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Autore: Ghostclimber    26/07/2019    3 recensioni
Hanamichi è strano, molto strano.
Tutta la squadra è in ansia per lui, ma forse la soluzione è dietro l'angolo.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Solo una domanda occupava i pensieri dei membri della squadra dello Shohoku, quel pomeriggio.

“Ma cosa gli prende?”

 

Sakuragi si trascinò stancamente verso la panchina e prese un sorso d'acqua. Ayako notò con terrore che i suoi occhi sembravano vuoti, spenti, come se qualcuno avesse tolto tutta la vita che scorreva nelle sue vene e l'avesse gettata via.

Saltava, correva, segnava; in realtà, stava giocando molto bene, ma il suo gioco era privo di quel brio, di quell'entusiasmo che l'aveva sempre contraddistinto e che poteva contagiare la squadra in pochi secondi.

-Hanamichi, stai bene?- si azzardò a chiedere.

-Certo, sto alla grande, sono il Genio del Basket, no?- rispose lui senza guardarla, senza mettersi nella sua posa strafottente, con un tono di voce piatto e autoironico. -Genio dei miei coglioni.- lo sentì bofonchiare Ayako. La borraccia fu sbattuta di malagrazia sul pavimento e Sakuragi si allontanò, chino su se stesso e con un'espressione indecifrabile in volto.

“Ma cosa gli prende?” si chiese Ayako.

 

-Passa, Hanamichi!- urlò Miyagi durante la partita di allenamento. Si aspettava una serie di sproloqui, un “il Tensai può andare a canestro anche da solo” o qualcosa del genere, invece Sakuragi gli passò la palla senza emettere un fiato.

Avvertendo l'incedere di una strisciante preoccupazione, Miyagi palleggiò sovrappensiero per qualche metro; notando sotto canestro di essere bloccato, mentre invece Sakuragi era libero, gli ripassò la palla. Sorrise, in attesa di quell'espressione di gioia luminosa che all'amico sbocciava sempre in viso quando un compagno si fidava di lui, invece i suoi tratti rimasero immoti.

“Ma cosa gli prende?” si chiese Miyagi.

 

Sakuragi scese a canestro, e stava per tirare dalla linea dei tre punti quando Rukawa gli si parò davanti e deviò la traiettoria della palla, facendogli mancare il canestro di almeno un metro.

Rukawa storse la bocca impercettibilmente: adesso gli sarebbe toccato sentire una marea di insulti sconnessi, che facevano tanto più male quanto sembravano non già una critica costruttiva, ma una pura e semplice espressione di odio profondo.

Posò i piedi sul pavimento con grazia e guardò Sakuragi con aria di sfida, quasi a incitarlo ad attaccare con gli insulti: l'unica sua difesa, fingersi irato con lui e sostenere la pantomima di un odio ricambiato. L'ennesimo brandello di cuore gli si gelò nel petto, poi Sakuragi alzò gli occhi.

Fissandolo con rassegnazione, disse a voce bassissima: -È inutile. Non sarò mai alla tua altezza.

-Come, scusa?- non poté evitare di domandare Rukawa.

-Hai sentito bene.- rispose Sakuragi, poi si allontanò con le braccia infilate nei calzoncini. Rukawa avrebbe voluto fermarlo, chiedergli cos'aveva, ma era troppo sconvolto.

Rimase immobile a guardare la sua schiena muscolosa, a bocca aperta. Sakuragi spinse con una spalla la porta degli spogliatoi e vi si rifugiò dentro.

“Ma cosa gli prende?” si chiese Rukawa.

 

-Ehi, ragazzi, come va?- chiese Mitsui dalla porta della palestra. Kogure, mano nella mano con lui, indossava quel sorriso aperto e gentile che lo contraddistingueva, ma la sua espressione mutò in una maschera di ansia quando vide i giocatori dello Shohoku, la loro vecchia squadra, muti e fermi, sparsi qui e là per il campo come se fosse in corso una partitella. Ma la palla giaceva dimenticata in un angolo. E dov'era Sakuragi?

-Ma cosa succede?- chiese, senza neanche salutare. Di fianco a lui, Mitsui si guardava attorno, smarrito. Si sentiva come se fosse entrato tutto allegro nel bel mezzo di un funerale.

-Dov'è Hanamichi?- chiese Kogure; una punta d'ansia era chiaramente udibile nel suo tono di voce. Lo shock e lo smarrimento degli ex compagni di squadra stava facendo alzare la testa alla sua ansia, facendogli temere il peggio. Forse si era sentito male? L'avevano portato in ospedale? Aveva lasciato la squadra? O peggio?

Kogure cercò Rukawa con lo sguardo, e lo vide che fissava il parquet del campo come se fosse stato un oracolo in grado di fornirgli delle risposte.

-In spogliatoio...- rispose Miyagi a mezza voce, con il tono di uno che si è appena alzato dal letto e non ha ancora ricollegato bene tutti i cavi. Aveva sentito quello che Sakuragi aveva detto a Rukawa ed era paralizzato dallo stupore e dalla preoccupazione.

-Quattrocchi, fa' qualcosa.- aggiunse, alzando verso di lui un paio di occhi sgranati e colmi di ansia.

 

Kogure non ebbe bisogno di altri incentivi. Si tolse le scarpe con un movimento rapido, sciolse l'intreccio di dita che stava condividendo con Mitsui e attraversò il campo a passo veloce. Passando di fianco a Rukawa, lo udì sussurrare: -Riportamelo indietro, Kogure.- Mitsui lo lasciò fare e si avvicinò ad Ayako per avere qualche spiegazione. Sapeva che Kogure adorava Sakuragi, per lui era come il fratello minore che non aveva mai avuto; inizialmente era stato addirittura geloso di lui, perché Kogure sembrava pensarne il meglio, ma poco a poco aveva capito che Kogure aveva ragione, e che il suo affetto nei confronti del rosso era solo stima e amicizia.

Aveva accolto con un misto di incredulità e divertimento l'affermazione del suo koibito, secondo cui tra Sakuragi e Rukawa avrebbe potuto esserci del tenero, ma ora, guardando Rukawa fermo a bordo campo con gli occhi fissi sulla porta dello spogliatoio come un cagnolino che aspetta il proprio umano, dovette ricredersi.

-Ayako, ma cosa gli prende?- chiese Mitsui.

 

-Hanamichi...- soffiò Kogure, chiudendosi la porta alle spalle. Sakuragi, seduto su una panca con la schiena curva, si raddrizzò e si asciugò gli occhi con due rapide, rudi manate.

-Ah, Quattrocchi, sei tu. Che ci fai qui?

-Passavo con Hisashi a vedere come va. Che ti prende?- Kogure si sedette a cavalcioni sulla panca di fianco all'amico e gli appoggiò una mano sulla coscia, ignorando il sudore che la ricopriva.

Era chiaro che Sakuragi non aveva la minima voglia di parlare, ma Kogure aveva una certa esperienza con i cocciuti e le teste di rapa, per cui si limitò a stare fermo, in attesa.

-Non sarò mai bravo abbastanza.- disse infine Sakuragi, -Non sarò mai bello abbastanza. Non sarò mai intelligente abbastanza. Nulla di quello che farò sarà mai abbastanza.

-Hana...

-Non riesco più a raccontarmi bugie. Non sono un genio, non lo sarò mai. Sarò per sempre un mediocre. Un inutile spreco di spazio.

-Hanamichi, piantala! Non è assolutamente vero! Per chi non saresti abbastanza? Per te stesso? Non essere così severo, sei migliorato tantissimo da quando hai cominciato e...

-Per Rukawa.- sussurrò Sakuragi.

-Cos...

-Mi sono innamorato di lui. Stupido, vero? Proprio degno di me.

-Ma... così dal nulla o...?

-Ho fatto un sogno su di lui. Niente di assurdo, ho sognato che parlavamo, che giocavamo insieme, come amici, e poi io lo abbracciavo. Lui mi parlava come farebbe con un suo pari, e io ero felice. Allora ho cominciato a vederlo, vederlo veramente intendo, e prima di accorgermene ero completamente fottuto.

-Hanamichi...

-Avevo una sua foto appesa di fianco al letto, ma l'ho tolta. Lui... mi guardava, da lì, e mi giudicava.- Sakuragi chinò il capo, i gomiti appoggiati alle ginocchia e gli avambracci mollemente abbandonati tra di esse. Scosse il capo, ma non rifuggì le lievi carezze che la mano di Kogure aveva cominciato a fargli sulla gamba. Erano poca cosa, ma confortavano.

Kogure, dal canto suo, era strabiliato. Non si aspettava che Sakuragi si rendesse conto dei propri sentimenti in maniera così matura, capiva quanto la questione fosse importante ma non sapeva assolutamente come aiutarlo. Era troppo sprofondato nella propria depressione per poterlo ascoltare, qualunque cosa Kogure avrebbe detto sarebbe stata soffocata dal crollo della sua autostima.

 

-Adesso basta.- sentenziò Rukawa dopo un quarto d'ora di attesa.

-Cosa...?- ebbe il tempo di dire Miyagi, poi la porta dello spogliatoio sbatté dietro le spalle del loro campione. Si mosse, come per seguire Rukawa, ma Mitsui lo bloccò a metà strada. Con un silenzioso cenno di diniego, lo fece desistere, e rimasero lì in piedi, fianco a fianco, nel punto preciso che era stato occupato da Rukawa fino a poco prima.

 

Sakuragi alzò gli occhi al tonfo della porta che si richiudeva e rimase a fissare Rukawa, sconvolto. Una scia di panico gli strinse il petto: se Rukawa fosse entrato solo pochi minuti prima, avrebbe ascoltato per intero la sua confessione. Poi, il panico fu sostituito da un senso di stupore: il moro, solitamente impassibile, pareva in preda ad una cieca rabbia, era sudato, tremava e stringeva i pugni spasmodicamente.

-Adesso la pianti e mi dici che cos'hai.- ordinò Rukawa. Sakuragi si sentì con le spalle al muro e Kogure dovette capirlo, perché si alzò e si frappose tra i due. -Rukawa, ascolta, non è...

-Togliti di mezzo.- disse Rukawa, e lo spinse via.

-Ehi, lascia stare Kogure!- protestò Sakuragi. Il pugno di Rukawa si abbatté contro la sua mascella, e Sakuragi, impreparato, perse l'equilibrio e rovinò contro un armadietto.

-Ma cosa ti prende?!- chiese, a metà tra la paura e il dolore. Rukawa in due rapide falcate fu di fronte a lui, lo prese per la canottiera e lo sbatté contro gli armadietti: -Sono io che dovrei chiederlo a te, razza di deficiente!

-Senti, Rukawa... che te ne frega, eh? Lasciami perdere e basta!

-No!- Rukawa lo strattonò di nuovo, facendo alzare un gran clangore dall'anta metallica. Dall'interno dell'armadietto venne il rumore di qualcosa che cadeva.

-Lasciami perdere, ho detto! Perché ti interessa tanto?

-L'avresti capito se non fossi il solito dannatissimo idiota!- Sakuragi trattenne il fiato d'un colpo, come se Rukawa l'avesse colpito duramente invece che rivolgergli uno dei suoi soliti insulti.

Rukawa rimase immobile, di colpo consapevole di essersi scoperto più del dovuto; Sakuragi voltò la testa verso Kogure e disse: -Visto?

-Che succede?- chiese la voce di Miyagi dalla soglia. Era trafelato, come se avesse corso, e dietro di lui c'era Mitsui, con uno sguardo ansioso.

-Hanamichi... Rukawa, lascialo andare...- supplicò Kogure.

-No, no che non lo lascio andare.- rispose Rukawa a mezza voce, come parlando a se stesso. Lo strattonò di nuovo, e i loro visi si trovarono a poca distanza l'uno dall'altro. Sakuragi soffiò: -Per favore, Rukawa, lasciami andare. Ti prego.- Rukawa, attonito, allentò la presa. Sakuragi si divincolò e guadagnò l'uscita degli spogliatoi urlando: -Bene, scusate ma credo di non essere in forma, ecco... avrò tipo la febbra, o la lebbre, sì insomma una di quelle cose lì, la peste bubbonica, la gonorrea... ci vediamo domani, vado a casa a farmi una beeella dormita! Mitchi, Quattrocchi, è stato bello rivedervi, ci si becca in giro, eh?- la porta degli spogliatoi sbatté alle sue spalle e il silenzio ricadde come un pesante velo.

 

-Eh, no, eh. Col cazzo.- sbottò infine Rukawa; a passi pesanti si diresse verso l'uscita, e Miyagi cercò di fermarlo: -Aspetta, Rukawa, non credo sia il caso di...

-Lascialo fare, Ryota.- disse dolcemente Kogure, posando una mano sulla sua spalla. -Lascialo fare, è la cosa migliore.- ancora dubbioso e preoccupato, Miyagi rimase a guardare la porta che si chiudeva alle spalle di Rukawa.

 

-FERMATI!- tuonò una voce imperiosa, e Sakuragi si voltò, stupito. Conosceva quella voce, ma solo di rado l'aveva sentita ad un simile volume, e di certo mai e poi mai al di fuori da un campo da basket. Cercò di recuperare un minimo di compostezza e allargò le braccia come a chiedere “e adesso che c'è ancora?”.

-Spiegami che cazzo hai.- ordinò Rukawa, raggiungendolo. La luce del tramonto li investiva entrambi, dubbiosa e incerta a causa delle nubi che si rincorrevano l'un l'altra di fronte al sole.

-Rukawa, non mi va, non insistere, cazzo.

-Senti.- Rukawa lo prese di nuovo per la canottiera e lo sbatté contro il muro, -O mi dici che cosa cazzo ti prende o ti prendo a pugni finché non sputi l'osso.

-Non sono affari tuoi.

-Certo! Che sono! Affari! Miei!- ribatté Rukawa, accompagnando ogni parola con un pugno in faccia ben assestato. Le gambe di Sakuragi cedettero, e Rukawa non fu abbastanza rapido a frenare la sua caduta. Si ritrovò con un pugno chiuso che non tratteneva più nulla, in piedi di fronte a un Sakuragi prostrato, con le mani sulla faccia.

-Lasciami in pace, cazzo, lasciami in pace! Non voglio parlarne!

-Però con Kogure hai parlato, perché con me no?

-PERCHÉ DI KOGURE NON SONO FOTTUTAMENTE INNAMORATO, OK? SODDISFATTO, ADESSO?- sbottò Sakuragi. Il suo viso era in ombra, coperto dai capelli ormai ricresciuti che gli ricadevano sulla fronte e, luccicanti di gel, traevano ipnotizzanti gibigianne dagli ultimi raggi di sole che scendevano fluidi all'orizzonte.

Rukawa tacque, attonito, con una morsa che gli racchiudeva la gola e la parte alta del petto. Quasi gli pareva di avere un enorme centipede arrotolato attorno all'esofago, e a stento riusciva a respirare; parlare, poi, era decisamente fuori questione.

Quando Sakuragi parlò di nuovo, lo fece con una voce roca e rotta che non gli apparteneva, stanca, mortalmente spossata, il gracchiare di un viaggiatore smarrito nel deserto che si è lasciato alle spalle ormai da tempo anche l'ultima speranza di trovare un'oasi: -Ora vai via, Rukawa. Ti prego.

-No.- con la testa leggera e il sangue che correva nelle vene, Rukawa riuscì ad accucciarsi di fronte a Sakuragi. Si concesse un solo istante per rimirare e memorizzare ogni singolo particolare della sua figura abbandonata contro quel muro lurido, gli avambracci abbandonati sulle ginocchia, le scarpe da ginnastica allacciate storte e la soffice peluria che gli ricopriva le gambe, rossa come l'ultimo bagliore del sole, che scelse proprio quell'istante per tuffarsi oltre l'orizzonte. La penombra li ricoprì gradualmente, con il tipico lucore dei più memorabili tramonti autunnali, quando le anime in cerca di luce possono trovare ancora qualche raggio di sole intrappolato nei cirri che popolano la volta celeste, mentre la luna sorge fredda e candida e Venere sfrigola al suo fianco.

-Non me ne vado... Hanamichi.- Sakuragi alzò il capo, e i suoi occhi nocciola erano pozze di cannella che resistevano attorno al gorgo nero delle sue pupille, dilatate per la crescente oscurità.

Rukawa allungò una mano tremante, e con i polpastrelli saggiò la morbidezza della pelle di Sakuragi, che seguitò a fissarlo, incredulo e incapace di muoversi.

Fu Rukawa a spezzare la sua immobilità, ricordandosi che erano in mezzo alla strada. La sua mano scese lieve come un petalo che cade lungo il suo braccio, gli ghermì un polso e lo trasse a sé mentre si alzava. Senza una parola, lo condusse verso il litorale; Sakuragi si lasciava trascinare come una marionetta, mentre voci crudeli gli sussurravano alla mente che non si trattava d'altro che di una sadica messa in scena atta ad umiliarlo e poi lasciarlo pesto in un luogo poco raggiungibile.

Rukawa camminò con passo lieve e rapido fino alla spiaggia, rabbrividendo appena ai primi soffi di vento della notte che andavano rinfrescando rapidamente l'aria, con decisione si diresse in un'ansa appartata tra due scogli, lambita da onde calme, poi prese anche l'altra mano di Sakuragi e lo guardò negli occhi.

-Ce c'è, perché mi hai portato qui? Vuoi che salgo, così puoi buttarmi di sotto? Non c'è bisogno che fai fatica, posso salire e buttarmi giù da solo. O posso andare al largo e lasciarmi affogare, non sono mai stato un fenomeno nel nuoto... neanche in quello.

-Voglio che taci.- il tono di Rukawa non era imperioso come al solito, ma sommesso, quasi reverente; pareva uno studente che chiedesse al professore il tempo di pensare alla risposta durante un'interrogazione particolarmente difficile.

Inspirò una boccata d'aria che pareva essere solida, senza mai riuscire a riempirsi i polmoni, o almeno così gli parve, poi bisbigliò: -Mi spiace non averlo capito prima. Credevo che mi odiassi, e...- Rukawa si umettò le labbra con un rapido passaggio della lingua, avvertendo l'una e le altre molto ruvide e molto calde. Non trovava un modo di proseguire che non fosse banale, già sentito in mille soap opera e altrettanti film.

-Beh, sai come si dice, no? L'odio è l'altra faccia dell'amore.- proseguì per lui Sakuragi, chinando il capo. La sua sagoma cominciava ad essere scura e a confondersi con le rocce dietro di lui.

-Amore?- chiese Rukawa in un fil di voce.

-Sì, Rukawa, amore. Quella cosa che le ragazzine che ti sbavano dietro sbandierano a destra e a manca senza nemmeno sapere chi sei. Spero che ne sia rimasto abbastanza oltre a quello che loro hanno rovinato con le loro frasi del cazzo. Se c'è, beh... è tuo.

-Amore...- ripeté Rukawa, stavolta in tono affermativo, -Sì. Amore.- Sakuragi trovò il coraggio di alzare nuovamente gli occhi. Rukawa lo guardò, aprì la bocca, poi si lasciò sfuggire uno sbuffo, l'ombra di una risata, e le sue labbra si incurvarono verso l'alto, snudando i bianchi denti perfetti. Avrebbe voluto parlare, riversare su Sakuragi tutti quei sentimenti che non comprendeva appieno ma che gli parevano comunque netti, chiari e cristallini come una mattina limpida, ma troppe parole banali e ripetute gli affollavano la mente, deviandola dal concetto fondamentale che avrebbe tanto voluto esprimere. Un polpastrello caldo e morbido gli sfiorò la curva del labbro inferiore, la percorse fino all'orlo, raccogliendo la consistenza della sua carne con riverenza e poi si ritrassero, quasi volessero conservare quel contatto per rallegrare un giorno di pioggia, e Rukawa sibilò: -Non sono bravo a parlare.

-Ci avevo fatto caso, di sfuggita.- rispose Sakuragi, e Rukawa sorrise di nuovo, -Però vedo che con i sorrisi vai forte. Se non la smetti, finisce che mi viene un infarto.

-Hanamichi. Io... non ti ho portato qui per farti fuori. È che in strada, la gente...

-Sì.- Sakuragi, stavolta, non andò in soccorso di Rukawa, che dovette capitolare di fronte alla sua muta richiesta di spiegazione e di fronte a quell'ultimo, resiliente barlume di speranza in trepidante attesa di prendere fuoco. Prese un profondo respiro, si accinse a parlare, poi con un movimento repentino scattò in avanti, gettò le braccia al collo di Sakuragi e si appropriò delle sue labbra. Parlò allora, la voce soffocata dalla bocca di Sakuragi e la lingua impacciata dalla sua, ma la mente finalmente sgombra: -Ti amo,- bofonchiò, -Ti amo da sempre, ho cercato di negarlo, di odiarti, ma... ti amo da sempre.

-Kami... Rukawa...

-Kaede.- Sakuragi rise, un soffio caldo sul palato di Rukawa e sull'interno umido delle sue guance, un soffio caldo nel gelo della sua tristezza, spazzata via dall'urgenza con cui Rukawa lo sfiorava, spazzata via dal bollore delle sue labbra e delle sue mani, spazzata via come un fiotto di sangue che sgorga denso da una ferita allorché viene pulita con un getto di fresco disinfettante.

Il bacio di Rukawa bruciava come fuoco, e come fuoco puliva ogni angolo oscuro dell'animo di Sakuragi: finalmente era a casa.

 

 

 

 

 

 

 

Mitsui dalla regia: -Ma Hana sta sotto?

Cathy: -Mitchi, in caso tu non te ne sia accorto non c'è la lemon.

Mitsui: -Se Hana sta sotto, almeno poi alla domanda “Che ti prende?” può rispondere che è Rukawa che lo prende.

Cathy: -Non ci credo che l'hai detto veramente.

Kogure: -Cathy, senza offesa, lo sai che Mitsui è un parto della tua mente?

Cathy: -LAAA LLAAA LAAA, non ti sento, laaa llaaa laaa!

 

 

 

Chiedo umilmente perdono, sono al terzo caffè e sto sbroccando!

Se vi è piaciuta la fic, battete un colpo!

XOXO

 
   
 
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