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Autore: _montblanc_    11/08/2019    2 recensioni
«Mi sono risvegliata in mezzo alla foresta di Konoha e mi sono detta: ”Beh, non è un male, infondo è sempre stato il mio sogno”, ma poi l’Hokage mi aizzato contro un gruppetto di Anbu e tutto è degenerato...» stava sbraitando la ragazza, una certa isteria nel tono di voce.
~
«Vuoi unirti all’Akatsuki?» domandò di rimando lui, senza distogliere lo sguardo dal combattimento; si stava visibilmente spazientendo.
Vuoi unirti all’Akatsuki? VUOI UNIRTI ALL'AKATSUKI?! Certe cose non si chiedevano così! Non ci si poteva mettere un minimo di introduzione tipo “Ehi, ciao! Ma lo sai che anche se non sei una ninja e non sai un emerito cippolo di come ci si comporti in una battaglia, saresti un membro eccellente nell’Akatsuki? Eh? Che ne pensi?”.
Se lo faceva in modo così diretto e, sopratutto, ad una che non desidera altro nella vita - in mia difesa potevo solo dire che ognuno merita di avere le proprie ambizioni-, questa, poverina, rischiava l’infarto. Ed io non ero Kakuzu, a me ne bastava uno per rimanerci secca.
(Ho cominciato a scrivere questa storia veramente tanto tempo fa, quindi sto piano piano riscrivendo i vecchi capitoli nel disperato tentativo di renderli più leggibili)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akasuna no Sasori, Akatsuki, Altri, Deidara, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
Capitoli:
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Hellooo, quanto tempo~  Contro ogni aspettativa sono ancora viva! Più o meno.
Innanzitutto mi dispiace tantissimo per essere sparita per, ehm… tipo 3 anni ( non odiatemi, il mondo dell’università è malvagio), ma scrivere questo capitolo, per qualche strano motivo, è stato un parto. L’ho finito e ricominciato da capo un numero indicibile di volte ( ho tipo 20 versioni diverse salvate sul pc) e anche adesso non sono molto soddisfatta di quello che ne è uscito. Però ero sicura che se avessi continuato a rimuginarci sopra avrei finito per cambiare di nuovo idea e non ce la potevo proprio fare a ricominciarlo da capo per la centesima volta.
Detto questo, anche se non so se ci sia ancora gente che abbia voglia di sapere come finisca questa storia o che si ricordi ancora della sua esistenza ( spero che non siate tutti morti di vecchiaia nel frattempo D:), spero tanto che il capitolo vi possa piacere ( o almeno non disgustare troppo xD).
Piccola informazione di servizio: i primi capitoli di questa storia risalgono al lontanissimo 2011 e c’è un’enorme differenza ( spero positiva) fra il mio vecchio modo di scrivere e quello di adesso. Per questo motivo ( e anche perché ogni volta che dovevo andare a rileggermela volevo solo sbattere la testa contro il muro per l’orrore) sto pian piano revisionando i vari capitoli per renderli un po’ più decenti e meno raccapriccianti di quello che erano.
Chiusa questa parentesi, vi auguro buona lettura!
 
Capitolo 42
 
L’uomo dalla maschera a spirale si trovava seduto su un albero, celato dall’ombra della folta chioma, una gamba abbandonata lungo la dura superficie del ramo e l’altra piegata verso il petto; in silenzio si limitava a contemplare i dintorni, totalmente immerso nei suoi pensieri.
«Ci sono novità?» chiese ad un tratto, senza spostare lo sguardo.
«E’ stata raggiunta da Deidara» riferì Zetsu bianco, la cui figura era appena emersa dal terreno sottostante, che in quel momento gli avvolgeva la vita «A quanto pare quella ragazzina non si è resa conto della situazione in cui si trova se pensa di poter agire così incautamente» aggiunse, l’occhio socchiuso in un sorrisino che non prometteva nulla di buono.
«Non sarebbe ora di insegnarle un po’ di disciplina?» propose allora la parte nera, la voce roca e carica di aspettativa verso quel compito così invitante.
Tobi appoggiò le mani sulle proprie gambe, sollevandosi in piedi e voltandosi finalmente in direzione dell’altro, l’occhio rosso che brillava intensamente al di sotto maschera che gli celava il viso.
«No, quando arriverà il momento me ne occuperò io. Limitati come sempre a tenermi aggiornato sui suoi spostamenti» rispose semplicemente, ignorando del tutto il disappunto dell’uomo-pianta «Piuttosto, se si sta muovendo questo significa che è arrivato il momento. Farò meglio ad avviarmi» constatò fra sé e sé e, accompagnato ancora dall’eco delle sue parole svanì nel nulla, diretto verso quella particolare battaglia che non aveva la minima intenzione di perdersi.
 
***
 
Deidara era turbato; profondamente turbato… molto più di quanto non fosse disposto ad ammettere a sé stesso.
Da quando si era precipitato fuori dal covo per andare alla ricerca della ragazzina apparentemente dispersa – distruggendo anche l’entrata nel processo, ma questi erano solo dettagli-, le parole di Sasori avevano continuato a perseguitarlo, ripetendosi fastidiosamente all’interno della sua mente e aumentando la sua frustrazione a livelli inimmaginabili.
«Non so dove sia andata. Probabilmente non tornerà»
Cosa voleva dire che non sarebbe tornata? L’aveva vista proprio quella stessa mattina e non aveva notato nulla di strano in lei… rispetto ai suoi soliti standard, se non altro; forse passare così tanto tempo in sua compagnia aveva finito in qualche modo per sballare il suo senso di normalità, già abbastanza discutibile di suo.
«Te ne sei forse dimenticato? Siamo stati incaricati dal leader di occuparci di-» aveva cominciato a dire, prima che il marionettista lo interrompesse.
«E’ per questo che ti stai scaldando tanto?»
Per cos’altro altrimenti? Fra i due era il rosso a comportarsi stranamente a suo parere, dato che di solito era così ligio nel compiere i suoi doveri nell’organizzazione.
Sinceramente a Deidara non importava granché dei piani dell’Akatsuki, tant’è che non era nemmeno sicuro di sapere quale fosse precisamente il loro obbiettivo finale; l’unica cosa che apprezzava di farne parte era il fatto che gli desse la possibilità di scontrarsi con avversari sempre più forti, mettendo alla prova la propria arte. Ciononostante non ci teneva particolarmente a dare al loro leader una ragione per venire a reclamare le loro teste. Non che lo temesse ovviamente, ma...
«Le cose hanno cominciato a mutare e io non ho intenzione di assecondare questo cambiamento… tu sei disposto a farlo? Pensi di esserne in grado?»
Di cosa diamine stava parlando?! Per essere uno che aveva un cervello di legno ne faceva di discorsi contorti! Voleva andare a riprenderla proprio perché desiderava non ci fosse alcun cambiamento, per… non che a lui importasse qualcosa, stava semplicemente svolgendo il suo compito.
«DeiDei!»
Scosse la testa, oltremodo infastidito dall’improvvisa apparizione di quella mocciosa nei suoi pensieri. Ci mancava solo lei…
Non era una novità che la sua mente finisse per soffermarsi, forse un po’ più del necessario, sull’immagine della ragazza – anzi, gli capitava più spesso di quello che avrebbe desiderato, soprattutto negli ultimi tempi-, ma in quel momento gli provocò una fastidiosissima fitta al petto.
Non che ci fosse qualcosa di strano nel fatto che ogni tanto gli capitasse di pensare a lei, non significava assolutamente nulla: quella ragazza era così fastidiosa e invadente che piuttosto era impossibile non farlo. Si trattava del tipo di persona che, nel bene o nel male, lasciava il segno in coloro che finivano malauguratamente per incontrarla; inoltre, dato che non gli era mai capitato di imbattersi in qualcuno del genere prima di allora – grazie al cielo-, era più che normale che ne fosse rimasto in qualche modo colpito… in senso negativo, ovviamente!
Almeno questo era ciò che continuava a ripetere nella sua mente, cercando di auto-convincersi delle sue stesse parole, mentre il suo corpo, traditore, si abbassava verso la figura davanti a lui, quasi come se fosse attirato da un magnete.
Riusciva perfettamente a figurarsi lo sguardo compiaciuto di Sasori che lo osservava dall’alto in basso come se, sin dall’inizio, fosse stato consapevole di ogni singola cosa; lui e le sue dannate manie di controllare tutto e tutti!
Il biondo non avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura, che alla fin fine le parole del marionettista avevano cominciato ad assumere un senso all’interno della sua mente, mentre si rendeva conto che, suo malgrado, la ragazza aveva finito per attirarlo a sé molto più di quello che avrebbe mai potuto immaginare.
Aah, al Diavolo! In quel momento non voleva pensarci.
 
Ambra POV
Il mondo si era fermato e con esso tutti i miei neuroni – insomma, quelli rimasti se non altro-, colti probabilmente da uno svenimento collettivo a causa dell’improvvisa serie di informazioni che si erano ritrovati ad elaborare.
Mi parve di sentire il suono di arresto del mio cervello – potevo anche immaginarmi perfettamente la scritta Ambra.exe ha smesso di funzionare che dovevo avere stampata sulla faccia in quel preciso istante-, mentre me ne stavo lì, in piedi, immobile come una statua di marmo, il viso di Deidara che si inclinava verso di me.
Il vento che mi accarezzava la pelle, ora rossa e bollente, l’erbetta che mi pizzicava fastidiosamente le caviglie, il vago rumore di un ruscello che poco più in là attraversava la valle… non percepivo assolutamente nulla nello stato di disconnessione totale in cui mi trovavo, se non il suono sordo e incalzante del mio cuore, che stava martellando così forte contro il mio petto che temevo sarebbe presto schizzato fuori dalla gabbia toracica, con una maestria tale che persino Kakuzu si sarebbe fatto da parte, inchinandosi al mio cospetto.
In quel limbo di aspettativa e nervosismo in cui mi trovavo mentre le labbra del biondo si chiudevano sulle mie, i pochi i pensieri di senso compiuto che riuscivano a farsi spazio all’interno della mia mente oscillavano più o meno fra il “Minchia, se era ora!” e il “Santo Jashin, padre protettore di tutti gli psicopatici di questo mondo, fa’ che stamattina Fuko abbia avuto il buon senso di lavarsi i denti!”.
Bene. Allora. Dunque. Perciò! Manteniamo la calma, Ambra. Manteniamo. La. Calma. Questa non è un’esercitazione, siamo in stato di emergenza. Allarme rosso. Dobbiamo mostrargli il nostro fascino femminile e le nostre capacità di seduzione. Dobbiamo fargli vedere che siamo praticamente un’antologia del Kamasutra in moviment-uh, oh mio Dio, oh santo Jashin… Deidara mi sta baciando! Un bacio! Un bacio vero! Il mio primo bacio! Aaaah… no, devo restare concentrata!
Se volevamo proprio essere precisi, il giorno in cui avevo perso la verginità delle mie labbra si era trattato di un incidente, ero travestita da Itachi... ero un uomo in tutto e per tutto e la forza con cui avevo colpito di faccia il biondino aveva reso quell’esperienza tutto fuorché piacevole – le mie gengive avevano continuato a perdere sangue per la restante serata-; perciò per il bene della mia sanità mentale e anche di quella del bombarolo, avevo saggiamente deciso di archiviare quell’episodio e di considerarlo come mai accaduto; anche perché altrimenti piuttosto che baciarmi probabilmente avrebbe  preferito testare le mie abilità di volo lanciandomi giù da un crepaccio.
Dunque, quello che stava avvenendo in quel momento era decisamente, letteralmente, indiscutibilmente, il mio primo vero bacio. Con Deidara. Il vero Deidara. Della serie che se l’avessi raccontato in giro mi avrebbero fatta come minimo internare e avrebbero buttato via le chiavi nel fantomatico crepaccio di prima.
Non ero ben sicura di come, la sequenza degli eventi era stata troppo rapida e mi sentivo decisamente troppo intontita per mettermi a riflettere razionalmente sul perché la bocca del biondo si trovasse sulla mia, ma era successo; e per le più consunte mutande di Jashin, Kishimoto doveva aver fatto partire una colonna sonora di quelle belle e trionfali o non mi sarei potuta spiegare l’alleluia che in quel momento mi stava risuonando insistentemente nelle orecchie.
Sollevai incerta una mano, senza sapere bene dove si presumesse che dovessi collocarla in una situazione simile, decidendo poi di appoggiare le dita fra il tessuto ruvido della cappa che lo avvolgeva, nel tentativo di trovare un appiglio a cui sostenermi per evitare di cadere ai suoi piedi nel modo meno metaforico ed elegante possibile; venni colta da un profondo senso di soddisfazione nell’avvertire il cuore del biondo battere forte al di sotto di essa. D’altro canto, ero piuttosto sicura che la mia faccia ormai fosse talmente in fiamme che Itachi avrebbe potuto tranquillamente prendermi e usarmi come palla di fuoco suprema senza che nessuno si facesse domande a riguardo.
Avvertii le dita del biondo accarezzarmi la guancia rossa e accaldata per spostare alcune ciocche dei miei capelli dietro l’orecchio, facendo poi scorrere la propria mano sino alla nuca e spingendo il mio volto un po’ più in avanti, annullando maggiormente la distanza che ci divideva; avvertii per un secondo il suo respiro sul viso, le guance sempre più calde, mentre la punta della sua lingua incontrava la mia; un senso di gloria mi pervase e per un attimo mi sembrò che tutto fosse andato al suo posto: gli uccellini che cantavano, il cielo che si apriva maestosamente sopra di noi, la luce divina che ci avvolgeva e... poi tutto improvvisamente finì. Bruscamente, inesorabilmente, tristemente, miseramente.
Avevo sempre immaginato che dopo un’intensa sessione di “Frush frush. Slingu Slingu. Mlmlmlmlml.” - che nella mia testa era l’idea che avevo di un bacio- mi sarei ritrovata fra le braccia del mio amato e, con occhi carichi di lacrime e sentimenti positivi verso il mondo, ci saremmo proclamati amore eterno; magari in riva al mare, con qualche colonna sonora strappalacrime di sottofondo, un’orchestra di puttini mezzi svestiti sopra di noi e la luce della luna a dare quel tocco di atmosfera in più. E invece mi trovavo lì, gli occhi effettivamente carichi di lacrime, o meglio, grondanti di lacrime... di dolore misto a disperazione dato che, colta di sorpresa dall’azione del biondo avevo alzato di scatto il viso, finendo per provocare un dolorosissimo faccia a faccia (o in questo caso oserei dire: dente a dente) fra i nostri rispettivi incisivi, che lasciò entrambi confusi ed agonizzanti per diversi secondi. Beh, se non altro non si poteva dire che quel bacio non ci avesse lasciato senza fiato... letteralmente.
«Fuko... ma che cazzo...» furono le prime dolci e soavi parole che mi rivolse il mio amato dopo qualche attimo di smarrimento, sollevando il capo nella mia direzione, mentre io premevo le mani contro le mie labbra nel vano tentativo di placare quella terribile sensazione; avrei dato qualsiasi cosa in quel preciso istante per potermi accartocciare su me stessa e sparire nell’oblio del vuoto quantistico dell'infinito universo assoluto, senza lasciare la minima traccia – anche una buca sarebbe andata bene, comunque-.
«Non ci ho fatto apposta!» squittii imbarazzata, provando a difendere quel poco che restava del mio onore, il volto colorato da cinquanta sfumature di dignità perduta «Sei tu che mi sei saltato addosso all’improvviso e-e... mi hai colta di sorpresa e mi sono agitata!» cercai di articolare io infastidita dal suo sorrisetto divertito e gongolate, che avrei voluto profondamente far collidere contro la superficie della quercia più vicina - per fargli conoscere il vero doloreTM. Pain sarebbe stato fierissimo di me, a modo suo-.
«Sei proprio una bambina, uhm» mi sbeffeggiò con una risatina, sotto la mia espressione oltremodo sconvolta.
«Scusami tanto mio caro Latin Lover dei miei stivali per la mia inesperienza!» sbottai, profondamente ferita nel mio orgoglio da femme fatale mancata «La prossima volta farò meglio. N-non che voglio che ci sia una prossima volta eh, sia chiaro!» mi affrettai ad aggiungere appena realizzai quello che avevo detto, mentre lui si limitava a voltare lo sguardo, non sapevo se perché imbarazzato o semplicemente schifato da quella prospettiva. Anch’io ero piuttosto disgustata da me stessa effettivamente: avevo appena distrutto l’occasione d’oro della mia vita. Speravo almeno di non essermi fatta anche saltare via un incisivo nel mentre, dato che dubitavo di avere una qualche tipo di assicurazione medica, almeno considerando il mio umile status da dipendente di un’organizzazione terroristica – che poi non venivo neanche pagata, ero più una tirocinante malamente sfruttata che altro-.
Restammo in silenzio per qualche istante, lui basito e io in uno stato di contemplazione mistica della sua faccia e del perché della mia triste esistenza – insomma, più o meno quello che facevamo sempre-.
Il cielo si era leggermente scurito e il suono di un tuono che non prometteva nulla di buono squarciò l’atmosfera, aumentando maggiormente la consapevolezza di essere di nuovo nel mondo reale, ora riapparso prepotentemente intorno a me. Un vento gelido, che aveva cominciato a soffiare più forte, attraversò lo spazio che ci separava, sollevandogli appena i lembi della cappa dell’Akatsuki, che solo allora mi resi conto di non stare indossando; in effetti la mia era stata martoriata poco prima dal kunai della dolcissima Fuko, nella sua fretta di mettere due ere geologiche di distanza tra di lei, quel posto e quella situazione. Che invidia, quanto avrei voluto poter fare lo stesso anch’io
Stavo impiegando veramente tutte le mie forze per mantenere la calma – se non altro apparente- e non cominciare ad urlare istericamente, lanciare della sabbia negli occhi del bombarolo come diversivo a e darmi ad una fuga rocambolesca, in preda al panico per l’imbarazzo che improvvisamente aleggiava teso nell’aria.
L’azzurro del suo sguardo si spostò verso di me, quasi come se stesse cercando chissà qualche tipo di rivelazione mistica sul mio volto; o forse si stava semplicemente assicurando che non stessi per svenirgli davanti, cosa nemmeno tanto lontana dalla realtà. Purtroppo per lui dubitavo che nella mia faccia potesse trovare chissà quale magica rivelazione, visto e considerando che lo stavo fissando con la stessa espressione che avrei rivolto ad una statua del Buddha magicamente materializzatasi dentro la tazza del water di casa mia. No, quella sarebbe stato un fenomeno più facile da comprendere rispetto a quello che avevo appena vissuto. Ripensandoci probabilmente nulla di tutto quello che era successo era reale, dovevo essere morta poco prima schiantandomi contro qualche albero senza nemmeno rendermene conto e in quel momento mi trovavo in Paradiso, nel Nirvana, nella magica valle dei Teletubbies o dovunque si andasse dopo il trapasso.
Ad ogni modo non potevamo continuare così, quel silenzio mi stava dilaniando e il fatto che il biondo fosse così silenzioso non aiutava di certo. Dovevo dire qualcosa, qualsiasi cosa... ma cosa esattamente?! Di cosa si parlava di solito in un momento simile? La mia cavità orale ha molto gradito incontrare la tua? So che ho appena detto il contrario, ma sono a tua completa disposizione nel caso volessi riprovarci tipo subito adesso, magari? Quel tronco mi sembra molto invitante, sbattimici contro daddy? Di cosa si parlava in questi casi? Della vita? Della morte? Della situazione politica del paese? Non mi ero mai soffermata a pensare al dopo dato che non credevo avrei mai sperimentato un durante. Avevo sempre pensato che sarei morta sola, circondata da un mare di gatti, in un vecchio appartamento dalle tubature scricchiolanti e mezze ammuffite, proprio come la mia anima.
«E-ehm…» sbiascicai, il fiato spezzato neanche mi fossi appena fatta di corsa la distanza Sasuke-stabilità mentale, mentre cercavo di ricordarmi come si facesse a respirare e a formare frasi di senso compiuto, i neuroni che vorticavano furiosamente alla disperata ricerca di un argomento di conversazione «C-cosa ne pensi... della situazione climatica attuale?» la buttai lì, con una risatina nervosa che risuonò più come il lamento agonizzante di un violino arrugginito, sul volto un sorriso che pareva il principio di una paralisi facciale. Alla fine, avevo deciso di giocarmi la carta tempo, da secoli sacrosanto protettore delle persone che non sapevano di cosa parlare.
Evidentemente il biondino non si aspettava che la conversazione avrebbe preso una piega simile dato l’arco disumano in cui si esibì il suo sopracciglio, che sparì dietro l’ombra del suo coprifronte; grazie al cielo però decise di non infierire oltre – se non l'avessi conosciuto bene avrei pensato che anche lui stesse cercando disperatamente un modo per fuggire da quella situazione terribilmente disagiante-.
«Penso che stia per piovere, uhm» si limitò a osservare lui, indicando con un cenno del capo il cielo che, sempre più scuro, incombeva minaccioso sopra di noi, illuminato sempre più frequentemente da dei lampi «Sarebbe meglio trovare in fretta un riparo. Devi ancora spiegarmi cosa eri venuta a fare qui» aggiunse poi, facendomi strozzare con la mia stessa saliva.
Forse sarebbe stato meglio continuare col silenzio imbarazzante in effetti.
 
«Aaah… finalmente» sospirai sollevata, lasciandomi cadere come un sacco di patate contro la parete della rientranza rocciosa sotto cui ci eravamo rifugiati – per poi pentirmene il secondo successivo dato che era pur sempre una parete di rocce e mi avevano appena accarezzato molto poco gentilmente i reni-.
Alla fine il radar meteorologico del ninja si era rivelato corretto e ci eravamo ritrovati nel giro di pochi minuti ad annaspare nel mezzo del diluvio universale, cercando un posto strategico dove ripararci.
Feci scorrere le mani su alcune ciocche dei miei capelli, osservando turbata il rivolo d’acqua che fuoriusciva da essi: ero piuttosto sicura che una volta asciutti sarei rinata sotto forma del cugino It e non c’era nulla che potessi fare a riguardo.
In quel mondo potevano ballare sull’acqua e usare la gola a mo’di valigia per infilarci armi e mutande, ma nessuno aveva mai pensato alla possibilità di costruire un asciugacapelli. O forse l’avevano già fatto, ma Kakuzu si era rifiutato di comprarcelo – effettivamente era sorprendente che ci permettesse ancora di mangiare, una volta ogni tanto-. Volevo proprio vederli quando, a quarant’anni, avrebbero dovuto rinunciare alla loro amata vita da shinobi per colpa di una cervicale fulminante – Sasori era escluso da questa possibilità dato che poteva tranquillamente girare la sua testa a 360° in stile trottola, con una nonchalance tale che persino la bambina dell’Esorcista sarebbe impallidita a confronto-.
«Quante storie per un paio di gocce d’acqua, uhm» mi canzonò Deidara, sedendosi accanto a me e poggiando le braccia sulle gambe piegate «Durante una missione, che ci sia una tempesta o un uragano, non…» si lanciò in uno dei suoi sproloqui, con il tono da vecchio ninja vissuto che gli piaceva credere di essere.
«Scusa, in questo momento sembri troppo un pulcino bagnato, non riesco proprio a prenderti sul serio. Attento che ti cola il mascara» lo interruppi io, ridacchiando nell’osservare l’espressione profondamente irritata che era affiorata sul suo viso, avvolto in un amorevole abbraccio di capelli umidicci.
«Piuttosto, questo non è il momento romantico in cui presti il tuo mantello alla povera donzella infreddolita?» domandai io, sbattendo gli occhi in un modo che sarebbe dovuto risultare femminile e aggraziato, da affascinante cerbiatta qual’ero «Mi si sta gelando il culo» sottolineai. Oh, quali soavi parole!
«Così disse la povera “donzella” infreddolita» mi fece eco lui con un sorrisetto indefinito, poggiando il mento su una mano «Assolutamente no. Potevi evitare di distruggere la tua, Kakuzu andrà su tutte le furie quando lo saprà. Ah, a proposito» si bloccò, mettendo una mano all’interno del suo mantello, per poi lanciare verso di me quello che teneva nascosto al suo interno «Prendi».
E fu una bomba, fine. Morta per un esplosivo a forma di uccello. Se non altro il mio necrologio sarebbe stato creativo.
No, grazie al cielo non andò così; sarebbe stato piuttosto drammatico vista tutta la fatica che avevo fatto per riuscire a sopravvivere fino a quel punto.
C’era da dire che almeno, per una volta, presi effettivamente quello che mi era stato passato invece di lasciare che si schiantasse al suolo in una tristissima parabola. In faccia. Un classico. Ormai mi era successo così tante volte che cominciavo a sospettare che, intorno alla mia persona, esistesse un campo gravitazionale indipendente che attirava qualsiasi cosa entrasse nel raggio di un metro dal mio corpo. Probabilmente anche più di un metro considerando quella volta in cui, durante uno dei soliti battibecchi tra Sasori e Deidara, un pezzo di sedia era volato via ed aveva centrato perfettamente il mio naso… nonostante mi trovassi dalla parte opposta della stanza e mi fossi affacciata, soltanto per un istante, per controllare che non si fossero dimenticati della pentola di noodles che bolliva sul fuoco.
Ad ogni modo, staccato il misterioso oggetto dalla mia faccia, mi resi conto che si trattava della mia borsa ninja, quella in cui tenevo oggetti vagamente importanti – tipo i kunai, gli shuriken e le cartacce varie ed eventuali che mi dimenticavo sempre di buttare-. La stessa borsa che in quel momento avrebbe dovuto trovarsi attaccata al corpo di Fuko. Quella che non mi ero nemmeno resa conto di aver perso fino a quando non me l’ero ritrovata fra le mani. Per tutto quel tempo, infatti, non avevo fatto altro che pensare alla prematura dipartita della mia povera cappa e dei miei calzini viola preferiti, che avevo avuto la sventurata idea di indossare quella mattina e che, ero abbastanza sicura, non avrei mai più rivisto in vita mia.
Lurida Fuko che non mi da nemmeno un po’ di preavviso prima di riprendersi il suo corpo! Non è che pretendessi mi mandasse un’ambasciata alla porta del covo per avvisarmi, ma almeno un messaggino, una lettera o un piccione viaggiatore sarebbero stati apprezzati; se non altro, quel giorno, mi sarei buttata addosso uno dei vestiti inutili e distrutti che giacevano nelle più profonde recondità del mio armadio, evitando di perdere quelli che mi piacevano.
«Wooow DeiDei, come hai fatto a…?»
«Mentre pensavi che stessi per attaccarti, glie l’ho portato via. Credo sia rimasta bloccata per troppo tempo nel tuo cervello, perché non se n’è minimamente resa conto, uhm» aggiunse, distruggendo con le ultime parole ogni possibile vago sentimento di riconoscenza che, per qualche istante, potevo aver provato nei suoi confronti.
«Ahah… ma.come.sei.simpatico.» borbottai io funerea, aprendo lo zainetto che mi aveva passato e frugandoci dentro, per controllare di non essermi persa nulla per strada. Considerando che probabilmente di lì a breve sarei stata coinvolta in uno scontro mortale, avrei preferito evitare di ritrovarmi durante il combattimento ad infilare la mano nella borsa per afferrare qualcosa di potenzialmente letale e finire per colpire il mio avversario con un pacchetto di fazzoletti aromatizzati alla menta. Magari mi sarebbe andata bene e avrei scoperto che, un po’ come la kryptonite per Superman, il punto debole del terribile clan degli sharingatori seriali erano proprio i Kleenex.
«Cos’è quella reazione? Dovresti essermi grata… mi stai ascoltando almeno!?» cominciò, per poi interrompersi irritato nel vedermi completamente assorbita nel frugare fra i vari oggetti, senza prestargli la minima attenzione; e Deidara odiava essere ignorato, lo sapevo fin troppo bene.
«Queste parole mi danno un senso di deja-vu» risposi distrattamente io, interrompendo le sue proteste «Ti sarò grata per il resto della mia vita DeiDei, come sempre» continuai, il tono di voce completamente piatto e privo di sentimento
Deidara si limitò ad annuire, apparentemente soddisfatto della mia risposta, per poi riportare lo sguardo verso la pioggia che scrosciava incessantemente contro il terreno poco distante dai nostri piedi, rendendolo più scuro con il suo passaggio.
Mentre contavo distrattamente il numero delle carte bomba che avevo ancora a disposizione, il biondino decise di riprendere parola. Sinceramente avrei preferito mi rivelasse di essere Orochimaru e che poco prima, invece di baciarmi, stesse semplicemente cercando qualche strana pergamena all’interno della mia laringe.
«Non ho mai visto Sasori no Danna in quelle condizioni. Si può sapere cosa eri venuta a far-»
«OH GUARDA, E’ UN LIOCORNO! E’ UN MIRACOLO!» esclamai – praticamente urlai- interrompendolo, sentendo il sangue gelarsi nelle mie vene nel capire dove quella conversazione sarebbe andata a parare, indicando con fin troppa foga il nulla cosmico di fronte a noi.
«… un cosa?» ripeté perplesso Deidara, vagamente confuso da quell’improvviso scatto isterico, senza neanche scomodarsi di vedere se ci fosse effettivamente qualcosa; anche perché non ne aveva minimamente bisogno dato che sarebbe riuscito a percepirne la presenza da metri e metri di distanza, al contrario di me che tendevo ad accorgermi delle cose solo nel momento in cui ci sbattevo il naso.
«Un evento estremamente raro e magico, tipo quando pensi sia acqua, ma diventa vino-»
«So che cos’è un miracolo. Intendevo quello che hai detto prima, uhm»
«I liocorni? Non sai cosa sono?» tono estremamente sorpreso, avrei seriamente potuto darmi al teatro «Ho sentito dire che un tale, di nome Noé, ha messo una grande taglia sulla loro testa perché beh… non si vedono da nessuna parte e non si sa dove siano finiti. Gli servono per un qualche importante viaggio in barca. Non conosco bene i dettagli, ma so che oltre loro c’è un sacco di gente che deve partire»
Come se potesse mai credere ad una storiella del gener-
«Non me ne intendo di queste cose, è Kakuzu ad occuparsi delle taglie. Dovresti parlarne con lui» fece spallucce, agitando una mano con disinteresse, minimamente toccato dall’argomento.
«M-magari la prossima volta…»
Effettivamente sarebbe stato parecchio esilarante vedere il tesoriere di Alba andarsene in giro per il mondo a caccia di liocorni, ma avevo la sensazione che, una volta scoperta la verità, avrebbe provato a vedere cosa succedeva se cuciva la mia testa contro un muro – non quello del covo però, non ne avrebbe mai rovinato la verniciatura-.
Se non altro in quel modo ero riuscita a distoglierlo dal discors-
«Non pensare che non abbia notato il tuo patetico tentativo di cambiare argomento, uhm»
O anche no.
Avrei preferito si ricordasse di avere un cervello durante qualche combattimento mortale – tipo quello contro Sasuke, dove si era fatto saltare in aria totalmente a caso- invece che quando parlava con me; forse era la mia mancanza di materia grigia che lo stimolava ad utilizzare la sua, per compensare.
«Ero solo uscita a fare una pass-»
«Non ti ho mai visto camminare così tanto di tua spontanea volontà»
«Avevo bisogno di aria fresca e…»
«Tu detesti la natura»
«E’ che dovevo andare a riprendermi il mio corpo e-»
«In condizioni normali avresti implorato Sasori no Danna di aiutarti, uhm»
«Non volevo disturbarlo perché-»
Deidara si limitò a lanciarmi un’occhiata scettica nel sentire quest’affermazione. Non c’era bisogno che aggiungesse altro: era da quando ero arrivata in quel mondo che non avevo fatto altro che assillare il marionettista; ero abbastanza sicura che se non fosse stato impegnato a non essere più umano sarei riuscita a fargli spuntare i capelli bianchi per lo stress. Il fatto che improvvisamente mi facessi scrupoli verso di lui non era una motivazione plausibile, me ne rendevo conto persino io.
«Nutro sentimenti molto contrastanti nel sapere che mi conosci così bene…»
«Cosa stai andando a fare?» insistette ancora, vedendo che non mi decidevo a parlare.
«V-vado a caccia di donnole?»
«La verità
«Beh, a grandi linee questa sarebbe la verità…»
«Da quando non mi dici più tutto quello che ti succede, Fu?» sbottò, profondamente irritato, come se gli avessi recato chissà quale offesa.
«Mi chiamo Ambra!» obbiettai di rimando io, gonfiando una guancia «Tzé, non chiamare il nome di altre donne mentre ti trovi con m-» la mano di Deidara incontrò il muro di pietra alle mie spalle con fin troppa forza per i miei gusti, facendomi vagamente trasalire. Prima che potessi realizzarlo mi ritrovai intrappolata fra la parete e il corpo del bombarolo, il suo viso decisamente troppo vicino al mio per potermi permettere di ragionare lucidamente. Se quello era un tentativo di intimidirmi mi dispiaceva molto per lui; avrei potuto vivere per sempre in quella posizione senza il minimo problema. Non faceva male ritrovarsi coinvolta in qualche scena da Shōjo manga ogni tanto; non mi capitava praticamente mai e non mi sarei sicuramente lamentata di avere finalmente un po’ di meritatissimo fanservice.
«Wow, è stata una bella botta. Spero non ti sia fatto saltare via qualche dente della mano nella foga. Ahah, dente della mano. Fa così strano dirl-»
«Ambra»
«S-sì?»
L’espressione con cui mi stava guardando in quel momento mi fece desiderare di raggiungere lo stato liquido in moda da poter sparire oltre il muro di rocce: non capitava spesso di vederlo così serio; Deidara era sempre stato la rappresentazione vivente della sua concezione artistica: esplosivo, improvviso, intenso e repentino in ogni suo cambiamento di umore, vederlo così silenzioso metteva i brividi. O dipendeva forse dal fatto che mi stava praticamente alitando in faccia?
«D-deiDei, stai andando un po’ out of character. Perché vuoi saperlo così tanto?»
«Sei stata affidata a me e a Sasori no Danna e, per quanto non mi vada giù, sei una nostra responsabilità»
Ah. E io che speravo in una dichiarazione d’amore strappalacrime. Da quando era diventato così ligio al dovere verso l’organizzazione? Ero rimasta a quando non voleva nemmeno entrarci.
Sospirai, profondamente irritata «Scusa tanto, deve essere stato veramente orribile trovarsi fra i piedi una come me».
«Assolutamente sì. Perché diavolo il leader ha dovuto affidare proprio a noi un compito del genere? Sono un ninja, non un babysitter. Perché poi ha scelto proprio te? Non riesco a capirti, non sai fare nulla, non è passato giorno che non passassi senza infastidirmi…»
«… sei venuto fin qui per insultarmi?»
«Sono venuto fin qui perché tu mi p-» cominciò, bloccandosi nuovamente, per poi scuotere la testa, infastidito.
«P-?» gli feci eco, incitandolo a continuare.
P di cosa? Di “perturbi”, “pesti”, “posponi”, “palpi”? Quest’ultimo in effetti non sarebbe stato così improbabile, ma volevo sperare non si fosse mai reso conto di come mi avvinghiavo al suo corpo quando pensavo che si fosse ormai addormentato.
Deidara riportò lo sguardo su di me dopo qualche istante, deciso finalmente a parlare.
«Non so spiegarmi nemmeno io perché, ma tu mi-»
Fu un attimo. L’unica cosa di cui mi resi conto inizialmente fu il suono di qualcosa che lacerava la carne.
Senza che me ne fossi resa conto il braccio di Deidara si era spostato dalle parete alle mie spalle e si era piegato di fronte alla mia faccia, giusto in tempo per intercettare un kunai, che si conficcò sulla sua pelle, strappando la cappa dell’organizzazione. Nonostante quello il biondo fu rapido ad alzarsi in piedi, pronto a scattare in qualsiasi momento, togliendo, senza battere ciglio, l’arma dal suo corpo e lasciandola cadere a terra in un tintinnio che riecheggiò fastidiosamente all’interno del nostro rifugio d’emergenza.
Per quanto mi riguardava, io ero rimasta completamente immobile, seduta a terra, gli occhi sbarrati mentre mettevo a fuoco le fattezze della persona che ora ci si parava davanti, ferma in mezzo alla pioggia.
«Questo è completamente sbagliato. Non può succedere ora» riuscii soltanto ad articolare, pietrificata da quell’improvvisa apparizione.
Il viso parzialmente nascosto dal cappuccio del mantello fradicio, la mano appoggiata sulla katana bianca che ancora riposava nel suo fodero, fissato alla vita da quella strada cintura viola, ancora più orribile vista di persona; per qualche motivo, Sasuke Uchiha era lì.
Avrei veramente preferito un liocorno.
  
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