È
l’onestà di queste parole
Dominata
dalla magia e da possenti spade
Che
fa desiderare alla mia anima il passato
Elvenpath
«Bravo
Levi! Dai rialzati, vieni!» La voce gioviale di una donna
accompagnava i primi passi di un piccolo uomo la cui determinazione
ne animava gli occhi argentei. Continuava a cadere e a cercare di
rialzarsi sul morbido manto erboso del giardino.
L'atmosfera
era serena e tranquilla, dopo innumerevoli sacrifici la giovane madre
era riuscita a ritagliare uno spazio nel mondo per lei e il suo
adorato figlio.
Il
padre era sparito nel nulla senza farsi più vedere, la donna
non
aveva nemmeno avuto modo di fargli sapere della gravidanza, a
distanza di quasi 3 anni non rimpiangeva nulla, erano stati anni duri
e pieni di sacrifici, ma ce l'aveva fatta barcamenandosi fra diversi
lavori.
E
finalmente aveva trovato la tanto desiderata la stabilità
grazie
all'assunzione presso un vivaio locale che le aveva offerto tutto
ciò
di cui potesse desiderare: orari flessibili, copertura sanitaria e
uno stipendio più che buono.
Condividevano
quel momento di gioia con l'ultimo membro acquisito della famiglia,
un albero proveniente dal vivaio che gli era stato consigliato da una
collega, per: “celebrare
quel momento importante”.
«Forza
rientriamo» Cercò inutilmente di esortare il
figlio, da quando
avevano messo le radici dell'arbusto nel terreno non si era ancora
allontanato dal neo–amico, l'aveva
portato a casa senza pensarci troppo sopra, contenta per il pensiero
e ignara che il figlio potesse esserne attirato in quella maniera
magnetica. Era un albero dopotutto.
«No!»
Kuchel,
che si era chinata per prenderlo in braccio si fermò
interdetta, non
era insolito che il bambino si impuntasse su alcune cose, il
più era capire cosa
questa
volta.
«Levi?»
Chinò la testa di lato malcelando la curiosità e
reprimendo una
risatina, non voleva che il figlio pensasse di essere deriso. Era
ammirevole il suo carattere e l'ultima cosa che voleva era che lo
perdesse per un malinteso.
«Brutto!»
Il piccolo iniziò a picchiare le manine sul tronco
dell'albero
strappando alcune foglie dall'arbusto. «Via!»
«Non
si fa! Gli fai male! Forza in casa!» Diede un leggero
buffetto sulla
mano del figlio cercando di fargli capire l'errore, in tutta risposta
il bambino la guardò con rabbia,
gli occhi inumiditi e arrossati dalle lacrime che avevano iniziato a
scendere silenziose.
Il
piccolo labbro tremante. «Lui ha bua, brutto
'vallo!»
Kuchel
non riusciva a capire, il piccolo guardava con rabbia e dolore
l'albero di fronte a sé, la mano chiusa a pugno picchiava
contro il
tronco, preoccupata gli si avvicinò allargando le braccia
per
abbracciarlo, Levi non esitò a fiondarsi verso la donna
singhiozzando rumorosamente.
«No
'vallo»
«Domani
lo porto via» La frase servì solo a farlo
irrigidire tra le sue
braccia e piangere più forte. «No! No! No! Albeo
sì! 'vallo no!»
Sospirò,
arrendendosi a non capire il senso delle parole del figlio che
continuava a guardare combattuto il piccolo arbusto.
#
La
risposta iniziò a delinearsi quando negli anni seguenti:
Levi si
ostinava a frapporsi fra lei e la pianta quando cercava inutilmente
di
potarla, e quel' «albero
sì, cavallo no»
diventò più chiaro.
«Va bene, ho capito, Albero sì, cavallo
no» Si arrese un giorno notando come dal punto dell'innesto
iniziò
a ramificare la pianta usata come sostegno.
Levi
allora aveva quasi 5 anni e quando la madre ripose le forbici, per
quella che sarebbe stata l'ultima volta, il bambino esultò
abbracciando l'albero. «Evviva Eren!»
La
povera Kuchel che si illudeva di essere arrivata a capo di qualcosa
dovette ricredersi – chi
è Eren? Forse
un amico immaginario?
Vedendo
il figlio tanto felice e contento ignorò quelle domande e
optò per
un più diplomatico – «È un
piacere conoscerti Eren» Rivolto
alla pianta, Levi la guardò sorpreso prima di regalarle un
sorriso
sdentato, la mano appoggiata al tronco. «Eren, questa
è la mia
mamma!»
Quel
pomeriggio lo passarono così, all'ombra
del
piccolo alberello che si stava ritagliando un suo posto nel mondo,
Kuchel osservò come suo figlio sembrava in sintonia con la
pianta
mentre gli raccontava episodi delle sue giornate o se ne stava seduto
ai suoi piedi senza dire una parola, alzando lo sguardo ogni tanto
per poi annuire contento quando lo trovava sempre lì.
Levi
era talmente sereno che non si preoccupò del giusto o
sbagliato.
#
Gli
anni passarono, Levi cresceva a vista d'occhio dal punto di vista
mentale, ma non si poteva dire la stessa cosa dal punto di vista
fisico, purtroppo era sempre un po' più basso della media,
Kuchel
poteva solo sperare che non avesse preso i suoi geni, forse
il tempo gli avrebbe reso giustizia.
Levi
stava crescendo rispettoso con gli adulti, ma dal carattere
tagliente, vivi e lascia vivere era il suo motto: finché
veniva
lasciato nei suoi spazi indisturbato andava tutto bene, ma quando un
bambino si azzardava a mancargli di rispetto non esitava a ripagare
con la stessa moneta.
Come
successe quel giorno.
«Levi,
ciò che è successo oggi non deve ripetersi,
intesi?» Lo sguardo
che ricevette in tutta risposta le fece capire che si sarebbe
ripetuto, eccome se sarebbe successo. Lo sguardo irato del figlio
prometteva guai. Ma doveva imparare che quello era un atteggiamento
sbagliato. «Levi, mi hai capito?»
«Non
prometto cose che non mantengo» – e con
ciò il ragazzo fece
dietrofront con lo zaino in spalla andando nel suo angolo preferito
salutando allegro l'amico – «Hey
Eren, continuiamo a leggere, ti va?»
Kuchel
iniziava ad essere preoccupata per il figlio, la solitudine l'aveva
portato a rimanere in contatto con l'amico immaginario, il famoso
Eren,
che difendeva a spada tratta dalle parole dei compagni di classe.
Si
affacciò alla finestra e lo vide seduto ai piedi del giovane
albero
a leggere il suo libro preferito, Fiabe d'Irlanda, grazie a quello
strano legame aveva imparato a leggere molto presto e aveva un
linguaggio molto raffinato per la sua età, però
questo aveva
portato ad allontanarlo dagli altri bambini. Quel giorno era stata
chiamata a scuola perché aveva picchiato un bambino che
aveva preso
in giro il suo amico immaginario.
Sospirò
affranta, in parte era colpa sua.
La
settimana precedente aveva insistito per invitare a casa degli amici
di scuola e come era ovvio che succedesse, Levi aveva presentato con
orgoglio il suo amico,
in tutta risposta i coetanei l'avevano schernito, deriso e preso in
giro.
Era
stato additato come strano e matto, Kuchel sapeva che era insolito
però avendolo avuto sempre sotto gli occhi era diventata una
cosa
normale, doveva sapere che gli altri bambini non avevano la stessa
sensibilità del figlio. Pensava che tutto fosse finito,
dopotutto
quel pomeriggio Levi era stato insolitamente diplomatico, decidendo
di spostarsi in casa, ignorando l'accaduto come meglio poteva.
Kuchel
che ne aveva notato lo sguardo ferito, tacitamente aveva provveduto a
chiamare i genitori dei compagni di classe con una scusa banale per
far finire quel pomeriggio disastroso.
La
cosa però non era finita lì, a una settimana
dall'accaduto i
compagni avevano tirato di nuovo fuori il discorso a scuola e questa
volta non si erano risparmiati con le derisioni, ma soprattutto
avevano tirato in ballo Eren.
Levi
non ci aveva visto più e aveva messo a tacere tutti i
bambini,
passando direttamente con alle cattive.
Il risultato? Due occhi neri, un labbro spaccato e un naso
sanguinante. Levi ne era uscito illeso.
Per
un certo verso era fiera di lui, per un altro…
sospirò, non poteva
incentivare quel comportamento. Nascosta dalla tenda della sala
continuò ad osservarlo, il debole sorriso che aveva smosso
le labbra
del bambino ebbe l'effetto di rincuorarla un poco.
In
quel momento Levi aveva alzato il libro per far vedere una figura al
virgulto, riprendendo poi a leggere.
Era
normale, a quell'età poteva permettersi un amico
immaginario,
l'avrebbe dimenticato con gli anni.
#
Ma
gli anni non aiutarono a dimenticare, le fattezze infantili si
stavano mutando in quelle di un giovane adulto, il viso perdeva le
rotondità per lasciare posto all'affilatura, lo sguardo
iniziò ad
animarsi della passione adolescenziale.
«Oggi
verrà da noi Kenny, per piacere ti scongiuro, ti supplico,
cerca di
sopportarlo!»
«Tsk
l'ho pur sempre fatto» Il commento piccato, la porta
sbattuta,
l'imprecazione sonora che seguirono erano tutte premesse per un
disastro.
Quando
poi lo zio si presentò alla loro porta con un segaccio in
spalla la
situazione degenerò.
«Kenny!
Perché–» Kuchel collegò i
segnali troppo tardi, l'uomo l'aveva
superata con un saluto veloce e approfittando dell'assenza del nipote
si era diretto nel giardino sul retro.
L'errore
di Kuchel era stato quello di lasciar parlare troppo il cuore
preoccupato per il figlio, il fratello che tutto era meno che
sentimentale aveva fatto lavorare il cervello elaborando quella che
per lui era l'unica soluzione possibile: eliminare il problema.
L'albero
incriminato aveva appena fiorito e il dolce aroma si spandeva
nell'aria, era cresciuto molto negli ultimi anni ed ora svettava
fiero nel piccolo giardino: il legno di un dolce color nocciola
contrastava con il verde brillante delle foglie che ne vestivano i
rami giovani.
Le
radici affondavano nel terreno, nutrite negli anni anche dall'ultimo
sorso di tè che Levi continuava a condividere con l'amico.
«Kenny!
Fermo! Cosa credi di fare!?» – Sussurrò
a denti stretti, provando
a fermare il fratello senza allarmare il figlio, ma Levi attirato dal
trambusto l'aveva già preceduta andando ad afferrare per un
braccio
lo zio prima che potesse intervenire.
«FERMO!
GLI FAI MALE!»
Kenny
si limitò a spingerlo malamente a terra mentre affondava la
sega nel
tronco ancora sottile, un paio di andate e l'avrebbe rimosso per
sempre.
«Finiscila
moccioso, lo faccio per il tuo bene, mi ringrazierai!»
«Kenny
ti prego smettila, ti prego!» Kuchel provò di
nuovo a fermarlo
prima che succedesse l'irreparabile, si pentiva di ogni singola
confidenza fatta, la disperazione che animava il figlio era
straziante, ma l'uomo la ignorò fin quando Levi non
reagì
nell'unico modo che gli venne in mente addentando la mano dello zio
che imprecò mollando la sega.
«Maledetto,
ma sei matto! Kuchel devi farlo curare!»
La
donna ignorò l'ammonimento e raccolse la sega portandola
lontana
dall'albero.
«Kenny
devo chiederti di andartene, mi dispiace che tu abbia frainteso le
mie parole»
«Tuo
figlio è matto Kuchel, è da
rinchiudere» Levi nel frattempo era
andato vicino al suo amico guardando il danno fatto dallo zio.
«Ci
penso io a mio figlio» Il discorso era chiuso e seppur con
riluttanza Kenny se ne andò continuando a imprecare
oscenità contro
al nipote e contro a fantomatici uomini foglia mentre scrollava la
mano in aria in maniera drammatica. «Ve ne pentirete di avere
preferito loro»
Kuchel
raggiunse il figlio, anche lui impegnato a snocciolare maledizioni
–
benedetto sangue Ackerman – il ragazzo non sapeva dove
mettere le
mani mentre camminava in circolo attorno all'albero, l'attenzione
fissa sulla ferita.
«Mamma–» Il tono
supplichevole con cui si sentì chiamare le strinse il cuore,
Kuchel
strappò un lembo della maglia vecchia che indossava
avvolgendo la
lesione, era abbastanza profonda, però sanabile: nei suoi
anni di
lavoro al vivaio aveva visto riparare ferite simile negli alberi in
cui erano stati effettuati tagli sbagliati o che si erano rotti in
seguito ad un viaggio particolarmente turbolento.
«Levi
tranquillo, domani chiederò a lavoro un po' di mastice e
tornerà
come nuovo, va bene?»
Sperava
con tutta se stessa che fosse analoga alle ferite che aveva
già
visto sistemare, o non se lo sarebbe mai perdonata, il tono doveva
essere abbastanza rassicurante visto come Levi si limitò ad
annuire
seppur non molto convinto andando a prendere il suo libro per leggere
una storia all'albero ferito.
Kuchel
in quel momento iniziò a farsene una ragione: suo figlio era
diverso, suo figlio aveva una sensibilità che le altre
persone non
potevano capire ed era suo compito preservarla e se Levi era tanto
affezionato a quella pianta, lei l'avrebbe resa partecipe delle loro
giornate, Eren ormai faceva parte della loro piccola famiglia.
Appoggiò
una mano al tronco accarezzandolo con dolcezza. «Scusa Eren,
è
colpa mia, spero che potrai perdonarmi» Una leggera brezza le
scompigliò i capelli e mosse un ramo che le
sfiorò il viso, mise la
mano sulle foglie morbide sorridendo.
Sentì
il familiare calore che era capace di smuoverle il sorriso del figlio
scaldarle il cuore e capì, fu in quel momento che Levi
tornò con il
suo libro preferito sotto braccio tirando su col naso, lo sguardo
duro leggermente arrossato.
«Stai
qui con Eren, che ne dici se oggi pranziamo con lui? È una
bella
giorna–» Non riuscì a finire la frase
che Levi aveva già
risposto con entusiasmo spostando lo sguardo da lei all'amico.
«Sì!
Grazie mamma! Hai sentito Eren!?» Il sollievo era dipinto sul
suo
viso, e il cuore di Kuchel affogò nel sollievo.
Qualunque
cosa fosse successa avrebbe sempre scelto suo figlio.
#
Quello
spiacevole episodio la portò ad avvicinarsi alla collega di
lavoro
che le aveva indicato l'albero, aveva cercato di restare vaga con la
scusa di un taglio accidentale, ma gli occhi gonfi e quelle lacrime
che avevano ripreso a rigarle il viso tradirono la realtà e
inevitabilmente si aprì con la donna.
Le
raccontò tutto, dall'attaccamento del figlio alla pianta,
della
reazione del fratello e della disperazione di Levi.
«Oh
Karla dovevi sentirlo urlare mentre quell'idiota di mio fratello
faceva male al suo amico, e come mi guardava cercando aiuto–
Karla
credi che si salverà l'albero?»
Quando
finì il racconto la paura di essere giudicata male la
bloccò sul
posto, per l'ennesima volta aveva parlato senza pensare,
però il
sorriso della donna di fronte a lei le fece capire che poteva stare
tranquilla.
«Non
preoccuparti, le piante sono molto tenaci, oggi pomeriggio ti
accompagno a casa e ti aiuto a curarlo, Hannes ci presterà
un po'
dei suoi prodotti senza problemi»
Kuchel
le saltò al collo, il sollievo provato per quelle parole era
più di
quello che la collega potesse immaginare. «Grazie»
E
così aveva fatto, quel pomeriggio quando Levi era rientrato
aveva
trovato la sconosciuta troppo vicino alla pianta per i suoi gusti e
subito era corso a fermarla, ma Kuchel che si aspettava una simile
reazione era pronta per spiegargli la situazione.
«Levi,
è tutto a posto, lei è Karla, la mia collega di
lavoro, si è
proposta di aiutarci a sistemare Eren» Dopo aver rafforzato
la presa
nella mano del figlio l'aveva portato vicino alla donna che gli aveva
sorriso sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Sono
Levi» Si limitò a bofonchiare il bambino
allungandole la mano,
Karla non si fece scoraggiare e la accettò di buon grado
«Piacere
mio Levi, sono Karla»
«È
lei che ci ha regalato Eren tanti anni fa, quando era ancora un
cavallo»
«Oh»
Gli occhi argentati di Levi si spalancarono impercettibilmente e
ringraziò di nuovo la donna.
«Ma
ora prendiamoci cura di questo ragazzo, mi vuoi aiutare Levi?»
Il
bambino annuì e Karla lo spedì in casa a prendere
l'alcool per
pulire l'attrezzatura, mentre parlava aveva nascosto la sua bottiglia
in mezzo ai suoi prodotti, voleva fare sentire Levi importante in
quell'operazione e Kuchel la ringraziò con lo sguardo mentre
veniva
trascinata in casa da un Levi entusiasta di aiutare il suo amico.
Dopo
averle portato alcool e carta pulita Karla aveva provveduto a pulire
le forbici prima di toccare la pianta per evitare di infettarla con
agenti esterni, Levi non mollò per un momento il suo fianco
guardando attentamente ogni mossa della donna. «Ora gli
mettiamo la
pasta nutriente, vuoi provarci tu?»
Il
bambino prese la spatola iniziando a spalmare la pasta sulla ferita.
«Ti saluta e ti ringrazia» Lo smarrimento era
dipinto sul viso
della donna e Levi continuò «Eren»
«Oh,
di niente Eren, chi ha scelto il suo nome?»
Levi
scrollò le spalle. «Credo la sua mamma»
Quello scambio portò
Karla a guardare con attenzione la pianta, gli occhi si oscurarono
per un momento, un insopportabile nodo alla gola la obbligò
a
fermarsi un momento per schiarirsi le idee, il suo tormento era
visibile anche da fuori, e lei non sapeva a cosa dare la colpa.
Guardò smarrita l'albero senza però trovare il
coraggio di
chiamarlo per nome. La voce di Levi la distrasse da quel mare di
pensieri.
«Va
bene così?» Levi notando il cambio di umore della
signora fece il
possibile per distrarla da quella tristezza improvvisa.
Karla
si schiarì la voce prima di complimentarsi con il ragazzo.
«Benissimo, ora possiamo bendare il tutto, che ne dici?
Guarda
attentamente che se ce ne sarà bisogno dovrai ripetere
tu»
Kuchel
si limitò a guardare i due dallo stipite della porta sul
retro
sorridendo, era un vizio che avrebbe perso difficilmente, le reazioni
di Levi erano le più sincere quando era da solo con l'amico.
Dopo
quel pomeriggio Karla prese a frequentare la casa degli Ackerman con
regolarità, Kuchel aveva trovato finalmente un'amica
sincera, e
Karla un modo di sfogare un po' del suo istinto materno represso.
Fra
una confidenza aveva spiegato come avrebbe sempre desiderato una
figlia, e che se l'avesse avuta l'avrebbe chiamata di sicuro Erin;
sfortunatamente non aveva mai trovato un partner che rimanesse tanto
a lungo o che fosse interessato quanto lei nel mettere su famiglia.
La
presenza della donna non aveva pesato molto su Levi, che l'accolse
volentieri in famiglia, molto più volentieri dello zio, poi
il fatto
che avesse salvato Eren era solo un punto in più a suo
favore.
#
Altri
anni passarono, l'albero si stagliava con prepotenza nel cielo, le
fronde cariche di foglie ombreggiavano il piccolo giardino sul retro
che ora ospitava un giovane adulto Levi che studiava per le sessioni
estive dell'università.
La
sua ossessione per l'albero non era diminuita e ora era il compagno
di studio prediletto – al
diavolo le librerie.
«Che
ne dici di una pausa? È tutta la mattina che
studi–»
«Va
bene così mamma» Ringraziò prendendo il
tè fresco che gli aveva
portato senza distogliere lo sguardo dai libri. Gli occhi vispi della
donna erano stati contornati dal tempo, i capelli erano illuminati da
alcuni capelli argentati che però non ne rovinavano
l'aspetto
materno e dolce.
«Allora
pranziamo qua fuori, preparo un rinfresco ai piedi di Eren»
Il
nome dell'amico attirò l'attenzione del ragazzo, lo
sguardo si raddolcì quando si posò sulla pianta
di fronte a lui.
«Sì,
è un'ottima idea!» Concordò chiudendo i
libri e mettendoli di lato
per avvicinarsi all'amico.
Ogni
estate aveva preso l'abitudine di passare alcune notti all'ombra dei
suoi rami.
Dapprima
aveva iniziato sgattaiolando fuori da casa con alcune coperte e i
cuscini, la prima volta Kuchel rischiò un infarto non
trovando il
figlio in camera sua, poi quando ne comprese il bisogno lo
attrezzò
con sacco a pelo e tenda per permettergli di stare vicino all'amico
ogniqualvolta l'avesse desiderato.
Levi
aveva imparato a integrare Eren nei suoi discorsi, studiando
attentamente la linea sottile da non oltrepassare quando parlava di
lui così da non avere più problemi e
incomprensioni con le persone
là fuori.
Kuchel
aveva sentito la descrizione dell'albero innumerevoli volte e
rimaneva sempre incantata dall'entusiasmo con cui ne parlava il
figlio, Levi diceva sempre come Eren fosse la sua fonte di
ispirazione, sottolineando come la determinazione e il coraggio che
gli trasmetteva la pianta erano ineguagliabili.
Mollò
i libri dedicandogli la sua più completa attenzione
«Se cresci
ancora un po' supererai la casa»
batté
un paio di colpi sul tronco, il fusto sempre più forte, la
spiacevole ferita ormai cicatrizzata, i rami intricati e carichi di
foglie brillanti. Davvero una pianta ammirevole.
Recuperò
il libro di fiabe mentre attendeva che la madre lo chiamasse per
portare fuori il pranzo.
Appena
la sua schiena toccò il tronco liscio della pianta si
sentì
rinascere, tutta la tensione accumulata per gli esami lo
abbandonò
lasciando il posto a calma e tranquillità.
«Mi
sei mancato» Alcune foglie gli solleticarono i capelli e
ricambiò
accarezzando le radici forti e ben piantate con la mano.
Ormai
quelle fiabe le aveva imparate a memoria e senza rendersene conto si
era appisolato, il libro dimenticato di lato, gli occhi troppo
pesanti, nel torpore di quella giornata primaverile, per la prima
volta, tutte le sensazioni provate durante gli anni tornarono
prepotenti accompagnando un paio di occhi iridescenti che
illuminavano un incarnato baciato dal sole circondato da ciocche
color cioccolato.
#
L'estate
afosa non dava tregua, erano solo alla vigilia del solstizio
d'estate, il fresco dell'autunno troppo lontano.
Levi
odiava la calura estiva, tutte le mattine si svegliava sempre
più
stanco di quando si era coricato, ma quella notte a disturbare il suo
sonno contribuì l'immagine di due occhi verde foglia
illuminati da
un sorriso più luminoso della luna di mezza estate.
«Levi»
Un
sussurro perso nella notte a cui rispose bofonchiando nel sonno quel
nome che gli era da sempre tanto caro – «Eren»
Il
sonno irrequieto non venne disturbato, anzi, lo portò ad
alzarsi e a
percorrere quella strada familiare, il suo cuore sapeva perfettamente
dove andare, i piedi si muovevano da soli nella notte calda, la
coscienza persa nell'oblio del sonno.
Senza
rendersene conto era tornato per l'ennesima volta di fronte all'amico
d'infanzia, appoggiò la fronte sudata al tronco forte, il
fiato
corto, i gemiti strozzati tradirono la sua inspiegabile eccitazione.
«Levi»
Un altro
sussurro gli arrivò
alle orecchie, il calore che gli animava le viscere insopportabile,
ansimò e con un gemito strozzato chiamò
«Eren» la
mano trovò da sola la strada verso il fastidioso impiccio
dell'intimo troppo stretto.
Il
cervello era ancora sopito quando si afferrò sotto al
tessuto degli
slip sottili iniziando a massaggiarsi, non si svegliò
nemmeno quando
abbassò l'elastico lungo il fianco quanto bastava per
liberare la
dolorosa erezione, se fosse stato cosciente si sarebbe reso conto che
mai in vita sua aveva desiderato toccarsi come in quel momento.
Chiamò
nuovamente il nome dell'amico aggrappandosi alla pianta e continuando
a cercare sollievo nella mano.
La
leggera brezza che gli avvolse il membro pulsante non
attenuò la sua
eccitazione, anzi, gli diede l'impulso per stringersi con forza e
iniziare a pompare con vigore, una, due, tre volte, solo a quel punto
il cervello iniziò a risvegliarsi, a riprendere pienamente
coscienza
delle sue azioni.
Era
prossimo a liberarsi quando si svegliò, il nome di Eren si
confondeva fra i gemiti e i sospiri, l'imbarazzo l'avrebbe fermato se
non fosse che era troppo prossimo all'orgasmo.
Ingoiando
vergogna e umiliazione rilasciò il suo seme contro il tronco
dell'albero, leggeri rivoli perlacei presero a correrne il fusto fino
a venire assorbiti dal terreno, solo in quel momento alzò lo
sguardo
sulla pianta cosciente di tutto ciò che sarebbe cambiato da
quel
momento in avanti.
«Scusa»
Ritirò la mano dal tronco come scottato, tirò su
i boxer. «Scusami»
Sussurrò e rientrando in casa maledicendosi allo sfinimento.
Non
capiva cosa ci fosse di sbagliato in lui, suo zio l'aveva sempre
detto che era matto e che sua madre era troppo permissiva con lui, ma
avendo sempre avuto l'appoggio della madre non se ne era preoccupato;
però quella notte tutto era cambiato.
Le
poche persone che sapevano di Eren, un paio di amici
dell'università
l'avevano preso in giro bonariamente e senza offesa dandogli del
dendrofilo e lui ci aveva riso sopra, dicendo che doveva ancora
trovare una persona interessante come Eren. Ma lo diceva tanto per
dire, non poteva essere così perverso nella sua testa
l'affetto per
quella pianta.
«Sono
malato» Mormorò a se stesso seppur con riluttanza,
la pesantezza di
quella realizzazione sulle spalle, era cosciente che non fosse
normale masturbarsi contro un albero – il solo pensiero gli
dava la
nausea, però quell'albero era Eren, e lui non era tanto
certo che
fosse sbagliato.
Affondò
il viso nel cuscino, i capelli corvini gli scivolarono sulle tempie
oscurandogli la visuale e proteggendolo dal giudizio della luna,
unica testimone della sua perversione.
Quegli
occhi nefasti si fecero nuovamente strada nella sua mente, ma la
preoccupazione era troppa per poterli distinguere nel vespaio di
pensieri che si affollavano nella sua mente.
Con
questi pensieri contrastanti in testa non sapeva con che faccia
avrebbe potuto guardare sua madre l'indomani.
Da
dentro la casa non poté sentire il leggero tremolio che
mosse la
terra quella notte e, purtroppo, non poté godere della
visione
eterea di una creatura ultraterrena che veniva alla luce.
Mentre
lui, esausto, ripiombava nel mondo dei sogni, a pochi metri di
distanza l'anima che aveva albergato tanto – troppo
– a lungo
nella pianta esalava il primo vero respiro.
Il
tronco della familiare pianta si aprì con dolcezza liberando
un
giovane dall'incarnato baciato dalle molte albe che l'avevano
salutato, gli occhi del colore delle foglie più brillanti e
i
capelli color corteccia.
L'albero
era irreparabilmente compromesso, un guscio vuoto, ma aveva espletato
il suo compito in maniera egregia e il gesto non sarebbe mai stato
ignorato.
Ai
suoi piedi un giovane inspirò i suoi primi respiri di vita,
la
maledizione del fratello era stata finalmente sciolta.
«Levi»
Fu l'unica parola che riuscì ad articolare prima di
addormentarsi
per la prima volta mentre il nuovo corpo si abituava al peso della
vita terrena.
L'alba
del giorno seguente portò con sé più
sconvolgimenti di quelli che
il povero Levi aveva immaginato.
Quando
si svegliò non fece in tempo a godersi l'annebbiamento del
sonno che
i ricordi della notte lo colpirono in pieno portandolo a nascondere
la testa sotto al lenzuolo per la vergogna, bastarono i passi leggeri
della madre che si preparava come ogni mattina prima di andare a
lavorare a farlo sussultare. La
sentì passare davanti alla sua camera e poi la porta del
bagno
chiudersi.
Esalò
il sospiro che stava trattenendo sedendosi sul bordo del letto, non
sapeva cosa fare, doveva dire qualcosa a sua madre? Poteva fare finta
di niente?
L'immagine
della pianta si fece strada nella sua mente e arrossì col
semplice
ricordo, l'ignoranza non gli era concessa apparentemente.
Sospirò di
nuovo scendendo dal letto sconfitto, per ora Kuchel era all'oscuro di
tutto e fortunatamente l'unico testimone era muto e immobile, non
c'era motivo di preoccuparsi.
Infilò
una canotta e un paio di pantaloni corti, di lì a poco sua
madre
sarebbe uscita e lui avrebbe avuto tutto il giorno per metabolizzare
quello che successo – che aveva combinato – ed
elaborare
qualcosa.
Cercò
di salutare la madre come faceva tutte le mattine quando si
incrociarono sulla porta del bagno, ma non riuscì ad
abbracciarla
visto il desiderio di nascondere le mani dietro la schiena,
superandola con un veloce saluto e chiudersi in bagno gli sembrava la
soluzione migliore, Kuchel si limitò a guardarlo
perplessa scuotendo la testa e ad andare in cucina per preparare la
colazione.
La
donna al piano inferiore iniziò a tostare due fette di pane
e ad
apparecchiare la tavola, canticchiando una canzone fra i denti, il
comportamento insolito del figlio non la preoccupava più di
tanto.
Levi era stato un po' scostante quella mattina, forse era colpa dei
pensieri legati alla scuola, era un ragazzo che se aveva qualche
problema non esitava a chiederle un parere.
Oppure
potevano essere pene d'amore, segretamente iniziava a sperarci, era
un po' che si chiedeva quando le avrebbe presentato qualcuno, era
dispiaciuta di vederlo sempre solo, il suo amico immaginario era
stato fonte di gioie e dolori nel momento più delicato ed
era quasi
certa che subisse ancora i postumi delle angherie infantili.
Non
riusciva a decidere se avesse sbagliato o meno a sostenerlo in quel
modo, non aveva mai sentito di un amicizia con un albero, non le
dispiaceva quella singolare esperienza di cui era stato protagonista,
aveva contribuito a renderlo il giovane uomo sensibile e accorto che
era oggi, forse un po' schivo, ma fiero e sempre pronto a combattere
per ciò in cui credeva.
Sorrise
al ricordo di quando difendeva il suo amico a spada tratta, non si
era mai chiesto se fosse giusto o sbagliato – o se l'aveva
fatto
si era anche risposto da solo senza farsi troppi problemi.
Era
molto orgogliosa di come era cresciuto e se in tutto ciò Eren
aveva
aiutato tanto, ben venga, si era dimostrato fonte di crescita,
più
di quello che era stato Kenny.
Un
leggero bussare richiamò la sua attenzione –
«Arrivo, arrivo»
mormorò sovrappensiero, non notando l'anomalia in quella
situazione.
La
porta a cui stavano bussando era quella sul retro, nessuno bussava a
quella porta, a parte Levi quando rimaneva chiuso fuori le sere che
si attardava sotto la chioma di Eren, ma Kuchel era troppo distratta
dai pensieri su suo figlio per pensare a questo dettaglio.
«Eccomi»
La realtà la investì nel momento in cui
aprì la porta e si trovò
di fronte un giovane in tutta la sua gloriosa nudità,
d'istinto
portò le mani al viso prima per lo stupore e poi per
l'imbarazzo.
«Cia–»
Iniziò esitante il giovane ma lei non lo lasciò
parlare, ancor meno
muovere, si limitò a sbattere la porta con quanta forza
aveva e ad
urlare con quanto più fiato aveva in corpo scappando dalla
parte
opposta della casa.
Al
piano superiore Levi era ancora intento nella toeletta mattutina
quando l'urlo della madre gli fece gelare il sangue nelle vene e si
affrettò a correre al piano inferiore, i peggiori scenari si
fecero
strada nella sua mente – «Mamma?»
Non
ci fu bisogno di chiamare la donna che già si era fiondata
verso il
figlio balbettando frasi incoerenti e indicando la porta incriminata,
Levi riuscì a distinguere una figura stagliarsi al di
là del vetro
smerigliato, d'istinto afferrò il primo oggetto che gli
capitò
sotto mano – una scopa – e andò a
controllare. Kuchel continuava
a dirgli di stare attento.
Anche
il suo sesto senso gli remava contro, non si sentiva davvero in
pericolo, più che altro era curioso, in cuor suo quasi
fiducioso di
ciò che lo attendeva al di là della porta.
Una
volta aperta la porta puntò la scopa contro l'intruso che
alzò le
mani in segno di resa.
Tutto
si aspettava tranne ciò che si trovò davanti,
sentì solo sua madre
mormorare un “te
l'avevo detto”
riferito a qualcosa che lui purtroppo
non
aveva sentito.
La
persona che si trovò di fronte era la cosa più
lontana dalla
minaccia che ci fosse e in poco tempo si ritrovò a studiarne
la
figura ammaliato dalla familiarità e dal fascino che emanava
al
tempo stesso.
Levi
notò come gli occhi verdi brillarono e il viso si distese in
un
sincero e abbagliante sorriso, la pelle sembrava baciata dal sole con
quella sua invitante tonalità bronzea, i muscoli erano
definiti, una
leggera peluria scura gli sporcava il ventre scendendo in basso dove
una mano gli oscurava la vista– la scopa gli
scivolò di mano
cadendo con un tonfo sordo al pavimento.
«Levi!»
La scopa unita alla voce profonda del ragazzo di fronte a sé
riuscirono a risvegliarlo del tutto.
Era
cosciente che l'estraneo non potesse conoscere il suo nome,
però
l'interesse che li animava unito al fatto che l'aveva effettivamente
chiamato per nome dimostrava il contrario. E lui di rimando si
trovò
a dare un nome a quella figura – «Eren?»
Domandò insicuro, non
sapendo nemmeno lui perché stesse nominando quel nome in
quel
momento. La sera precedente gli aveva davvero confuso i pensieri.
Il
non-più-estraneo annuì con vigore, gocce salate
iniziarono a
rigargli le guance prima che potesse fermarle con l'avambraccio
cercando di darsi un contegno. Tra un singhiozzo e l'altro
riuscì a
confermare che sì, era proprio Eren, Levi tutto
ciò che riuscì a
fare in risposta fu accoglierlo tra le braccia senza esitazione.
«Eren»
mormorò affondando il viso nell'incavo della spalla, non
sapeva cosa
significasse tutta quella storia, ma il suo cuore non aveva dubbi, in
qualche modo
era
arrivato ad Eren.
Kuchel
osservò tutta la scena con curiosità crescente e
una volta capito
che lo sconosciuto non era una minaccia si ritirò in cucina
– Levi
poteva gestire la situazione meglio di quanto avrebbe potuto fare
lei.
Levi
si allontanò ricordandosi immediatamente dell'assenza di
abiti di
Eren, gli allungò un asciugamano dalla cesta dei panni poco
distante
e assentandosi un momento per recuperare qualcosa da fargli indossare
prima di farlo accomodare in casa.
Era
cosciente di come avrebbe dovuto farsi più domande, cercare
di
capire prima di accoglierlo in casa, ma non importava, il suo cuore
gli diceva che quello era il suo amico Eren e lui non si sentiva
nella condizione di negare nulla.
Un
sorriso gli increspò le labbra quando realizzò la
cosa più
importante, se aveva avuto pochi dubbi prima ora erano completamente
svaniti, era sempre stato lui quello sano, indugiò nel
passare i
vestiti al ragazzo solo per riempirsi gli occhi della sua figura e
imprimersi meglio nella mente il suo sorriso – nemmeno una
volta lo
sguardo vagò altrove –.
«Ti
aspetto di là, vuoi qualcosa?»
«Il
solito»
#
Una
volta vestito con un paio di calzoncini e una maglia comprata per
sbaglio – o come la definiva sua madre “per la
crescita” –
Eren li raggiunse, il solito
tè era già pronto e fumante ad aspettarlo.
Prese
posto vicino a Levi senza problemi, Kuchel seduta sulla poltrona
accanto, madre e figlio contenti per l'atmosfera rilassata che si era
creata nonostante il brusco risveglio.
Eren
era impegnato a capire come impugnare la tazzina, Kuchel
capì subito
i suoi dubbi sorridendo, probabilmente aveva sempre avuto gli occhi
solo su Levi e non poteva sapere che quel benedetto ragazzo era
davvero speciale
a
modo suo. Continuava ad allungare la mano cercando di afferrare il
bordo e fallendo quando provava ad alzarla per portarla alle labbra.
«Caro,
lascia perdere quel modo per disagiati, puoi afferrarla
così» Gli
spiegò tranquilla guadagnando un'occhiataccia dal figlio a
cui
rispose con una pernacchia. «Invece di ringraziarmi
perché non ne
ho rotte più… tsk. Ingrata» Kuchel lo
zittì con un gesto della
mano tornando a focalizzare la sua attenzione sul loro ospite.
«Allora
Eren, wow, non credevo che tu– come dire, che
fossi–»
«Umano?»
Rispose con una risata appoggiando la tazza «Infatti non lo
sono»
Spiegò portando alcune ciocche castane dietro la punta
appena
accennata dell'orecchio. «Sono un Elfo, o meglio,
mezzelfo»
«Questo
forse spiega alcune cose» Pensò ad alta voce
Kuchel, Levi storse il
naso. «In realtà no, piuttosto, come sei arrivato
qui?»
Quella
domanda ebbe l'effetto di far andar di traverso il tè
all'elfo,
quando riprese fiato il viso era rosso, Levi notò anche come
stesse
guardando ovunque tranne che verso di lui. Gli ci volle un momento
per capire
quel comportamento, i ricordi della notte precedente fecero capolino
e si affrettò a scacciarli dalla mente correggendo la
domanda, non
se la sentiva di affrontare quel dettaglio.
«No, lascia perdere, domanda stupida, perché eri
un albero?»
«Io–»
L'incertezza rabbuiò il viso di Eren, si rese conto che
più cercava
di rovistare nella memoria e più notava i buchi vuoti fra un
pensiero e l'altro. Sapeva di essere un mezzelfo, ne era certo;
sapeva di essere stato albero; sapeva che ne era uscito grazie a
Levi– però mancava tutto il prima,
perché sapeva di essere un
mezzo–elfo? Perché era stato albero? E
soprattutto, perché Levi
era stato in grado di liberarlo? «–non lo
so»
La
mano di Levi aveva raggiunto quella di Eren prima che potesse pensare
alla naturalezza del gesto, il calore della mano aiutò il
mezzelfo a
rilassarsi, cercò con lo sguardo l'umano e trovò
determinazione e
comprensione. «Non è importante, ora sei qui,
troveremo le
risposte, ora rilassati, puoi restare finché ne avrai
bisogno» Si
fermò quando si rese conto di essersi dimenticato di
chiedere il
permesso alla madre che già sorrideva alla tacita supplica
nello
sguardo del figlio.
Era
cresciuto tanto negli anni, eppure in quegli occhi rivedeva sempre il
suo bambino, si limitò ad annuire. «Certo,
dopotutto ha sempre
abitato qui» Guardò l'orario notando come fosse
ormai ora di andare
a lavorare. «Bene ragazzi devo andare, Eren ti lascio in
compagnia
di Levi, Levi, sii gentile e fai sentire a casa Eren, preparagli la
camera degli ospiti» Si fermò notando lo
smarrimento di Eren «Eren
caro, non sempre è necessario avere tutte le risposte. Ora
con
permesso, ah Levi, fammi sapere di qualunque cosa abbia bisogno il
nostro amico!» E con ciò raccolse le sue cose e si
diresse a
lavoro, fermandosi un attimo sull'uscio per dare un'ultima occhiata
ai due ragazzi ancora fermi e incerti sul da farsi.
#
Erano
rimasti da soli da un po', ma non sembravano intenzionati ad
andarsene da quel divano, Eren aveva sguardo perso nel vuoto mentre
tormentava il labbro inferiore, si mosse a disagio finendo con lo
buttarsi di schiena contro il bracciolo.
Il
movimento brusco gli fece sollevare la maglia e attirò
l'attenzione
di Levi che notò solo in quel momento una singolare
cicatrice che
abbracciava il fianco del mezzelfo.
La
linea rosata che percorreva il busto del ragazzo era dritta, netta, e
stranamente familiare, d'impulso la percorse con la mano, gli ci
volle un momento, ma la realtà lo colpì in pieno
strappandogli un
sospiro frustrato. «Oh Eren»
Il
tocco leggero ebbe l'effetto di far sussultare Eren che si rimise a
sedere di scatto.
«Co–
oh»
«Kenny»
Sussurrò con rabbia Levi, non era una domanda quanto
più una
constatazione, l'episodio infelice di molti anni prima ancora vivido
nella mente di entrambi, il mezzelfo seguì lo sguardo
dell'umano
«Già, quella volta c'è andato
giù pesante, ma avete fatto un
ottimo lavoro, guarda, è perfettamente
cicatrizzata!» Provò,
inutilmente, a far rilassare Levi che continuò ad
accarezzarne la
superficie, la pelle rosata era in rilievo lungo tutta la cicatrice.
«Mi dispiace, io–»
«Tu
non centri! Mi hai salvato! Sei stato un eroe! Io ti– devo
moltissimo!» Eren nell'entusiasmo del momento gli
afferrò le mani
cercando di distrarre l'amico. «Davvero, va bene
così Levi»
«Non
doveva permettersi!»
Eren
sospirò rafforzando la presa sulla mano di Levi, gli era
davvero
grato, lo sguardo che gli rivolse ebbe l'effetto di rilassare le
spalle all'umano che allargò le braccia facendo cenno ad
Eren di
avvicinarsi, la testa di Eren su una sua spalla e il corpo mezzo
disteso accanto a lui. Prese ad accarezzargli i capelli con movimenti
lenti, delicati, ma costanti, il mezzelfo si rilassò
sentendo il
respiro di Levi rilassarsi di conseguenza.
«Mi
dispiace»
«Levi–»
Le braccia di Levi si strinsero attorno alla sua vita, il viso
affondò fra le ciocche castane. «Non mi
interessano i tuoi “se”
e i tuoi “ma”, è andata così
e sarò eternamente mortificato
per ciò che è successo, perdonami» Eren
affondo maggiormente la
testa nel petto di Levi, abbracciandolo di rimando, non poteva fare
nulla per evitargli quei sensi di colpa, l'unica cosa che gli restava
era fargli sentire la sua presenza.
«Sto
bene, sono qui»
#
Però
le sorprese non erano ancora finite per Kuchel, non appena
arrivò a
lavoro Karla era nel parcheggio ad attenderla, stringeva le braccia
sottili al busto e camminava avanti e indietro senza pace, quando
riconobbe la donna le si fiondò incontro.
«Grazie
al cielo sei qui!» Non fece in tempo a scendere dalla
macchina che
la donna le aveva buttato le braccia al collo iniziando a
singhiozzare convulsamente.
«Sssh–
tranquilla, va tutto bene» La donna l'aveva consigliata
spesso negli
anni e nei momenti di maggiore sconforto, dopo la brutta esperienza
con il fratello erano diventate inseparabili confidandosi con l'una
con l'altra, che seppur senza figli, le aveva detto l'unica cosa
giusta: abbi fede in tuo figlio.
Se
ora era Karla ad aver bisogno, avrebbe cercato di aiutarla in
qualunque modo.
«No,
non va bene– il mio bambino, oh il mio povero
bambino» Quella
frase colse alla sprovvista Kuchel che si allontanò cercando
il viso
della donna, era certa che Karla non avesse figli «Cosa
succede?»
«Sono
un madre orribile Kuchel» I singhiozzi resero incomprensibile
ciò
che stava dicendo, Kuchel le mise un braccio attorno alle spalle e la
portò dentro nello spogliatoio dei dipendenti.
«Aspetta
qui, chiamo Hannes e sento se può darti il giorno
libero» Karla
annuì continuando a singhiozzare, Kuchel trovò
Hannes nell'ufficio
e spiegò che Karla sembrava stare poco bene, senza troppi
problemi
diede la giornata libera ad entrambe «Karla è una
donna sola, avrà
bisogno di qualcuno che le stia vicino, non abbiamo molto lavoro e
puoi prenderti un giorno di ferie pagate, penso io al resto»
Kuchel
lo ringraziò profondamente prima di tornare dall'amica,
pensò al da
farsi e non sapeva se era una buona idea portarla a casa con lei,
visto il loro ospite inatteso.
Quando
tornò nello spogliatoio la donna si era calmata un po' e si
stava
asciugando alcune lacrime dal viso.
«Karla–»
«Ti
prego Kuchel portami da Eren, portami dal mio bambino» Quella
richiesta lasciò interdetta la donna, doveva avere a che
fare con il
fatto che il ragazzo le aveva bussato alla porta quella mattina.
«Va
bene, ma prima fammi avvisare Levi»
#
Dopo
una breve chiamata erano risalite in macchina, Karla non la smetteva
di piangere e maledirsi al tempo stesso. «Karla calmati,
credo che
possiamo dire che il peggio è passato».
Non
sapeva cosa potesse essere successo, però sapeva cosa la
attendeva a
casa e non poteva che essere una cosa positiva. «Oh Kuchel,
come ho
potuto dimenticarlo? Come– Puoi immaginare di dimenticarti di
Levi!?»
Quella
domanda arrivò improvvisa e la sola idea le mozzò
il respiro, in
quel momento erano arrivate a casa. «No, non riesco a
pensarci,
scusami, però–» Si morse un labbro, con
tutta la buona volontà
che ci stava mettendo non sapeva come doveva comportarsi, la donna
sembrava ancora più piccola nel sedile della macchina,
indifesa.
«Vieni, entriamo» La esortò afferrandole
la mano.
Non
fecero in tempo ad entrare dalla porta che Eren era già
corso
incontro alla madre lasciandola interdetta. «Mi sei
mancata!» Karla
ricambiò l'abbraccio non aspettandosi quell'accoglienza, si
aggrappò
alle spalle del figlio più alto di lei. Le ciocche castane
del
ragazzo le solleticarono la guancia. «Eren»
Sussurrò mentre
continuavano ad abbracciarsi, alcune lacrime le rigarono il viso
venendo poi assorbite dalla maglia del figlio.
Quando
si allontanarono notò che gli occhi brillanti del ragazzo
erano
appena lucidi e che un sorriso smagliante gli adornava il viso.
«Mamma!»
«Oh
il mio Eren, scusami, ti prego perdonami io– oh è
tutta colpa
mia!» Affondò il viso nelle mani riprendendo a
singhiozzare. «Mamma
non ho molti ricordi, però so
che
non è colpa tua»
«Ci
deve essere ancora del tè caldo, accomodati Karla, fa come
se fossi
a casa tua»
Dopo
un momento di esitazione fece come detto, presero tutti posto nel
salotto, Eren era seduto fra Levi e sua madre, il capo appoggiato
alla spalla dell'una, mentre la mano stringeva quella dell'altro.
Kuchel
sulla poltrona poco distante guardava la sua strana famiglia
allargata con affetto.
Dopo
poco Karla prese a raccontare ciò che finalmente ricordava.
«Tuo
padre è Grisha, il re degli elfi.
L'ho
incontrato una sera di mezza estate, stavo facendo il bagno al fiume
poco distante dalla mia vecchia casa nel bosco, stando alle parole di
tuo padre, per quanto assurde, ero la creatura più bella che
avesse
mai visto»
Sospirò
perdendosi nel ricordo di quella notte «Però si
è innamorato del
mio corpo, a detta sua del fuoco nei miei occhi e della notte
riflessa nei miei capelli. Ci
siamo amati e io rimasi incinta–»
«E
dov'è il problema?» La domanda sorse talmente
spontanea che Levi
non si era nemmeno reso conto di averla fatta.
«Il
problema non esisterebbe, le unioni tra elfi ed umani ci sono sempre
state e sempre ci saranno– il problema è che
Grisha era già
sposato con la regina degli elfi, Dina, e che avevano già un
figlio,
il principe ereditario Zeke.
Grisha
peccò di lussuria, proprio il re fra tutti gli
elfi» Sospirò prima
di continuare «Zeke scoprì il tradimento nel modo
peggiore, un
giorno mentre stava rientrando da una ricognizione si fermò
nei
pressi del cottage dove vivevo ed è lì che vide
suo padre baciare
una perfetta estranea con in braccio un bambino e dire che avrebbe
riconosciuto il frutto della loro unione di fronte al popolo degli
elfi.
Zeke
reagì nel modo che credeva più giusto e
uscì allo scoperto, non
attese spiegazioni e ci maledì, o
come decretò lui, salvò suo fratello
È
facile amare una rosa, ma è difficile amare una foglia –
a parlare era la sua rabbia, è
ordinario amare il bello, ma è bellissimo amare l'ordinario,
per te è
stato facile innamorarti di una rosa, ma solo il vostro
germoglio–»
Karla si interruppe un momento guardando i piccoli gesti che si
concedevano Eren e Levi durante il racconto, gli sguardi fugaci, le
strette di mano e le carezze leggere.
Eren,
sentendo il silenzio della madre, la esortò a continuare con
un
cenno del capo, ignaro del peso delle parole che li attendeva, lei
sorrise accarezzandogli il capo. «… il
vostro germoglio vivrà il vero amore»
Quella
profezia, quella clausola,
rendeva tutta la situazione diversa, più profonda. Levi ed
Eren
avevano lo sguardo fisso altrove adesso, ma le mani erano sempre
intrecciate, anche più saldamente di alcuni attimi prima. Il
pollice
di Levi accarezzava il dorso della mano di Eren con movimenti
circolari.
«…a
detta di Zeke saresti stato l'essere più fortunato
dell'universo,
con questa maledizione ti ha dato una sorta di benedizione
fraterna»
Eren era imbarazzato e dubbioso al tempo stesso, i brillanti occhi
verdi indugiarono – scontrandosi – per un momento
con quelli di
Levi, i visi dei due giovani erano imporporati, laddove le gote
arrossate di Eren erano mascherate dall'incarnato abbronzato, quelle
di Levi erano tradite dal suo naturale pallore.
Karla
continuò il racconto mentre Kuchel cercava inutilmente di
trattenere
le lacrime, le mani nascondevano il labbro tremolante.
«Saresti
tornato in carne ed ossa solo quando saresti stato accettato per
ciò
che trasmettevi e non per ciò che eri, e io non avrei avuto
ricordi
né di te né di tuo padre, grazie al cielo la
sorellastra di Zeke,
Mikasa, alleggerì la maledizione, io ti avrei donato al tuo
destino
e avrei riacquistato i ricordi solo quando la maledizione fosse stata
sciolta»
Kuchel
aveva le lacrime agli occhi e osservava con interesse l'assenza di
reazione del figlio e di Eren che stavano assorbendo in silenzio la
fine del racconto, scambiandosi occhiate fugaci e senza sapere come
affrontare la situazione.
«Io–
scusatemi un momento–» Levi cercò di
alzarsi un po' a disagio per
tutta la faccenda, ma Eren lo fermò guardandolo
supplichevole e
stringendo la presa sulla mano ancora intrecciata con la sua, si
voltò verso la madre «Scusami, torno
subito» Si alzò senza
mollare Levi e solo dopo aver dato un leggero bacio sulla tempia alla
donna che si asciugò le ultime lacrime. «Non
muoverti– Torno
subito–…» Era tormentato, non voleva far
sentire meno importante
la madre, però Levi era il suo tutto.
«Non
preoccuparti Eren, non vado da nessuna parte»
Eren
trascinò Levi nel giardino sul retro, di fronte a quello che
era
stato il suo corpo per molti anni.
Il
tronco era spaccato a metà nel mezzo, non sapevano se
sarebbe
sopravvissuto, ma avrebbero fatto il possibile per farlo continuare a
vivere.
«Eren,
io–» Levi fu il primo a parlare, non credeva di
essere capace di
formulare un pensiero coerente, però ci avrebbe provato, il
mezzelfo
di fianco a lui sembrava a suo agio nell'attesa di qualunque cosa
avesse da dire. «Non so dirti se è amore
come l'ha definito la maledizione di tuo fratello,
però–» Si
morse un labbro, cercando lo sguardo smeraldino dell'altro,
perdendosi in quelle fronte impetuose come aveva sempre fatto mentre
si perdeva nella chioma dell'albero. «Qualunque cosa sia
voglio che
resti nella mia vita, non voglio perderti»
Una
lacrima rigò il viso di Eren e le mani di entrambe la
raggiunsero
per asciugarla scontrandosi a metà. «Nemmeno io
voglio perderti
Levi»
Levi
esitò un momento aprendo la bocca prima di richiuderla,
voleva
aggiungere qualcosa ma non riusciva a formulare nessun altro pensiero
coerente.
Eren
si chinò leggermente per avvicinare i loro visi e sfiorare
le labbra
di Levi con le proprie, quello servì ad azzerare la mente di
Levi
che ricambiò il bacio afferrando la testa di Eren come per
paura che
potesse scappare da un momento all'altro. Per rassicurare il
compagno, il mezzelfo fece altrettanto facendo scivolare le dita fra
le ciocche corvine.
Se
il bacio era iniziato leggero e incerto, colmo di sentimenti ancora
acerbi, ora era evoluto in un contatto desiderato, agognato e
necessario; le labbra di Levi portarono la prima vera boccata di
ossigeno nei polmoni di Eren, con quel bacio erano riusciti a dar
voce a tutte le parole che non sarebbero mai riusciti a dirsi
altrimenti.
Levi
accarezzò il viso di Eren mentre si allontanava ed Eren
subito
afferrò la mano con la propria tenendola stretta.
«Resta
con me» Quella di Levi non era una richiesta, era una
affermazione
ed Eren annuì senza esitazione. «Sempre»
#
Un anno dopo, sera del solstizio d'estate.
Era
passato un anno dal risveglio, Levi ed Eren stavano passando
l'anniversario insieme.
Erano
ancora una volta sotto le fronde di quell'albero seduti a raccontarsi
storie di creature lontane, ora che ne aveva la possibilità
Eren si
stava impegnando a ripagare Levi di ogni favola, fiaba e racconto che
aveva condiviso con lui.
Eren si mordicchiò un labbro prima di
raccontare uno degli aneddoti che aveva imparato dal fratellastro in
quell'anno di assestamento fra il reame degli elfi e il mondo degli
umani.
«Sai
perché la mandragora si è quasi estinta nel mondo
d'oggi?»
«Come
faccio a saperlo?» Replicò divertito Levi, lo
sguardo perso nel
cielo stellato oltre le fronde dell'albero.
«La
mandragora cresceva nel punto in cui venivano impiccati gli uomini,
nasceva dallo sperma e dai vari liquidi che rilasciavano in punto di
morte, me l'ha detto Zeke quando mi ha spiegato perché ha
scelto
proprio quel modo, secondo lui un bacio è troppo
casto»
«Dobbiamo
ricordare quella notte ancora per molto?» Mormorò
Levi al limite
dell'imbarazzo alzandosi dal manto erboso, le risate di Eren non
contribuirono a migliorare la situazione.
«Eddai
cerca di capirmi, è il ricordo più emozionante
che ho» Il mezzelfo
si alzò subito dopo avvicinandosi al compagno che continuava
a
dargli la schiena. «Levi» Continuò ad
ignorarlo con le braccia
conserte al petto.
«Levi
ti prego, guardami» Anche se con riluttanza riuscì
a farlo girare,
Eren notò le guance arrossate limitandosi a sorridere
amorevolmente
mentre le accarezzava come aveva desiderato fare un anno prima. Levi
non ricordava nulla, ma lui aveva visto tutto, sentito ogni gemito
del giovane, ogni sussurro che quella notte aveva accolto e custodito
gelosamente.
«Scusami,
ma davvero credimi, eri di una bellezza disarmante» Levi si
strinse
nelle braccia a disagio non ancora abituato alla sincerità e
all'amore che trasudava da quelle iridi smeraldine, si
lasciò
abbracciare rilassandosi solo una volta che le forti braccia di Eren
gli cinsero il busto portandolo vicino, appoggiò il capo nel
petto
forte ascoltandone i battiti accelerati.
«Anche
tu sei sempre stato bellissimo» Dopo essersi calmato si
allontanò
quel poco che bastava per apprezzarne il viso, spostò una
ciocca
castana dietro un orecchio accarezzandone una guancia con quel gesto
familiare che Eren aveva imparato essere un invito ad avvicinarsi.
Chinò
il capo annullando la distanza fra di loro, quello era il modo in cui
avevano imparato a spiegarsi quando le parole non bastavano,
lasciavano che fosse il legame che li univa a parlare.
I
ricordi di quella notte tanto lontana iniziarono a farsi largo nella
mente di Levi dissipando le nebbie che li offuscavano, il bisogno
fisico di avvicinarsi a quella creatura più forte di
qualunque altra
cosa.
Fu
proprio quell'impulso a muovergli i piedi facendoli inciampare fra le
radici e portandoli a separarsi con un gemito strozzato.
Eren
era di fronte a lui, vivo, ansimante, il desiderio aveva inghiottito
la luce di quelle iridi che tanto amava lasciando il posto
all'intensità della notte. Levi non riusciva a spiegare la
potenza
del sentimento che provava, non poteva essere solo amore, doveva
esserci qualcosa di più, avrebbe voluto aprirsi il petto per
lasciarlo esplodere vista l'intensità, poté solo
rimuoversi la
maglia con un gesto rapido, ma ciò non servì ad
alleggerire quel
senso di oppressione.
Con
mani tremanti si riavvicinò al viso del compagno riprendendo
il
discorso di pochi attimi prima, il tono lento, esasperato, le parole
da dire troppe, infinite. Quando si allontanò dalla bocca
iniziò a
baciare ovunque potesse arrivare.
«Levi»
Ed eccolo il canto di sirena che quella stessa notte un anno prima
l'aveva risvegliato.
«Eren»
Sussurrò trascinandolo con sé sopra quel manto
erboso ormai era
caldo come la loro passione, il respiro di uno finiva dove iniziava
quello dell'altro.
Levi
aiutò Eren a liberarsi della maglia interrompendo solo per
un
momento il contatto delle labbra, la schiena calda dell'uno contro il
petto dell'altro era tutto ciò di cui avevano bisogno per
contrastare la leggera brezza notturna.
Le
mani di Levi proseguirono nella loro esplorazione aggrappandosi alle
cosce allenate del compagno, con un gesto rapido Eren rimosse gli
ultimi indumenti e Levi fece lo stesso.
La
notte già custodiva uno dei loro segreti più
intimi, avrebbe potuto
custodirne altri.
L'eccitazione
di Levi premeva contro Eren che iniziò a supplicare il
compagno,
avevano bisogno l'uno dell'altro, dovevano sentirsi come mai prima di
allora: non c'era bisogno di chiarimenti, erano entrambi più
che
sicuri che ciò che volevano era la risposta a ciò
che si stavano domandando reciprocamente.
Solo
quando furono completamente insieme al compagno senza nessun
intralcio tra loro il peso che sentivano al petto iniziò a
sciogliersi, la consapevolezza di aver trovato finalmente un modo per
trasmettere davvero tutto all'altro si faceva largo nelle loro menti.
Levi
continuò ad affondare nel calore del compagno baciando,
mordendo e
saggiandolo con tutto ciò che gli era possibile, quando le
labbra di
Eren non erano rapite dal corvino erano impegnate a cercare di
trattenere invano gli ansimi e gemiti.
«Voglio
sentirti» Fu la supplica di Levi quando con l'ennesima spinta
si
sentiva sempre più vicino al culmine.
«Le–
Levi di più» Quella posizione non permetteva ad
Eren di arrivare al
compagno come avrebbe voluto, riuscì con una mano ad
afferrarne la
gamba saggiando i muscoli che si tendevano e distendevano, i
movimenti all'inizio lenti stavano acquistando intensità,
Levi
affondava con crescente bisogno e disperazione, le loro labbra si
cercarono trovandosi per l'ennesima volta.
Levi
afferrò le cosce di Eren mentre lo penetrava per l'ultima
volta,
graffiandole per la necessità di averlo vicino,
più vicino che mai
mentre entrambi raggiungevano il culmine del piacere.
«Ti
amo» Furono le prime parole che involontariamente
articolò
Levi, bloccandosi subito dopo averle pronunciate, Eren si
allontanò
quel poco che bastava per girarsi verso il compagno e guardarlo negli
occhi mentre gli faceva la stessa promessa. «Ti amo anche io
Levi»
I
loro corpi nudi si ritrovarono altre volte in quella notte fatta di
passione ed esplorazione reciproca, e fu così che iniziarono
a
liberarsi entrambi di tutti quei sentimenti troppo intensi per cui le
parole umane o elfiche non sarebbero mai bastate.
Il
seme di entrambi bagnò la terra innumerevoli altre volte in
quella
magica notte, illuminandola attraverso i fiori del guardiano che
presero a sbocciare di nuovo, per la prima volta dopo un anno.
E
fu così che la notte li avvolse nel suo abbraccio sotto una
cascata
di petali e avvolti nel profumo del loro amore.
In
questa notte incantata
Il
mondo è un’elfica visione
Fine
Note dell'autrice:
Non volevo scrivere niente, però dai, vuoi che dopo un anno
pubblico qualcosa e non ci scribacchio due righe in coda?
Questo "blocco" -se così vogliamo definirlo- è
causato dalle mille idee che ho in testa, ogni volta che mi metto
davanti al pc inizierei a scrivere qualcosa di nuovo, però
visto che le idee che ho già iniziato, più o
meno, coprono un po' tutti i generi, ho deciso che mi metto sotto e
finisco quelle iniziate, visto che sono già a buon punto nel
pc - e se fosse per la mia testa anche già finite. Ma questo
è un altro discorso...
Nell'ultima settimana ho anche ripreso in mano la mia adorata
BodyDouble, dopo attenta rilettura ho capito che voglio impegnarmi a
finirla e pubblicarla. Mi piace, mi diverte scriverla ed è
piena di smut, è un peccato lasciarla nel pc.
A questa si aggiungono le altre decine di testi che ho iniziato a cui
voglio dare una possibilità.
Alla prossima, non faccio promesse però ci sarà
una prossima volta in cui ci si rileggerà!
Ps. questa ff non è betata, tutti gli errori/orrori sono
frutto della mia testa.
Pps. DropOfJupyter, Grazie di tutto, della pazienza con cui ancora mi
sproni a scrivere e che dimostri sopportando i miei salti pindalici da
una plottata all'altra.
E con ciò passo e chiuso!