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Autore: seavsalt    29/08/2019    0 recensioni
Eira si risveglia in una clinica di un'antica città, senza sapere perché si trovi lì, né quale sia la propria stessa identità. Soltanto la "straordinaria verità" potrà svelarle la risposta di ogni quesito irrisolto; ma non tutto, a Yharnam, è come sembra. I ricordi si mescolano ai sogni, in un mondo oppresso dalle belve: qual è la verità?
Note dell'autrice: tutta la storia diverge molto dall'opera originale, nonostante ogni speculazione di lore sia basata su saggi esistenti e del tutto attinenti al mondo di Bloodborne. Inoltre presenta alcuni dialoghi tratti direttamente dall'opera originale. La protagonista è un mio original character.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gehrman, Laurence, Nuovo personaggio, Padre Gascoigne
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Eira camminava senza sapere dove si stesse dirigendo, la lama a farle pressione sul collo, le proprie braccia come paralizzate. Non si poteva voltare per vedere chiunque la stesse minacciando in quel modo, ma avrebbe tanto voluto essere in grado di tirargli un calcio dritto sui denti. Avevano passato numerose strade ormai, così tante che la ragazza pensò ormai di non poter più trovare la strada di ritorno. Se fosse riuscita a fuggire, ovviamente. Salirono una scalinata enorme, quasi infinita, costellata sui lati da statue inquietanti in atteggiamento di preghiera e da recipienti appesi ai muri degli edifici che dondolavano nel vento, emanando dal loro interno un forte odore di incenso. Attraversarono un cancello di ferro gigantesco, molto più grande di quello della clinica, e si diressero verso una stretta via che andava verso il basso, dove la città appariva buia anche quando il sole splendeva ancora nel cielo. Si sentivano voci, urla, si calpestavano vetri di bottiglie ormai sfracellate al suolo; si trattava di un quartiere decisamente diverso da quello in cui la Lega aveva la propria sede. L'uomo che la guidava le disse di scendere alcune scale poco più avanti, in fondo alle quali si trovava una porta bassa e stretta. < Aprila > le intimò, mentre Eira non poteva fare altro che obbedirgli. Quello che si trovò davanti una volta che ebbe varcato la soglia non era esattamente ciò che si aspettava: si trovava in una piccola stanza interrata, illuminata da svariate candele e in mezzo alla quale vi era un piccolo tavolo rotondo di legno con delle sedie. Da un lato vide quella che sembrava una cucina, mentre dall'altro vi era un sofà sul quale poggiava una coperta. Tutto aveva un'aria inaspettatamente accogliente, anche se dava l'impressione di essere un ambiente povero. L'uomo le passò accanto, permettendole così di vederlo in volto e nella sua interezza: indossava un lungo cappotto grigio, che le pareva molto vissuto, dal momento che in più parti era come strappato o comunque rovinato, e da un fianco gli pendevano dei piccoli sacchetti. Sulle gambe e sulle braccia aveva delle fasciature, ai piedi portava una sorta di sandali aperti. Un cappuccio era tirato sopra la testa, a coprirla, mentre aveva gli occhi fasciati con delle bende che gli coprivano praticamente metà volto, quasi più di quanto coprissero le bende che aveva Gascoigne. A differenza di quest'ultimo, però, l'uomo che aveva davanti non le incuteva alcun timore né la inquietava, sebbene pochi secondi prima l'avesse trascinata lì con la forza, puntandole una lama affilata al collo; lama che, ora, teneva in una mano, mentre Eira notava che era ricurva e decisamente insolita, completamente diversa dalla propria arma. Sull'unica porzione di volto visibile aveva una barba incolta e baffi neri. < Chi sei? Cosa vuoi da me? > gli chiese Eira togliendosi la mascherina, ormai non più troppo spaventata come lo era poco tempo prima. L'uomo si diresse verso uno scaffale e prese un barattolo, dopo aver poggiato la lama sul tavolo. < Vuoi un tè? > le chiese subito dopo, senza rispondere alle domande. La ragazza lo guardò stupefatta, ma prima che potesse aprir bocca l'uomo riprese a parlare. < Non t'interessa, vero? > disse con un tono quasi scoraggiato, mentre si sedeva al tavolo. < Sono Simon. Mi scuso per averti minacciata per farti venire fin qui, ma di solito la gente non mi crede quando mi avvicino con buone intenzioni >. Eira lo fissava interdetta. Valtr le sembrava un po' strano, ma Simon lo superava senza alcun dubbio. < Potevi chiedermelo, sai... > obiettò ragionevolmente la ragazza, ma sempre con i sensi all'erta. L'uomo scrollò le spalle. < Comunque ho dovuto fare attenzione che non ci seguisse nessuno >. La sua ultima affermazione lo rendeva ancora più sospetto di quanto già non fosse. < Perché? Sei una sorta di ricercato? > chiese la cacciatrice con curiosità, senza preoccuparsi del fatto che non lo conosceva minimamente e tutta quella confidenza forse era sbagliata. Simon, nuovamente, non rispose alle sue domande, anzi, ne fece una a lei. < Sei un membro della Lega? > Eira non sapeva se rispondergli con sincerità, ma il suo esitare aveva fatto intendere all'uomo di fronte a lei la risposta. L'aveva messa in difficoltà e per questo motivo la giovane diffidava di lui un po' di più. < Immaginavo. Dopotutto sei una forestiera... giusto, Eira? > La ragazza sobbalzò al sentir pronunciare il proprio nome, ricordando bene di non averglielo mai detto. < Come fai a sapere tutte queste cose di me? > chiese in fretta, senza pensare che probabilmente Simon, ancora una volta, non le avrebbe risposto. Adesso aveva di nuovo paura e delle gocce di sudore cominciavano a imperlarle la fronte. < Questo non è importante. Ciò che importa è che tu faccia attenzione alla Lega >. Eira era sempre più confusa, ma non sembrava che Simon stesse mentendo o stesse provando a ingannarla. < Dico sul serio. Ti ho fatta venire qui per dirti che voglio aiutarti. Non vuoi che la tua memoria torni? Non vuoi sapere la verità? > Lui sapeva qualcosa. Aveva la conoscenza che lei cercava. Anche se fosse stato un briciolo di essa, sarebbe stato comunque importante. Il cuore le batteva così forte da uscire quasi dal proprio petto. < Ti prego, dimmi quello che sai! > lo implorò la cacciatrice agitata. Simon scosse la testa. < Prima devi credermi. Non parlare a nessuno di me. Non devono sapere che sono qui, né che ci siamo parlati. Me lo prometti, Eira? > La giovane doveva credergli. Simon le avrebbe quasi sicuramente dato le risposte che cercava. Non c'era tempo di domandarsi il perché di tutto ciò che le aveva raccomandato, avrebbe fatto come diceva. Finché c'era speranza per lei di recuperare la memoria, lo avrebbe seguito anche in capo al mondo. Forse era un giudizio troppo affrettato, eppure Eira sentiva che in lui c'era ciò che gli altri non avevano: la conoscenza, la verità. Quelle parole significavano molto per lei, anche se non capiva bene perché. < Te lo prometto. Non dirò a nessuno di te >. Simon accennò un sorriso, così enigmatico che Eira non capiva se fosse felice, soddisfatto o quant'altro. < Lo vedo, ti fidi di me. Troveremo la verità, tranquilla. Appena saprai qualcosa in più, anche qualcosa di piccolo, vieni qui, da me. Non ti basta che bussare e dirmi il tuo nome, ma assicurati che nessuno ti segua. È un segreto tra noi due. Ora va', Eira >. La ragazza avrebbe voluto sapere di più, avrebbe voluto che Simon le dicesse tutto ciò che sapeva a riguardo; invece annuì, girandosi lentamente in direzione dell'uscita, prima di fermarsi e voltarsi di nuovo verso di lui. < A presto, Simon >. Non capiva come riuscisse a fidarsi di lui così ciecamente all'improvviso, ma dentro di sé qualcosa le diceva che poteva considerarlo quasi un amico. Il sole cominciava a tramontare, lasciando posto alla notte. Quella sarebbe stata una delle tante notti di caccia che gettava Yharnam nel terrore e in cui solo i cacciatori potevano liberare le strade dalle belve mostruose che assalivano la popolazione. Mentre Eira tornava verso la Lega, poteva vedere che tutte le porte erano ben chiuse e che ormai non c'era più anima viva a camminare per le strade. Gli ultimi raggi del sole battevano sulle finestre e tutto si tingeva di un caldo color arancione. Eira entrò nell'edificio in cui ormai avrebbe cominciato a vivere, mentre all'interno vi era un gran trambusto. Valtr stava parlando al pianerottolo superiore con una figura che non aveva mai visto prima all'interno della Lega. Si avvicinò senza farsi notare e si mise ad ascoltare la loro conversazione. < Almeno sta bene. Speriamo che riesca a trovare qualcosa al più presto > disse il capo della Lega, rassicurato. L'altra persona era vestita con un manto di piume nere, probabilmente di corvo, e aveva un cappello nero in testa, ma era di spalle e per questo motivo Eira non riuscì a guardarla in faccia. Si sorprese molto quando sentì che la sua voce era quella di una donna, anche se sembrava una persona molto più grande: non aveva trovato fino a quel momento altre figure femminili, oltre a lei. < I corvi me l'hanno portata da poco > affermò, sventolando in una mano quella che appariva come una lettera, < perciò Yamamura non deve averla inviata da troppo tempo. L'avrà scritta questa mattina, quindi dovremo aspettare ancora un altro po' per avere altre sue notizie > comunicò la donna in modo preciso e sicuro al proprio superiore. < Sì, capisco... > Valtr a quel punto guardò in direzione di Eira, accorgendosi della sua presenza e dirigendosi immediatamente verso di lei con un sorriso stampato in faccia. La donna con cui stava parlando si voltò per guardarla, rivelando che il viso era nascosto da una maschera con un becco da corvo. La gente di Yharnam detestava parecchio rivelare il proprio volto per intero, pensò la ragazza. < Sei arrivata giusto in tempo, Eira! Uno dei membri che prima non hai avuto il piacere di incontrare è appena tornato > dichiarò voltandosi verso la donna-corvo. < Si chiama Eileen ed è un membro molto importante nella Lega > affermò con sincerità. Quella donna doveva essere una persona particolarmente cara a Valtr, per un motivo o per un altro. Ella si avvicinò a loro, ridacchiando, per poi unirsi alla conversazione. < Nonché unica donna della Lega. Anche se non più, mi sembra di capire... > Eira le sorrise imbarazzata, ma felice di poter finalmente parlare a qualcuno un po' più simile a lei. < Credi bene. Io sono Eira > disse, porgendole la mano, che subito Eileen strinse in una presa quasi amorevole. < Eileen. Come stava per dirti Valtr, non sono una semplice cacciatrice. Sono la messaggera della Lega. Ho dei corvi per tutta Yharnam, addestrati a rispondere a un semplice fischio, a prendere lettere e messaggi e a recapitarli a me, ovunque io sia. Questo è il compito che ho, oltre alla caccia alle belve >. La giovane la guardava con ammirazione. Non avrebbe mai creduto che qualcosa di simile fosse nemmeno possibile. Valtr spezzò il suo entusiasmo. < Mi dispiace interrompervi, ma è proprio l'ora della caccia, quindi scendete di sotto >. Eira si agitò nel sentire quelle parole: sarebbe stata la sua prima notte di caccia e non si sentiva affatto pronta, ma doveva farlo. Anche se avesse voluto fuggire, non aveva alcun posto in cui rifugiarsi e non sarebbe sicuramente sopravvissuta a delle belve affamate senza aiuto. Le due cacciatrici si recarono al piano terra assieme agli altri compagni, mentre Valtr dava loro direttive dall'alto. < Cacciatori! Inizia una nuova notte di caccia. Questa sera non ho ordini precisi: spargetevi per le strade di Yharnam e uccidete il maggior numero possibile di belve. Questo vale per tutti, eccezion fatta per Eira e Gascoigne. Voi due vi recherete alla zona del ponte e farete una ronda lì. Tutto chiaro? > La giovane cacciatrice avrebbe preferito chiunque a Gascoigne. Quell'uomo non la raccontava giusta, e sarebbe anche stato il suo primo compagno di caccia. Lo guardò da lontano, mentre lui era concentrato a seguire gli ordini del loro capo. Sperava solo che la notte finisse bene. < Buona caccia! > urlò Valtr sollevando il bastone in aria, dopo essersi assicurato che ognuno avesse recepito tutti gli ordini da lui impartiti. Scese le scale e si avvicinò ad Eira, porgendole un paio di sacchetti. < In questo c'è una campana che puoi usare per chiedere aiuto, ti basterà suonarla. Ma non dovrebbe servirti, non con Gascoigne > la rassicurò Valtr. La ragazza non sapeva se dubitarne. < Inoltre dentro ci sono anche dei marchi che ti servono per tornare qui se ne avessi bisogno. Li devi soltanto guardare e fissare bene nella mente, poi, quasi come se stessi sognando, ti ritroverai qui>. Sognare, eh? Ironico. E se fosse lo stesso principio per cui era riuscita ad accedere al sogno quando era svenuta? < E infine, in questo sacchetto ci sono delle fiale di sangue >. Eira prese la piccola sacca, titubante. < Sangue...? > Valtr sospirò profondamente, quasi con tristezza. < Serve a dare sollievo ai cacciatori feriti... usalo con parsimonia. È il sangue curativo che ci dona la Chiesa della Cura, e non è infinito >. Ebbe la stessa sensazione di quando uccise il lupo, o di quando sentì l'odore del sangue su Gascoigne: era una sensazione che la attirava, ma Eira era consapevole che fosse sbagliato lasciarsi catturare da quell'odore e da quell'istinto. Sapeva che ne sarebbe derivato qualcosa di spiacevole, eppure non desiderava altro se non infondere quel buon sangue nelle sue stesse vene. Scosse la testa, scacciando i propri pensieri, e ringraziò Valtr, che se ne andò, pronto per la notte di caccia, mentre si copriva la testa con uno strano elmo, il quale pareva più un secchio di ferro con un buco, fatto apposta per vederci attraverso. Si avvicinarono a lei Gascoigne ed Henryk, e quest'ultimo le mise una mano sulla spalla per confortarla. < Ti auguro una buona caccia, Eira. Vedrai che Gascoigne ti insegnerà a cacciare bene, non è così? > disse rivolgendosi all'amico, che grugnì in segno di approvazione. Henryk li lasciò soli e i due si incamminarono in direzione dello stesso ponte che Eira aveva visto dalla clinica, in silenzio. Erano compagni di caccia, eppure non fiatavano, eccetto qualche parola di Gascoigne che le diceva di fare attenzione ai lupi che si aggiravano da quelle parti. Giunsero ben presto a una piccola piazza con al centro quella che sembrava una fontana, senz'acqua da chissà quanto. Gascoigne si fermò e si voltò in direzione di un'abitazione lì vicino, chiusa da un cancello e che aveva l'aria di essere ormai disabitata. Se ne stava in silenzio, e sembrava che stesse in ascolto, in attesa di sentire qualche suono particolare. Eira lo lasciò fare, pensava che stesse ascoltando i versi di qualche belva lontana per poterla rintracciare, ma dopo un po' lo richiamò a sé, avvicinandosi a lui e sventolandogli una mano davanti. < Mi dici che hai? > L'uomo scosse la testa, come se fosse stato appena svegliato da un sogno ad occhi aperti e ricominciò a camminare a passo spedito. < Niente. Siamo quasi arrivati >. Non mentiva: pochi passi dopo si ritrovarono sull'immenso ponte che collegava la parte centrale di Yharnam con il suo cuore più interno, dove risiedeva anche la famosa Chiesa della Cura. Cominciarono a percorrere il ponte, disseminato di carrozze abbandonate e senza cavalli, fino a che un ululato non li fermò. Proprio come le aveva detto Gascoigne poco prima, due lupi di taglia eccessivamente grande si facevano avanti verso di loro, a denti digrignati e con aria minacciosa. L'uomo accanto a lei trasformò la sua ascia, allungando il manico, mentre Eira sfoderò con ansia la spada. In men che non si dica i lupi si gettarono su di loro, ma prima che la ragazza potesse prepararsi a rispondere all'attacco, l'altro cacciatore li fece fuori tutti e due con un solo fendente orizzontale della propria arma, terminando lo scontro in un bagno di sangue. Rimaneva così davanti a lei, dandole le spalle, ed Eira poteva sentire il suo respiro pesante e leggermente irregolare; ma Gascoigne non disse niente, anzi si ricompose e, facendo tornare l'arma al suo stato originale, si rimise in cammino. La cacciatrice gli accennò un "grazie", ma non era sicura che lui lo avesse sentito. D'improvviso, mentre si avvicinavano sempre più alla fine del ponte, delimitata da un enorme cancello chiuso e che probabilmente portava all'altra zona di Yharnam, Gascoigne si mise a parlare di un argomento che non avevano mai tirato fuori prima di allora e che non sembrava incastrarsi per nulla con l'atmosfera tesa né con la caccia. < L'elmo di Valtr non è stato sempre suo. Se lo passano di generazione in generazione i capi della Lega. Un giorno Valtr potrebbe venire da chiunque di noi e consegnare quel secchio al suo prescelto, e il cacciatore in questione saprebbe di essere il nuovo capo >. Eira lo guardò confusa, senza sapere che dire. < Grazie per avermelo detto, credo...? > Il cacciatore scosse le spalle. < Prima o poi te lo dovevano dire. E poi il silenzio mi dà fastidio >. rispose, senza voltarsi a guardare la cacciatrice. < Ma se sei tu che non parli mai > ribatté la giovane, indispettita. < Anche tu però non hai mai aperto bocca lungo il tragitto >. La ragazza rimase in silenzio, sapendo che effettivamente anche Gascoigne aveva ragione, da una parte. Forse aveva sbagliato a pensare male di lui. < D'accordo, hai ragione. È che... mi spaventi > gli rivelò, in modo sincero, sperando di chiarire la situazione. L'uomo fece un respiro profondo, quasi scoraggiato, mentre avanzavano in prossimità di un grosso arco che superarono l'attimo seguente. < Lo so. E mi dispiace. Non è colpa mia, devi perdonarmi > disse con tono pentito e sembrava che non stesse mentendo affatto. Eira sorrise, pensando che era stata una sciocca nel giudicarlo senza conoscerlo, quando un forte urlo scosse l'aria attorno a loro e li obbligò a fermarsi e a tapparsi le orecchie. Quel suono disumano era così acuto da poter far sanguinare i loro canali uditivi da un momento all'altro. Non appena terminò, Gascoigne afferrò in fretta l'ascia, aggressivamente, e si voltò verso di Eira. < Preparati, ne abbiamo uno grosso ora >. La ragazza lo sentiva a malapena, frastornata da quel suono. < Come? > Il cacciatore non fece in tempo a risponderle che il cancello alla fine del ponte fu scavalcato da un'enorme e imponente belva, avvolta in un pelo grigio sporco e con in cima alla testa un paio di corna, che sembravano proprio quelle che uno dei membri della Lega indossava sul proprio copricapo. Nonostante le dimensioni, si trattava di una belva dagli arti piuttosto magri e scarni, tanto che le sue ginocchia erano piegate per sorreggere il peso del resto del corpo e per permetterle così di stare su due zampe, mentre il braccio sinistro era più lungo e inspiegabilmente più peloso del destro. Dal muso spuntavano dei denti aguzzi e gli occhi non parevano avere pupilla, sebbene fossero così piccoli che Eira non riusciva a vederli bene. La giovane cacciatrice fu percossa da un brivido per tutta la schiena, impaurita di fronte a quell'abominio. < Cosa è... Gascoigne, cos'è quella? > disse, immobile, paralizzata dal terrore. < È un chierico. O meglio, era un chierico. Ne abbiamo fatti fuori a decine ormai, questo non sarà l'ultimo suppongo >. Eira non capiva cosa stesse dicendo Gascoigne, ma il suo cervello non riusciva in ogni caso a comprendere nulla che non fosse l'avere davanti quella belva enorme. Il cacciatore la scosse appoggiandole una mano sulla spalla. < Sta' tranquilla, non è un osso duro > le disse, per poi partire a corsa in avanti, verso le gambe della bestia, finendo in mezzo a esse prima che con una mano quest'ultima potesse scaraventarlo con violenza all'indietro, annullando lo spostamento di Gascoigne. La giovane cacciatrice cercò di farsi forza, pensò che doveva farcela; impugnò la spada e corse verso la mano che aveva appena cercato di colpire il suo compagno, ferendola, mentre Gascoigne, rialzatosi in piedi e avvicinatosi di nuovo, faceva perdere l'equilibrio alla belva cornuta, che adesso urlava di dolore. Essa balzò all'indietro per evitare di venire massacrata, perciò Eira credette di essere ormai fuori dalla portata dei suoi attacchi, ma non aveva fatto i conti con il suo braccio più lungo, tanto lungo da poter arrivare fino a lei per cercare così di schiacciarla. E sarebbe anche accaduto, se Gascoigne non si fosse gettato su di lei spostandola, mentre una parte del suo corpo subiva il potente attacco della belva, rimanendo gravemente ferito. La cacciatrice era preoccupata, ma non poteva perdere altro tempo: corse verso il braccio, attaccandolo ripetutamente con la spada, mentre la mano della belva la graffiò quando, cercando di colpirla, riuscì soltanto a sfiorarla. Eira si allontanò, mentre vedeva Gascoigne usare un paio delle fiale di sangue che Valtr aveva dato anche a lei, iniettandosele direttamente sulla gamba. Gli diedero la forza di reagire, poiché subito dopo il cacciatore si alzò da terra e urlando furiosamente corse di nuovo verso la belva, attaccandola con più forza di prima. Eira ne rimase sorpresa, mentre si univa all'attacco del suo compagno. Voleva provare anche lei quel sangue, ma poi si trattenne ricordando le parole di Valtr; dopotutto, non aveva subìto ferite gravi. La belva perdeva sempre più sangue, vacillava e molti dei suoi colpi andavano a vuoto. Gascoigne prese la pistola che aveva attaccato alla cintura dei pantaloni, mirando alla testa della bestia e centrandola in pieno con un solo tentativo. Quel colpo bastò a farle perdere l'equilibrio e a farla cadere in avanti, così che i due cacciatori in quel momento potevano finalmente attaccare anche il suo punto più debole: la testa. Eira corse verso di essa, ma Gascoigne vi arrivò prima di lei e, dopo aver gettato l'ascia a terra, infilò la mano nuda nel cranio della loro avversaria, che appariva così quasi morbido e fragile. La cacciatrice guardò la scena da lontano, stupita: era esattamente lo stesso attacco con cui aveva ucciso il lupo alla clinica tempo prima. Non era qualcosa che sentiva solo lei allora, quel richiamo del sangue e delle carni che le belve emanavano. Gascoigne ritirò la mano fuori, mentre la belva ricadeva all'inidietro, ormai dissanguata e incapace di poter fare qualsiasi cosa. Tornò il silenzio sul ponte, eccezion fatta per il respiro sempre più pesante di Gascoigne. Immerso nel sangue, la sua lingua uscì fuori, rivelando i suoi canini estremamente aguzzi, per leccarne via dal volto un po', ma prendendoci gusto, mentre Eira lo guardava inebriarsi di un folle piacere in un tale stato. Ci mise un po' prima di ricomporsi e di aggiungere a voce bassa e spezzata dal respiro affannoso: < Torniamo a casa >. La notte era già calata da un pezzo, ma loro non se ne erano nemmeno accorti, e pareva essere un orario piuttosto tardo. Eira sedeva sul tetto dell'edificio della Lega, dove Henryk le aveva detto di aspettarlo. Appena tornarono gli altri cacciatori, infatti, la ragazza si fiondò su di lui dicendogli che aveva una marea di cose di cui parlare. Non riusciva più a pensare ad altro che a quello scontro e all'esito che aveva avuto, ed Henryk sembrava l'unica persona con cui potesse parlarne a cuore aperto, per quanto si fidasse di Valtr. Quando gli dissero che avevano abbattuto una belva di quel genere, il capo della Lega rimase molto sorpreso, ma al contempo fu soddisfatto e orgoglioso di Eira, che aveva riportato meno danni rispetto a Gascoigne, anche se per ovvie ragioni. La cacciatrice, però, non riusciva a capire se dovesse davvero andarne fiera o no. Le parole di Gascoigne sul fatto che quella belva fosse un chierico le riecheggiavano nella mente, ma lei sperava non fossero vere. In quel momento sentì qualcuno salire sul tetto e voltandosi vide che Henryk la stava raggiungendo. < Allora, che mi devi dire di tanto importante? > disse con un sorriso, mentre si sedeva accanto a lei. < Ho saputo che la tua caccia, la tua prima caccia, è stata un successone! > continuò allegro, sicuramente più felice di lei. Eira annuì, senza però mostrarsi troppo entusiasta dell'accaduto. < Non mi sembri molto felice. Che succede? > domandò il cacciatore, con un velo di preoccupazione nella voce. < Gascoigne > fu la secca risposta di Eira, che lasciava poco spazio all'immaginazione. < Gascoigne? In che senso? > chiese l'uomo, fattosi più cupo e serio. < Lui... era strano. All'inizio si è fermato a guardare una casa abbandonata mentre andavamo al ponte, senza dirmi nulla, poi dopo aver abbattuto quella grossa belva il suo respiro si è fatto pesante e irregolare e... > < E...? > la spronava a continuare Henryk. < ...e si è leccato del sangue dal volto, quasi compiaciuto > terminò Eira, sconvolta al solo ricordare la scena. Si domandò se anche lei avrebbe mai potuto diventare così, una volta che avesse ceduto a quel dolce richiamo del sangue. L'altro cacciatore la guardò senza dire una parola, per poi voltarsi verso il cielo, in cui i colori bui della notte cominciavano a sparire. < Capisco >. Eira si girò verso di lui, arrabbiata. < Questa è l'unica cosa che hai da dire? > Henryk sospirò. Sorrideva, ma la ragazza percepiva un velo di tristezza dietro quel sorriso. < Vacci piano con Gascoigne, okay? Non è colpa sua > aggiunse, senza spiegarsi. < Questo me l'ha detto anche lui. Puoi spiegarmi che cosa significa? Cosa succede a Gascoigne? Dimmelo > lo implorò Eira, desiderosa di conoscenza. L'uomo si alzò in piedi, stiracchiandosi. < Non adesso. Non è il momento. E poi dovresti andare a dormire, sarà stato stancante >. Eira lo guardò, ancora seduta, sperando che cambiasse idea, ma si rassegnò ben presto. Si fidava di Henryk, anche se sperava che le desse qualche spiegazione al più presto. < D'accordo > rispose, espirando. < E tu? > le chiese l'altro improvvisamente. < Hai ricordato qualcosa? > Lei gli sorrise malinconicamente. < No. Però accadrà, prima o poi >. < Prima o poi > ripetè Henryk, prima di scendere di nuovo all'interno, salutandola con un gesto della mano. Eira voleva chiedergli del fatto che Gascoigne le avesse detto che quella belva era stata un chierico, ma era troppo tardi ormai: rimase là ancora per un po', a osservare la luna, così diversa da quella del sogno, che stava per svanire con l'avvento dell'alba, prima di scendere nella sua stanza e addormentarsi profondamente. Il cielo, quella notte, era senza stelle.
   
 
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