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Autore: Amory    21/08/2019    0 recensioni
{La Romana di A. Moravia}
S'era costretto ad essere l'uomo che non era e che non sarebbe mai potuto essere, s'era illuso d'aver raggiunto tale scopo e volendosi mettere alla prova, aveva piacevolmente scoperto che egli non era altro che il più vile degli ignavi, la più infida delle spie, la più degradante delle baldracche, pronta a vendersi per un compenso tanto infimo quanto lei.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Carissima Adriana… Gli occhi si fissarono inconsciamente su quelle due parole, intrise sul foglio immacolato e vergate con una scrittura elegante, disadorna di inutili ghirigori, scribacchiate sulla carta ruvida frettolosamente e la sbavatura d'inchiostro, precisamente al lato della lettera finale del nome citato tradirebbe, appunto, i tremori che avevano incominciato violentemente a scuoterne la mano. Mino serrò violentemente la mano, conficcando le unghie nella pelle morbida e delicata del palmo, liscia come seta, augurandosi quasi di dilaniarla. L'unico effetto fu quello di spostar il tremore dalla mano alla mascella, contraendo e sfigurando il viso in una smorfia da Gorgone. D'altronde non provava paura in fondo all’animo suo; il terrore se n'era andato appena l'ultima sillaba del suo discorso aveva lasciato le sue labbra, raggiungendo le orecchie di Astarita, ritto e inebetito nello stanzone grigio e vuoto degli interrogatori, con la sua testa lucida, piccola e giallognola. Da allora l’unico sentimento rimasto a manovrarlo era stato un senso di colpa duro e dolente, pesante come un macigno e doloroso e repentino come una pallottola inflitta a tradimento, che improvvisa si inoltra nella carne, slegando tra di loro i muscoli e facendo sgorgare a fiumi rivoli di sangue, andando a creare una macabra rete di canali vermigli sul corpo inerte del malcapitato. Ed un'altra ondata di struggente pentimento gli attanagliò le viscere, ed allora egli inalò un'altra boccata di quell'aria viziata che albergava in quel hotel da quattro soldi, penetrando a forza tra le suppellettili trasandate ed un poco sudicie, conficcandosi ben bene anche tra le pareti, nella sottilissima striscia che separava l'intonaco dalla carta da parati a fiori macchiata ad ogni angolo. I vetri della finestra offrivano una squallida ed allo stesso tempo curiosa visuale sul vicoletto spoglio e sui palazzi che facevano la loro comparsa dirimpetto alla pensione, vecchi e fatiscenti seppur affascinanti nella loro degradante bellezza, così diversi da quello in cui abitano l'arcigna Medolaghi e la sua figlioletta scialba. Lo sguardo era fisso, quasi incatenato e costretto nella contemplazione della strada deserta, seppur i suoi occhi non la stessero osservando veramente, come se la sua mente, stufa della squallida vista che la camera affittata le offriva, avesse voluto trovare un altro sfondo in cui ambientare il ciclo dei suoi pensieri, gonfi di rimproveri e recriminazioni dilanianti come le urla d'un amante ferita. S'era costretto ad essere l'uomo che non era e che non sarebbe mai potuto essere, s'era illuso d'aver raggiunto tale scopo e volendosi mettere alla prova, aveva piacevolmente scoperto che egli non era altro che il più vile degli ignavi, la più infida delle spie, la più degradante delle baldracche, pronta a vendersi per un compenso tanto infimo quanto lei. Cosa poteva valere la sua vita, fatta di eterni rifiuti dei propri affetti, momenti altalenanti tra fiducia e sfiducia negli uomini e continue indecisioni di fronte alla chiarezza e purezza dei propri ideali? Cosa poteva mai valere sopravvivere se nello stesso tempo essi cedevano di vivere? Per compiacere il proprio disgustoso egocentrismo e non rimediare un paio di bastonate aveva spifferato ogni cosa, e la stima di sé s'affievoliva ed il ribrezzo della propria persona aumentava ad ogni sillaba, ad ogni parola pronunciata come un treno in corsa. Assorbito com'era da tali ragionamenti, non fece neanche caso al gesto rabbioso ed istintivo della mano poco prima serrata a pugno, ed in un attimo la carta liscia e soffice si ritrovò brutalmente accartocciata, stretta tra le crudeli dita, per poi esser abbandonata nel angolo più remoto della stanza. Ed in tutto questo il pensiero di Adriana si fece finalmente largo tra i rimproveri e le recriminazioni, schiacciandoli e ottenebrandoli per quei pochi minuti che parvero a Mino come un eternità. S'impegnò nel rievocare il suo bel viso da Madonna, dolce, placido e materno, gli occhi bovini, scuri ed ammaliante, il corpo da Venere, sensuale e procace. Un sorriso spuntò a curvargli le labbra secche e smorte. Adriana. Sciocca ed ingenua, dolce ed affettuosa, così sottomessa ed imbarazzante nella sua totale passione per lui eppure così compiaciuta nel rivelarglisi così asservita. Aveva più volte provato imbarazzo, fastidio e compiacimento di fronte al suo ardore amoroso ed alla sua devozione, divertendosi nello stuzzicarla ed a volte nell'umiliarla, alimentando più volte dentro di lui il desiderio di annientare tali sentimenti inconsistenti e sciocchi di fronte allo splendore della sua ostentata abnegazione di qualsiasi sentimento. Per poi pentirsene subito dopo, cedendo e facendosi sommergere da quell'onda anomala che era il suo amore, non più inconsistente e sciocco, ma vivo e forte nei suoi tocchi e nei suoi baci. Adesso Mino rimugina che probabilmente, per un breve periodo della sua vita, si sia ritrovato ad invidiare con tutto se stesso Adriana, nella sua facilità nell'accettare le avversità della vita, della sua esasperante fiducia in essa e nella completa fede di poter trovare la felicità anche vivendo in un inferno. Avrebbe voluto amarla, e forse ha modo suo l'ha fatto, ma quella continua ostilità che gli permea la mente, schierandolo continuamente contro se stesso ed il suo desiderio, facendo sì che ella non ricevesse un sentimento altrettanto puro, avvelenato da un odio che gli aveva impedito di trasformare tale germoglio, reciso ancor prima di nascere, in qualcosa che andasse oltre un affetto fin troppo volubile. In quegli ultimi giorni, per un momento, un singolo momento, un bagliore di luce s’era fatto avanti nei suoi pensieri, suggerendogli che i discorsi di Adriana non erano poi chiacchere da considerarsi tanto sciocche o incostanti divagazioni sulla religione: se fosse riuscito ad accettare sé stesso ed il misfatto commesso, accontentandosi che questi sia sepolto insieme all'unica persona a conoscenza di ciò, capace di modellare le parole in fatti, allora avrebbe finalmente potuto riprendere in mano gli studi, laurearsi, sposare Adriana e…sì, perché non andare vivere in quel modesto villino che ella tratteggiata come un castello? Magari portandosi dietro anche la mamma, rozza e grassoccia ed il marmocchio in arrivo. Lì Adriana avrebbe iniziato a vivere una vita decente, magari quella da lei sempre agognata, godendosi infine la vecchiaia insieme a lui, circondati da altri figli e nipoti. Forse tutto questo sarebbe stato veramente possibile, se lo sconforto non fosse subentrato nuovamente, imprigionando ed inghiottendo nella sua foschia più nera quell’ultima fievole speranza, troppo debole per sopravvivere nella sua mente ulteriormente, se non come semplice schiribizzo. E scoprendo l'ultima pallottola superstite dopo la persecuzione di Adriana, si persuase definitivamente nel modo in cui poter lavar via tale onta che gli insudiciava la coscienza. Aveva lasciato la lettera indirizzata a lei per ultima, tanto da potersi accordare con la sua famiglia e con il suo avvocato: il nuovo nascituro sarebbe nato tra agi e lusso, un modo per sdebitarsi almeno in parte con Adriana, per l'enorme torto che stava per causarle. Mino si consolava un poco nell'ipotizzarla disperata e gemente durante i primi giorni, con la lettera bagnata di lacrime amare e pungenti stretta al petto florido, per poi dimenticarlo pian piano, brandendo dalla sua memoria il ricordo del suo viso, che ella amava definire così serio, delicato ed intelligente, per poi volatilizzarsi dai suoi ricordi, nella stessa maniera silenziosa ed inaspettata con cui vi era entrato. Ma la parte più razionale di sé gli suggeriva malignamente che tutto questo non sarebbe stato possibile, che anche la persona più frivola e stupida non dimentica chi ha saputo toccarla il cuore ed Adriana non lo avrebbe mai bandito dalla sua memoria, anzi ella lo avrebbe innalzato ed inneggiato ad eroe, martire, martoriandosi e consumandosi nel rievocare ogni più piccolo dettaglio della sua persona, dei suoi gesti inefficaci, delle sue parole inconsistenti. Ma Giacomo Diodati è un uomo a cui piace illudersi, che una volta sperimentato il vizio e le sue amare conseguenze, non ne può più far a meno, anche quando è perfettamente consapevole di quanto si possa rivelare deleterio. Con un profondo sospiro, più sollevato che affranto, butta nel posacenere di fortuna il mozzicone di sigaretta rimasto a marcire per tutto quel tempo tra l'indice ed il medio della mano destra, prende un altro foglio, stendendolo con inaspettata cura davanti a sé ed impugna la penna. Può percepire il cicaleccio degli amanti casuali presente nel corridoio e le risatine strozzate delle accompagnatrici presenti nell'atrio – che hanno cercato di adescare anche lui con scarso successo – come echi indistinti, lontani come se fossero estranei al silenzio pesante e quasi funebre presente nella stanza, magnificamente conforme all’azione sul punto di compiersi. Mino verga le prime frasi, sincere e crudelmente disarmanti: Carissima Adriana, nel momento che riceverai questa lettera io sarò già morto.
   
 
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