Felici e contenti
La
sala è affollata, calda e radiosa sotto i candelabri in
vetro, come
ci si aspetterebbe da un matrimonio. Mentre i soldati ridono
sguaiatamente vicino al buffet – l’alcol genera un
fascino che
Rein ammette di non comprendere – le dame volteggiano intorno
a
Fine come api in un prato fiorito e sì, sua sorella brilla
come il
sole. Forse è l’abito bianco, i capelli ribelli
insolitamente
raccolti in una crocchia bassa, o il bouquet di girasoli che
lancerà
a momenti. È stata Rein a confezionarlo, sapeva quanto Fine
ci
tenesse; dopotutto è stata lei a chiederle di farle da
damigella
d’onore, quindi come non acconsentire al candido e felice
entusiasmo di una novella sposa, della sua amata gemella?
La
torta entra in scena in tutta la sua magnificenza tra gli applausi
degli ospiti. Rein stringe il bicchiere tra le mani: fra poco
è il
suo momento. Ormai il discorso non rappresenta più un
problema, l’ha
ripetuto così tante volte da poterlo recitare anche nel
sonno; e,
davvero, non vede l’ora di dedicarlo agli sposi. Dunque
spalle
dritte, un sorriso in volto – e Rein emerge dalla folla con
la
sicurezza che tutti si aspettano dall’abbagliante primogenita.
All’improvviso
il calice diventa l’ultimo appiglio prima delle vertigini. Se
durante la cerimonia le sue lacrime potevano confondersi per gioia
pura e felicità di seconda mano, ora rischiano di tradire
quello che
è solo lo sciocco rimpianto di un amore fraterno.
Perché Shade è
così bello nella sua uniforme blu, che contrasta con il
bianco
etereo e innocente di Fine, e dal modo in cui la guarda non
è
difficile capire che quel sentimento è altresì
ricambiato.
Quell’ardore provato fin dal primo momento brucia ancora tra
le
ceneri, ma Rein nasconde una lacrima e solleva comunque il bicchiere.
«Un
brindisi allo sposo» è la prima dedica che le
sfugge dalle labbra,
ma nessuno intorno a lei nota il tremolio del vino nel calice. I
soldati fanno di quell’invito una eco gagliarda che dopo
qualche
istante sfuma nella sala; risuona solo il tintinnio cristallino di un
giuramento inviolabile. Rein lancia uno sguardo fugace a Shade,
sorridendo a labbra strette quando il baluginio dei suoi occhi scuri,
che l’ha gettata nell’abisso senza fine, sparisce.
È
così che stanno le cose, dopotutto.
«Alla
sposa!» esclama subito dopo, riservando a Fine una nota
più alta
delle altre che le dame subito si affrettano a imitare. La presenza
di quell’eco è rassicurante, vibra e le
dà forza. «Dalla tua
cara sorella», continua, «che rimarrà
sempre al tuo fianco. Alla
vostra unione – alla rivoluzione!»
I
soldati fischiano, gioiscono all’accenno patriottico e il
braccio
di Shade si stringe appena attorno alla vita sottile di Fine. Sorride
ma non la guarda. Rein fa altrettanto, rivolgendosi alla folla.
«Un
brindisi agli sposi» conclude abbassando il bicchiere. Una
lacrima
fugge lungo lo zigomo, morendo tra le dita tremanti. Alla vista sua
sorella corre ad abbracciarla, e Rein non la merita non la merita non
la merita. Ma Fine ride di gioia, ride della gioia che crede lei stia
provando e non ha tutti i torti. Le lettere, il rossore sulle guance
della gemella, le alzatacce fino a tardi con il cuore in gola per
quelle risposte tardive e persino il fidanzamento – Rein ne
è
lieta, sì, in fin dei conti sua sorella non merita che il
meglio. E
Shade è il meglio.
Ma
se solo sapesse…
Questa
volta è lei a stringere Fine. Sarà dura separarsi
da sua sorella,
le mancherà tutto della parte di sé con la quale
ha spartito il
grembo materno e tutto quel che ne è seguito. I suoi
sentimenti sono
però irrilevanti, un’erbaccia che avrebbe dovuto
sradicare sin dal
primo germoglio. Dunque «Possiate sempre, sempre»,
e adesso è la
fine; è la fine davvero, «vivere felici e
contenti!» esclama per
l’ultima volta.
La
folla è in giubilo, sua sorella sorride, ed è
tutto quel che conta.
❀
Ha
resistito per tutto il taglio della torta, è stata brava. Ha
persino
partecipato al lancio del bouquet, atterrato tra le mani di una
graziosa damigella dai capelli dorati (non che Rein si sia realmente
prodigata a conquistarlo, a dire il vero). Quando le chiedono dove
stia andando, slittando in silenzio verso l’uscita, la
sorridente
risposta è un semplice «Oh, mi assento un attimo
per rinfrescarmi».
Nessuno
si insospettisce, anzi, a quanto pare il discorso della sorella della
sposa ha commosso anche gli animi più festaioli. Rein
abbandona la
sala con le gonne tra le mani, scarpetta veloce sul tappeto
scarlatto, e il vantaggio di organizzare un ricevimento nuziale nella
propria casa è che solo i suoi abitanti saranno a conoscenza
degli
anfratti più segreti dove potersi nascondere indisturbati.
Rein
raggiunge il corridoio del primo piano, scosta un pesante drappeggio
dal suo posto vicino alla finestra e spinge con delicatezza una delle
assi che ne formano il contorno. Quella adiacente si piega sotto la
forza gentile di lei, rivelando uno stanzino originariamente
progettato per qualcosa che Rein ancora ignora. Per fortuna
è
abbastanza ampio per ospitare anche l’abito che indossa,
quindi vi
ci entra senza problemi e, sistemata la tenda, socchiude le due
tavole che le hanno permesso l’ingresso. Un singolo spiraglio
di
luce le attraversa il viso e Rein si appoggia alla parete murata,
lasciando sfogo a quelle lacrime a lungo trattenute.
Così,
con il lume delle candele distorto dalla tristezza, è facile
perdersi in ricordi che rigirano il coltello in quell’organo
rumoroso e scomodo che è il cuore. Ricorda quella notte come
se la
stesse ancora vivendo, ricorda le risate e i soldati e la musica. E
naturalmente, Shade.
Quando
si nasce in una famiglia abbiente è difficile non attirare
le lodi
di arrampicatori sociali e falsi amici. Di pericoli come questi Fine
e Rein erano sempre state consapevoli, merito di
un’educazione
raffinata e una buona dose di “avventure”. Ma
quella sera era
diverso. Con la rivoluzione alle porte era raro concedersi il piacere
di un ballo, specie durante la fredda stagione invernale; eppure
nessun divieto era arrivato dai loro genitori, solo la
raccomandazione di comportarsi come signorine a modo e fare ritorno
per mezzanotte. Era un’occasione che avrebbe visto la
partecipazione della crème de la crème della
società americana:
forse era quello il vero motivo dietro l’insolita
tranquillità
genitoriale. Persone raccomandabili, del loro stesso ceto.
Più
qualche soldato.
Come
si scoprì a porte spalancate nella festosa sala da ballo, le
truppe
stazionate nei paraggi non se l’erano fatto ripetere due
volte. I
soldati contavano quasi il doppio dell’aristocrazia locale,
suscitando la gelosia di fidanzati e il divertimento di vecchie dame
civettuole. Rein, lasciata Fine in compagnia di un’amica
comune e
altrettanto poco avvezza agli eventi sociali, si era subito gettata
nelle danze. Sapeva di non ballare in modo eccelso, ma quel che
mancava in tecnica compensava in simpatia ed entusiasmo. Il suo amore
per quel tipo di eventi era più che evidente, la faceva
quasi
risplendere nella sala riccamente addobbata.
Ballò
per più di mezz’ora con soldati e nobiluomini,
ininterrottamente,
prima di concedersi un po’ di frescura in un angolo
tranquillo del
salone. Tra una giravolta e l’altra aveva avvistato Fine
passeggiare con aria sognante; insolito da parte sua, magari aveva
notato qualche bel giovane? Se sì, sperava che la mettesse
al
corrente di chi fosse. Rein non avrebbe esitato a farle fare il primo
passo...
Un
lieve colpo di tosse alle sue spalle la spinse a voltarsi,
ritrovandosi dinanzi l’ennesima uniforme blu. Il soldato
sorrideva,
ma più che il docile incurvar di labbra di lascivi
complimenti, il
suo sembrava un sogghigno di sagacia trattenuta; e gli occhi,
profondi e affilati, la scrutavano con malcelato interesse.
«Perdonate
l’interruzione» si scusò chinando il
capo, la mano posata sul
petto in una riverenza accennata, «ma non ho potuto non
notare come
l’intera sala si fermi a osservarvi danzare».
Rein
notò la malizia nelle sue parole, era abbastanza ferrata nel
riconoscere la vera natura di una persona – dote che, in quel
mondo, non poteva che tornare molto utile in occasioni simili.
Perciò
inarcò un sopracciglio, intrecciando le mani sul corpetto
azzurro in
una posa contemplativa.
«Non
siete sincero» replicò con visibile diffidenza,
attendendo la sua
prossima mossa.
Il
soldato sembrò compiacersi di quell’osservazione.
«In effetti i
vostri passi sono così particolari da aver attirato la mia
attenzione» confessò scrollando le spalle,
«E ora non sembrate
affatto soddisfatta della mia risposta».
Rein
percepì le proprie gote arrossarsi dal fastidio.
Sistemò la
postura, sollevando il mento per lanciargli un’occhiata
dignitosamente distaccata. «Non ritengo sia
un’esperienza
spiacevole quella di intrattenere chi mi circonda. In questo modo
potrò dire di godere del loro divertimento,
anziché di una ragione
per averli in antipatia».
Il
soldato l’osservò per un attimo, senza parole. Poi
sorrise, questa
volta di quella che Rein riconobbe come ammirazione. Non ci mise
molto ad arrossire sotto quello sguardo colpito; dunque gli porse la
mano per distrarlo dal qualsivoglia commento che glielo facesse
notare. Lui la seguì, ed eseguì un perfetto
baciamano.
«Rein
Barker».
«Capitano
Shade Marshall, al vostro servizio».
L’ufficiale
le si affiancò con le mani incrociate dietro la schiena.
L’orchestra
si fermò per una breve pausa, il tempo di sistemare archetti
e
spartiti prima di riaprire il via alle danze con una ballata lenta e
rilassante che permettesse a chi si trovava in pista di riprendere il
fiato.
«Mi
concedereste l’onore?»
Rein
volse il capo verso il giovane, non capendo se stesse o meno
scherzando. «Mi pareva d’aver inteso che i miei
passi fossero
troppo inusuali per voi» ritorse con una
perplessità che tentò di
nascondere.
Si
voltò anche lui, un momento dopo, fissando i suoi occhi in
quelli di
lei. «Non vorrei di certo perdere l’occasione di
essere
intrattenuto da voi, signorina».
Al
che le porse la mano e Rein la prese, senza esitare, lanciandogli
un’occhiata carica di determinazione. «Allora
stupitemi,
capitano».
Ballarono
quella danza, poi un’altra, e la successiva. Shade Marshall
possedeva un indiscutibile talento nel muoversi con grazia e
fermezza, sì impeccabile nelle movenze che Rein
poté sentirsi a sua
volta migliorata nella tecnica e rinvigorita nella passione che lui
sembrava infonderle a ogni passo. Purtroppo, a un certo punto,
dovettero fermarsi. L’ufficiale era stato richiamato da un
compagno
che sembrava urgere nel conferire con lui. Con un cenno del capo,
Rein lo congedò.
Non
dopo un secondo baciamano, ove le iridi scure di lui non si erano
permesse di abbandonare quelle di lei. Rein si sentiva ancora
bruciare per via di quello sguardo così intenso e magnetico.
Il
capitano scomparve nella folla, la schiena ampia e fasciata
nell’uniforme blu l’unico dettaglio a perdersi tra
quelle degli
altri soldati. Improvvisamente stanca, Rein prelevò un
bicchiere
dalla tavolata vicina e scelse una comoda poltroncina rossa ove
potersi sedere per riprendersi un attimo. In silenzio osservava il
flusso di invitati volteggiare davanti ai suoi occhi, nella speranza
– come si accorse, con sua somma sorpresa e imbarazzata
indignazione – di intravedere il capitano che le aveva fatto
battere il cuore. Non poteva di certo trattarsi di amore, si disse
con poca convinzione. Non sapeva nulla di lui: mentre danzavano gli
aveva chiesto della sua famiglia, argomento che aveva evitato; la
permanenza nell’esercito non lo esaltava particolarmente, ma
era
pur contento di servire una causa nobile come la libertà del
popolo
americano; non cercava moglie, ma l’ardore con la quale
l’aveva
guardata per tutto il tempo tradiva il suo interesse nei suoi
confronti.
Una
mano le si posò sulla spalla, lieve e gentile e un tantino
agitata.
Fine sembrava rasserenata nell’averla trovata, finalmente in
compagnia dopo aver lasciato la loro amica alle cure di un amabile
cavaliere. In quel momento, come l’informò Fine
scrutando un punto
imprecisato del salone, la stava conducendo in un grazioso minuetto.
A quel punto Rein invitò la sorella ad accomodarsi sulla
poltroncina
vicina alla sua, notando con piacere lo spiccato rossore sulle gote
di lei.
«Allora,
di chi si tratta?» domandò con aria complice.
Fine
la fissò sopresa, presa in contropiede.
«Chi?» balbettò.
«La
persona che ha rubato il tuo cuore» rise la maggiore,
prendendo
l’altra sottobraccio nel lanciarle un occhiolino.
«È abbastanza
ovvio, sai».
L’altra
giocherellò con le mani, imbarazzata, e seguì lo
sguardo della
sorella sulla folla. Quando tra gli altri apparve il volto che
l’aveva colpita, Fine le strinse forte la mano. Tanta era
l’emozione che Rein inizialmente non capì di chi
stesse parlando;
fu solo quando Fine le indicò con precisione il soldato
interessato
che Rein comprese il vero significato di infelicità.
Osservò il
viso della gemella, radioso della meravigliosa luce
dell’amore,
percepì le sue mani tremare tra le proprie e
immaginò i suoi
pensieri fantasticare su quel giovane ufficiale dall’aria
scostante
e misteriosa.
Shade.
Rein
ricambiò la stretta della sorella. Cercava di farsi forza
per i
passi che avrebbe dovuto compiere, per il coraggio che doveva
racimolare. Si alzò. Fine sembrava intenzionata a scrutarlo
da
lontano e Rein manteneva sempre le sue promesse; per questo
ignorò
il timore nella voce della sorella, ignorò il suo cuore che
le
pregava di fermarsi, dannazione, ignorò con un sorriso dame
e
cavalieri sul suo cammino e gli si avvicinò, sfiorandogli
appena il
braccio con un tocco esitante. Shade si voltò, scrutandola
con
evidente sorpresa. Rein pensò di prenderlo per mano e
fuggire via,
rintanarsi in un angolo della sala lontano dagli occhi della sua
amata gemella e fermare ancora una volta il tempo, tra le sue
braccia. Ma scacciò il pensiero. Prevalse l’amore,
quello vero, e
sorrise.
«Perdonate
l’interruzione» si scusò con i due
soldati, rivolgendosi perlopiù
allo sconosciuto interlocutore. «Mi permettete di cedermi un
momento
della vostra attenzione, capitano Marshall?»
Lui
annuì quindi, congedato il terzo incomodo, Rein lo prese
sottobraccio e fece per condurlo ove Fine ancora l’aspettava
–
lanciando loro fugaci occhiate agitate.
Shade
chinò il capo vicino all’orecchio di lei.
«Dove mi state
portando?» sussurrò.
Rein
non batté ciglio, anzi gli riservò
l’inamovibile sguardo di chi
la sa lunga. «Sto per rivoluzionare la vostra vita».
Il
capitano inarcò un sopracciglio, piacevolmente incuriosito
da quel
gioco di parole. «Allora stupitemi».
Dunque
attraversarono la sala verso Fine.
Non
c’era motivo per sentirsi così afflitta. Nel
profondo Rein sapeva
che quell’innamoramento sarebbe durato poco: era giovane, di
buona
famiglia, una signorina a modo che non avrebbe esitato a trovare un
buon partito che potesse permetterle di portare il giusto benessere
alla sua casata. Non c’erano figli maschi che potessero farlo
per
lei, era suo dovere in quanto sorella maggiore; e Shade era un
capitano in una guerra più grande di lui. Comunque sarebbe
finita
Rein sapeva che New York non aveva pietà per le tragedie
altrui, ma
ancora meno ne serbava per qualsiasi notizia potesse essere fonte di
pettegolezzi. In fondo, cosa c’era di meglio di un soldato
squattrinato che sfruttava l’ennesima damigella perbene per
farsi
strada in società? Era la solita vecchia storia.
Poi
c’era sua sorella. Rein l’amava più di
se stessa, più della sua
reputazione, più di qualsiasi cosa esistesse in quel momento
sulla
terra. Anche più della rivoluzione. E Fine meritava di
essere
felice, meritava di sorridere a fianco di un brav’uomo che
amasse
con tutto il suo essere. Rein non poteva essere sicura che Shade
avrebbe ricambiato il suo interesse, certo. Eppure sperava che sua
sorella potesse godere dell’infinita felicità che
gli innamorati
provano alla scoperta dell’amore. In cuor suo, Rein pregava
che la
trepidazione di lei venisse appieno ricompensata.
Quando
la raggiunsero Fine sorrideva con timidezza, lei ch’era
così poco
avvezza alla mondanità tanto apprezzata dalla gemella. Rein
le
presentò Shade, sciogliendo l’intreccio delle loro
braccia mentre
la sorella si prodigava in un rispettoso inchino.
«Fine
Barker. È un piacere conoscervi».
Il
capitano scrutò Rein con aria interrogativa.
«Barker?»
Lei
sorrise compiaciuta. «Mia sorella»,
spiegò prima di congedarsi e
sparire tra la folla.
Non
voleva vedere, non voleva vederli. Meritavano di essere lasciati
soli, sì, ma la sua codardia non era da confondersi con
spiccato
altruismo. A ballo finito, sulla via di ritorno verso casa, Fine le
avrebbe raccontato tutto. O non lo avrebbe fatto, nel peggiore dei
casi, e Rein avrebbe capito. Allora forse, in quel caso, avrebbe
potuto riconsiderare. E osare un pochino di più.
Non
lo avrebbe mai ammesso – ma quel pensiero le donava speranza,
anche
se sbocciata da un cuore spezzato.
❀
La
conclusione, a sei mesi di distanza da quell’inverno,
è ormai
chiara a tutti. Anche dal suo nascondiglio Rein può udire
gli echi
della festa al piano sottostante, celebrazione alla quale la
damigella d’onore non può poi assentarsi
più di tanto.
Piange
qualche ultima lacrima, poi prende un respiro profondo.
Fine
è felice. Shade è felice. I loro genitori sono
felici. Deve esserlo
anche lei, dunque, anche se per finta, anche se solo per quel giorno.
Accertandosi
che nessuno si trovi nei paraggi, Rein esce dallo stanzino. Alla
finestra si specchia e poi sistema il vestito, non facendo caso agli
occhi arrossati campeggiare un po’ gonfi sul viso pallido. Il
trucco è a posto almeno, quindi si decide a ridiscendere.
Ogni
passo è una tortura, ogni brindisi lanciato dagli altri
invitati un
amaro ricordo di ciò alla quale ha dovuto rinunciare. Eppure
il
sorriso di Fine è così raggiante quando fa il suo
rientro nella
sala, che Rein quasi si convince di poter convivere per il resto dei
suoi giorni con il rimpianto di un amore perduto. Anche Shade la
guarda, le fa un cenno del capo al quale lei risponde con un inchino.
In
fondo lo spera, ci spera davvero.
Che possa un giorno anche lei, come
sua sorella, vivere per sempre felice e contenta.
→ Angolo
delle Ciliegie.
Cosa
posso dire, quest'idea mi tormentava ormai da un po' e solo con il
termine della sessione estiva ho potuto finalmente metterla per
iscritto. Non so quanti di voi abbiano avuto la possibilità
di
vedere Hamilton o ascoltarne il soundtrack (che si
trova senza
difficoltà su youtube), ma se non lo avete ancora fatto...
merita
tantissimo. Tutto è iniziato con il suggerimento di un'amica
ed
eccomi qua, sì o no tre mesi dopo averlo visto, diventata
esperta di
storia americana grazie a due ore e mezza di musiche e danze
mozzafiato. Per qualcuno come me, che non ha ancora visto High
School Musical o Mary Poppins,
è un perfetto battesimo
del fuoco! Hamilton,
come avrete intuito, parla della rivoluzione americana e in
particolare di uno dei suoi padri fondatori, Alexander Hamilton
appunto, che sebbene non ottenne mai il titolo di presidente ha il
merito di aver creato da solo il sistema finanziario statunitense. Io
non riesco neanche a prendere appunti in modo coerente, figuriamoci!
A
ispirare questa versione di Fine e Rein sono rispettivamente le
sorelle Elizabeth e Angelica Schuyler, la prima presa in moglie da
Ham. e la seconda (almeno nel musical) fattasi da parte per adempiere
al suo ruolo di figlia maggiore, sposando un uomo ricco sebbene
rimanga per tutta la vita innamorata del cognato. La Storia, quella
vera, è giust'appunto differente da come viene raccontata;
tuttavia
le similitudini sono tante... la timidezza di Fine & Eliza, il
loro essere un po' maschiaccio e infinitamente gentili, la
determinazione e la sagacia di Rein & Angelica.
Se
qualcuno avesse già visto Hamilton, o
qualche sua versione
animata, avrà notato come il brano in certi punti ricalchi
quello
che succede nel musical originale. Non prendetela come una
"copiatura": mi sono ispirata alla canzone Satisfied
per la stesura del brano, che vuole essere una sorta di riadattamento
e omaggio alla complessità del personaggio di Angelica. A
modo mio,
naturalmente.
In
conclusione, due cose: 1. probabilmente
tornerò presto a
scrivere in questa sezione alla quale faccio sempre ritorno e 2.
se
vi ho incuriosita, andate a cercare Hamilton su
youtube – è
un capolavoro! Work
– alla
prossima!
❀ daniverse