllo del suo corpo e della sua mente.
Vede i muri verdi della stanza offuscarsi e lentamente sparire.
 
E allora Jimin capisce.
È la fine.
 
*
 
Quando riapre gli occhi, Jimin vede del bianco, ovunque.
La stanza in cui si trova è di un bianco luminoso e a cui Jimin deve abituare gli occhi per poter vedere tenendo gli occhi bene aperti.
 
Ancora non riesce a sentire e comandare il suo corpo ma lentamente, man mano che si sveglia, Jimin percepisce di essere reale, di esistere.
 
Quando Jimin si sente abbastanza sveglio, comincia a guardarsi intorno.
 
Le prime cose che nota sono che si trova su un letto. Un letto vero questa volta.
Vede poi una grossa finestra a lato e dei mazzi di fiori appoggiati sul davanzale. Si chiede da parte di chi siano.
 
Dall’altra parte nota del macchinari ed una flebo che è attaccata al suo corpo.
 
Jimin è in ospedale.
       Ma come ci è finito?
 
Non fa nemmeno in tempo a metabolizzare la notizia che la porta della stanza si apre di colpo, rivelando la figura di Taehyung.
 
Taehyung entra dentro e nell’istante in cui i suoi occhi si posano su Jimin, essi strabuzzano comicamente e la sua bocca si spalanca.
 
“Oh mio dio. Oh mio dio sei sveglio. Dottore! Dottore il paziente è sveglio!” comincia a balbettare compulsivamente Taehyung, al punto che Jimin si chiede se non stia esagerando.
 
Il dottore entra poco dopo e saluta Jimin con un sorriso.
“Sono felice che tu ti sia svegliato, Jimin.”
 
Ma Jimin è confuso. Quanto ha dormito? Cosa gli è accaduto?
 
“I-io… io non capisco. Che mi è successo?” mormora confuso.
 
Il volto di Taehyung sembra improvvisamente incupirsi.
“Jiminie… non ti ricordi nulla?” gli chiede.
 
Jimin fa segno di no con la testa e a quel punto il dottore prende parola.
“Sei finito in ospedale a causa di un incidente stradale. Un’auto ti è arrivata addosso mentre camminavi.” Spiega e Jimin improvvisamente sembra cominciare a ricordare, comincia ad avere dei flash di quel momento.
L’automobile che si dirige in sua direzione, l’uomo alla guida accasciato al volante dell’auto, il terrore provato da Jimin in quell’istante, la consapevolezza che sarebbe morto in quel momento, in quell’istante.
 
“Oh. Ora ricordo…” sussurra.
 
“L’uomo alla guida ha avuto un attacco di cuore e ha perso il controllo dell’auto ma siamo riusciti a salvarlo in tempo. Così come siamo riusciti a salvare te.”
 
Jimin guarda il dottore negli occhi. “Oh, dovete essere proprio dei medici capaci. In quel momento ero abbastanza sicuro che sarei morto, ed invece mi sono ripreso così in fretta!”
 
“Jimin…” sussurra Taehyung.
Jimin si gira in sua direzione e vede l’apprensione sul volto del suo migliore amico.
 
“Che succede, Taehyung?”
“È passato un mese dall’incidente… sei rimasto in coma per un mese.” Gli rivela Taehyung eJimin no sa bene come reagire. Non sa come reagire al fatto che ha effettivamente scampato la morte per un pelo, che ha fatto soffrire tutta la sua famiglia ed i suoi amici per un mese intero.
 
“Taehyung, posso chiederle di uscire? Devo visitare il paziente per confermare che tutti i suoi valori vitali siano a posto e poi il paziente avrà bisogno di riposare. È sveglio da poco ma ha già ricevuto molte notizie, la sua testa si sentirà stanca, ne sono sicuro.”
 
“Oh, certamente. Jiminie, ci vediamo domani, okay?” lo saluta Taehyung.
 
 
 
Il giorno dopo, Taehyung entra nella stanza tenendo con sé una borsa.
Il ragazzo nota immediatamente che gli occhi di Jimin sono puntati su di essa e sorride.
“Ho portato alcuni dei miei fumetti preferiti. Ho pensato potessi annoiarti a passare gran parte del tempo da solo qui.” Gli spiega gentilmente e Jimin lo ringrazia, un piccolo sorriso fa capolino sul suo volto.
 
Taehyung prende la sedia e l’avvicina al letto di Jimin.
Si avvicina e gli prende una mano.
 
Jimin potrebbe piangere solo per quel piccolo contatto che gli era mancato così tanto ma riesce a darsi un contegno e trattenersi, almeno davanti al suo amico, anche se sa bene che Taehyung non potrebbe mai giudicarlo.
 
“Allora, come stai?” gli chiede.
“Confuso, stanco.” Risponde Jimin.
“Confuso?”
E qui Jimin non sa cosa rispondere.
La verità è che è confuso, perché fino ad un giorno fa Jimin si trovava in una stanzetta verde e bianca insieme a Moon.
Ma ora Taehyung ed il medico gli hanno detto che è rimasto per un mese in coma.
Com’è possibile?
Che abbia sognato tutto?
 
A Jimin sembrava tutto così reale che gli sembra impossibile aver sognato.
Poteva sentire il calore della stanza, le sue mani percepivano la consistenza morbida della coperta gialla così come la presenza di Moon sembrava reale.
 
Moon.
La sola idea che possa essersi trattato solo di una proiezione della mente di Jimin gli spezza il cuore in mille pezzi.
Perché Jimin era innamorato di Moon.
Jimin è innamorato di Moon. 
Nonostante ora si trovi su un letto d’ospedale con una flebo attaccata al suo braccio, Jimin può ancora sentire il suo cuore battere all’impazzata al solo pensiero di Moon.
 
Come può il suo cuore provare sentimenti per una persona non esistente?
 
E Jimin non sa come dire tutto ciò a Taehyung. Perché Taehyung sarà pure il suo migliore amico, ma chi mai gli crederebbe?
Lui è stato qui per tutto il mese a vederlo steso su quel letto, incosciente.
Come potrebbe credergli se Jimin gli dicesse che per quel mese è stato rinchiuso in una stanza dove ha incontrato l’amore della sua vita?
 
Così non gli dice nulla.
Non dice nulla a nessuno e lascia che solo il suo cuore custodisca con gelosia e con attenzione il ricordo di Moon.
Jimin la notte, quando non riesce a dormire, si lascia cullare dalle carezzi di Moon che Jimin ancora può sentire sulla sua pelle se si concentra. Si lascia cullare dal fantasma dei suoi baci e dai ricordi dei suoi bellissimi sorrisi.
 
E Jimin soffre, incredibilmente.
Nel suo cuore si è aperta una voragine che sembra volerlo inghiottire ogni giorno di più e sa perfettamente di star preoccupando i suoi amici e la sua famiglia, ma Jimin non sa come andare avanti e lasciarsi Moon alle spalle.
 
Jimin non vuole andare avanti.
 
*
 
Jimin è stressato.
Il suo capo gli ha nuovamente dato numerosi incarichi che lo stanno tenendo sveglio fino a tardi e Jimin non ne può più.
 
Non ne può più di svegliarsi presto la mattina, andare a lavoro per poi tornare a casa e dover lavorare ancora fino a solo dio sa che ora.
 
Quindi, quando quel giorno, circondato da cartacce e documenti, Jimin si rende conto di essere vicino ad una crisi di nervi, manda tutto al diavolo ed esce di casa.
 
Ha bisogno di una pausa, Jimin.
Non gli importa dove, non gli importa a far che, ma ha bisogno di staccare la spina, prendere un grosso respiro e possibilmente mettere qualcosa sotto i denti che non sia ramen istantaneo.
 
Cammina un po’ per le strade affollate di Seoul, si ferma poi a prendere un gelato e riprende a camminare, finché non raggiunge un parco.
Vi entra dentro e comincia a passeggiare lentamente, godendosi la leggera brezza primaverile ed il sole.
 
Perso nei pensieri, Jimin non si accorge di qualcuno che si scontra contro di lui.
I due cadono entrambi a terra insieme al prezioso gelato di Jimin e quest’ultimo deve prendersi qualche secondo per riprendersi e rendersi esattamente conto di quel che è accaduto.
Il ragazzo di fronte a sé sta raccogliendo velocemente e nervosamente le cose che gli sono cadute a terra e Jimin si rende conto che uno dei suoi quadernini si trova accanto a lui.
 
Lo raccoglie delicatamente e poi si alza, porgendo in direzione del ragazzo il quaderno.
“Tieni.” Gli dice.
 
Il ragazzo si alza a sua volta e i loro occhi si incrociano.
 
Il tempo si ferma insieme al cuore di Jimin che non può credere ai suoi occhi, che pensa di aver le allucinazioni, perché non può essere vero, non può essere reale, non può star succedendo sul serio quello che Jimin ha desiderato da quando è stato dimesso dall’ospedale.
Quello di fronte a lui non può essere–
 
“Grazie. Sono Namjoon, ma puoi chiamarmi Moon.” Gli dice con il suo inconfondibile sorriso, quello che evidenza in modo adorabile le sue fossette.
Quello che Jimin non ha fatto altro che sognare.
 
E Jimin non si trattiene.
Si butta tra le sue braccia e lo abbraccia con tutta la forza che ha in corpo, nella speranza che il gesto possa trasmettere a Namjoon quanto lo ami e quanto gli sia mancato. Il sollievo e la felicità e l’affetto che Jimin prova in quel momento.
E Namjoon lo stringe stretto a sua volta e gli carezza la testa nel solito confortante confortante modo.
 
Quando i due si staccano, entrambi hanno sul volto un sorriso che è lo specchio dell’altro. Solare, luminoso, pieno di amore.
 
“Andiamo Jimin, ti ricompro il gelato che così maldestramente ho fatto cadere.”
 
E Jimin ride, attaccandosi al suo braccio, seguito a ruota da Namjoon.





 

note sulla storia per contestualizzarla e capirla meglio:

- in questo universo, quando una persona sta male o sta attraversando un periodo difficile, la sua anima gemella si incontra insieme a lui in un luogo senza tempo e spazio. Un luogo che non è né un sogno né la realtà, una sorta di limbo.

- l'unico difetto è che chi visita la persona (in questo caso Namjoon) non può parlare, è muto.

- essendo il luogo non completamente reale, gli oggetti che ne fanno parte si tramutano in altro a contatto con il mondo "reale" (pallina > arancia)

Spero che la storia vi sia piaciuta, alla prossima!


 
 
  
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