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Autore: Giovanni Di Rosa    17/07/2019    1 recensioni
Più di un secolo dopo l'incoronazione di Aragorn come re di Gondor, un prete eretico raggiunge Minas Tirith. Ayshamys, un vagabondo inquietante, millanta la facoltà di viaggiare nel tempo e di risolvere uno dei più arcani misteri di Arda. Nel viaggio alla scoperta dell'enigma legato alla figura mitologica di Tom Bombadil, però, il prete non sarà solo e potrà contare sul supporto di un bambino geniale!
Genere: Avventura, Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aragorn, Gandalf, Tom Bombadil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Etrendil era un bambino geniale. Alcuni sostenevano che fosse ciò che restava del sangue elfico nella sua dinastia a renderlo così speciale. Altri, invece, pensavano che fosse stata la natura a regalargli quell’intelligenza sorprendente e svelta che le balie avevano riconosciuto in lui, già quando aveva pochi mesi. Adesso Etrendil, primogenito di Arthemir, figlio del leggendario re di Gondor Aragorn e di Arwen, aveva sei anni. In tutto il regno, però, non c’era bambino straordinario come lui. Il padre aveva già iniziato a confrontarsi con il piccolo sui problemi del regno. Dalle loro chiacchiere il più delle volte nascevano ottime idee, altre volte soltanto un mucchio di risate.
Etrendil era la luce degli occhi del re Arthemir e della moglie, Talisa. Era biondo come la madre, con le orecchie leggermente a punta e un sorriso lungo, tagliente. Il sangue elfico stava svanendo nella sua eredità, ma qualcosa di magico sembrava scorrere ancora nelle vene di Etrendil.
La curiosità del bambino, un giorno, venne attratta dall’apparizione di una stravagante figura, all’interno del castello di Minas Tirith. Alla fortezza, infatti, era giunto un prete. Aveva la barba lunga e i capelli folti e neri, lunghi almeno quanto la barba. Ayshamys era il nome del prete. Era un vagabondo, che metteva tutti a disagio. Si narrava, nella città bianca, che fosse un malvagio stregone, che cercava di dominare le più oscure forme di magia.
Ayshamys aveva chiesto e ottenuto un incontro con re Arthemir. All’incontro, quel giorno, avevano partecipato il re, la moglie, e alcuni dei consiglieri più fidati di Arthemir, tra cui la sorella, Arthesia, che, al contrario del re, conservava intatto l’aspetto elfico di Arwen. Etrendil, sfuggendo ad un educatore, aveva raggiunto la sala grande, dove si trovavano i genitori, e si era nascosto dietro a un pilastro. Osservava silente quel conciliabolo.
«Mio sire», aveva esordito Ayshamys, inginocchiandosi a poche spanne dal trono di pietra bianca. «Volevo chiedere la sua benedizione per una missione che potrebbe essere di impareggiabile utilità per Gondor e per tutto il nostro mondo.»
«Parla, Ayshamys. Non indugiare.» Arthemir non aveva voglia di perdere tempo. Era scettico rispetto alle parole del prete, ma aveva accettato l’incontro, perché, come altri, era superstizioso e temeva quello strano individuo, avvolto in una tunica logora color notte.
«Altezza, ho scoperto la maniera di venire a conoscenza di informazioni che potrebbero aiutarci molto. È vero, da decenni regna la pace, ma la nostra terra non sarà al sicuro per sempre. Orchi, goblin ed esseri ancora più oscuri ancora popolano il nostro mondo. Dobbiamo essere preparati. Specialmente ora che di elfi quasi non ne esistono più e non possiamo più usufruire della loro sapienza e della loro abilità.»
Arthemir sospirò. Iniziava ad essere incuriosito, malgrado le rimostranze iniziali.
Ayshamys proseguì: «Un tempo questa terra era abitata da una creatura anziana come lo è il nostro mondo. Una creatura che ha preceduto tutte le ere e che da almeno cento anni sembra essere sparita, senza lasciare traccia. Sto parlando di Tom Bombadil.»
Arthemir, così come alcuni dei suoi consiglieri, corrucciò la fronte. Bombadil era un vero mistero. Un mistero della storia della Terra di Mezzo, a cui nessuno studioso era venuto a capo. La sua assenza si protraeva da così tanto tempo, che, ormai, in molti credevano non fosse mai esistito e si trattasse solo di una leggenda. Arthemir, che aveva sentito i mirabolanti racconti del padre e letto il libro dell’hobbit Frodo Baggins, tendeva a credere che, dietro ad ogni leggenda, ci fosse sempre un fondo di verità.
«E come pensi di risolvere questo mistero?» Arthemir guardava dall’alto verso il basso il prete, che parlava con fervore ascetico.
«Intendo andare nel passato. Ritrovare Bombadil proprio dove la sua presenza è stata attestata per l’ultima volta. Nella Vecchia Foresta, a est della Contea Baggins.»
Arthemir si sollevò dal trono, visibilmente scocciato. «Credi di prenderti gioco di me, prete straccione? Non esiste un modo per tornare nel passato e, se esistesse, di certo non avresti le capacità di fare un simile viaggio. Ho conosciuto molti stregoni potenti e nessuno mi ha mai parlato di simili sciocchezze…»
«Mio signore, nessuno era potente come me.» Un sorriso malefico si dipinse sul volto di Ayshamys. «Se non fossi uno straccione di nascita, forse sarei molto più importante per Gondor di quanto non lo sia tu, sciocco re.»
«Sei solo un eretico. Pagherai per questo affronto al tuo re!» Per Arthemir era troppo. Tornò al trono e sguainò personalmente la spada. Non voleva che fossero le guardie a scacciare Ayshamys. Il prete lo aveva provocato e voleva risolvere la faccenda di persona. A un tratto, quel losco figuro non gli faceva più paura. Provava soltanto rabbia.
Ayshamys, però, scoppiò in una risata. Trasse da una tasca della sua mantella una sfera. Sembrava un Palantir, ma non era una Pietra Veggente. No, quelle erano state tutte distrutte da Gandalf, dopo aver sconfitto Sauron. Sembrava una sfera di un materiale simile al cristallo ma della durezza di una roccia. Il prete fece cadere la pietra sul pavimento. Nel momento stesso in cui essa si infranse, un enorme portale si aprì. Un bagliore accecante, che attrasse anche Etrendil. Il bambino raggiunse il prete ed entrambi furono risucchiati dal portale, che si richiuse nell’arco di pochi istanti.
 
Quando Etrendil riprese conoscenza, si trovava in una foresta, in prossimità di un piccolo stagno, sul quale alcuni fiori di loto galleggiavano pacifici. Una piacevole frescura regnava in quell’ambiente rigoglioso.
Il prete eretico era a pochi passi da lui, in piedi. Osservava Etrendil con uno sguardo incuriosito.
«Mi aiuterai?»
«In cosa?», chiese ingenuamente il bambino.
«A risolvere il mistero di Tom Bombadil, naturalmente.»
Etrendil scrollò le spalle. Ayshamys gli offrì una mano e il bimbo gliela strinse, senza alcun timore. Mano nella mano, i due raggiunsero lo stagno. Lo specchio d’acqua era pacifico e limpido.
«Ora fai una magia?», domandò il figlio di re Arthemir.
«Esatto. Ora chiederò all’acqua di mostrarci da che parte andare per trovare Tom Bombadil…»
Ayshamys non fece in tempo a pronunciare queste parole che sulla superficie dello stagno si creò un solco. Una sorta di bocca, in mezzo all’acqua. Qualcosa di così singolare da non poter essere descritto con termini precisi. Etrendil trasalì nell’assistere a un evento così surreale.
E, da quella bocca, lo stagno incominciò a parlare: «Non tutti gli enigmi son fatti per essere risolti.» Era una voce squillante. La voce di Tom Bombadil, anche se Ayshamis non poteva saperlo.
«Chi parla con me? Rivelati!», fece il prete allarmato.
«Sono chi tu sei venuto a cercare, Ayshamys. Ma non è destino per te di trovarmi. Bombadil io sono e ti parlo per proteggerti. Questa parte della Foresta in cui siete finiti, assai pericolosa è. Fareste bene a scappare. Il mistero sulla mia esistenza tale deve rimanere, finché non decida io di tornare.»
La bocca-stagno parlava in modo cantilenante. Le sue apparivano quasi come delle filastrocche. Etrendil, che aveva afferrato il monito pronunciato dallo stagno che esprimeva la volontà di Tom Bombadil, si sentì, a un tratto spaventato.
«Come posso credere che tu sia proprio Tom Bombadil?», sbraitò il prete. I suoi occhi apparivano risoluti, quasi furiosi.
«Devi fidarti di me. Anche se un’altra strada, tuttavia, c’è…»
«Quale strada?», Ayshamys incalzò l’acqua.
«Puoi risvegliare chi un tempo mi vide.»
Non ci furono altre parole. Lo specchio d’acqua ritornò alla consueta quiete e il prete eretico, che aveva rinnegato la fede tradizionale e mancato di rispetto al suo re, pose una mano sulla superficie dello stagno. Cercava di capire se fosse possibile riallacciare un contatto con quell’entità. Ma, presto, scoprì di percepire qualcosa di diverso.
«Che succede?», chiese Etrendil incuriosito.
«Due cadaveri. In fondo allo stagno.»
«Puoi risvegliare chi un tempo mi vide», ripeté Etrendil, comprendendo a cosa si fosse riferita la bocca-stagno soltanto pochi attimi prima. Aveva intuito prima di Ayshamys cosa significasse la presenza dei due corpi.
«Pensi di poter risvegliare dei morti?»
Il prete sospirò. «Ho perso la fede anni e anni fa. Mi chiamano ancora prete, ma non lo sono più. Quando ho perso la fede, però ho trovato il potere. Libri di incantesimi così oscuri e potenti mi hanno dato abilità difficili a credersi.»
Etrendil non fu spaventato dall’affermazione del suo compagno nel viaggio temporale. Si limitò ad annuire.
Ayshamys, invece, pose i palmi delle sue mani a pelo d’acqua, e lo stagno iniziò a scuotersi. Per diversi minuti una miriade di onde circolari incresparono lo stagno, fino al momento, in cui due corpi riemersero dall’acqua.
Erano morti, ma intatti. Non erano decomposti. Erano magri da fare impressione, e pallidi. Un uomo e una donna. Erano della stirpe degli uomini. Lei indossava una veste bianca, che arrivava alle caviglie, lui una casacca di tela grezza. Lei era bionda, lui moro.
Ayshamys si rivolse a Etrendil, quasi a volerlo rassicurare: «Li risveglierò ma durerà per poco. Non ti spaventare!»
Quindi, i due morti aprirono gli occhi. Il prete eretico iniziò a chiedere ai due di Tom Bombadil. Ma nessuno dei due redivivi riusciva ad articolare parola. Parlavano per mugugni incomprensibili, per gorgoglii raccapriccianti. Alla fine, Ayshamys fu costretto a trovare un’altra soluzione. Appoggiò i palmi delle mani sui due morti e le loro coscienze si tramutarono in immagini.
Sullo stagno, adesso, non c’era una bocca, bensì la figura delle due persone estratte da quel piccolo bacino d’acqua. Erano vivi, però. Avevano una carnagione pallida, ma sana e non erano così rinsecchiti come li avevano visti. Il prete e il piccolo principe compresero che la magia di Ayshamys stava proiettando un frammento della vita dei due morti.
I due si chiamavano Arisha e Mardel. Abitavano nella Vecchia Foresta. Parlavano spesso di Tom Bombadil, nei termini in cui si parla di un vecchio vicino. Erano marito e moglie. Il ricordo che veniva proiettato arrivava fino a un momento in cui i due sembravano stessero dirigendosi a casa di Tom Bombadil, che mai apparve raffigurato sullo specchio d’acqua. Quel ricordo si interrompeva con una serie di ululati e di ringhi terribili. Arisha e Mardel erano spaventatissimi. Si trovavano a pochi passi dallo stagno e un qualche mostro si stava avvicinando a loro. La proiezione delle loro coscienze terminò con i loro volti pieni di terrore.
«Erano gli ultimi loro momenti di vita», sentenziò il prete.
Etrendil non sembrava turbato, sebbene avesse iniziato a guardarsi intorno, temendo che un mostro si presentasse anche davanti a loro.
«Credo che sia pericoloso qui.» Anche il prete sembrava aver compreso la vanità di venire a capo dell’enigma dell’esistenza di Tom Bombadil. Forse aveva visto più di quanto era stato proiettato sulla superficie d’acqua. Forse aveva percepito la paura e il dolore dei due individui che aveva riportato in vita, anche se solo per pochi istanti.
Arisha e Mardel persero la vita una seconda volta, quando il prete tolse i palmi dalle loro fronti. Erano di nuovo cadaveri. Avevano regalato loro i ricordi, come monito dei pericoli che si correvano nella foresta.
«Come hai fatto a fare quello che hai fatto?», chiese Etrendil, a bocca aperta.
Ma a quella domanda il prete non riuscì a rispondere. «Il mostro è qui.»
Il rumore di rametti che si spezzavano e il fruscio delle foglie lasciavano intuire che qualcuno o qualcosa si stava approssimando.
«Moriremo anche noi?», fece Etrendil. Era serafico, però, freddo come lo sarebbe stato un guerriero di due metri, ben armato e pronto a tutto. Lui, invece, era solo uno scricciolo.
Il prete lo osservò con stupore. Quel bambino era davvero straordinario. Sarebbe stato un regnante migliore di Arthemir.
Quando, infine, staccò gli occhi dal bambino, dal fitto degli alberi e dei cespugli, era emersa un’enorme bestia mostruosa. Era un gigantesco cane. Nero come le notti più buie e con una testa gigantesca. Dalla bocca bavosa emergevano due canini acuminati e rilucenti. Le zampe erano più grandi di quelle di un leone e il pelo era folto e lunghissimo. Sembrava una nuvola nera armata di zanne e denti acuminati.
Un altro ringhio fece sudare freddo Ayshamys.
«Ho voluto troppo. Per l’amore della conoscenza mi sono imbattuto in questo orrore.»
«Andiamo via.» Etrendil sembrava aver perso la sua calma olimpica, sebbene non fosse scoppiato a piangere come avrebbe fatto qualsiasi altro bambino di fronte a quell’oscenità.
«Non ho il tempo per creare un nuovo portale…»
Etrendil abbassò gli occhi verso il terreno. Vide solo l’erba rigogliosa, di un color verde acceso. Era proprio un bel colore da guardare poco prima di morire. Il bambino accettò il fatale destino. Non valeva la pena piangere per ciò che era inesorabile.
L’orripilante cane si mosse. Un balzo potente. Le possenti zampe gli permettevano di spiccare salti impressionanti. Come un terribile tornado scuro, l’animale stava calando su di loro. Sarebbe stato un impatto tremendo. Il sangue. Quella bestia cercava sangue.
Ma non sgorgò sangue. Sprizzò, invece, l’acqua. Un’onda inaudita e assolutamente inverosimile si levò da quello stagno di modeste dimensioni. L’acqua travolse la bestia e poi, come dotata di una forza propria, sembrò rimanere sospesa. L’acqua apparve, a un tratto, solidificarsi, diventare fluida. Stringeva e stritolava la bestia mostruosa, che adesso era a terra, imprigionata da manette liquide, che le serravano le zampe. Etrendil e Ayshamys erano sbalorditi.
Ancora una volta riecheggiò la voce di Tom Bombadil: «È questo il momento di andare.»
Il prete parve non capire, in un primo momento. La bestia continuava ancora a tentare di divincolarsi.
Ma era il momento propizio, e probabilmente non ce ne sarebbero stati altri. Il prete eretico aveva ancora un’altra pietra in grado di aprire un portale. Avrebbe rinunciato alla conoscenza, ma avrebbe salvato la vita. La sua e soprattutto quella di quel bambino incredibile. Scagliò la pietra magica e afferrò nuovamente la mano di Etrendil. Lo tirò a sé e ritornarono al loro presente.
Il viaggio nel passato, nella Vecchia Foresta abitata da Tom Bombadil e da una bestia raccapricciante e spietata, era finito. Ayshamys imparò a caro prezzo l’errore commesso. Si era dichiarato pronto a tutto pur di perseguire l’amore per la conoscenza. Considerava che non esistesse cosa che non potesse essere scoperta o appresa. Ma aveva capito che il suo sogno di conoscenza era un ardire inaccettabile per gli dei e per il destino che dominava quel mondo.
Aveva fatto salva la vita, ma, al suo ritorno, il re Arthemir lo esiliò da Gondor e da tutte le terre degli uomini. Il resto della sua vita sarebbe stato soltanto il lungo vagare di un folle, che era stato vicinissimo a risolvere uno degli enigmi più intriganti della storia del suo mondo.

 
   
 
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