Disclaimer: i
personaggi di Pandora Hearts sono © di Jun Mochizuki. Gli altri, è la mia
interpretazione artistica che tappa i buchi di una trama che necessita tanti
pg.
Note introduttive: cercherò di farla più breve possibile, ma sono
necessarie. L’intera fanfiction si svolgerà in una scuola (Latowidge, presente
anche nel manga): per questa mia trovata geniale, le età dei
protagonisti che nel manga sono giustificate dai mille sbalzi temporali del nostro
amatissimo Abisso, qui sono inesistenti. Motivo per cui le ho dovute adattare.
Ho cercato di mantere delle
linee generali (come il fatto che anche nel manga Vincent e Gilbert si passano
un solo anno di differenza), ma in alcuni casi era impossibile. Per un motivo
simile ho dovuto rendere Ada sorella maggiore di Oz.
Malgrado io non ami molto
inserire troppi nuovi personaggi, qui mi tocca: trattandosi di una scuola con
più di dieci studenti sputati quali i nostri amati protagonisti, mi capiterà
non solo di sparare nomi a casaccio tanto per far numero, ma anche di dover
approfondire un minimo la sfera di quel tale studente-compagno di classe.
Non avranno comunque ruoli
rilevanti, ecco tutto: saranno la mia amata cornice.
Infine, ho cercato anche di
attenermi abbastanza al manga per quanto riguarda il passato dei personaggi:
chiaramente ho dovuto attualizzare e togliere qualche cosa strana come
l'Abisso, o le Catene, i salti temporali e via dicendo. Ma Oz ha sempre il
padre che meriterebbe il ritiro della patria potestà stile ritiro patente, e
Vincent e Gilbert restano adottati (e con parte del loro altresì sfigatissimo
passato).
Infine: non so quanto sarà
lunga la fanfic, ogni quanto aggiornerò ecc. Ma se vorrete seguirmi, ne sarò
felice XD Il rating per ora è arancione, per sicurezza: se la situazione
degenera, verrà cambiato in rosso ù_ù”
Mi scuso per le note
oltremodo lunghe, ma erano necessarie per facilitare la lettura.
Latowidge
Latowidge era un collegio
rinomato.
A chiunque si chiedesse
nella contea, non faceva che rispondere la stessa cosa: Latowidge è la scelta
migliore per i tuoi figli.
Era collocata appena in
periferia, subito fuori dalla città ma non eccessivamente lontana, cosicché i
genitori più apprensivi fossero in grado di raggiungere la scuola facilmente.
Contava di tre edifici: il
più grande era la scuola. Comprendeva le aule per ogni singola materia
insegnata e divisa per corsi. Il primo e il secondo anno utilizzavano le stesse
classi, le terze erano le uniche occupanti delle aule per il loro anno, ed
infine quarte e quinte sfruttavano le medesime classi per le lezioni.
Lo stesso edificio
includeva un'aula magna in cui ogni anno aveva luogo un saggio o uno spettacolo
a chiusura dell'anno scolastico, una sala piuttosto capiente per ospitare
l'annuale ballo di Natale, la segreteria studenti, la sala insegnanti, un
ufficio per ogni docente ed infine una biblioteca ad uso e consumo di tutti gli
studenti.
Tutte le aule, così come le
altre stanze, presentavano un arredamento in legno - elegante ma non pomposo -
e l'attrezzatura migliore per il buon lavoro di docenti e studenti.
Gli altri due edifici erano
i due dormitori, uno maschile e l'altro femminile, con stanze doppie ed ognuno
con un capo dormitorio per ogni anno fra gli studenti.
L'esterno vantava un grande
spazio verde adibito a giardino, trattato con cura meticolosa da più di un
inserviente.
Quanto alla suddivisione
degli studenti, differivano di anno in anno per un particolare della divisa:
un'idea della presidenza, per quel che si sapeva. La divisa bianca, sia per le
ragazze che per i ragazzi, presentava – obbligatoriamente e previsto dal
regolamento – un nastro posizionato sotto il colletto della camicia candida.
Per i ragazzi era sistemato
in un fiocco fine, il nastro corto abbastanza perché l'ornamento non risultasse
troppo femminile; per le ragazze, vi era un'applicazione simile con la sola
differenza che il nastro risultava più lungo, sfiorando spesso la camicia
all'altezza del seno.
Sia gli uni che le altre,
comunque, cambiavano il colore del nastro in base all'anno di appartenenza: il
primo anno bianco, il secondo azzurro, il terzo blu, il quarto di un grigio
fumo, il quinto ed ultimo anno nero.
I docenti erano i migliori
qualificati, assunti direttamente dalle migliori università del posto e,
talvolta, anche di altri Paesi.
In definitiva, l'Istituto
Latowidge era famoso e il luogo d'istruzione ideale.
Ma è sempre un collegio, sospirò mentalmente, alzando lo sguardo
sull'edificio che si stagliava non troppo lontano rispetto a lui.
Ai grandi ed imponenti
cancelli che recavano il nome della scuola, stava fermo e in piedi il classico
nuovo studente destinato ad iniziare la sua vita lì di punto in bianco e non
dal primo anno.
E se state immaginando un
ragazzo depresso, oppure arrabbiato col mondo, che metterà piede lì dentro con
l'intenzione di recitare il ruolo dello sfigato i cui genitori lo hanno mandato
lì a calci nel sedere, beh... c'è una sola cosa giusta in quest'immagine
mentale.
Che non ci stava
propriamente andando di sua volontà.
Ma per il resto, Oz
Bezarius non la vedeva nemmeno così tragica come poteva apparire.
Si stiracchiò,
occhieggiando i propri abiti: gli avevano detto di quanto fosse noto il posto e
di quanto solo i figli di famiglie più o meno altolocate vi studiassero – e
d'altra parte lui era uno di loro.
Ma aveva preferito non
indossare nulla di formale, perché non ci si sarebbe visto, né trovato a
proprio agio. E, benché suo padre avesse ampiamente mostrato la sua totale
disapprovazione per la semplice camicia bianca con sopra un altrettanto
semplice gilet nero, e per i pantaloni al ginocchio – e gli scarponcini
"da contadino" e la cravatta "vergognosamente allentata" –
aveva comunque fatto di testa propria.
La stessa testa che gli
aveva suggerito che farsi venire a prendere all'ingresso da sua sorella non
avrebbe entusiasmato suo padre.
Aveva quindi assicurato
alla maggiore che avrebbe fatto da solo, e che non doveva preoccuparsi: sarebbe
arrivato alla segreteria studenti senza intoppi.
Un'ultima occhiata generale
e, valigia alla mano, varcò la soglia avviandosi per il curato vialetto che
suggeriva la direzione per raggiungere la scuola.
Più o meno a quello che –
ad occhio – gli sembrava il centro del giardino, c'era una fontana, di quelle
che a suo avviso erano più tipiche di una tenuta importante che non di una
scuola.
Ma non era male: da lì il
sentiero guidava ad ognuno dei tre edifici.
Mantenne l'attenzione su
quello centrale, il più grande, nonché la sua meta.
«Un nuovo studente, ne? ♥» sentì chiedere senza preavviso al proprio fianco,
voltandosi istintivamente a guardare.
L'immagine che inquadrò
dopo pochi istanti, gli diede la sensazione di una persona... non proprio
grottesca, ma il giudizio non si allontanava di molto.
Tuttavia, abbozzò un
sorrisetto leggero: «Si nota?» scherzò su, mentre l'altro sorrideva
sottilmente.
Notò che forse era uno dei
rari albini di cui aveva letto sui libri: i capelli chiari, e tuttavia troppo
per l'età giovane che dimostrava, avevano un taglio scalato che sfiorava appena
la base del collo. La pelle chiara, l'occhio che non era coperto dalla frangia
era di un insolito rosso carminio.
Gli abiti che indossava gli
ricordarono più una divisa: scuri, neri, con ricami argentati; parevano quelli
di un qualche ufficiale.
...Non fosse stato per la
bambolina di pezza sulla spalla.
«Abbastanza. Sguardo perso
per il giardino, abiti tutt'altro che simili alla divisa. E anche la valigia mi
ha suggerito che sei un cattivo bambino che rappresenta un nuovo acquisto.»
canticchiò divertito – in un modo del tutto personale, osservò lui.
Lo vide portare una mano in
tasca e allungare il braccio verso di lui, aprendo la mano stretta a pugno con
il palmo rivolto verso l'altro: rivelò ai suoi occhi una caramella avvolta
nella carta arancione.
Oz la prese, l'espressione
che ricordava un cagnolino scodinzolante di fronte ad un biscotto dato dal
padrone. Il suo interlocutore parve trovarlo simpatico.
«E il nuovo studente si
chiama Oz Bezarius, scommetto.» finse di indovinare.
Questo lo sorprese un po’
di più in effetti e, al tempo stesso, gli lasciò il sentore che con ogni
probabilità quell’uomo non era il giardiniere; se lo era, complimenti per la
rete d’informazioni.
Sul momento, comunque,
rimase in silenzio e preferì aprire la caramella e mangiarla piuttosto che rispondere.
Continuò ad avanzare verso l’edificio centrale, l’uomo che proseguiva al suo
fianco con aria tutto sommato divertita e con un passo tragicamente vicino al
saltellare.
Si decise a lasciar stare
quella compagnia inaspettata per il tempo sufficiente a guardarsi intorno,
studiando i tre edifici e le loro disposizioni, così come i sentieri puliti e
privi di erbacce che collegavano quel giardino enorme ai dormitori e scuola.
Quando ebbe registrato
un'immagine complessiva che potesse soddisfare la sua curiosità almeno per il
momento, tornò con gli occhi chiari sull'uomo al suo fianco, che guardava di
fronte a sé e non gli aveva ancora posto nessuna domanda.
Fu dunque Oz a parlare:
«Tutti a scuola sanno il mio nome?» chiese, ironicamente divertito dalla propria
domanda retorica. L'altro parve deciso ad assecondare quel gioco.
«No, no, solo le persone
importanti lo sanno!» lo prese in giro. Sembrò stancarsene subito, però, dato
che in pochi istanti aggiunse: «Occhi verdi, capelli chiari. Così identico alla
signorina Ada, che anche se avessi un cognome diverso non associare le vostre
immagini sarebbe impossibile, no?» lo incalzò.
Oz sorrise: effettivamente
c'era da ammettere che con quell'aspetto fisico, lui e la sorella non potevano
certo fingersi estranei. Non solo avevano entrambi i capelli biondi - forse lei
appena più scuri a seconda della luce, e ovviamente più lunghi - e gli occhi di
un verde brillante. Anche i lineamenti coincidevano come solo quelli di alcuni
fratelli e sorelle potevano fare.
L'unico motivo,
probabilmente, per il quale non venivano scambiati per gemelli, era che Ada
dimostrava fisicamente i due anni in più che li separavano.
Diciottenne - sebbene da
pochi mesi - Ada Bezarius era la più grande dei due figli del casato.
Raggiunse i pochi scalini
che portavano al piano rialzato su cui sorgeva l'edificio scolastico,
osservando il grande portone in legno scuro, intagliato verso l'interno, con
decorazioni non troppo sfarzose.
Rimase qualche istante
fermo sul primo scalino; l'altro, al suo fianco, ridacchiò come chi rivede la
stessa scena per l'ennesima volta. Lo superò, dunque, raggiungendo il portone e
socchiudendo appena una delle due ante, il tanto che bastava da insinuarsi
all'interno oltre la soglia.
Tuttavia, non la varcò
subito, voltandosi ad osservarlo da sopra la propria spalla: «La segreteria
studenti è raggiungibile passando per il corridoio sulla destra.» canticchiò
divertito, l'espressione indecifrabile. Oz stava per dire qualcosa - un
ringraziamento probabilmente - ma l'altro lo anticipò parlando di nuovo:
«Benvenuto, signor Bezarius, attento a non perderti, ne?» aggiunse ed Oz non
seppe dire se l'altro parlasse seriamente o se si stesse facendo beffe di lui.
Annuì, nel dubbio, fermando
l'altro che a quel punto gli aveva dato le spalle e già faceva per entrare: «Ma
il suo nome?» lo interrogò, come se fino ad allora avesse sempre scordato di
chiederlo lungo il breve tragitto fatto. Quello ridacchiò.
«Chissà.» fu l'unica
replica che gli concesse, prima di scivolare all'interno della costruzione
senza chiudere il portone. Spiazzato dalla risposta - o, meglio, dall'assenza
di una vera e propria - Oz si affrettò a seguirlo.
Quando ebbe aperto
abbastanza il portone da passarvi con l'unica valigia che aveva a mano, quello
strano individuo era sparito, ma al suo posto l'ampio atrio dell'istituto
lasciava senza fiato e faceva passare di mente in un istante le domande che Oz
si era posto fino ad un attimo prima.
Spazioso ed impeccabile nel
suo ordine e nella sua pulizia, l'atrio dava una prima impressione di Latowidge
che - com'era stato per la fontana all'esterno - somigliava più ad un villa
molto grande che non ad una scuola. Per quanto fosse un istituto per figli di
famiglie ricche, Oz trovava alcune parti di tutto quel luogo quasi ridondanti.
Il pavimento - in marmo
chiaro, molto simile al color avorio - rifletteva le luci dei grandi lampadari
in stile ottocentesco che si potevano ammirare alzando lo sguardo: grandi e in
cristallo, apparivano fragili quanto bellissimi nelle forme a goccia che
scendevano come addobbi dalla base in metallo che si intravedeva appena.
Poco più avanti rispetto a
lui e rispetto al portone, c'era quello che - non fosse stato abituato ad
ambienti più o meno vicini a quello stile - avrebbe scambiato per uno scherzo,
un elemento volto alla sola volontà di portare lo sfarzo all'eccesso.
Sulla grande scalinata che
si diramava in due più strette - una che saliva verso destra, l'altra verso
sinistra - di fronte ad un grande quadro raffigurante un vessillo che con ogni
probabilità era lo stemma di Latowidge, vi era uno strato generoso di moquette
rossa che ricopriva buona parte della scalinata e per tutta la sua lunghezza.
Probabilmente, si disse
muovendo qualche passo verso la scalinata, entrambe le diramazioni portavano a
due diverse aree della scuola. Quel che era certo, comunque, era che se la
segreteria studenti non lo avesse munito di mappa, non avrebbe avuto vita facile
lì dentro.
Sarebbero state più le
volte in cui si sarebbe perso che non quelle in cui avrebbe trovato l'aula
giusta all'orario giusto - e possibilmente non dopo una settimana di ricerche.
Riuscendo a spostare lo
sguardo dalla scalinata e a portarlo sulla destra individuò il corridoio
indicato dall'uomo che sembrava sparito nel nulla. Scrollò appena le spalle:
non era proprio il caso di cercarlo alla cieca, tanto più che a conti fatti non
aveva altro motivo che la curiosità di scoprirne il nome.
Si obbligò quindi ad
ammirare la scuola dopo - magari quando avesse avuto Ada a fargli da guida - e
si avviò sulla destra, verso l'ormai famigerata segreteria degli studenti.
Per sua fortuna, trovare
l'ampia sala che ospitava le quattro addette ai documenti e agli archivi non
era stato difficile: era bastato andare sempre dritto e controllare le varie
targhette in ottone sulle porte in legno scuro come il portone.
Una volta trovata quella
giusta, come se avesse avuto un cartello con scritto il proprio nome attaccato al
collo, una signora dall'aria cortese gli si era avvicinata riconoscendolo come
Oz Bezarius, il nuovo studente.
Si era presa la briga di
comunicargli la classe di cui avrebbe fatto parte da quel lunedì, e di dargli
l'orario delle lezioni che gli consegnò insieme ad un paio di fogli con il
regolamento e con uno più piccolo con sopra scritti il numero della sua stanza,
il nome del suo futuro compagno di camera, il nome del capo dormitorio a cui
fare riferimento.
Infine, dopo essere sparita
qualche minuto in una stanza adiacente, era tornata con la sua divisa nuova e
ancora avvolta dalla stoffa scura e anonima per proteggerla.
Armato di tutto ciò e
cercando contemporaneamente di non perdersi nulla per strada con tutte quelle
cose in mano - ringraziando come non mai che il resto dei bagagli fossero stati
consegnati direttamente a scuola - si avviò verso il dormitorio dei ragazzi
dove avrebbe vissuto da lì alla fine dei suoi quattro anni di istruzione a
Latowidge.
L'edificio del dormitorio,
una volta raggiunto, non si era rivelato troppo diverso da quello della
costruzione centrale da cui veniva: il portone, del medesimo legno scuro, si
apriva su un atrio forse un poco più piccolo. Anch'esso in marmo chiaro e con
lampadari piuttosto simili, aveva la scalinata - più stretta - spostata
completamente sul lato sinistro. Il resto dell'atrio, altro non era che una
sala comune piuttosto spaziosa per gli studenti che gradivano restare in
compagnia piuttosto che nella solitudine della propria stanza.
Arredata con gusto ed eleganza,
presentava due o tre divani e molte poltroncine. Il camino, addossato alla
parete, rendeva facile immaginare che quella sala comune fosse sfruttata più in
inverno che non in estate. Un grande orologio a pendolo con la base che
poggiava a terra e il legno di mogano finemente lavorato, torreggiava
nell'angolo opposto alla scalinata.
Al suo ingresso, qualche
studente sicuramente più grande di lui si era voltato, probabilmente attirato
dal rumore del portone che si apriva.
Tuttavia, pur avendolo
individuato, nessuno aveva detto nulla; non prima, almeno, di averlo visto
avere seri problemi a salire più di due gradini senza che la divisa, o la
valigia, o i fogli cadessero di mano. O rischiassero seriamente di farlo.
Solo a quel punto uno dei
due - Oz sospettava che fosse stato mosso a pietà, o che volesse evitare una
morte per soffocamento al compagno che si stava letteralmente sbellicando dalle
risate a vederlo in difficoltà - gli fece un cenno leggero con la mano per
attirarne l'attenzione.
«Puoi lasciarlo lì, se ne
occuperà un inserviente più tardi.» gli fece presente.
Oz osservò incerto le
proprie cose, decidendosi magari a lasciare qualcosa, il tempo di individuare
la stanza e tornare a riprenderla.
«Largo, largo, non voglio
beghe se investo qualcunooo!» sentì esclamare, obbligato da quella voce
sconosciuta ad alzare lo sguardo per vedere una testa rossa e dai capelli
arruffati sfrecciare sul corrimano in marmo della scala. Lo vide raggiungere la
fine dandosi un lieve slancio - o così gli parve - e atterrare con un gesto
tecnico che con quello che stava facendo non c'entrava nulla, o comunque
dubitava servisse davvero a qualcosa.
Lo vide fare un inchino
verso il portone, una folla invisibile che fungeva da pubblico immaginario.
«Ed è ancora Noah Keynes a
battere i record di Latowidge! Un salto perfetto, e la folla è in delirio. As
usual.» lo sentì commentare e davvero Oz non poté fare a meno di ridacchiare,
per quanto perplesso da quel tipo a dir poco singolare.
Sentì il ragazzo più grande
che gli aveva consigliato di lasciare lì i bagaglio rivolgersi al rosso con un:
«Keynes, dovresti piantarla di fare l'idiota sui corrimano.»
Mentre quest'ultimo
replicava qualcosa ridacchiando, Oz poté riservarsi di studiarlo un attimo: i
capelli rossi erano scompigliati e appena mossi, tenuti in un vago e
discutibile ordine da una fascia scura posta in una posizione apparentemente
casuale della testa. Gli occhi, di un castano appena più chiaro del nocciola,
erano ridenti ed espressivi; probabilmente erano la parte che più attirava
l'attenzione del volto dalla pelle e i lineamenti abbastanza ordinari, seppur
attraenti.
Ma di certo non era uno di
quei ragazzi che facesse voltare le teste di un'intera sala.
Vestiva, notò Oz, abiti
comuni anziché la divisa. E lo fissava tra il divertito e l'incuriosito.
E lui non se ne era
accorto.
Abbozzò un sorriso
divertito: «Bella discesa.» osservò, non proprio certo del perché l'altro lo
osservasse. Ma quello scoppiò in una risata sinceramente divertita, facendogli
il segno dell'ok alzando il pollice verso l'alto: «Tecnica che miglioro di anno
in anno. Sai com'è, la noia uccide a volte.» commentò con semplicità,
facendogli l'occhiolino complice.
Allungò una mano verso di
lui: «Noah Keynes, piacere.» esclamò cordiale, occhieggiandolo per qualche
attimo e notando la momentanea impossibilità di Oz a stringergli la mano con
tutta quella roba. Ridacchiò, ritirando la propria.
«A dopo la stretta di mano.
Sei quello nuovo, Oz Beza-qualcosa, giusto?» lo interrogò quasi nell'immediato.
Oz, sebbene un po'
frastornato, lo trovava schietto e amichevole; annuì: «Oz Bezarius, sì.»
confermò. L'altro annuì di rimando, segno che aveva capito.
«Bene, mi offro di portare
una valigia al mio nuovo compagno di stanza. Anche perché non ci sono
inservienti che ci fanno da facchini. Prendi nota: ci sono solo quelli delle
pulizie e quelli del giardino. E i cuochi, naturalmente.» spiegò con una
strizzatina d'occhio, agguantando la sua divisa e facendogli strada iniziando a
salire le scale.
Con un'occhiata ai due
nella sala comune che erano tornati alle proprie occupazioni, Oz lo seguì per
l'intera scalinata e poi per una parte del corridoio sulla sinistra nel quale
l'altro si era diretto.
«Mi sembrava un po' strano
che ci fossero inservienti che portano le borse.» osservò divertito. Vide Noah,
che era avanti a lui sì e no di un paio di passi, storcere appena il naso: «E'
solo una cavolata dei più grandi. Sai, lo fanno con le matricole e con quelli
nuovi. Penso sia una cosa da che mondo è mondo, ma questo non la rende meno
stupida.» osservò, non proprio infastidito.
Sembrava più uno
rassegnato.
«Per carità, eh? Io nella
stupidità ci sguazzo sempre volentieri. Ma siamo tutti o più o meno ricchi qui.
Non capisco il senso di mettere le mani nelle borse dei primini.» concluse, e
finalmente Oz comprese il senso del voler far lasciare agli studenti più
piccoli la roba nell'atrio.
«E perché dovrebbero? L'hai
detto tu che siamo tutti più o meno ricchi qui, no?» gli fece notare,
incuriosito e in un certo senso anche perplesso.
Fermandosi davanti ad una
porta che Oz dedusse fosse la loro stanza, Noah lo osservò come a dire:
"porta pazienza, che vuoi farci?".
«Boh, valli a capire. Sarà
che gli fa figo?» si interrogò lui stesso, scuotendo poi la testa ed estraendo
dalla tasca una chiave con cui aprì la porta: «Però tranquillo. Non sono tutti
così, eh?» assicurò ridacchiando e aprendo definitivamente la porta della
stanza.
«Et voilà. Metà del tuo
regno da qui ai prossimi quattro anni!» esclamò fingendosi plateale.
Si guardarono un attimo,
ridendo entrambi, ed entrando poco dopo.
Mentre Noah si richiudeva
la porta alle spalle, Oz si prese il tempo per osservare quella stanza: come
c'era da aspettarsi, solo la metà dove stava Noah aveva dei particolari che la
rendevano personalizzata. La sua metà, in ordine e anonima, consisteva in un
letto dalle lenzuola bianche e pulite ed un copriletto bordeaux, speculare al
letto di Noah - con la differenza che su quest'ultimo pareva fossero passati
una decina di bambini con la voglia di distruggerlo.
Più o meno di fronte al
letto stava un armadio in legno e vicino ad esso Oz riconobbe alcuni scatoloni
con le sue cose, ancora chiusi; più in là, in una posizione tale da essere
illuminata dalla luce che filtrava da una delle due ampie finestre, stava la
scrivania, vuota ed impersonale.
«Visto così fa un po'
spoglio, ma tra poco ci saranno su un mucchio di libri e rimpiangerai lo spazio
che vedi ora.» assicurò con una nota divertita nella voce mentre si buttava di
peso sul proprio letto dopo aver poggiato la divisa del biondo sulla sedia
della sua scrivania.
Oz poggiò la borsa a terra,
andando a sedersi sul proprio letto, l'aria incuriosita mentre continuava a
studiare la nuova stanza, ascoltando di sfuggita l'altro.
«Come mai c'erano così
pochi studenti?» chiese, lo sguardo chiaro che andava su Noah, mentre dondolava
appena le gambe avanti e indietro, in un gesto abituale. L'altro parve pensarci
su qualche attimo, le braccia incrociate dietro la testa.
«Beh, nel fine settimana
siamo sempre meno. Alcuni studenti non abitano tanto lontano da qui, e tornano
a casa. Qui o sono venuti per la fama del collegio, o ce li hanno mandati i
genitori per questo o l'altro motivo. Il primo gruppo, nel fine settimana torna
a casa.» spiegò soprappensiero.
Oz annuì distrattamente:
lui apparteneva senza alcun dubbio al secondo gruppo, perciò difficilmente
sarebbe tornato spesso a casa. Ada, invece, ricordava che a volte lo faceva ora
che ci pensava.
«Tu sei del secondo
gruppo?» chiese, forse non proprio il massimo del tatto a ben pensarci. Noah
non parve prendersela. Al contrario, ridacchiò: «Naah, io e il mio vecchio
andiamo d'accordo. Solo che fa un lavoro che lo tiene fuori di casa, quindi è
inutile.» assicurò. Oz tacque qualche istante: Noah non aveva esattamente
l'aria di un ricco figlio di papà. O, se lo era davvero, si sforzava di
sembrare tutt'altro.
«E che lavoro fa?» domandò,
la curiosità che ormai faceva tutto per conto suo: «Fotografo. Gira un sacco di
posti e secondo me prima o poi si perderà da qualche parte. Ma gli piace, e poi
nessuno dei due ha mai fatto storie sulle cose private dell'altro. Io e Chris
siamo così.» asserì, il sorriso sulle labbra. Dal tono con cui ne parlava, ad
Oz parve abbastanza chiaro che il rapporto fra i due anche se un po' diverso da
quello dei canonici padre-figlio, era buono.
«Te invece? Sei il fratello
di Ada del quarto anno, vero? Lei so che ogni tanto ci torna a casa.» aggiunse,
riportando l'attenzione di Oz sul discorso.
Il biondo annuì, sebbene appena
sorpreso: «Conosci mia sorella?» domandò. Da quel che gli aveva detto Ada, un
aspetto particolare di Latowidge e dei suoi studenti, era che fra i diversi
anni difficilmente c'era un'interazione tale da far sì che qualcuno del quinto
anno - ad esempio - legasse particolarmente con uno del secondo o del terzo.
Essendo divisi anche nelle
aule che frequentavano, c'era una maggioranza di gruppi primo-secondo anno, o
quarto-quinto. Solo il terzo anno era un po' il tramite fra i due gruppi, o per
lo più rimaneva con i compagni di corso.
Spesso - aveva detto sua
sorella - a Latowidge ti sembra di stare in tante scuole diverse quanti erano
le classi e gli anni.
«Non conosco proprio lei,
ma la sua compagna di stanza. Mi ha dato qualche ripetizione e da lì siamo diventati
amici. Qualche volta è capitato anche di chiacchierare con tua sorella.»
spiegò, assumendo un'espressione furba, palesemente divertita da qualsiasi cosa
stesse elaborando in quel momento. Lo fissò sogghignando: «Mica avrai il
complesso della sorella, eh Oz?» lo sfotté.
Oz si imbronciò quasi
istantaneamente, in un cambio d'espressione abituale che spesso assumeva;
oltretutto, quella storia del complesso gliel'avevano sempre messa davanti come
se fosse scontato.
...Beh, magari lo aveva
davvero. Ma solo un pochino!
«Proprio per niente.»
borbottò comunque in risposta a Noah, che scoppiò a ridere: «La tua faccia dice
il contrario, sai signor Bezarius?» continuò a prenderlo in giro. Oz, seduto
sul bordo del proprio letto, si allungò a recuperare il proprio cuscino,
lasciandolo e riuscendo a centrare Noah in piena faccia.
Ci fu un verso indistinto,
soffocato dalla stoffa dell'oggetto, prima che vedesse riemergere il viso di
Noah, il cuscino ora nelle sue mani: «Ti insegno io ad avere rispetto dei
compagni che occupano la tua stanza da più tempo, ragazzino!» lo prese in giro,
restituendo il favore.
La lotta con i cuscini che
avevano improvvisato e che era degna di due mocciosi non era durata molto ma,
come tutte le importanti esperienze della vita, gli aveva dato una lezione
basilare.
Nota numero uno: Noah
Keynes, neo compagno di stanza, non dovrà mai più essere sfidato ad una
battaglia simile.
La sua mira è pessima.
Avevano praticamente messo
sottosopra la stanza - addio ordine dalla sua parte. Quella di Noah era già
disastrata da prima.
Dopo aver più o meno
ripreso fiato e dopo che Oz ebbe sistemato buona parte delle sue cose - Noah
era sparito a gironzolare da qualche parte, giustificandosi con un:
"abituati, io vivo nel mio disordine organizzato" - mancava ancora
un'oretta alla cena.
Non potendo entrare nel
dormitorio femminile (così diceva il regolamento che gli avevano consegnato in
segreteria) e non avendo ovviamente compiti o simili, aveva optato per un
giretto in giardino. Ada l'avrebbe comunque incontrata a cena, con tutta calma.
L'esplorazione dello spazio
verde tutto intorno alla scuola aveva occupato anche più tempo di quanto avesse
previsto: aveva girato più che altro casualmente, incrociando diversi studenti
di diversi anni, quelli che non erano tornati a casa per il weekend e che
probabilmente piuttosto che chiudersi in una stanza avevano preferito
approfittare della bella giornata per restare all'aperto.
Si stava infine avviando
nuovamente verso l’edificio centrale, deciso a darsi il tempo di trovare la
mensa, quando qualcuno che avrebbe potuto portarcelo senza intoppi lo
individuò, agitando appena la mano verso di lui.
«Fratellino!» sentì
chiamare, e non occorreva certo girarsi per indovinare di chi si trattasse.
Nel farlo, comunque, vide
la figura della sorella che gli veniva incontro: poche volte l’aveva vista in
divisa, giacché tornando a casa di solito lo faceva con abiti comodi e mai con
quelli di Latowidge.
D’altra parte, non gli era
nemmeno del tutto sconosciuta: non solo per le studentesse incrociate nel
giardino quel pomeriggio, ma anche perché ricordava quando la stessa Ada,
emozionata per il primo giorno a Latowidge, non aveva resistito e l’aveva
indossata per la prima volta proprio a casa loro.
La gonna bianca, che
copriva una porzione delle lunghe gambe fino a metà coscia, le calze che
celavano alla vista quasi tutto il resto arrivando fin sopra il ginocchio. La
camicia candida, portava sotto il colletto un nastrino le cui estremità
scendevano quasi fino a metà busto, di color grigio fumo, segno distintivo del
quarto anno.
Infine la giacca –
anch’essa bianca – completava la divisa.
«Stavi andando in mensa?»
lo riportò alla realtà la domanda, Ada di fronte a lui. Le sorrise con
dolcezza, assumendo poi subito un’aria spensierata: «Sì, mi muovevo per tempo.
Questo posto è grande proprio come lo avevi descritto, sai?» assicurò,
vedendola ridacchiare sommessamente portando la mano a coprire educatamente la
bocca.
Sembrava felice sua
sorella, in quel luogo.
E lui non poté evitarsi di
sorridere più ampiamente, felice per lei che nel contempo si era voltata
indietro, l’espressione di chi ha dimenticato qualcosa: «Scusami se ti ho
lasciata indietro Karin.» la sentì pronunciare.
Si sporse di lato, facendo
capolino con la testa dal fianco della sorella e cercando con lo sguardo la
“Karin” a cui Ada si era rivolta.
Individuò ormai non troppo
distante da loro una ragazza che, ad occhio, sembrava avere più o meno l’età di
sua sorella: i capelli corvini, leggermente mossi verso le punte, scendevano
sciolti e tenuti in ordine da una fascia bianca, che lasciava libere solo la
frangia e alcune ciocche più corte che incorniciavano il viso dalla pelle
chiara.
Gli occhi azzurri
dall’espressione gentile erano sui due fratelli, il sorriso cortese e gentile
rivolto dapprima solo ad Ada, poi anche Oz appena quest’ultimo rientrò nel suo
campo visivo.
Sorrise più ampiamente:
«Ada, lui è il fratello di cui mi parlavi?» domandò, una nota allegra nel tono
di voce. Vide sua sorella annuire un paio di volte.
La affiancò, rivolgendosi
quindi a Karin, tendendole la mano: «Oz Bezarius.» si presentò senza bisogno
che fosse Ada a farlo per lui. La ragazza gli strinse prontamente la mano:
«Karin, Karin Hamilton. Sono la compagna di stanza di Ada.» replicò gentile.
Allontanate le rispettive mani, la moretta si rivolse ad Ada.
«Allora io ti precedo in
mensa.» disse, spostando poi lo sguardo chiaro su Oz e accennando ad un leggero
inchino con la testa: «Piacere di averti conosciuto Oz, e benvenuto a
Latowidge.» aggiunse allegra, avviandosi verso un corridoio sulla sinistra.
Lui la salutò con la mano,
stile bambino piccolo, l’espressione anche un pelo ebete; Ada sorrise: «Hai già
sistemato tutte le tue cose?» domandò, probabilmente impensierita dal fatto che
quello fosse solo il primo giorno del fratello.
Annuì, battendosi un pugno
sul petto con aria spavalda: «Ovviamente e senza intoppi!» esclamò sicuro di
sé, facendola ridere. Si avviarono dunque entrambi verso la mensa: «Il mio
compagno di stanza dice di conoscerti. Si chiama Noah Keynes.» osservò, mentre
camminavano.
Vide Ada annuire con la
coda dell’occhio: «Oh, sì. È un amico di Karin per la verità, ma qualche volta
abbiamo parlato. Non sapevo fosse il tuo compagno di stanza.» ammise. Facendo
mente locale, collegò le parole della sorella a quelle dello stesso Noah quando
aveva detto di conoscere una compagna di Ada e non proprio Ada stessa.
Annuì quindi, mentre ormai
varcavano la soglia della mensa: il vociare era concitato, mescolato a risate
qua e là. Molti posti erano vuoti, ma spiegò la cosa con la questione del
ritorno a casa del week-end di cui gli aveva già accennato Noah. Mentre
prendevano posto allo stesso tavolo – dopo essere passati a prendere ognuno il
proprio pasto al grande banco dove era possibile servirsi da soli come più si
preferiva – Oz osservò i vari tavoli che vedeva tutti intorno.
«Ada?» chiamò, mentre
ancora gli occhi chiari vagavano per la sala; la sorella, appena sedutasi di
fronte a lui e intenta a spiegare il tovagliolo in cui erano avvolte le posate,
alzò lo sguardo: «Dimmi.» replicò incuriosita.
Oz la imitò, sedendosi a
sua volta, lo sguardo che rimase sugli altri tavoli ancora un po’ fino a
spostarsi definitivamente sulla sorella maggiore: «È vero che anche Gilbert
studia qui?» chiese.
Ada sorrise raggiante:
«Allora anche tu ricordi Gilbert, Oz?» chiese entusiasta. Lui la guardò per un
attimo confuso, senza capire il perché di tanto entusiasmo. Annuì lentamente.
«Perché non dovrei?»
«No, è che quando Gilbert è
andato via avevi nove o dieci anni. Anche lui era convinto che non lo
ricordassi.» spiegò. Le era capitato di incrociare e parlare con Gilbert da
quando studiava lì, dal momento che anche lui era a Latowidge, e il ragazzo si
era detto convinto del fatto che Oz difficilmente potesse ricordarlo.
Oz arricciò appena il naso,
imbronciandosi: «Appunto, era solo sei anni fa. Non è così tanto da non
ricordarlo, Gil è stato da noi per un sacco di tempo, no?» le fece notare,
anche se effettivamente non aveva un ricordo preciso di quando fosse arrivato.
Ada sorrise, felice che lo
ricordasse: «Vero. E poi a te Gilbert piaceva così tanto, ricordo che facesti
un sacco di storie quando se ne andò!» lo prese bonariamente in giro mentre
tagliava con attenzione la carne nel proprio piatto. Oz arrossì appena,
fingendosi indignato dalla cosa – probabilmente nell’assurda speranza che così
l’imbarazzo fosse meno visibile, nella sua vecchia abitudine di esasperare
un’offesa o un’indignazione per nascondere dell’altro – ed esclamando un: «Non
è affatto vero!»
Ada, benché non avesse
certo cambiato idea si limitò a sorridere senza aggiungere altro.
Per contro, Oz sbuffò
decidendo di dedicarsi alla sua cena: conosceva la sorella abbastanza da sapere
che, qualunque cosa avesse potuto dire lui, lei non avrebbe cambiato il proprio
modo di vedere la cosa.
Osservò fuori dalla
finestra, la tenda scura appena scostata dalla mano, il tanto sufficiente a
poter guardare fuori senza dare la possibilità a chi era nel giardino del
collegio di fare lo stesso.
La stanza veniva appena
illuminata dal poco di luce che filtrava da quella piccola apertura, rimanendo
per il resto nella penombra e, in angoli particolarmente lontani dalla
finestra, nella completa oscurità.
Il respiro regolare e quasi
impercettibile risultava, dato il silenzio della camera, un rumore fin troppo
udibile; lo sguardo che fino ad allora era rimasto puntato sul giardino si
scostò, mentre la mano che lasciava andare le tende faceva sì che la stanza
sprofondasse nuovamente nel buio quasi totale.
Avanzò lentamente verso la
poltrona della stanza, sedendosi e rilassandosi contro lo schienale, entrambe
le braccia poggiate agli appositi braccioli.
Sospirò piano, quasi
stancamente.
«C’è odore di qualcosa di
nuovo.» sentì pronunciare non troppo distante da sé, da un punto
particolarmente nell’ombra alla sua sinistra.
«Così pare.» replicò
pacatamente. Un verso stizzito gli diede ad intendere che il suo interlocutore
non apprezzasse la novità, o forse la scarsa attenzione che sentiva nel tono
dell’altro. Sorrise appena, un ghigno in realtà.
«Non è cosa che ci
riguardi. Latowidge vede studenti arrivare e studenti andarsene.»
«Quello è uno studente che
non deve stare affatto qui.»
«Lo consideri una
minaccia?» lo sfotté palesemente, sebbene il tono sembrava rimanere comunque
piuttosto pacato, come poco prima. Un nuovo verso stizzito, simile ad uno
schiocco di labbra che con la scarsa illuminazione non gli era possibile
scorgere con lo sguardo.
Ma dopotutto, non aveva
bisogno di vedere. Erano compagni da molti anni; sapeva “osservare” anche solo
ascoltando.
«Non incrocerà la tua
strada. E nemmeno la mia.» assicurò, concedendosi infine di chiudere gli occhi.
Note
E il primo capitolo si
concluse *faccia ebete*
Non ho note particolari
riguardo il capitolo vero e proprio, giusto una puntualizzazione sul
personaggio di Noah.
Di mia invenzione (a scanso
di equivoci per chi, magari, non è al passo col manga), si sarà notato che
quando parla sembra quasi che io abbia scordato i termini appropriati della
lingua italiana XD
In realtà, come si capirà
poi più avanti, è un tratto “personale” di Noah stesso: si esprime con toni
molto colloquiali rispetto al resto degli studenti che si trovano a Latowidge.
Se vi torna più semplice,
potete considerarlo come uno che parla lo slang, ecco XD