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Autore: ghostmaker    02/08/2019    2 recensioni
Il 5 agosto 1962 il mondo si sveglia e apprende della morte di Marilyn Monroe. Lo stupore è generale e la ricostruzione delle ultime ore di vita dell'attrice ha sempre lasciato dei dubbi.
Questa storia è una ricostruzione fantasiosa di cosa sia successo e parte da una domanda: "E se Marilyn non fosse davvero morta?"
Genere: Angst, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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AVVERTENZA

Gli eventi descritti in questa storia, pur ispirati a fatti realmente accaduti, sono frutto di pura invenzione, così come il coinvolgimento e il ruolo di persone realmente esistite, le azioni e le dichiarazioni loro attribuite e i giudizi espressi sul loro conto sono pura finzione e non sono riconducibili alle loro vite reali. Ogni riferimento a cose o situazioni completamente accertate sarà segnalato attraverso le note poste in fondo alla pagina di questo testo. Le licenze romanzesche qui contenute non hanno scopo di denuncia, di opinione e non si prefiggono di raccontare la verità assoluta perché, si creda oppure no, l’unica verità dimostrata nel caso della Monroe è che il 5 agosto 1962 la splendida Marilyn è deceduta.






NORMA JEANE[1]





5 agosto 1962
Brentwood, Los Angeles (CA)
Ore 04:25

«Sergente Clemmons.»[2]
«Che succede Betty?»
«Ho ricevuto una chiamata dalla casa della Monroe a Brentwood. Puoi andare a controllare?»
«Chi crede di avere visto intorno a casa sua, questa volta?»
«No Jack, pare che Marilyn si sia suicidata.»
«Stai scherzando?»

- - - - -

In una data, ora e luogo sconosciuti…

Ci sto provando, ma non riesco ad aprire gli occhi; le palpebre sono tanto pesanti che mi sembrano sigillate con il mastice, la mia saliva ha un sapore amarognolo e fatico a deglutire, il mio olfatto è fuori uso, ma per fortuna riesco almeno a sentire ed è per me una specie di salvezza perché ho paura della solitudine. La voce dell’uomo che sento mi sembra di conoscerla, non distinguo le parole che sta dicendo però deve essere un amico perché con le sue mani sta accarezzando le mie donandomi una sensazione piacevole di calore umano.
Ho sempre avuto bisogno di ricevere gesti d’amore dagli uomini perché non ho avuto un padre che si prendesse cura di me, così come desidero l’affetto delle donne perché mia madre, per sua incapacità, non è mai riuscita a farmi sentire apprezzata. Sembrano piccole cose, ma solo per chi ha ricevuto tutte le attenzioni dai propri genitori e non ha niente di cui lamentarsi. Fin da piccola ho avuto gravi mancanze d’affetto, mia madre è stata ricoverata per problemi mentali e sono finita per girovagare tra case famiglia, orfanotrofi e la residenza di Grace[3] e l’unica cosa che ottenevo in ogni posto in cui mi stabilivo era che tutti gli uomini mi molestavano sessualmente come se fossi una prostituta del Sunset Boulevard. Ho patito sofferenze immani, dover raccontare cosa mi facevano e sentirmi dire che erano mie fantasie o, addirittura, che era colpa mia perché li istigavo, mi rendeva la vita impossibile, così ho imparato a cavarmela da sola e, sarebbe una bestialità se non fosse tanto vera, ho imparato soltanto che il mio corpo mi avrebbe aperto delle porte altrimenti chiuse.
 
«Norma Jeane, apri gli occhi, fai un piccolo sforzo per me, forza. È ora di svegliarsi, non farmi preoccupare più del dovuto, ti supplico.»

Mi accarezza il viso, percepisco il calore della sua mano gentile e mi pare di riconoscere chi sia questa persona dalla nodosità delle sue dita. Mi costringo a reagire dal torpore che sta paralizzando ogni muscolo del mio corpo, spalanco gli occhi, ma posso tenerli aperti per un istante perché la luce del sole, che filtra dalla finestra della mia camera, mi fulmina. Decido di riprovare tenendo le palpebre socchiuse e questo espediente funziona; finalmente vedo distintamente chi sta parlando e gli rispondo con un filo di voce, ma facendogli percepire in modo inequivocabile il mio disagio e nervosismo per questa situazione strana.
«Ralph,[4] perché sei tornato? Era lui che doveva scusarsi con me, non tu! Mi ha piantato lì senza dire una parola, senza darmi un bacio di saluto e senza degnarsi di guardarmi in faccia!»
Ralph scuote la testa. Comprendo benissimo che non era ciò che voleva sentirmi dire, ma l’ultima cosa che ricordo è di essere stata trattata molto male dal mio amante che si è sempre professato un galantuomo. Cerco di muovermi, mi fa leggermente male la schiena, ma c’è qualcosa che mi tiene ferma e immobile sul mio letto. Probabilmente sono ancora stordita da non so cosa, provo a guardarmi a destra e a sinistra con l’unico movimento che riesco a fare con il collo e noto immediatamente che c’è qualcosa di strano nella mia camera. So osservare bene nonostante tutti, a prima vista, pensano che io sia una oca totale.
«Perché sono state cambiate le tende nella mia camera? Queste sono orribili, che cosa le è preso a quella
Ralph scuote di nuovo la testa e mi fa infuriare maggiormente perché si è dannato per svegliarmi e ora che pongo delle domande non mi risponde. Vuoi vedere che…
«Sono al Waldorf Astoria nella sua camera? È stato uno zotico, ma alla fine è tornato a prendermi. Chiamalo qui, lo perdono, anche se non dovrei farlo senza chiedere un dono di pace.»
«No Norma, non sei in hotel e neppure a casa tua; devo dirti alcune cose importanti quindi lasciami parlare senza fare ulteriori domande.»
«Ancora con quel nome, non smetterai mai di usarlo con me anche se ti dico sempre che lei non esiste più. Maledizione, parla, non lasciare sempre tutto in sospeso, non sto facendo una seduta nel tuo studio di Los Angeles!»
«Non ricordi niente di quel giorno e di quella notte?»

Che diavolo di domanda mi ha fatto? Eppure a quella richiesta rimango in silenzio, cerco di ricordare qualcosa, oltre al fatto che lui è andato via, ma ho un vuoto totale nella memoria, non ricordo niente dell’intera giornata. Chiudo gli occhi per rovistare meglio nella mia mente, ma mi appaiono soltanto delle immagini sfuocate che sembrano provenire da un sogno, o peggio, da un incubo, cancellate frettolosamente dal mio cervello. Riapro gli occhi, scruto nello sguardo di Ralph cercando di capire se ha qualche indizio per essermi di aiuto, ma lui mi sta osservando come fa spesso quando tenta di psicanalizzarmi. Sbuffo disorientata, sia per questa memoria scomparsa sia per l’impossibilità totale di muovermi dalla posizione in cui mi ritrovo. Collegando tutti i punti del mio malessere inizio ad avere paura; forse ho avuto un incidente in casa e adesso sono paralizzata? Guardo di nuovo Ralph e lui, apparentemente, non mi sembra preoccupato per tutta questa situazione, ma appare in apprensione soltanto per la perdita di memoria. E allora cosa mi sta succedendo? Sento aprirsi una porta, non posso muovere il collo per sollevare la testa e quindi non ho idea di chi sia entrato; sento i suoi passi, sono pesanti, ma decisi, si avvicinano al mio letto. Un uomo leggermente brizzolato, indossa un camice bianco, si toglie gli occhiali e si siede accanto a me appoggiandosi sul letto mentre mi sorride affabilmente. C’è anche un'altra persona, una donna, vedo la sua figura con la coda dell’occhio; lei si è diretta verso la finestra dove, con delicatezza, fa scorrere la tapparella per non farmi più abbagliare dal sole. Anche la donna indossa un camice bianco e a questo punto non ho più dubbi: sono ricoverata in ospedale. Se sapessi cosa ho combinato questa volta? È terribile non ricordare niente! L’uomo mi fissa negli occhi e con un accento particolare, probabilmente è un immigrato italiano, mi parla lentamente scandendo le parole in modo che possa comprenderle. Tipico di un dottore che si appresta a dirti qualcosa di molto spiacevole.

«Signorina Baker, io sono il dottor Roselli e sono incaricato di prendermi cura di lei fino al giorno in cui sarà dimessa. In questo momento si trova in una casa di cura dove è stata portata sette giorni fa in gravissime condizioni per una overdose di barbiturici che sarebbe stata letale se il suo medico, il dottor Greeson, non ci avesse chiamato prontamente. Come avrà già notato non può muoversi da questo letto; il motivo è che le abbiamo dovuto legare mani e piedi per sua e nostra sicurezza, ma le garantisco che riceverà tutte le cure e le attenzioni necessarie in modo che possa recuperare la memoria perduta. È importante che lei stia tranquilla e vedrà che questo ricovero durerà poco.»

Anche lui parla della mia memoria e l’assenza di ricordi inizia a darmi fastidio, voglio gridare, ma la mia voce non esce più. Ero così attenta alla spiegazione che mi stava fornendo il medico che non ho visto cosa ha fatto l’infermiera al mio braccio: i miei occhi si stanno richiudendo da soli, le figure delle persone presenti nella stanza sembrano inghiottite dalla nebbia e le loro voci diventano bisbigli che velocemente si dileguano nel buio che sta scendendo dentro di me.

- - - - -

12 agosto 1962
Los Angeles
Ore 11.00
«Mi scusi dottor Noguchi,[5] sono un reporter del Los Angeles Times. Volevo chiederle se ci sono ulteriori informazioni sulla causa della morte di Marilyn Monroe.»
«Buongiorno. Nessun’altra spiegazione. Le confermo ciò che ho scritto nel referto dell’autopsia che ho condotto personalmente sulla signora Monroe. Probabile suicidio per avvelenamento acuto di barbiturici.»
«Allora perché nel rapporto medico lei ha lasciato scritto sospeso
«Perché le indagini della polizia determineranno in modo definitivo se si tratta di suicidio o di altro.»
«Omicidio forse?»
«Mi scusi signore, queste cose dovrebbe chiederle al dipartimento di polizia della contea. Io sono un medico e ho soltanto svolto il mio lavoro. Per la definizione finale dell’accaduto solo loro hanno la competenza per confermare le varie ipotesi che saranno proposte da tutti gli esperti interpellati per questo caso.»


In una data, ora e luogo sconosciuti…

Ho perso la cognizione del tempo, non so quanti giorni sono passati da quando mi sono svegliata in questa clinica e ho iniziato a conoscere il dottor Roselli. Mi sembra una persona per bene. È sempre simpatico e molto carino con me, non gli ho mai chiesto se lui è un mio fan, magari un giorno, quando sarò fuori di qui, gli stamperò un bel bacio così non potrà mai dimenticare il suo incontro con Marilyn. Però prima deve redarguire quelle due infermiere impertinenti che continuano a burlarsi di me: ogni volta che dico di chiamarmi Marilyn Monroe una delle due sghignazza, mentre l’altra mi risponde che lei è Joan Crawford. Se questa sciacquetta sapesse il rapporto saffico che avevo con Joan la smetterebbe subito di deridermi. Purtroppo la mia memoria del 5 agosto non è migliorata, però il dottore, questa mattina, mi ha detto che ho parlato molto di un avvenimento particolare: il 10 maggio al Madison Square Garden, il giorno che ho conosciuto, anche intimamente, John.[6]

Affascinante ed elegante, il suo sorriso era ammaliante, anche se lui continuava a dire che non c’era paragone con il mio. Ammetto che fossi un poco svampita quella sera, rischiai di non consegnare il mio regalo perché mi stavo perdendo all’interno del teatro. Cantai “Happy Birthday” con tutta la carica sensuale che avevo nel mio corpo perché desideravo che si sentisse abbracciato pur standomi così lontano. E feci colpo proprio come mi aspettavo. Una decina di minuti più tardi bussò alla mia porta Peter,[7] accordai il permesso di entrare e lui mi presentò il Presidente prima di allontanarsi senza rivolgermi una parola. Io feci nuovamente gli auguri a John, ma questa volta lo abbracciai baciandolo sulle labbra con grande naturalezza. Lui rimase perplesso ed io risi dicendogli che la sua fama di Don Giovanni sembrava fasulla vedendolo così impacciato davanti a una donna. John non mi fece dire altro, mi prese la mano, la baciò e poi mi trascinò fuori dal camerino con impeto. Che maschio! Le sue guardie del corpo ci scortarono sul retro del teatro; lì c’era una macchina nera ad attenderci, salimmo velocemente e l’autista guidò con grande decisione facendo sfrecciare l’auto attraverso le strade intasate di New York, riuscendo anche a evitare i fotografi che prima si accalcavano all’esterno del Madison e che ora, fiutando la possibile fuga, si erano appostati in ogni angolo delle strade.
Follia di maggio, anche se solo per una notte non m’importava perché lui, diversamente da altri, era stato chiaro già mentre mi spogliava. Disse che era attrazione animale e che non era necessario metterci per forza qualcosa di sentimentale. Io avevo risposto che mi trovava d’accordo senza mostrare turbamento, anche se, come il solito, non ero stata capace di togliere del tutto l’aspetto sentimentale in questa follia di maggio. Ricordo benissimo come rimase impalato e a bocca aperta quando feci scivolare il mio vestito come se fossi stato un serpente che cambia la pelle per la muta; tutto senza mai mostrare falso pudore.
Era stato tutto bellissimo, lui dominava la scena nonostante i dolori alla schiena, ma aveva capito che ero io a permettergli di fare quello che voleva di me. Dopotutto anch’io mi stavo divertendo e, dopo molto tempo, anche se per quella sola notte, mi ero sentita di nuovo desiderata, corteggiata e amata.
Lo aiutai a rivestirsi, avevamo dato fondo a tutte le nostre energie, lui, leggermente rabbuiato, bussò alla porta della nostra camera e da fuori una delle sue guardie rispose a quel richiamo confermando che in cinque minuti sarebbe arrivato a prenderlo un'altra auto. Io ero ancora nuda, mi rimisi sotto le coperte, volevo stare ancora un poco in quel letto, passammo quei minuti d’attesa parlando di cose superflue, poi si aprì la porta senza che nessuno si annunciasse. Rimasi sorpresa che a entrare fosse stato Bobby.[8] John mi baciò la mano salutandomi e uscì velocemente senza rivolgermi altri sguardi, mentre Bobby si avvicinò al letto. Il suo sguardo sembrava minaccioso, ma avevo capito che stava facendo una parte, insomma, sono un’attrice. Lui era preoccupato che potessi essere un grosso problema per il Presidente e mi disse chiaramente che non avrei mai dovuto più avvicinarlo. Io feci un sorriso, scesi dal letto tirandomi addietro le lenzuola per rimanere coperta, andai vicino a lui e risposi che con John avevo un accordo, ma che lui poteva venirvi a trovare ogni volta che voleva. Caro Bobby, così dolce. Arrossì, mi saluto voltandosi di spalle, ma aveva già capito che io sarei stata un problema solo per lui.

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Il dottor Roselli, durante le sedute terapeutiche, porta con sé un diario sul quale annota tutti i racconti che faccio, scrive degli appunti personali e poi mi legge tutto quello che ho detto compensandolo con rilevazioni tecniche. Quello che mi sorprende ogni volta sono i dettagli, anche quelli più intimi; è anomalo che io dica apertamente queste cose, così com’è strano che mentre lui legge abbia la certezza, dentro di me, di non aver mai detto tutti questi particolari. Ho avuto dei dubbi per tutto il giorno, ma è davvero impossibile che lui si sia inventato tutto e, per di più, sia anche riuscito a dire le cose giuste.

Si apre la porta, i suoi passi sono inconfondibili; altro giro sulla giostra.
«Eccovi, parli del diavolo e lui arriva» dico sorridendo.
«Signorina Baker, sono contento nel vedere che è abbastanza rilassata questa sera e comprendo che mi veda come una specie di persecutore, però il mio lavoro deve essere preciso se vogliamo raggiungere l’obiettivo rapidamente . È pronta per una nuova seduta?»
Non rispondo, tanto sa bene che non posso oppormi. La sciacquetta inietta il solito liquido verdognolo all’interno del flebo ed io inizio a sentirmi confusamente assonnata e particolarmente euforica. Sento la sua voce.
«Dimmi cosa è successo il 5 agosto!»


Era sera tardi, lui si stava rivestendo mentre io lo guardavo con rabbia. Nei giorni passati mi aveva promesso tutto, eppure il suo sguardo di quella sera dava l’impressione che sarei rimasta ancora una volta indietro. Protestai vivacemente e cercai di trattenerlo, ma Peter e Frank[9] lo stavano aspettando fuori dalla porta. Urlai a Eunice[10] di fermarli tutti, pur sapendo che lei non aveva possibilità di fermare delle persone così importanti. Guardai Bobby attraverso la finestra e urlai di nuovo, ancora e ancora. Passai un’oretta piangendo quando mi fece visita l’amico di Frank. Sam[11] era molto elegante nei suoi vestiti firmati e alla moda, mi fece molti complimenti per la mia carriera, mi portò dei fiori bellissimi e mi disse che ci avrebbe pensato lui a sistemare le cose con Bobby. Disse che aveva parlato a lungo con Frank della mia situazione e che il nostro comune amico si era mostrato molto preoccupato così si era offerto di farmi visita. Disse anche che per onestà voleva ammettere davanti a me che il suo non era soltanto un gesto gentile, ma che l’idea di chiacchierare in tranquillità con la sua attrice preferita lo aveva spinto a prendere questa decisione. Il mio umore cambiò, Sam era riuscito a sorprendermi con l’onestà delle sue parole e la gentilezza dei suoi modi, bevemmo parecchio champagne e parlammo della mia vita privata, dei miei film e soprattutto su quelli che adorava maggiormente che disse di avere visto almeno tre volte.
Rimase poco a casa mia, forse un’ora, forse due, anche se cercavo di stare tranquilla la mia frustrazione era una presenza palpabile. Non so il motivo per cui lo feci, forse perché quest’uomo d’altri tempi era così dolce, sta di fatto che gli offrii il mio corpo, ma Sam, ancora una volta, mi sorprese per la delicatezza che utilizzò nel rifiutare la mia proposta e, addirittura, rispose che si sentiva onorato che una diva bellissima come me avesse voluto avere questo genere di rapporto con lui. In qualche modo mi sgridò, ma per la prima volta non sentii rabbia verso una persona che mi rifiutava o mi contraddiceva. Sam uscì da casa mia e come per incanto il momento di felicità si trasformò di nuovo in furia compulsiva. Presi il telefono e continuai a chiamare il numero dell’Astoria hotel ma Bobby non si faceva trovare in camera. Ordinai a Eunice di portarmi i soliti tranquillanti, ingerii la solita dose, ma la mia tensione non si stava calmando, così ripresi a chiamarlo. Mi sentivo stanca e molto probabilmente mi sono addormentata.


22 novembre 1963
Studi della CBS
«Da Dallas, in Texas. Ultima ora, è ufficiale: il Presidente Kennedy è morto all’1 del pomeriggio ora centrale del continente; le 2, ora della costa orientale, circa 38 minuti fa.»[12]

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In una data, ora e luogo sconosciuti…

Deve essere passato più di un anno da quando mi hanno portata in questo istituto, non ne sono certa perché i giorni sono sempre uguali e ripetitivi. Nessuno risponde alle mie domande: quando chiedo alle infermiere cosa succede nel mondo loro non mi rispondono, il dottor Roselli lo vedo soltanto quando facciamo le sedute di terapia e la sua classica risposta è che non importa cosa c’è là fuori, ma ciò che sta qui dentro – indicando la mia testa – e dei miei presunti amici non si è fatto mai vedere nessuno tranne Ralph passa ogni tanto, si sincera della mia salute, ma anche lui tace. L’unica cosa che mi ha detto è che la stampa scandalistica non è a conoscenza del mio ricovero, che la Fox[13] ha fermato i lavori del film e i suoi dirigenti non rilasciano dichiarazioni. In qualche modo questa è una grossa novità perché dopo tutto il trambusto della battaglia legale che ho vinto, ora avrebbero tutte le carte in regola per licenziarmi e avrebbero dovuto fare i diavoli a quattro per rintracciarmi, anche solo per mettermi in cattiva luce con una conferenza stampa aggressiva ai limiti della persecuzione. Non presentandomi avranno scelto qualche altra attrice per fare Something’s Got to Give,[14] ma avranno trovato mille resistenze da parte di Dean[15] nel continuare il progetto. Dean non lo conosco benissimo, ma ci teneva tantissimo a lavorare con me e me lo aveva ripetuto più volte che aveva accettato il suo ruolo solo perché c’era Marilyn Monroe.

Si apre la porta, sento passi diversi da quelli del dottore.
«Norma, come stai oggi?»
«Come al solito Ralph. Che ci fanno quelle due con te?»
«Mi hanno accompagnato qui perché ho ottenuto il permesso di slegarti e anche di farti prendere una boccata d’aria.»
Sorrido felice per questa novità e neanche protesto con le infermiere che mi slegano facendomi male per la loro ripetuta non curanza nei miei confronti. Mi aiutano a sedermi sul letto e per la prima volta vedo l’intera stanza in cui sto passando la mia vita, osservo la sedia a rotelle e chiedo ansiosa di salirci sopra.
«È per me vero?»
«Sì, Siccome non cammini da molto tempo è preferibile che tu ti sieda qui ed io ti scarrozzerò nel parchetto.»
Una delle due infermiere mi aiuta a indossare un giaccone pesante, Ralph mi mette sulla sedia a rotelle, mentre l’altra infermiera mi appoggia sulle gambe una grossa coperta di lana.
«Oggi è così fredda Los Angeles?» chiedo quasi divertita, ma nessuno dei tre risponde. Ormai mi sono abituata a questo strano silenzio così non faccio la stessa domanda un'altra volta.

Finalmente posso vedere in quale luogo sono ricoverata. Non che ci siano molte differenze tra una clinica psichiatra e un'altra, ma sono soddisfatta ugualmente dato che almeno vedo dei visi diversi da quelli delle due infermiere. Percorriamo un lungo corridoio stranamente desolato, attraversiamo una porta a vetri, soltanto dopo che un segnale acustico indica il permesso di uscire, e davanti a me si presenta un bellissimo parchetto nel quale i fiori sono così diversi e colorati che mi sembra di attraversare un arcobaleno. Ralph spinge la carrozzina velocemente, ma non gli dico nulla perché ho l’impressione che voglia sedersi su quella bella panchina di colore azzurro posta vicino a una fontana. Infatti, raggiungiamo quel punto, si siede, posiziona la sedia a rotelle in modo che possa guardarmi in faccia e poi blocca i freni perché siamo in leggera pendenza.
«Per quanto tempo starò ancora qui?»
«Non ne ho idea Norma.»
«Dai, non è possibile. Sei stato tu a portarmi qui, avrai almeno un’idea di come stiano andando le terapie. Non ti sei informato con Roselli? Questa volta non accetto che stai in silenzio! Già non sapere cosa succede là fuori mi urta molto» dico infuriata mentre punto il dito vero un punto imprecisato posto oltre le mura della struttura.
«Io…»
Ralph smette di parlare, i suoi occhi non sono sorpresi dalla mia reazione, ma sono tristi come non li avevo mai visti. Lo lascio respirare, ma sono pronta a tornare alla carica quando lui alza la testa e finalmente mi fissa.
«Sentimi bene, ma mi raccomando di non dare in escandescenza, né qui nel parchetto né più tardi nella clinica; loro ti farebbero stare zitta senza pensarci un attimo.»
Strabuzzo gli occhi. Chi sono questi loro che ha detto con una voce così tremolante da mettere paura anche a me.
«Diamine! Non starò qui in eterno, no? E chi sono loro di cui hai un’insana paura?»
«Norma, tu non puoi più tornare come eri prima, tu sei morta.»
A quelle parole sento il mio corpo tremare. Non ha risposto alla mia domanda, ma anche detto una cosa fuori dal mondo con così tanta convinzione che adesso ho veramente paura di continuare questo discorso.
«Ma sono qui» dico a bassa voce.
«Norma sì, ma Marilyn Monroe è morta da più di un anno. Per tutti, Marilyn Monroe è morta suicida nella sua casa il 5 agosto 1962 e ora è sepolta al Westwood Memorial Park Cemetery.[16] Capisci che non ti permetteranno mai di apparire all’improvviso e uscita da chissà dove? Hanno gestito tutto loro ed io ti sto raccontando queste cose perché sempre loro mi hanno incaricato di farlo.»
Sono in completa confusione dopo le sue parole. Cerco di alzarmi dalla sedia ma non ho la forza di farlo e lui mi mette le mani sulle mie gambe per tenermi ferma.
«Stanno cercando di farti ricordare qualcosa; un segreto che la tua mente ha nascosto attraverso questa strana amnesia che neppure io riesco a giustificare scientificamente dato che non hai ricevuto un trauma che la determini. In più la tua mente sta ricordando cose in modo confuso; hai raccontato di avere incontrato Sam dopo che Bobby era uscito da casa tua, ma la realtà è che Sam è stato da te al mattino presto, ha parlato con te, proprio come hai detto durante la seduta, è andato via dopo qualche ora, ma ha lasciato dei suoi uomini a casa tua fino al primo pomeriggio. È impossibile che tu possa mentire e lo dico con assoluta certezza perché il farmaco che t’inietta prima della terapia è il siero della verità.»
Le rivelazioni che sta facendo Ralph sono incredibili, a stento continuo ad ascoltare senza dire niente. Lui è talmente convincente che non riesco a fargli delle domande o controbattere le sue gravi affermazioni .
«Ora ti prego, continua a collaborare con Roselli, non agitarti, non metterti a urlare e non fare sceneggiate che possano renderli inquieti. Loro possono toglierti di mezzo facilmente dato che per il mondo tu sei già morta. La tua unica possibilità è che ti ritorni la memoria, che il segreto che stanno cercando di estirparti dalla mente sia rivelato e, solo in quel momento, ti libereranno.»
«Libera? E come? Quando avranno ciò che vogliono mi faranno sparire.»
«No, mi hanno assicurato che non vogliono farti del male se non è necessario; ti lasceranno libera appena ottenuta l’informazione che cercano, ti forniranno un posto dove vivere serena e garantiranno la tua sicurezza.»
«E con la mia identità come faranno?»
«Il posto non sarà di certo una grande città; ti porteranno su qualche isola, dove nessuno conosce Marilyn Monroe e se per caso qualcuno dovesse riconoscerti, potrai fingerti una tua sosia.»
Provo una sensazione angosciante. «Come…»
«Sì, come quella ragazza che hanno dato al coroner al posto tuo.»
Il silenzio che segue questa sua affermazione è agghiacciante, più gelido del freddo che c’è in questa città che ho la quasi certezza che non si tratti di Los Angeles. Ralph libera la sedia a rotelle dai freni, si alza e inizia a spingermi verso la porta a vetri.
«Quando uscirai da qui, potresti usare il nome Faye Miller.»[17]

Ralph mi saluta lasciandomi in camera nelle mani delle due infermiere, ma io non lo guardo e non proferisco parola. Le due arpie non mi mettono a letto ed io non sono in grado di dire niente neanche a loro mentre mi portano in un bagno. Che cosa sanno queste due di tutta la faccenda? Perché mi hanno portata qui quando di solito si rifiutano anche di ascoltarmi mentre chiedo di potermi lavare da sola?
Una di loro mi porge un asciugamano.
«Signorina Baker, oggi può fare la toilette da sola. Alla sua destra c’è un appoggio metallico per le mani nel caso non riuscisse a reggersi in piedi. Noi siamo qui fuori, se ha bisogno di qualcosa, ci chiami.»
Le due infermiere escono dal bagno senza aspettare una mia risposta. La verità è che non sarei riuscita a dire niente perché il mio pensiero è fisso su ciò che mi ha detto Ralph nel parchetto. Mi domando quale ruolo ricopre Ralph in tutto questo, forse è ricattato, mentre parlava si vedeva benissimo che aveva paura. Cerco di ricapitolare la mia situazione, ma non ci riesco perché sembra così tutto incredibile che ho forti dubbi che si tratti di una messa in scena per qualche strano interesse, oppure sto dormendo e sono nel mezzo di un incubo nel quale mi vedo nei panni di un’altra persona. Devo fare qualcosa per non pensare, almeno per adesso, a questa situazione perché rischio davvero che la mia testa perda il controllo facendomi fare qualche stupidaggine. Mi appoggio alla sbarra di ferro e mi sollevo dalla sedia a rotelle guardandomi dove metto i piedi, le gambe sembrano sopportare il peso, alzo lo sguardo e davanti a me c’è uno specchio che mi fa piombare nella disperazione: il mio occhio destro è pieno di sangue per colpa di qualche capillare che si è rotto, ho il viso gonfio come se avessi in bocca un hot dog intero e le mie labbra sono quasi impercettibili al confronto delle guance, ma la cosa più terrificante è la mancanza totale di capelli. I miei bei capelli biondi che attiravano tutti gli uomini della Terra sono completamente rasati. Oppure è anche peggio? Gli intrugli che mi stanno iniettando potrebbero essere così dannosi da avermeli fatti perdere? Ho il terrore che anche il resto del mio corpo sia sfigurato, lentamente mi spoglio del camice che indosso e il mio terrore prende forma: il seno è quasi afflosciato, ho dei grossi ematomi su tutta la parte destra, come se fossi stata percossa ogni giorno nello stesso punto. Che cosa mi hanno fatto! Inizio a piangere, sono sull’orlo di una crisi isterica, il mio sguardo sembra spento, anche più di quando mi ubriacavo o mi riempivo di pastiglie. Chi sono adesso? Hanno ucciso Marilyn, Norma Jeane l’ho soppressa io nel ’46, ora chi sono diventata? Ero la più bella del mondo e ora sono tornata a essere la piccola figlia di una pazza. Il mio viso si è deformato in un ghigno mostruoso, le lacrime hanno smesso di scendere e le mie labbra stanno sorridendo in modo diabolico, tutto mentre ho iniziato a pensare che potrei farmi chiamare proprio come lei: Gladys.[18] Rido sguaiata, la mia mente sta davvero perdendo contatto con la realtà impazzendo pian piano, ma voglio cercare di riprendere il controllo. Focalizzo la mia attenzione alla persona che sono e alle cose belle che ho fatto come i film di cui sono fiera: Niagara, Gentlemen Prefer Blondes, River of no Return, The Seven Year Itch, Bus Stop, Some Like it Hot.[19] Maledizione! Anche Something’s Got to Give sarebbe stato favoloso con le mie scene in piscina!
Le infermiere mi hanno sentita, una di loro fa capolino nel bagno, con il solito sorrisetto beffardo, mi chiede se Marilyn ha bisogno di aiuto. Ridacchia.
Io le rispondo con tutta la rabbia che ho in corpo che il mio nome è Gladys!

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In una data, ora e luogo sconosciuti…

Da quando ho iniziato a poter camminare da sola all’interno della clinica, sono riuscita a riprendere il controllo di me stessa. Il dottor Roselli si è convinto che le mie reazioni scomposte erano per l’astinenza da droghe continuando a imbottirmi le sue senza battere ciglio. Pensavo che fosse una persona per bene, ma dopo le rivelazioni di Ralph e i discorsi fatti con altri degenti – non sapevano neppure chi fosse – avevo compreso benissimo che questo Roselli facesse parte dei loro. Avevo mantenuto un profilo basso, non mi lamentavo più e nei momenti liberi cercavo di smaltire gli effetti collaterali degli intrugli che m’iniettavano facendo una leggera attività fisica, sia nel parchetto sia nella mia stanza prima di essere rimbambita di medicinali.
Ciò che davvero mi ha aiutato tantissimo è stata la presenza di un uomo ricoverato nel mio reparto. Oggi però è un giorno triste perché hanno deciso di dimetterlo e perderò l’unica persona che ha parlato con me raccontandomi molte cose che sono accadute là fuori.
«E’ stato un onore per me conoscerla, signora Monroe» mi dice stringendomi a sé come aveva sempre fatto in questi mesi.
Lui ha sempre nominato il mio nome d’arte senza curarsi se qualcuno lo sentisse e ha spesso redarguito in modo molto pesante le due arpie che hanno smesso di ridere dopo le sue ramanzine. Ho capito subito che era un gentiluomo, ma che non dovevi cercare di calpestarlo perché ti avrebbe sistemato per le feste. Mi sono fidata subito di lui perché sapeva della situazione e si schierava apertamente dalla mia parte anche alla presenza del dottor Roselli. E poi come non fidarsi di un mio fan accanito che si era visto tutti i miei film e che mi ricordava le scene più belle descrivendo i vestiti che indossavo.
«Jack,[20] è arrivato il momento di tornare nel tuo albergo di lusso?» dico sorridendo dato che so bene che dovrà tornare in prigione.
«Così hanno detto; mi sarebbe piaciuto gironzolare ancora in questa città, magari continuando a gestire il mio locale. Fuori da queste mura c’è la mia adorata Dallas, ma non potrò più vederla. Non importa, sono felice di avere tolto di mezzo quel comunista che ha ucciso JFK!»
Non so se gli sono sfuggite queste parole o se ha voluto dirmele. La sua affermazione mi ha consentito di capire finalmente che sono in una clinica di Dallas, in più mi ha fatto tornare in mente che John è stato assassinato, proprio in questa città come mi aveva raccontato Ralph in un momento in cui si sentiva loquace più del solito.
«Mia cara Marilyn, però ho la sensazione che appena sarò uscito da questo posto, non mi rimarrà molto da vivere.»
«Sei così tanto malato?»
Jack, mentre mi stringe la mano, mi passa un bigliettino di carta poi, avvicinandosi per baciarmi la guancia, mi dice sotto voce: «Marilyn, io non posso più fare nulla. Su questo biglietto c’è un numero di telefono, chiama il prima possibile, fai sapere a questa persona che sei viva e digli…»
Jack si accorge che sta arrivando Roselli e smette di parlare, mi bacia, poi si rivolge direttamente al dottore.
«John,[21] non pensavo che avresti gestito tu questo paravento, ma da quanto ho visto in questi mesi te la stai cavando davvero bene anche senza Chucky.»[22]
«Andiamo Jack, smetti di parlare a vanvera; a volte hai la bocca troppo larga, e poi lo sai benissimo che chiamarlo in quel modo è irrispettoso.»
Forse è la prima volta, in tutto questo tempo, che sento la voce del dottor Roselli aggressiva e minacciosa; Jack ha smesso di fare le sue battutine, si è messo il suo cappello nero in testa e mi ha sorriso prima di dirigersi verso l’uscita.
Appena sono da sola, guardo il bigliettino, più per la curiosità di leggere il nome che c’è dentro che per un bisogno del momento; non posso dare ascolto alle sue parole, non ho la minima possibilità di poter usare l’unico telefono di cui sono a conoscenza perché si trova nello studio di Roselli, e quando mi lascia in attesa, c’è sempre una delle infermiere a tenermi sotto controllo.


3  gennaio 1967
Parkland Memoria Hospital
«Confermo che il signor Jack Rubenstein è deceduto per un’embolia polmonare causata da un tumore ai polmoni.»[23]

 - - - - -

In una data e ora sconosciuti, in una clinica di Dallas (TX)

Le giornate passano tutte uguali. Passeggiata nel parco, colloqui con il dottore la mattina presto e di sera tardi, pranzo e cena insieme a persone con la mente completamente instabile con le quali scambiare un discorso sensato diventa arduo dopo la prima frase, e poi a letto presto senza poter leggere niente o guardare in tv le news della CBS. Quanti anni sono passati da quando sono qui? Impossibile dirlo ormai. Mi mancano i giorni in cui tutti mi si avvicinavano, anche solo per toccarmi una spalla, mi mancano le domande asfissianti dei giornalisti sui miei amori o sulle mie condizioni fisiche, mi manca la ribalta e tutto ciò che ruota attorno al mondo del cinema e, addirittura, sento la mancanza delle persone che non mi hanno mai amato o poco considerata che non perdono mai l’occasione per parlare male di me. Aveva ragione Oscar Wilde. Bene o male, se parlano di te, vuol dire che conti qualcosa.
Ogni tanto Ralph mi fa visita, mi rincuora dicendo che presto mi lasceranno andare, ma è diventata una cantilena alla quale continuo ad avere poca fiducia. Hanno mentito al mondo dicendo che mi sono suicidata, ma adesso se avessi a portata di mano quelle droghe formato pillola ne ingurgiterei una quantità spropositata perché vivere in queste condizioni è come essere un morto che cammina.
La mia mente non vuole saperne di lasciare che esca questo segreto che loro anelano e che io non ricordo, e mi continuo a chiedere se davvero conosco qualcosa di così importante da tenermi viva e segregata in questa clinica per malati mentali per così tanto tempo.
Ci siamo. L’infermiera m’inietta la solita schifezza in vena e il dottor Roselli inizia con la solita domanda cui io non so rispondere.

«Ricordi cosa è successo il 5 agosto?»

…Credo che fosse il 20 luglio del 1962 e dopo l’ennesima notte d’amore, trascorsa con Bobby in un hotel nella West Hollywood, sfrutto una delle poche occasioni in cui lui può riservarmi le sue attenzioni per un altro giorno intero. Rimaniamo a letto, mi avvinghio a lui e mi prendo ogni coccola che mi riserva mentre ascolto i suoi programmi per il nostro futuro.

Il 1962, per me, era stato un continuo sali e scendi per colpa della depressione; malattia spietata e subdola che ti colpisce all’improvviso scombinandoti l’intera vita, un momento prima sei euforica e tutto ti va bene, subito dopo ti abbatti e tutto va male.
Ero uscita dalla clinica di New York speranzosa e invece in gennaio Frank decise di troncare la nostra relazione mentre Arthur,[24] in febbraio, si era sposato con una fotografa. Cercai di farmi forza e l’unico modo che avevo trovato era quello di spendere soldi così nello stesso mese comprai la villa di Brentwood. Sembra strano quando si dice che le donne cambiano umore se fanno acquisti, ma fa più effetto sapere che è una affermazione veritiera. Nei mesi seguenti ho ricevuto un premio al Golden Globe e poi avevo iniziato le riprese di Something’s Got to Give. Pensavo fosse passata la bufera, ma riapparse come un ciclone la mia peggiore nemica. La depressione mi mise a letto con febbre alta e frequenti sinusiti e trovai pace soltanto con la mia cura a base di alcolici e barbiturici. Ero così stonata che faticavo a ricordare anche le cose semplici, poi Peter mi corse in aiuto proponendomi una grande idea e solo il pensiero mi fece rialzare da terra. Le riprese del film ripartirono ed io feci il piccolo spettacolo a New York per il presidente ma ancora avevo l’effetto della droga e, nonostante avessi accettato che con John fosse soltanto una notte, la mia testolina mi mise nuovamente in ginocchio e la conseguenza fu la causa intentata dalla Fox. Che cosa fare per rialzarsi di nuovo? Decisi di accettare l’offerta di fare fotografie di nudo, e nel frattempo iniziai a frequentare Bobby. Lui è la mia salvezza e oggi sono felice tra le sue braccia in questo hotel.

Lo stringo forte a me; ride dicendomi che lo sto stritolando ed io lascio questa presa soltanto per appoggiare il mio capo sul suo petto. Ascolto con crescente gioia la sua promessa di divorziare presto per poi accasarsi con me, però è anche preoccupato per questa situazione perché un divorzio mette in cattiva luce la sua immagine di ministro della giustizia. Io rido e lo convinco che lasciare una moglie è uguale che lasciare un marito, e che di queste cose me ne intendo.
Mi accarezza i capelli, mi sento come la sua regina di cuori; ci siamo visti poco in questi mesi, ma ogni volta sono felice di essere sua e, a volte, mi sorprendo a sorridere da sola quando lui non c’è nella mia villa.
Devo aspettare il momento giusto, non voglio rovinare niente. Adesso lui è troppo impegnato a fermare quel Jimmy qualcosa,[25] ma appena possibile gli rivelerò che sono incinta di suo figlio. Immagino la sua gioia mentre gli confermerò che gli esami hanno dato esito positivo. Sono sicura che con lui andrà tutto bene, lo sento; il nostro futuro sarà così radioso da illuminare tutto il mon…

«Siete dei fottuti idioti! »

È la prima volta che mi risveglio di soprassalto dopo una seduta con il dottore e sento il mio cuore che corre all’impazzata. Roselli sta urlando con qualcuno, cerco di origliare e faccio fatica a comprendere cosa stia dicendo con quello strano slang americano/siciliano. Forse ho rivelato il segreto che cercavano e ora sarò libera? No, sta urlando e il tono di voce è di una persona infuriata.

«Con tutte le droghe che le avete dato, le percosse continue solo perché non rivelava il segreto nonostante il siero e tutte le oscenità che avete fatto mentre dormiva vi costeranno la vita. Maledizione! Era incinta chista bottana e voi l’avete fatta abortire con tutte le vostre scemità! Il sangue che le usciva era per quel motivo e non perché voi siete superdotati, stupidi idioti. Io vi ho avvisato, ma se mi manda a cercarvi non mi farò scrupoli perché avete messo anche me nei guai!»

Mio Dio, cosa mi hanno fatto! Era un ricordo perduto della mia memoria e ora che ascolto le parole di Roselli, mi sento morire. Mi hanno fatto abortire per cercare qualche segreto con cui ricattare Bobby, e facendomi del male hanno perso la loro unica possibilità; lui, del suo lavoro, non entrava mai nei dettagli ed io non chiedevo niente di più che averlo tra le mie braccia. Tremo: le mie palpebre socchiuse lasciano scorrere sul viso delle lacrime, sento le mie mani appoggiate sul grembo come se cercassero qualcosa che non trovano. Ho perso mio figlio! Tutto ciò che ho patito in questa clinica, scompare davanti a ciò che mi hanno fatto quel 5 agosto. Era meglio che mi avessero lasciata morire per davvero.
Roselli si avvicina alla scrivania, io tengo gli occhi chiusi per non far capire che sono sveglia. Lui parla al telefono.

«Chuck, abbiamo un grosso problema. Sì, ma non ti piacerà. No, non abbiamo niente in mano. Ok, vengo subito a Fort Worth per spiegare ogni cosa. Ok, ci penseranno gli altri a togliere di mezzo Kennedy.»

Vogliono uccidere anche lui! Rimango zitta, ma non posso permetterlo, devo trovare il modo di vendicarmi. Roselli esce dalla stanza sbattendo la porta, io apro gli occhi e mi alzo di scatto per prendere in mano il telefono; questa è la mia unica possibilità di usarlo per chiamare la persona che mi aveva indicato Jack nel bigliettino. Compongo il numero, lo ricordo a memoria, cerco di fare in fretta, ma sto tremando dalla paura e fatico anche a tenere tra le mani il telefono.

«Buongiorno, qui è la segreteria dell’ufficio del procuratore di New Orleans, come posso esserle di aiuto?»
«Presto» dico farfugliando. «Devo parlare subito con Jim Garrison,[26] dovete salvarlo.»
«Signorina, chi deve salvare? Lei come si chiama?»
«Marilyn Monroe.»
«Un'altra mitomane! Senta, qui stiamo lavorando, non abbiamo tempo di parlare con i pazzi. Già ce ne sono troppi che vengono nei nostri uffici!»

Dall’altra parte cade la linea. Che stupida, Marilyn è morta ed io mi sono presentata con quel nome; devo riprovare, ma sento i passi inconfondibili delle infermiere, veloce riaggancio, mi siedo al mio posto e chiudo gli occhi per non farmi scoprire. È finita! Che cosa faranno di me ora che non servo più? Sento l’ago nella mia vena e sicuramente mi metteranno a dormire. Di nuovo.


6 giugno 1968
Good Samaritan Hospital, Los Angeles (CA)
Ore 01:55
«Sarò breve. Il senatore Robert Francis Kennedy è spirato alle ore 01:44 a causa dei colpi subiti nell’attentato avvenuto all’Hotel Ambassador.»[27]

- - - - -

6 giugno 1968
Behavioral Healthcare Hospital, Dallas (TX)[28]
23:00
Devono avermi riempita di sonniferi e di droghe; non ricordo più niente degli ultimi giorni. L’ultima immagine che ho ben presente è il dottor Roselli che inizia la mia ennesima seduta terapeutica; è così che gli piace definire la tortura cui mi sottopone con il siero della verità. Devo avere fatto qualcosa di strano oppure dette cose particolari se mi hanno legata di nuovo mani e piedi. Il motivo per cui mi sono risvegliata non lo conosco, probabilmente mi daranno altro sonnifero più tardi, ma ora, senza poter fare nulla, il mio cervello si mette in moto e non posso fare altro che trattarmi male perché sono diventata una donna patetica, smemorata, drogata e alcolizzata.
Pensavo di avere raggiunto la vetta, di essere diventata la Regina delle regine, invece, ero soltanto una delle tante che aveva l’aspirazione di diventare importanti, di ricevere amore incondizionato e, perché no, di ottenere grande successo nella carriera lavorativa. L’amore? Ripensando al mio passato ritengo che sia un grosso errore confidare in questo sentimento. Mi sono sempre innamorata di tutti gli uomini con cui sono stata e da loro ho ricevuto in cambio il minimo indispensabile. Tre matrimoni falliti miseramente. James[29] era bello e aitante, mi sono innamorata di lui scambiandoci poche parole e per nulla interessanti, però sembrava che anche per lui ci fosse la stessa passione, così ho accettato di sposarlo. È stato sicuramente il mio primo uomo sbagliato e fin da allora dovevo capire che non sono brava a riconoscere le persone giuste. Lui stava con me soltanto perché Grace lo pagava per tenermi lontana; si era sposata e le davo evidentemente fastidio. Joe,[30] uno sportivo del quale m’interessava giusto il minimo, ma lui mi corteggiò così assiduamente che m’innamorai di lui profondamente e senza remore l’ho sposato, ma tutto l’amore che c’era non poteva bastargli e me ne accorsi subito durante il viaggio di nozze in Giappone. La sua gelosia gli offuscava la mente, compresi che non reggeva il confronto con la diva che ero diventata, e ciò lo portava ad essere irruento e aggressivo. Avevamo due caratteri opposti e sembrava normale che litigassimo continuamente, ma quando durante un’accesa discussione mi ha schiaffeggiata, ho deciso che non potevo restare con lui rischiando che le cose peggiorassero. Divorziammo ed era stata la scelta più giusta che potessi fare in vita mia. Arthur era l’uomo perfetto e mi ero innamorata fin dal primo incontro, anche se lasciai che passasse del tempo prima di accettare un suo vero corteggiamento. Lui non era bellissimo, ma aveva un’intelligenza sconvolgente e quando ti fissava, da dietro i suoi occhiali, era come passare sotto i raggi ics. Ti metteva a nudo e sviscerava ogni tuo pensiero senza farti parlare. Tanto grande l’amore, tanto più grande la tristezza perché con lui successero le peggiori cose della mia vita. Dovetti abortire due volte: la prima perché rischiavo di morire, la seconda fu per cause naturali. Iniziai a farmi male con l’alcool e alla fine fu colpa mia se naufragò il matrimonio, ma se mi ero buttata anche sugli anti depressivi, significava che da lui non ricevevo più l’affetto che ci aveva uniti e, peggio ancora, mi abbandonava alla mia angoscia accusandomi di essere io la causa della morte dei nostri figli.
È vero, a volte la colpa è stata mia se le relazioni che ho avuto, anche quelle durate pochi istanti, finivano prematuramente, però quello che ho sempre dato alle persone che sono state a letto con me, è sempre stato vero amore. Io mi sono sempre innamorata, non ho mai concesso il mio corpo soltanto per divertimento. Ci ho sempre messo il cuore, ma purtroppo non ho mai ricevuto in cambio la stessa passione. Gli uomini parlano tra loro e si vantano delle conquiste, fingono sensibilità, ma poi sgusciano fuori dal tuo letto come anguille. Nessuno si è mai domandato come si sentono le loro amanti quando le abbandonano nel bel mezzo della notte con la scusa che devono tornare dalle mogli. Pochi hanno compreso la mia sensibilità. Denaro, gioielli, pellicce? No, quelli erano sono i miei giocattoli e mi piaceva che la stampa ritenesse che amassi soltanto le cose materiali, perché poi chi voleva stare con me si accorgeva di com’ero fatta dentro, delle mie aspirazioni, dei miei sogni, del mio cuore. Volevo diventare una brava attrice e cantante, ma tutti gli occhi si fermavano sulla mia bellezza esteriore e nessuno ascoltava la mia voce, troppo intenti a desiderare il mio corpo. Le case cinematografiche non sono state da meno. Registi e produttori puntavano sulla bionda Monroe, le davano parti nelle quali l’aspetto fisico risaltasse in maniera preponderante e le battute che le consegnavano da recitare sembravano sempre quelle di una povera civettuola un poco scema.
Mi lamento del trattamento, ma forse sono stata io a scommettere troppo sulla mia naturale bellezza, ma agli inizi era l’unico modo che mi permise di aprire delle porte che altrimenti sarebbero state sempre chiuse per una ragazza, figlia di una malata di mente.
Che mostruoso paradosso; critico aspramente mia madre per i suoi problemi mentali, proprio mentre continuo a trascorrere il tempo da ufficialmente morta in una clinica che cura le sue stesse problematiche. Ho passato la vita a rinfacciare a mia madre di avermi abbandonata e nel frattempo sono riuscita a distruggere la mia di vita abusando di ogni droga che mi poteva mettere in silenzio quella vocina che gridava nella mia testa – è tutta colpa tua. –
Mi manca la vita perennemente sotto i riflettori e nello sfarzo sfrenato, i momenti in cui tutti volevano vedere Marilyn Monroe non potranno tornare perché lei è morta il 5 agosto. Spero che il mio pubblico stia continuando ad amarmi, anche se le altre persone avranno raccontato le peggiori cose su di me, mi auguro che il poco che ho fatto rimanga nella loro memoria come un momento speciale della loro vita e che riescano a tramandare l’ammirazione che hanno avuto per Marilyn ai loro figli…
Figli! Questo pensiero è stato come subire un elettroshock e ho ricordato che ne ho perso un terzo per colpa delle persone che mi hanno rinchiusa in questo posto, individui loschi alla ricerca di un segreto, pronti a tutti pur di ottenere ciò che vogliono. Dopo che hanno ucciso John, anche Bobby avrà certamente fatto la stessa fine, ed io sento addosso il peso della sconfitta per non essere stata capace di salvare né lui né nostro figlio. Forse aveva ragione Arthur, sono io che attiro le disgrazie e che le distribuisco a tutti quelli che mi stanno vicino.
Sono stanca, non riesco più a reagire a questa situazione. Sento i passi delle due arpie, ma quando mi sono vicine, mi accorgo che sono diverse da quelle che mi hanno fatto del male per tutto questo attraverso le loro battute sarcastiche e all’indifferenza totale per una persona malata. Guardo le nuove arrivate e rimpiango le altre due: niente saluto, niente sorriso, niente parole, ago nella mia vena e solita dose. Non importa, voglio dormire, ogni pensiero che sto avendo, mi sta spaccando la testa, magari domani decideranno di liberarmi da questa gabbia, mi porteranno su un isola sperduta nell’Oceano dove Marilyn Monroe è un nome sconosciuto e lì, finalmente, Norma Jeane potrà riposare felice.

Stesso giorno, stesso posto
Ore 23:30
«E adesso?»
«L’Agenzia[31] coprirà anche questo casino che ha fatto quello di Chicago. Tenere in vita Marilyn è stata la mossa più stupida che potevano fare. Ora è finita e nessuno saprà mai che lei è vissuta fino a questo momento. Mai.»





“Tornando col pensiero alla nostra infanzia, io credo che la maggior parte di noi in quest'aula pensasse che la giustizia si fosse creata automaticamente... che la virtù fosse premia a sé stessa... che il bene avrebbe trionfato sul male. Ma crescendo abbiamo capito che tutto questo è falso. Sono gli esseri umani che devono creare la giustizia e non è una cosa facile. Perché la verità è molto spesso una minaccia per il potere. E la gente spesso deve combattere contro il potere con grave rischio personale”
Kevin Costner nel film “JFK – Un caso ancora aperto” (1991)



 

N.d.A.
- Per prima cosa voglio ringraziare mystery_koopa, autore e utente di EFP e forum il quale mi ha dato il permesso di scrivere questa storia basata sulle tracce del contest da lui indetto:  “Senza Tempo – II edizione” che potete trovare al link https://www.freeforumzone.com/d/11624562/Senza-tempo-II-Edizione/discussione.aspx
- Come avrete notato, in questo racconto ci sono molti personaggi che in un modo o nell’altro sono stati nominati nelle molteplici ipotesi di complotto che sono nate per la scelta del governo degli USA di occultare le informazioni. La morte di Marilyn ha lasciato molti dubbi e nel corso degli anni i vari personaggi che furono accostati a lei hanno cambiato la loro testimonianza quasi in continuazione e gli omicidi dei fratelli Kennedy hanno contribuito a rendere sempre più fumose le vicende che sconvolsero gli Usa e il mondo negli anni a cavallo tra il 1962 e il 1972 con il caso Watergate in cui rimase coinvolto l’allora Presidente Richard Nixon. (anni in cui viene assassinato Martin Luther King). In questa storia ho voluto utilizzare quasi tutti i personaggi che in qualche modo furono coinvolti in quegli avvenimenti, sia per le indagini effettuate dalle forze dell’ordine sia per le idee di chi non ha mai creduto alle verità prodotte dal governo americano.





Note
  1. Norma Jeane Mortenson Baker è il vero nome di Marilyn Monroe.
  2. Jack Clemmons è proprio il primo agente di polizia ad avere raggiunto la casa di Marilyn Monroe quella mattina del 5 agosto 1962 accorso alla chiamata perché la riteneva uno scherzo di pessimo gusto.
  3. Grace McKee, amica della madre di Marilyn, fu tutrice di Norma fino a che la ragazzina ebbe nove anni.
  4. Ralph Greeson (vero nome Romeo Samuel Greenschpoon) era lo psichiatra di Marilyn e fu il primo a entrare nella camera dell’attrice nella quale la donna era già deceduta da qualche ora.
  5. Thomas Noguchi era il vice coroner della Contea di Los Angeles; le parole che dice alla giornalista sono esattamente quelle descritte sul referto dell’autopsia.
  6. John Fitzgerald Kennedy, Presidente degli USA. Il 10 maggio 1962 è ricordato proprio perché Marilyn cantò due canzoni per il compleanno del Presidente.
  7. Peter Lawford, attore e cognato di Robert Kennedy.
  8. Robert “Bobby” Francis Kennedy, ministro della giustizia negli USA.
  9. Frank Sinatra, attore e cantante.
  10. Eunice R. Murray era la governante di Marilyn Monroe.
  11. Sam Giancana, potente mafioso di Chicago sospettato anche di essere affiliato alla CIA (Central Intelligence Agency).
  12. Sono le testuali parole dette in  diretta dal noto giornalista Walter Cronkite dagli studi della CBS.
  13. Diminutivo della casa cinematografica 20th Century Fox.
  14. Con la morte di Marilyn il film non fu mai completato proprio per il rifiuto di Dean Martin di lavorare con un'altra attrice che non fosse la Monroe.
  15. Dean Martin, attore e cantante.
  16. È il luogo dove realmente è tumulata Marilyn Monroe.
  17. Faye Miller è il nome falso che utilizzava Marilyn Monroe quando si ricoverava al Payne Whitney Psychiatric Clinic di New York.
  18. Gladys Pearl Monroe era il nome della madre di Marilyn.
  19. I film elencati in lingua Americana sono nell’ordine (titolo in Italia): Niagara, Gli uomini preferiscono le bionde, La magnifica preda, Quando la moglie è in vacanza, Fermata d’autobus, A qualcuno piace caldo.
  20. Jack “Ruby” Rubenstein, l’uomo che uccise Lee Harwey Oswald, assassino di John Kennedy.
  21. John Roselli, affiliato alla mafia di Chicago che, secondo una tesi cospirazionista, partecipò attivamente all’assassinio di John F. Kennedy. In questo racconto di fantasia cela la sua identità dietro il camice da dottore.
  22. Chuck Giancana, figlio del noto mafioso Sam Giancana.
  23. È la vera causa di morte di Jack Ruby scritta nel referto del coroner del Parkland Hospital. Curioso aneddoto: In questo ospedale morirono John Kennedy, il suo assassino Lee Harwey Osvald e l’assassino dell’assassino Jack Ruby.
  24. Arthur Miller, sceneggiatore, è stato il terzo marito di Marilyn (1956-1961).
  25. Jimmy Hoffa, sindacalista americano colluso con la mafia e condannato per corruzione.
  26. Jim Garrison era il procuratore distrettuale di New Orleans che nel 1969 riaprì il caso sull’omicidio del Presidente John Kennedy.
  27. È la reale dichiarazione della morte di Robert Kennedy rilasciata dal capo coroner del Good Samaritan Hospital.
  28. Il Behavioral Hospital è un reale ospedale psichiatrico di Dallas che in questo racconto di fantasia ospita segretamente Marilyn.
  29. James Dougherty, compagno di scuola di Marilyn, è stato il primo marito dell’attrice (1942-1946).
  30. Joe Di Maggio, atleta sportivo, è stato, per meno di un anno, il secondo marito di Marilyn (1954).
  31. L’Agenzia è un abbreviazione usata in gergo per indicare la CIA.
  
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