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Autore: _Rouge    30/07/2019    0 recensioni
[Hypnosis Mic]
Il dorso candido di Samatoki è un’inferriata di linee scure che si intrecciano fra loro e in cui sboccia un alone cremisi, esattamente dove il metallo rovente ha lasciato una ferita incancellabile – due anni di cambiamenti che hanno stravolto un’intera città e di ordinamenti e statuti con il simbolo della sovranità femminile tatuato sul derma a rammentare un divario che trova senso solo nel sesso.
[ samajuto ]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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ispirata a un post su ig di lian0820_matsunoki
what if ? dove al momento dell'ascesa delle donne tutti gli uomini vengono marchiati con il simbolo del Chuoku


 

Il simbolo marchiato a fuoco sulla carne degli uomini è un monito della loro sottomissione, un ricordo indelebile della loro sconfitta che svetta su muscoli e ossa: il triangolo del Chuoku è rosso vivo e i suoi contorni cicatrici bruciate.

Il carminio della china fa un contrasto bellissimo e romantico contro il bianco della schiena di Samatoki: è uno sbafo di vernice che scivola sulla linea dorsale e svanisce in una cortina nera di ulteriore inchiostro che tenta di soffocarlo senza tuttavia riuscire a nasconderlo del tutto, l’umiliazione scottante e brillante nel reticolato bruno di cornici tribali e altri simbolismi di cui Juto non sa nulla.

Il dorso candido di Samatoki è un’inferriata di linee scure che si intrecciano fra loro e in cui sboccia un alone cremisi, esattamente dove il metallo rovente ha lasciato una ferita incancellabile – due anni di cambiamenti che hanno stravolto un’intera città e di ordinamenti e statuti con il simbolo della sovranità femminile tatuato sul derma a rammentare un divario che trova senso solo nel sesso.

Quando le donne avevano ottenuto il comando, Juto aveva ventisette anni, una fama tutt'altro che rosea e una carriera ben avviata: le estorsioni e i ricatti erano notizie di dominio di tutta l’area di Yokohama e la sua innata inclinazione ai favoritismi e all’abbandono del comune buon senso aveva sfondato i confini del nucleo inaccessibile in cui le donne risiedevano, arrivando fino all’orecchio di Ichijiku, che l’aveva scelto come suo collaboratore e informatore della zona al di fuori del Chuoku. La sua dedizione alla causa aveva evitato alla sua schiena la tortura del ferro bollente e la sua subordinazione mascherava convenientemente la costante sensazione di ribrezzo e insofferenza nei confronti delle femmine che militavano nel ministero.

Allora Samatoki di anni ne aveva circa una ventina ed era il ritratto di una bellezza disinibita e ribelle che dava un volto umano alle sue fantasie. Era indomito e violento, un animale infelice con il viso sottile e le mani ruvide e come tanti altri uomini era stato umiliato e numerato come una comunissima bestia, ma aveva affrontato il tormento della bollatura incandescente a testa alta e a denti stretti, fissando dritto la boia con una fierezza e una determinazione che stridevano rumorosamente con le lacrime racchiuse nei suoi occhi di rubino: "credi di avermi fatto male?" aveva detto con tono di sfida, un sorriso storto e tronfio a sollevare le labbra rotte da incisivi affilati e nocche dure, e Juto aveva celato una risatina dietro una mano – "in realtà mi ha fatto un male cane" aveva confessato Samatoki durante una delle notti trascorse insieme in una stanza dal letto sfatto e dall’odore acre di fumo e tabacco e Juto aveva ancora una volta nascosto l’embrione di un sorriso nell’incavo del suo collo sudato, una stizza molle fra indice e medio.

Juto accarezza delicatamente la corolla rossa che si dischiude tra i lombi tatuati di nero e sente i muscoli sussultare sotto le dita, nel momento in cui Samatoki esala un ringhio basso che vorrebbe essere minaccioso, ma che suona stranamente morbido nella stanchezza mattutina e nel molle del cuscino: nel nido disordinato di lenzuola immacolate Samatoki è una statua bellissima e rovinata, con la schiena inchiostrata come un rozzo mandala indiano e le cicatrici di una vita di stenti cucite sulle braccia forti e che Juto conosce a memoria.

"Che fai, coniglietto?" sbotta il mafioso con la voce arrocchita dal sonno e forse da un’altra cosa ancora, meno materica e tendente al contrario a un sentimentalismo in cui faticano a rivedersi nonostante anni e anni di conoscenza: Juto continua a carezzare con le nocche la corona raggrinzita del marchio che svetta beffardo nella tavolozza di bianchi e di neri e si china in avanti, accoccolando il viso nella curva deliziosa della colonna vertebrale che scende e si inarca svanendo sotto un cumulo di biancheria linda.

La sua mano affusolata slitta dalla valle dei reni sino alla barriera delle lenzuola che vela sfortunatamente le rotondità nude di Samatoki e si muove finché la sua bocca non lambisce i contorni scabri e l'alito caldo del mattino fa dondolare il ciuffo insolitamente ammosciato, occhi verdi chiusi nel bearsi del calore e della strana e benvoluta familiarità del momento, in una bolla in cui ci sono solo loro due e tante cose taciute e che non serve dire.

"Niente" ribatte in un soffio, schiacciando una guancia irta di barba mattutina contro la schiena dell'altro, e sotto le labbra chiuse in un bacio il busto di Samatoki si svuota in uno sbuffo e lì dentro Juto ci sente un mezzo sorriso.

  
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