Note: È
una specie di missing moment dal volume 2 (Virtù 12, Luce e tenebre), e quasi
tutti i discorsi diretti della fanfic sono presi dal manga; siamo all’incontro
tra Cesare e il vescovo Riario, nelle cantine, e subito dopo in camera di
Cesare (non pensate male :P). Da un certo punto la storia è stata un po’…
rielaborata XD
Oh, e il titolo è random :D
Timor, et spes
“Avete idea di chi io sia?”
Un servo, ecco cos’era.
“Non sono mica il servo di Giuliano!”
Perché non serve un padrone, per
essere servi. Non serve che qualcuno te lo imponga se è la tua natura quella di
ghignare dall’ombra dei potenti di una gloria riflessa che non è gloria, ma
piuttosto il contrario. Non serve avere un padrone per non essere padroni di sé
stessi.
E Riario era un servo, nel più
intimo del suo animo, ed era pieno di padroni. Giuliano della Rovere, la sua
paura dei Medici, Cesare, la sua lussuria.
Vedeva l’espressione di Cesare,
fredda, e sapeva che anche l’altro sapeva, e vedeva anche oltre quegli occhi
impassibili, leggendovi ogni oncia di sprezzante divertimento per la
prevedibilità dell’arcivescovo. Tutto come previsto.
E la cosa lo riempiva di…
“I vostri capelli neri sono splendidi… era da un po’ che desideravo
accarezzarli.”
…fastidio.
“Chiedo scusa!”
Entrò rumorosamente nella stanza,
l’aria annoiata di chi sta obbedendo ad un ordine noioso e preferirebbe essere
in un’osteria con del buon vino e una bella donna, mentre dentro di sé rideva
dell’urlo dell’arcivescovo, del contegno dispiaciuto con cui Cesare si scusava
e lo seguiva lungo le scale.
“Hai tardato a farti vivo!”
Sorrise, questa volta libero di
lasciar trapelare i propri pensieri, al rimprovero di Cesare. Non aveva fatto
tardi, il suo era stato perfetto tempismo: quanto bastava perché Cesare
ottenesse la sua qualifica, quanto bastava perché Riario potesse
compromettersi, o credere di essersi compromesso, e beccarsi un bello spavento.
Sarebbe arrivato tardi se avesse aspettato che l’arcivescovo…
Ma se c’era una cosa di cui era
certo era che Cesare sapeva davvero
farsi valere senza l’aiuto di nessuno. Forse era proprio un bastardo, come lo
accusava giovale Cesare.
(Forse perché intimamente sperava
proprio che Cesare non sapesse cavarsela così bene senza l’aiuto di nessuno.
Senza il suo aiuto. Senza di lui.)
*
“Se per certi versi non nasconde nulla, per altri quel tipo mi fa
paura.”
“Oh! Anche Cesare Borgia ha paura
di qualcosa!”
Per un momento, una mano al
battente della porta e l’altra stretta attorno alla missiva per messer Savio,
quasi credette di aver detto troppo; di aver infranto un divieto non scritto. Subito
il timore scomparve all’espressione stupita di Cesare. Adorava
quell’espressione, essere lui a lasciarlo senza parole e sorprenderlo ancora.
Erano sempre in meno a poter sorprendere Cesare.
Uscì e lanciò un ultimo sguardo
divertito all’amico, sorpreso. Fu sua la sorpresa però quando dallo spiraglio
della porta sentì in tono scherzoso, “E tu di cosa hai paura, Miguel?”
Si fermò. Tornò indietro, nella
camera, e Cesare lo stava aspettando in piedi, con la schiena appoggiata allo
scrittoio, le braccia conserte e il capo appena inclinato. Quando si permetteva
di essere se stesso - e da bambino - piegava sempre la testa per osservare
qualcosa che lo incuriosiva. Miguel era convinto perché la prospettiva comune
fosse troppo poco per lui.
“Io?” chiese, appoggiandosi contro
la porta in una posa speculare a Cesare, valutando cosa rispondere. “Io ho
paura per te, ogni tanto.”
Cesare sorrise. “Ma non conta, lo
sai che sono al sicuro finché ci sei, no?” Si allontanò dallo scrittoio
avanzando per la stanza, elegante anche con solo una veste sgualcita, superiore
nel contegno a qualsiasi Giovanni o Raffaele. Miguel non riusciva a spostare lo
sguardo. Nemmeno quando Cesare si fermò ad un passo da lui, il viso sempre
piegato a lato, la scintilla nei suoi occhi sempre curiosa, i capelli che gli
cadevano ai lati del volto esponendo il collo alla luce tremolante della
candela.
E così, di getto, Miguel aveva la
sua risposta.
“L’inferno.”
Gli dispiacque vedere la fronte di
Cesare accigliarsi, perché quell’espressione gli ricordava quando Cesare credeva
di essere solo e pensava ai suoi familiari, e non era un lato dell’amico che
amava. Era un lato dell’amico che avrebbe volentieri eliminato, se solo avesse saputo
come fare, per alleviare almeno qualcuna delle sue preoccupazioni.
Poi però Cesare si fece sfuggire un
sorrisetto, avvicinandosi, segno che aveva capito. Cosa, Miguel non lo sapeva:
era da tempo che lui stesso cercava di capire, e ancora non aveva compreso - se
fosse peggio essere allontanato da Cesare, abbandonarlo o essere costretto a
farlo, o se fosse peggio restare al suo fianco. Proteggerlo. Peccare, e
soffrire. Non capiva cosa Dio si aspettasse da lui.
Quando Cesare gli mise una mano
sulla guancia e lo baciò, pregò che qualsiasi inferno li attendesse, l’avessero
varcato insieme.
---
Devo confessarvi una cosa: questa è
una prova. Mi è stato chiesto di scrivere su Cesare e ho voluto iniziare a
prenderci la mano con questa flashfic, scritta di getto dopo aver letto la
scena con quello zozzone di Riario :°D Possiamo chiamarla… studio, ma è un nome
troppo serio; diciamo solo che questi sono personaggi difficili e ho provato a
vedere che succedeva se ci giocavo un po’. Il risultato è quello che è
*sospiro*
Se avete consigli io non aspetto altro
:)
Will