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Autore: Mannu    21/08/2019    0 recensioni
Mai come stavolta Veruska è convinta di aver fatto il passo più lungo della gamba. Ma ormai è in ballo e deve ballare! Che le piaccia o no sarà coinvolta nuovamente in un pericoloso gioco a base di spionaggio internazionale dove nulla è ciò che sembra... oppure sì? Non ci si può tirare indietro di fronte al cupo Capitano Grimovski, agli agenti del Kaiser colmi di risentimento oppure sottrarsi agli altri giocatori per nulla intenzionati a lasciarsi beffare di nuovo.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Veruska'
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Flugzeug!
17.

«Tutto bene, madame
La premurosa serva in divisa le aveva portato dell'altra acqua.
«Certo» le rispose col suo ormai collaudatissimo francese tinto di russo.
«Se vuole riposare, può stare qui quanto vuole. Certo, c'è un po' di confusione qui in cucina.»
«Non fa nulla. Grazie, grazie molte. Spero solo che mio marito non sappia nulla. Si preoccupa molto della mia salute, anche per una sciocchezza smuove le montagne. A volte è imbarazzante.»
«Ce ne staremo tutti zitti, stia certa.»
Promessa da giovane servetta, figuriamoci. Veruska sapeva di non poterci fare affidamento nemmeno per un minuto, ma ormai il dado era tratto. Grimovski le aveva chiesto un diversivo? Servito. Non appena fu sola estrasse dal nascondiglio sotto il suo vestito i tre bruni flaconi vuoti e li fece rotolare nell'ombra dentro un armadio poco frequentato. Era una domestica, per lei muoversi in cucina era una cosa naturale. Sapeva esattamente dove mettere le mani.
Se ne stette seduta sulla sedia di legno mal impagliata continuando a fingere le conseguenze di un piccolo malessere. Aveva fatto in modo di farsi soccorrere dalla servitù certa che, nel dubbio, l'avrebbero portata in cucina. Lì aveva potuto mettere in atto il diversivo tanto caro al capitano. Ora avrebbe solo dovuto scegliere il momento giusto per andarsene. Decise che avrebbe bevuto con comodo l'acqua e poi se ne sarebbe andata, finalmente.
Si alzò e abbandonò le cucine dove ferveva ancora l'attività. Si servì del bagno e poi si diresse verso la sala da ballo, l'unica direzione possibile. Pettegolezzi o no, stavolta se ne sarebbe andata davvero.
«Ma che sorpresa!»
Trasalì nell'udire d'un tratto l'idioma germanico. Inquinato in un modo inequivocabile da chi era originario dell'Italia del Sud. Fu colta da un improvviso tremore. Pensò che non avrebbe dovuto fingere un malore, stavolta: ebbe un capogiro e una fitta al ventre. Pura e semplice paura.
«Questa volta non ti libererai di me tanto facilmente. Ho sbagliato una volta con te e sarà stata l'ultima di certo!»
Maria. Gli occhi fiammeggianti d'ira. Nonostante indossasse scarpe vertiginose era ancora più bassa di lei e costretta a guardarla da sotto in su. Ma ciò non la rendeva né ridicola né meno pericolosa.
«Anzi: ti restituirò la cortesia molto volentieri. So perché sei qui e non posso permettermi di correre dei rischi.»
La afferrò per un polso con forza insospettabile e cominciò a tirare come si fa coi bimbi riottosi a seguire la madre. Veruska, imbambolata dalla paura e non sapendo che fare, si lasciò portare stupendosi del fatto che nessuno dei presenti pareva aver notato la scena. Nessuno accennava a intervenire. In compenso vide che l'aperitivo rosso, l'ultimo servito da grandi caraffe nei calici che gli invitati portavano di sovente alla bocca, era apprezzatissimo.
«Vieni, vieni [12]» disse Maria; Veruska non comprendendo l'italiano non seppe che altro fare se non continuare a farsi trascinare. Ma dov'era finito Grimovski? Ora che le serviva l'artiglieria...
Pentitasi subito per lo stupido pensiero, cercò di scuotersi. Strattonare via il polso dalla stretta di Maria Concetta? Era solida e sapeva già che l'italiana era più forte di quanto sembrava a prima vista. L'aveva vista lavorare alacremente nei panni della domestica a Villa Schmeisser. Era decisa e non si faceva intimorire: ne aveva dato prova affrontando subito l'altra domestica, Karin, senza sospettare che quella fosse in realtà un tipo senza spina dorsale. Anche se fosse riuscita a liberarsi sarebbe dovuta venire alle mani: Maria non si lasciava sopraffare e ora con lei stava ben in guardia.
La situazione volgeva al peggio. Maria l'aveva trascinata lontano dalla festa e si stava dirigendo verso dei locali non frequentati. Gli alloggi della servitù, l'ingresso della cantina.
La cantina! Lì avrebbe potuto succederle di tutto!
Fu la paura ad animarla. Un allagamento di paura.
Strattonò la mano per liberarsi: quasi ci riuscì ma l'italiana era troppo forte per lei e resistette. Anzi raddoppiò la presa e l'affrontò rabbiosa, sputacchiando sillabe di parole in italiano per lei incomprensibili. Era sicura si trattasse di insulti.
Il tira e molla tra le due durò poco: nonostante Veruska ci mettesse tutta la forza della propria disperazione, quando Maria sentì di stare perdendo la presa d'un tratto anziché tirare assecondò Veruska.
Sbilanciata dall'azione imprevedibile perse l'equilibrio e si trovò a terra con l'italiana che le era franata addosso, piccola ma pesante.
«Puttana! [13]» le gridò. Veruska si ripropose di indagare in seguito sulla traduzione di quella parola. Sospettava qualcosa di poco cortese. Trovato un braccio libero pensò di colpire Maria in qualche modo prima che quella la immobilizzasse. Ma i suoi pugni erano deboli e senza efficacia e presto dovette difendersi ben più strenuamente: l'italiana voleva morderla e lei faticava a tenere quella bocca sempre in moto lontana dalla propria carne.
«T'accido! [14]» strillò acuta Maria, ormai senza freni. Si dimenava come un gatto furioso e Veruska accusò un paio di colpi sferrati con più forza di altri.
Un tonfo sordo. Il viso di Maria Concetta stravolto dall'ira, a pochi centimetri dal proprio, repentino cambiò espressione. Sorpresa, dolore. Era sobbalzata. Un altro colpo, un altro sobbalzo, un suono strozzato uscì dalla gola di lei. Poi mani callose e rovinate afferrarono per gli abiti l'italiana sbavante che si teneva il ventre in preda a conati di vomito. Come se fosse una bambola fu sollevata e buttata da parte. Subito si raggomitolò, tossendo e sputando bava biancastra. Le stesse mani robuste e forti afferrarono quelle lunghe e sottili di Veruska e l'aiutarono a rimettersi in piedi.
«Tutto a posto?»
Non l'avrebbe mai detto che sarebbe stata contenta di vedere Grimovski.
«Non si vede?» replicò lei trattenendosi a fatica dall'abbracciarlo stretto, in preda alla commozione. Come si permetteva di arrivare lì all'improvviso con quelle stupide domande, impeccabile e profumato? Lei invece era di sicuro un orrore essendosi azzuffata per terra come un monello di strada.
«Andiamo» le disse il soldato sorridendo per qualche ragione che sapeva solo lui.
Abbandonata ogni etichetta corsero verso l'uscita alla velocità massima permessa dalle scarpe di Veruska.
«Non posso correre più di così! Il tacco è troppo alto e sottile, la suola troppo...»
«Oh, che seccatura voi donne e le vostre scarpe!» sbottò Grimovski fermandosi ad aspettarla. Veruska annotò mentalmente di rinfacciare in futuro al capitano ogni singola sillaba di quanto aveva appena detto.
L'afferrò forte per un gomito per sostenerla e Veruska lasciò fare, per il momento, allungando la lista delle cose che avrebbe poi rimproverato al rude militare. Corsero fino alla scalinata che portava alle carrozze ma lì dovettero arrestarsi bruscamente. Due sole carrozze vi erano in attesa: entrambe sorvegliate. Da uomini in abiti grigi. Veruska pensò che c'era voluto il caldo clima italiano per far smettere le palandrane agli agenti segreti dell'Imperatore della Germania.
«Troppi» sentenziò il capitano sibilando in russo tra i denti. Portò con sé Veruska in un rapido dietro-front e tornarono dentro la villa. Qui regnava il caos.
Molti invitati stavano male: si tenevano il ventre lamentandosi costantemente. I dolori erano così forti che alcuni non esitavano a ululare, altri addirittura erano accasciati a terra in posizione fetale, le braccia strette sulla pancia. I pochi che non stavano male cercavano di prestare soccorso in qualche modo, sciamando di qua e di là senza sapere esattamente cosa fare. Si sentiva picchiare sulle porte, urla provenivano da stanze nascoste alla vista. Soprattutto dalla direzione dei bagni.
E l'odore! Terribile! Qualcuno non più in grado di resistere si era lasciato andare, evidentemente.
«Cosa diavolo è successo, qui? Cos'è questo caos?» le chiese Grimovski con una smorfia dovuta al tanfo.
«Il diversivo» spiegò lapidaria lei. Ebbe uno sguardo ammirato da parte del capitano che riprese a muoversi più velocemente possibile, scansando gli infermi e chi li accudiva.
Chiudendo gli occhi alla vista delle conseguenze del suo stesso operato, Veruska si lasciò portare nel giardino interno.
«Mi distorcerò di nuovo la caviglia!» protestò rallentando bruscamente alla vista di Grimovski deciso ad attraversare in linea retta il cortile che aveva ampie zone con grossa ghiaia bianca. Di sicuro effetto estetico, ma insidiosa al massimo per le alte calzature femminili.
Non riuscì a impedirlo. Il soldato in un lampo tornò sui suoi passi, le mise in mano il bastone dalla testa di levriero e, sollevata lei in braccio come se fosse stata una bambina di pochi chili di peso, iniziò l'attraversamento del cortile di corsa.
Veruska si spaventò al punto di trattenere il fiato mentre con le braccia stava abbarbicata al collo dell'uomo. Non che temesse di cadere: come le aveva promesso, davvero le sue braccia sembravano forti abbastanza da trasportarla per chilometri. Si sentiva solidamente sostenuta. Ma aveva paura ugualmente.
Raggiunsero il varco che dava sul parco della villa. Si arrampicava sulla costa della montagna su cui era stata edificata la villa stessa e grazie a scalini e terrazzamenti era stato reso sfruttabile. Restava da vedere dove fosse il varco che conduceva alla strada. Poiché i giardinieri e gli operai che mantenevano ordinato quel posto, vistosamente curato anche alla debole luce dei lampioni da giardino, non passavano certo dall'ingresso principale.
«Mi perdonino...»
Veruska trasalì lasciandosi sfuggire un breve grido. Sentì i muscoli del soldato che ancora la teneva in braccio indurirsi ancor di più mentre si voltava per affrontare la nuova minaccia.
«Baronessa... signor barone. I miei rispetti.»
Dall'ombra del giardino una figura emerse e raggiunse il cono di luce nel passaggio ad arco che metteva in comunicazione giardino interno e parco. Un gentiluomo italiano. Alto, slanciato e ben vestito, cortese e possessore di un discreto francese che aveva usato per rivolgersi a entrambi. Nelle mani guantate di nero stringeva un elegante bastone da passeggio, del tutto simile a quello che Grimovski le aveva affidato poco prima.
«Lei!» si lasciò sfuggire Veruska riconoscendolo.
«Per servirla» rispose quello accennando un inchino.
«Vi conoscete?» interloquì il capitano, perplesso.
«Mi presento – disse l'ultimo arrivato – sono il conte Galeazzo Boni Visconti, umile servitore della Real Casa. Per così dire. Di fatto io sono il vostro... pilota.»
Grimovski la posò a terra con delicatezza e le tolse il bastone di mano.
«Le secca se le chiedo la parola di riconoscimento?»
«Affatto. Das flugzeug, capitano d'artiglieria Ivan Grimovski.»
«Ha una carrozza, immagino.»
«Sono qui per questo, capitano. Da quella parte.»
Prima di incamminarsi nel parco immerso nelle tenebre Grimovski si voltò verso di lei e le scoccò una seria e indecifrabile occhiata.
   
 
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