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Autore: Nao Yoshikawa    19/07/2019    8 recensioni
Soulmates!AU
39 - Destinati a incontrarsi e a interagire solo nei sogni.
«Ho i dubbi che avrebbe chiunque. Ho baciato le tue labbra, ti ho abbracciato e ti ho amato senza mai vederti realmente. Non mi pesa. Tuttavia, a volte ci penso. Non potremo fare molte cose. Non potremo mai sposarci o avere una famiglia nostra. O anche solo vivere insieme. Perché il destino di chi ha un’anima gemella è così, triste e crudele. Ricordo che inizialmente non capivo. Eri sparito, ma pensavo che ti avrei incontrato presto. Ed effettivamente ciò avvenne, ma non nel modo in cui avevo pensato. Lo ammetto, un po’ ci odiai entrambi, perché se non ci fossimo conosciuti, adesso non staremmo così. A vivere la felicità, ma una felicità incompleta.»
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gin Ichimaru, Rangiku Matsumoto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Argento
 
Rangiku ricordava ancora quando lo aveva conosciuto.
Erano entrambi bambini, non più di dieci anni ciascuno. Gin era arrivato per difenderla dagli insopportabili bulli che ogni giorno si divertivano a tormentarla. Nonostante fosse esile e all’apparenza debole, li aveva mandati via, ma non senza pagarne le conseguenze. La pelle attorno all’occhio destro infatti si era rapidamente colorata di viola a causa del colpo ricevuto, ma quel bambino pareva non averci neanche fatto caso, troppo occupato a consolare lei.
Lei che non piangeva facilmente, ma in quel caso trattenersi era stato impossibile. Si era spaventata e si era sentita frustrata ed inutile, nel suo non potersi proteggere da sola. E ora piangeva, con le ginocchia scorticate.
«Su, non devi piangere. Li ho mandati via io, hai visto? Ora non ti faranno più del male, stai tranquilla.»
Aprendo gli occhi, Rangiku poté vederlo meglio. Erano d’argento i suoi capelli e sottili i suoi occhi, ma poté intravederne l’iride azzurra. Sembrava gentile e sorrideva, le tendeva la mano, nonostante il dolore che avrebbe dovuto provare a causa del pugno.
Tirò su col naso, avvicinando lentamente la mano alla sua.
«Grazie. Ma quelli… hanno fatto male anche a te?»
«Non è niente. E poi non potevo starmene a guardare. Come ti chiami?»
Adesso Rangiku non piangeva più. Certo, aveva ancora gli occhi ricolmi di lacrime, ma il peggio era passato.
«Sono Rangiku. E tu invece?»
«Sono Gin. Allora, Rangiku, la prossima volta che qualcuno prova a farti del male, chiamami. Così non dovrai più piangere.»
Arrossì a quelle parole. E sorrise di gioia. Quel bambino sembrava speciale e in verità lo era più di quanto immaginasse.
«Grazie.»
In realtà Gin non fu mai in grado di mantenere quella promessa, ma il motivo Rangiku ebbe modo di scoprirlo in seguito.
Da allora erano passati quindici anni anni.
 
«E così, alla fine è successo anche a me», Rukia sospirò malinconica, con lo sguardo incollato a terra. «Non contavo di incontrare la mia anima gemella, pensavo non facesse per me.»
Hinamori Momo, amica sua e di Rangiku, particolarmente passionale su certi argomenti, la rimbeccò immediatamente.
«Ma l’amore è una cosa bellissima. Certo… è un po’ strano, ma ha una certa poeticità. E poi, tu e Ichigo vi siete già incontrati, no?»
«Una sola volta. La prima volta in cui ci siamo conosciuti. Da allora, l’unico modo che abbiamo per stare insieme è durante la notte, nel sonno. È un destino un po’ crudele. Lui esiste ed esisto anche io, ma ciò che costruiamo è reale?»
Nel dire ciò si era rivolta a Rangiku, la quale l’aveva ascoltata con attenzione senza tuttavia guardarla. Solo adesso le aveva rivolto un sorriso e uno sguardo incoraggianti.
«Io credo che lo sia. Nessuno meglio di me può capire come ti senti. Lo so che è strano, ma non per forza deve avere una connotazione negativa. Può essere… solo un modo diverso di vivere le cose.»
«Ah, Matsumoto è sempre così saggia», fece Hinamori con gli occhi sognanti. «Lo so, lo so, concettualmente è un po’ triste, ma che sia in questa realtà o in un’altra, che importanza ha? Se quello che tu e Ichigo sentite l’uno per l’altra è reale, non vedo dove stia il problema!»
Rangiku sorrise senza parlare ulteriormente. Per alcuni trovare l’anima gemella poteva essere una maledizione, per altri una benedizione, stava alla persona stessa decidere. Rukia adesso sembrava di umore leggermente migliore. Non poteva biasimarla, anche lei aveva avuto i suoi dubbi, oramai anni prima, ma alla fine aveva trovato il suo equilibrio. Se quello era un destino da cui non si poteva sfuggire, tanto valeva farsene una ragione. E anche questo, non per forza doveva avere una connotazione negativa.
Le tre ragazze, tutte e tre universitarie, si erano trattenute a lungo in quel locale, a parlare e a straparlare, con Momo che discuteva su quanto sarebbe stato bello per lei poter incontrare la sua anima gemella. Alla fine l’atmosfera si era di molto alleggerita, e per quanto Rangiku si divertisse, per quanto la sua vita le piacesse, c’era un momento che ogni qualvolta aspettava con ansia: quello dell’andare a dormire e sognare, perché era in quei momenti che poteva rivederlo.
Tornò a casa più tardi di quanto avrebbe voluto, ma poiché Momo non reggeva bene l’alcol, lei e Rukia erano state costrette a fare una deviazione per accompagnarla.
Giunta nel suo solitario e ordinato appartamento, si cambiò e si lasciò cadere sul divano. Era talmente stanca che probabilmente si sarebbe addormentata di lì a poco.
Aspettami. Arrivo.
Lentamente le sue palpebre si chiusero e, senza che neanche se ne accorgesse, scivolò dalla veglia al sonno.
Quello che si ritrovò davanti, poco dopo, era il suo mondo perfetto. La cosa bella dei sogni era il poter cambiare le cose a suo piacimento, non esistevano regole. Nel suo sogno era perennemente primavera, amava gli alberi in fiore, ne amava il profumo e amava la sensazione del sole sulla pelle. Un fiumiciattolo argenteo attraversava il verde e sopra esso c’era un piccolo ponte in legno. Il posto dove puntualmente lei e Gin si incontravano. E difatti, lui era lì. Arrivava sempre per primo.
«Rangiku, ce ne hai messo di tempo. Dormo già da un pezzo», la salutò, sulle labbra quel perenne sorriso ironico
«Perdonami, ma ero fuori. Rukia e Momo mi hanno trattenuta più di quanto pensassi. Ah, e Rukia ha trovato la sua anima gemella. Voleva un consiglio.»
Gin sorrise maggiormente e allora allungò una mano nella sua direzione, invitandola ad avvicinarsi ancora.
«L’incontro con la propria anima gemella può essere una benedizione, quanto una maledizione. Non trovi?»
Rangiku non rispose, poiché Gin aveva l’abitudine di domandarglielo in continuazione. Aveva potuto vedere il suo cambiamento nel corso degli anni, vedendolo trasformarsi da bambino gentile a uomo molto spesso ambiguo e difficile da comprendere.
Erano ancora lì, dopo quindici anni, nel loro mondo che si erano costruiti poco a poco, notte dopo notte, dove si erano scambiati il loro primo bacio, dove avevano costruito i loro ricordi, ricordi che erano reali, nonostante tutto.
Aveva poggiato la testa sulla sua spalla e se ne stava con gli occhi socchiusi a pensare. Molto spesso si era ritrovata a riflettere su quanto crudele fosse la vita di due anime gemelle unite da quello strano legame.
Gin parve scorgere il suo turbamento senza neanche guardarla.
«A che pensi?»
«Stavo pensando alla prima e anche ultima volta in cui ci siamo incontrati», mentì. «Quel giorno mi salvasti dalle prepotenze dei miei compagni di scuola. Ai miei occhi eri un eroe. Anche se non hai mantenuto la tua promessa.»
«Oh, cerchi di farmi sentire in colpa? Il giorno dopo mi sono trasferito, ma anche se avessi provato a raggiungerti, non avrei potuto. Qualcosa si sarebbe frapposto tra noi.»
Il triste destino di due anime gemelle era anche questo: il cercare di incontrarsi senza mai riuscirci. Perché se ci avessero provato, il destino li avrebbe sempre tenuti lontani. Perché sì, ci avevano provato anche loro, prima di rassegnarsi.
«Beh, non avresti dovuto promettere comunque. Ai tempi non potevamo sapere che saremmo stati legati in questo modo. Eravamo solo due bambini…» mormorò. Il cielo azzurro sopra le loro teste adesso si stava tingendo di grigio, come se fosse in procinto di piovere.
«Qualcosa mi dice che sei turbata, Rangiku.»
 
È un destino un po’ crudele. Lui esiste ed esisto anche io, ma ciò che costruiamo è reale?
 
Le vennero alla mente le parole di Rukia e ciò la fece irrigidire.
Non voleva rompere l’idillio, per anni aveva creduto – e continuava a credere – che lei, lui, loro, fossero reali.
Ma quando tutto appariva così fittizio e fragile, avere dubbi era forse normale.
«Gin, tu esisti davvero? O sei solo una proiezione della mia mente? Dopotutto ti ho incontrato una volta sola. Potresti anche essere… morto. E io comunque non lo saprei.»
Sapeva che Gin non si sarebbe né arrabbiato né infastidito. Non era proprio da lui. Difatti, dopo qualche secondo di silenzio, le rispose.
«Oh, io sono vivo. E penso lo sarò ancora per molto tempo. Hai dubbi?»
Rangiku sollevò lo sguardo e lo osservò. Come si poteva proteggere qualcosa di così effimero e al contempo reale?
«Ho i dubbi che avrebbe chiunque. Ho baciato le tue labbra, ti ho abbracciato e ti ho amato senza mai vederti realmente. Non mi pesa. Tuttavia, a volte ci penso. Non potremo fare molte cose. Non potremo mai sposarci o avere una famiglia nostra. O anche solo vivere insieme. Perché il destino di chi ha un’anima gemella è così, triste e crudele. Ricordo che inizialmente non capivo. Eri sparito, ma pensavo che ti avrei incontrato presto. Ed effettivamente ciò avvenne, ma non nel modo in cui avevo pensato. Lo ammetto, un po’ ci odiai entrambi, perché se non ci fossimo conosciuti, adesso non staremmo così. A vivere la felicità, ma una felicità incompleta.»
A quel suo sfogo erano seguite lacrime sommesse. Gin udì un tuono, la conseguenza delle sofferenze della sua amata. Portò una mano tra i capelli di Rangiku, accarezzandoli.
«Così rischi di far piovere. Anni fa ti dissi che avrei fatto qualcosa per non farti più piangere. Non ho potuto. Ma adesso sono qui e sono reale, quindi ti prego, ferma le tue lacrime. Non annegare nella pioggia.»
La mano era scesa ora teneramente sulla sua guancia umida e Rangiku sentì il cuore stringersi. Lo abbracciò, avvertendo calore e vita e dicendosi che nessuna illusione poteva essere così realistica.
«Allora, Rangiku, che pensi? Che sia una maledizione, la nostra?»
Sollevò lentamente lo sguardo verso la sua direzione. Se non lo avesse conosciuto, forse non avrebbe neanche conosciuto la sofferenza. Ma neanche la felicità. Perché da quando lo aveva incontrato, aveva imparato a non piangere più, davanti le prepotenze del mondo. E forse non esisteva felicità senza sofferenza, specie nel loro caso. Anche se non lo avesse voluto, anche se fosse scappata, si sarebbero sempre ritrovati, perché dal destino e dai legami già stabiliti, non si poteva fuggire.
Strizzò gli occhi e si sollevò leggermente per baciarlo. Anche quello era reale, oh, lo era tutto, tutto. L’aveva detto lei a Rukia: “Sarà strano, ma non è sbagliato, è solo un altro modo di viverlo”.
E per quanto triste e ingiusto fosse, non ci avrebbe rinunciato per tutto l’oro del mondo.
Il cielo sopra le loro teste, ora era di nuovo azzurro e il sole la riscaldava.
Rangiku si staccò lentamente, col fiato corto.
«Gin…»
Quest’ultimo accarezzò con le dita il dorso della sua mano, facendola fremere ancora una volta.
«Non c’è bisogno che tu dica altro. Tutti hanno dei dubbi, a volte. Se possiamo incontrarci in questo modo è perché le nostre anime devono essere una cosa sola. Pertanto non c’è bisogno che tu parli. Ascolterò il suo silenzio e saprò capirlo. Adesso vieni. La notte è ancora lunga.»
Il suo tono adesso non era più sarcastico, solo rassicurante. Rangiku si aggrappò al suo braccio e vi rimase, pensando che crearsi problemi fosse inutile, perché oramai non avrebbe più potuto vivere senza l’argento negli occhi e sulle labbra. E che se il prezzo da pagare era la sofferenza, il vivere tutto come un bellissimo sogno, lo avrebbe fatto, perché loro ne valevano la pena.
Sarebbe finita la notte e un nuovo giorno sarebbe arrivato. E si sarebbero ritrovati sempre, nonostante tutto.
 
Nota dell’autrice
Ormai anche i muri sanno che la Gin/Rangiku è la mia OTP indiscussa di Bleach. E vorrei scrivere di più su di loro, ma io lo chiamo il “complesso dell’otp”, ovvero quando tieni talmente tanto ad una coppia che hai paura di rovinarla. Ma quando ho letto questo prompt mi sono subito venuti in mente proprio loro. Potersi incontrare e interagire solo nei sogni. Ho immaginato che per le anime gemelle fosse impossibile incontrarsi nella realtà, perché ci sarebbe sempre stato qualcosa ad impedirlo. E come sempre mi sono scelta un prompt poco triste e malinconico, ma certe cose mi vengono fin troppo naturali. Spero che questa one shot sia stata di vostro gradimento.
 
 
 
   
 
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