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Autore: Helly_    11/07/2019    1 recensioni
Seguito di 'Shadows' (se non lo avete ancora letto, correte!). IT'S A DENSI STORY!
'Una volta sola, apre lentamente la busta e inizia a leggere la lettera che ha tra le mani. L’ordinata calligrafia che si presenta davanti ai suoi occhi la fa sorridere. A volte l’aspetto esteriore può davvero ingannare. Sospira accarezzando i fogli che la riportano indietro di qualche mese e alza lo sguardo verso l’ingresso del loro ufficio. Le sembra quasi di vederlo entrare: la sacca su una spalla, jeans strappati e la solita aria trasandata.'
Tratto dal cap. I
Genere: Avventura, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kensi Blye, Marty Deeks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La prima cosa che l’uomo provò al suo risveglio fu il freddo.

Tentò di muovere le braccia ma il dolore che gli trapassò la spalla destra lo fece fermare immediatamente. 

Aprì gli occhi a fatica, le palpebre troppo appesantite dal dolore per i colpi subiti durante quel massacrante interrogatorio. 

Girò la testa lentamente verso sinistra notando, poi, una piccola finestra oscurata: nessuna luce deve entrare in quella prigione.

Cercò di respirare profondamente, doveva assolutamente schiarirsi le idee ma le sue costole doloranti lo fecero boccheggiare, sa benissimo di averne almeno un paio rotte. 

Un pò alla volta riuscì a mettere i pensieri uno dietro l’altro, la sua mente iniziò a schiarirsi e contemporaneamente anche l’intorpidimento del suo corpo si fece meno pesante.

Sentì ogni suo singolo muscolo e ogni singolo osso agonizzare per i numerosi colpi subiti.  

Oltre alle costole, la rotula del ginocchio destro era troppo dolorante per essere semplicemente distorta e senza dubbio almeno due dita delle mani erano rotte. 

La spalla destra, sicuramente lussata, considerata la strana angolazione assunta.

La testa gli doleva in modo inconcepibile e una strana sensazione di vomito gli salì su per la gola: sintomi di una commozione cerebrale, pensò tra sé e sé.

Smise di respirare nell’esatto secondo in cui sentì un leggero mugugno provenire dalla sua destra. Restò immobile per qualche secondo terrorizzato dall’idea del ritorno dei loro aguzzini, pronti a riprendere ciò che era infruttuosamente terminato il giorno precedente. 

Nessuna domanda, stesse risate sguaiate e medesime disdicevoli azioni, pensò con una nota di quel poco di umorismo che gli è rimasto. 

Quando però non sentì nessun altro suono o respiro, voltò la testa verso sinistra e fu a quel punto che lo vide seduto su una sedia a pochi metri da lui. 

Con il capo reclinato contro il petto, un rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca e parte del petto completamente insanguinato, vide il suo compagno ancora privo di sensi. 

Non ricordava di averlo sentito accanto a sé durante le volte precedenti, quindi ipotizzò che fosse stato trasportato lì mentre era perso nel suo stato di incoscienza. 

Cercò di avvicinarsi a lui spingendo la sedia alla quale era legato con i piedi, ma il movimento generò un movimento della spalla danneggiata provocando una pesante e poco contenuta imprecazione. 

Provò a chiamarlo per alcuni minuti, sottovoce per il timore di essere sentito, fino a quando non vide la sua testa muoversi lentamente. 

Il suo compagno fece scivolare dalla bocca una buona dose di sangue, prima di provare a mettere in fila qualche parola. 

“Come stai? Cosa ti han fatto?”, sputò ancora sangue a terra e lentamente alzò finalmente la testa.

I suoi occhi impiegarono qualche secondo per metterlo a fuoco.

“Siamo entrambi in splendida forma, direi. Secondo te quanto ci metteranno ad ucciderci?”

Mcgee pesò le parole guardando le ferite del compagno: “Troppo tempo. Non capisco cosa vogliano da noi, fino ad ora mi hanno solo torturato in silenzio… A te han chiesto nulla? Come va la tua gamba?”

Solo in quel momento, Deeks abbassò lo sguardo e si rese conto per la prima volta che la sua coscia presentava un taglio piuttosto profondo, “Oh, bene penso. Penso di avere una commozione cerebrale che mi fa perdere conoscenza piuttosto spesso, una spalla lussata, un ginocchio che molto probabilmente ha la rotula andata e un paio di dita e costole rotte, ma nel complesso sono ancora vivo…tu?”

“I miei denti devono evidentemente avere qualche problema considerato che continuo a sputare sangue, ma penso che visto il troppo dolore ormai sarò anestetizzato…Costole e dita rotte e qualche taglio sparso. Quanto potremo resistere?”

L’ex detective sospirò leggermente, per quanto le costole rotte glielo permettevano, sollevando la testa verso il soffitto. 

E fu proprio in quel momento che con la coda dell’occhio li vide. 

Si girò lentamente maledicendosi per averlo fatto: dietro di lui due scheletri erano appoggiati contro la parete logora di sangue secco.

Poté affermare con estrema sicurezza che erano lì da parecchio tempo e per la condizione delle ossa fratturate in più punti, sicuramente non avevano ricevuto un trattamento distinto a quello che sarebbe toccato loro se nessuno fosse venuto in loro soccorso. 

“Beh, sicuramente finchè staremo qui avremo due silenziosi compagni di stanza”, fece cenno al compagno di voltare lo sguardo nella direzione opposta alla loro.

“Oh…”, esalò quasi senza voce: “Comunque penso che chiuderò gli occhi per riposare un pò.         Se hai bisogno fai un fischio.” 

Rimanere svegli in quelle condizioni fisiche e mentali rappresentava un’enorme fatica per entrambi, fu solo allora che Deeks decise di abbassare il capo e chiudendo gli occhi in cuor suo sperò di risvegliarsi da un orribile incubo.







Los Angeles, 3 Ottobre 2016

 

Il ragazzo sta cercando di lavorare su alcuni file contemporaneamente mentre la sua collega gli sta raccontando delle sue ultime serate in compagnia di qualche amica. Si impegna davvero per fare entrambe le cose, ma lei parla troppo velocemente per lui e finisce per perdersi ogni poche parole. Di tanto in tanto le annuisce con convinzione fingendo di seguire il suo discorso. 

È appena riuscito a seguire una parte del suo racconto quando il suo computer trilla indicando l’arrivo di una nuova mail da un contatto amico. La apre collegandola alla sua cuffia e dopo le prime parole lascia cadere a terra la tazza piena di caffè che stava sorseggiando. 

“Eric? Tutto bene?”, il ragazzo percepisce le parole di Nell da molto lontano, gli occhi ancora fissi sull’immagine davanti a lui. 

Si risveglia bruscamente dalla sua trance quando sente la mano della ragazza sulla sua spalla. Si alza di scatto e corre fuori dalle porte scorrevoli, lasciando la collega dietro di lui piuttosto confusa. 



“Signor Callen, la ricordavo più agile!”, la piccola donna urla dalla cima della parete dove è arrampicata. 

L’uomo biondo sbuffa sonoramente a qualche metro sotto di lei. Poi lei continua, “Non è che sta invecchiando? Devo iniziare a pensare di sostituirla forse?”

Sam ride apertamente mentre Kensi si asciuga la fronte dopo una sessione di combattimento con l’amico ex Navy Seal, “Andiamo Callen! Mancano pochi metri, forza!”. Lei lo incita stappandosi una bottiglia d’acqua. 

“La fai facile tu! Prova ad arrampicarti dietro Hetty poi ne riparliamo!”, il capo squadra continua a borbottare mentre avanza ancora di mezzo metro. 

Eric si blocca all’ingresso della palestra senza fiato. Guarda la scena che si palesa ai suoi occhi e sospira pesantemente in cerca di aria. Dopo essersi avvicinato al gruppetto ed essersi schiarito la voce, sente i suoi muscoli fremere ancora sconvolto da quello che ha appena visto. Cerca di riordinare i pensieri per trovare il modo di formulare una frase di senso compiuto.

“Hetty? Ho bisogno di parlarti…”

“Non ora Eric, Hetty sta battendo Callen…ANCORA!”, ridacchia la giovane donna avvicinandosi a lui.

“Mister Beale, ancora 2 minuti e il vostro capo squadra cederà. Possiamo attendere?”

Il ragazzo sospira ancora, “Hetty, ho davvero bisogno di parlarti ora! Non posso aspettare!”

I quattro si girano verso di lui allarmati. 

“Abbiamo un caso?”, Sam lo guarda con curiosità. 

Eric si ostina a tenere lo sguardo sulla piccola donna in cima alla parete, “Hetty, ora. Per favore.”

Il suo tono supplichevole deve convincerla che si tratti di qualcosa di grave, considerando che non ha mai visto quello sguardo di necessità e urgenza sul viso del suo analista. Pochi secondi dopo è accanto a lui e lo segue a breve distanza. I tre agenti osservano la scena ammutoliti, Callen scende il più agilmente possibile dalla parete e si muove per seguirli quando Hetty si gira e con un cenno del capo gli fa intendere che dovrà aspettare per delle spiegazioni. Una volta saliti in OPS, Eric chiude  immediatamente le porte assicurandosi che gli altri non possano comunque raggiungerli.

“Hetty, devi vedere questo video. Mi è arrivato pochi minuti prima che venissi a chiamarti.”

L’analista preme pochi tasti e sullo schermo principale appare un viso che conoscono molto bene. 



Alcuni minuti dopo, Eric si gira e vede Hetty nella stessa posizione che aveva preso all’inizio del video. Deve osservare bene la sua figura per vedere se respira ancora, la sua immobilità è spaventosa. 

Nel frattempo Nell, l’unica autorizzata a stare con loro in OPS, stringe, tremante, l’avambraccio del suo collega. Quando lui la osserva bene, nota gli occhi già normalmente grandi, ancora più spalancati. 

“Aspettate alcuni minuti per potervi ricomporvi, io torno tra poco. Dopo convocherete gli altri.”

“Vuoi mostrar loro il video?”, Nell sussulta spostando lo sguardo dallo schermo alla donna.

“Lo ritengo necessario.”

“Hetty, hai intenzione di contattare…?”

“Non ora, Signor Beale. Ne discuteremo dopo”, la donna lo interrompe immediatamente e li lascia nel silenzio spettrale della stanza. 



Callen è il primo ad alzare lo sguardo verso le scale. Vede il loro capo delle operazioni scendere silenziosamente i gradini e dirigersi verso la sua scrivania. La vede aprire un cassetto chiuso a chiave ed estrarre un busta di carta bianca. Da dove si trova non riesce a leggere quello che c’è scritto sopra.

“Hetty, possiamo fare qualcosa stamattina?”, decide di avvicinarsi, fingendo disinteresse per cercare di spiare quello che sta facendo la donna. 

“Certo, finite di compilare i vostri documenti. Immagino ne abbiate ancora parecchi.”, non alza nemmeno lo sguardo sul suo. 

Callen prova allora con l’approccio più diretto, “E cosa voleva Eric?”

“Nulla che la riguardi, Signor Callen. Torni ai suoi compiti ora. Vi prego di non disturbarmi per i prossimi 5 minuti.”, con queste parole termina la conversazione fissando i suoi occhi fino a quando lui non si gira e torna al suo posto.



Una volta sola, apre lentamente la busta e inizia a leggere la lettera che ha tra le mani. L’ordinata calligrafia che si presenta davanti ai suoi occhi la fa sorridere. A volte l’aspetto esteriore può davvero ingannare. Sospira accarezzando i fogli che la riportano indietro di qualche mese e alza lo sguardo verso l’ingresso del loro ufficio. Le sembra quasi di vederlo entrare: la sacca su una spalla, jeans strappati e la solita aria trasandata. 

 

“Hetty…scusami per l’ora, non volevo davvero disturbarti, ma prima di partire avevo bisogno di parlare con te…”

Lo osserva muoversi a disagio davanti la sua scrivania e poi lasciare cadere di colpo la sacca sul pavimento. “Forza mio caro, si sieda e mi dica tutto.”

Passano alcuni secondi di silenzio, dove lei crede davvero di doverlo fare parlare con la forza, quando lui, sfregandosi i palmi contro le cosce coperte dai jeans, prende la parola. 

“Come immagino tu già sappia, ho scoperto da poco di avere una figlia. Una splendida, meravigliosa bambina. L’ho vista poche volte ma me ne sono già innamorato… Io…sinceramente non so se sia possibile, ma adesso sento che la mia vita ha avuto un senso…”

Lo osserva strisciare un dito sulle venature del legno della sua scrivania, prima di girarsi e osservare da lontano il loro ufficio con le scrivanie vuote. 

“Ho avuto il piacere di conoscere quella bambina dal suo primo giorno di vita, sai Marty?”

Una volta che lo chiama con il suo nome, lui si gira di scatto e lei continua, “Ho osservato Kensi struggersi per nove mesi. Penso abbia amato e odiato la vostra bambina allo stesso tempo. Le ricordava di te ogni momento, ogni istante di ogni secondo. Ma il momento dopo averla stretta tra le braccia, mi ha guardato dicendomi che era figlia tua. E il suo sguardo, Marty, era fiero. Era fiera di aver messo al mondo la tua bambina…”

Hetty lo vede annuire fissandola, l’espressione nei suoi occhi lontana, come se stesse ricordando. “Io l’ho sempre amata, sempre…” e non ha bisogno di dire di chi sta parlando, Hetty lo sa, “l’ho amata così tanto che… Va bene Hetty, sono qui per una ragione.” Cerca di tornare in sè, lo osserva concentrarsi per trovare un filo logico ai suoi pensieri. La donna aspetta pazientemente che il suo giovane agente continui, con orgoglio può dire che pur non lavorando per lei sarà sempre un suo agente. 

“Non sappiamo mai cosa può succedere in questo lavoro…un’operazione che sembra facile in pochi secondi può trasformarsi in una tragedia. Proprio per questo motivo mi affido a te: se dovesse succedermi qualcosa, voglio che tutto quello che ho, tutto quello che possiedo, tutto quello che sono, passi a mia figlia.”

Il suo sguardo non vacilla minimamente, sempre fisso nel suo. La risolutezza nelle sue parole, la serietà nel suo volto. Hetty ha davanti un uomo che ha deciso di affrontare il suo destino. 

Con un breve cenno del capo, lo invita a continuare. Lui apre la sua sacca e tira fuori una perfetta busta bianca. Poche, brevi ed ordinate parole incise sopra, la lascia scivolare sulla scrivania verso di lei. 

“C’è una lettera per te. In quanto mia parente più prossima voglio che sia tu a gestire i mie averi. 

Ti ho scritto elencandoti tutto quello che ho e la mia volontà di lasciare tutto a Grace. Ma ho ancora un’ultima richiesta.” Lei annuisce toccando leggermente la busta.

“Conosciamo Kensi. Sappiamo come è fatta. Se mi dovesse accadere qualcosa, probabilmente mi riterrà solo un altro uomo che l’ha abbandonata, facendo vivere la stessa cosa che ha vissuto lei anche a sua figlia.” Prende un respiro profondo passandosi una mano tra i capelli. Resta in silenzio qualche minuto, i gomiti poggiati sulle ginocchia e il viso nascosto tra le mani. 

“Hetty, io ho bisogno che tu le ricordi che non è così. Io ho bisogno che le ricordi chi ero e ho bisogno che lo racconti anche a mia figlia.”

Questa volta il suo sguardo è incerto, lo vede grattare nervosamente il tessuto dei suoi jeans. 

“Pensavo tu lasciassi Los Angeles proprio a causa di Kensi…”, la donna lo guarda con un sopracciglio alzato. Lei sa che l’uomo non ci cascherà nemmeno per un secondo, ma si aspetta che sia comunque sincero con lei. E così è. “È quello che faccio. Ma lo faccio per Kensi, non a causa sua. Credo che lei sia sempre terrorizzata all’idea di aprirsi così totalmente con qualcuno, ma ha bisogno di essere lei la prima a capire se stessa… Non le porto rancore… Magari non è mai stato destino…per noi due…”

“La vostra cosa…”, lui sogghigna alle sue parole. 

“Sì, la nostra cosa… Dio, sembrano passati secoli!”, scuote la testa guardando il soffitto, “Magari davvero non era destino stessimo insieme, lo accetto. Ma devo lasciarla libera di vivere la sua vita…e io devo essere libero di vivere la mia… Questo fa di me una persona egoista?”

“Sei un brav’uomo, Marty Deeks.”

Lui annuisce pensieroso, “Hetty, non mi hai dato la tua parola! Ho bisogno di sapere che racconterai a mia figlia di me o che farai in modo che Kensi lo faccia. Ho bisogno che lei sappia che genere di padre sarei potuto essere…”

“Non provare nemmeno ad arrivare a quei pensieri! Gordon John Brandel era una persona che non merita né il tuo tempo né il tuo pensiero. Tu non sei lui, Marty Deeks.”

Lui la fissa immobile. Forse non si aspettava queste parole, poi lei continua, “Hai la mia parola, Marty. Farò tutto ciò che è in mio potere per esaudire i tuoi desideri.”

L’uomo si alza di colpo, un sorriso sul suo volto, “E sappiamo tutti quanti poteri hai, Hetty!”. Ride fissandola, poi gira attorno alla scrivania e la abbraccia. 

Hetty non ha mai amato particolarmente il contatto fisico, ma quest’uomo lo rende così semplice. Scavalca gli spazi personali e si fa strada nel cuore di chiunque con il suo sorriso e le sue parole continue. 

“Grazie Hetty, per tutto. Dall’inizio alla fine!”

“Buon viaggio, Signor Deeks. Abbia cura di lei.”

Lui si allontana, sacca in spalla e camminata lenta. Lo vede fermarsi un’ultima volta davanti alle loro quattro scrivanie, uno sguardo che le abbraccia tutte.

E il momento dopo è sparito. 

 

Hetty torna al presente nel momento in cui finisce di leggere la lettera. La poggia sulla scrivania fissandola ancora qualche secondo. Sperava veramente che questo momento non sarebbe mai arrivato. Alza lo sguardo e fissa i suoi agenti concentrati nei loro documenti. La scrivania ancora vuota accanto a Sam cattura il suo sguardo per qualche secondo di troppo. Quello che dovrà dire loro, probabilmente li ferirà. Spera solo che la sua giovane agente sia in grado di rimanere lucida. È preoccupata per lei, lo ammette. Questi sei mesi sono stati duri, lo ha potuto vedere in ogni azione e in ogni silenzio prolungato. Quell’uomo la aiutava ad essere più aperta, più libera. Non ha dubbi che a casa continui ad essere una madre fantastica, ma sul lavoro la sua mente è sempre troppo concentrata, sempre troppo seria, prende dei rischi che non dovrebbe prendere. Hetty fa un lungo respiro e prega che tutto vada per il meglio.

Prima di riunire la sua squadra, alza la cornetta e compone un numero che conosce da molti anni. 

“Gibbs? Sono Hetty. Dobbiamo parlare.”

  
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