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Autore: sissir7    03/09/2019    0 recensioni
Molti dicono che un funerale è l'occasione giusta per celebrare la vita. Stronzate. Chi dice ciò, non amava abbastanza il defunto evidentemente. Il nero è il colore giusto per un giorno del genere; reputato il più triste, sembra proprio incarnare il dolore. Eppure, Jimin e Namjoon ne ricavarono tutti i colori della loro vita.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kim Namjoon/ RapMonster, Kim Taehyung/ V, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Lui era tutte le mie giornate belle. Quelle che non passavo con lui, sapevo sarebbero state da meno.
Non so come spiegarlo, ma le giornate senza lui erano come stare davanti ad una tenda sapendo che oltre c’è un cielo azzurro,
di quelli che ci sono durante le giornate primaverili, cieli che sono equilibrati e si sta bene sia a maniche corte che con una giacca a maniche lunghe.
Una di quelle giornate in cui ti puoi preoccupare di tutto, ma non del tempo, perché quello è dalla tua parte, quello ti darà la spinta di affrontare tutto.
Però stai davanti a quella tenda e…non lo vedi. Il sole non ti tocca. Quell’azzurro non ti dà l’energia vibrante del suo colore.
Quell’aria fresca non ti dà la sensazione di star respirando per davvero.
Così mi sono sempre sentito se passavo un giorno senza lui; in costante “quasi”.
Quasi al sole. Quasi pronto a godermi la giornata. Quasi vivo. Quasi.
Quella tenda pesava come un macigno e mi separava dal poter sentirmi completo.
Così è senza lui, anche ora che ci ha…lasciati. Vivrò un eterno “quasi” tutto. Lo so. E mi arrabbio.
Mi sono arrabbiato tantissimo in questi ultimi giorni, per tante cose.
Cose che tutti mi dicevano non erano importanti, cose in cui io non c’entravo. Vi sbagliavate. Vi sbagliate.
Io facevo parte della sua vita, e scusate l’arroganza, ma ne facevo parte più di chiunque altro.
Mi prendo la responsabilità della sua morte, anche se in parte.
Ovviamente, all’inizio era categoricamente solo colpa mia e ho fatto passare l’inferno a chi mi stava vicino perché sono stato davvero irascibile,testardo, infantile anche.
Ho appesantito pure i vostri giorni peggiorando il vuoto che lui ha lasciato, e per questo chiedo scusa.
Non chiedo di capirmi, un po' lo fate. Chi mi è stato vicino mi ha fatto capire che non avevo colpe.
Che non ho causato io la sua morte, e dopo un po' ho realizzato che era vero.
Ma quando mi hanno detto che io non avrei potuto fare niente, beh, questo non posso dire sia ciò che penso o che sia vero.

Potevo fare di più.
Potevo rispondere alle sue chiamate invece di staccarle perché ero a fare chissà cosa, e poi dimenticavo di chiamarlo come avevo detto che avrei fatto nei messaggi che gli mandavo.
Potevo dargli più spesso un abbraccio. Io, che sono così fisico, che non ho mai nascosto il piacere che provo nell’avere attenzioni, non lo abbracciavo abbastanza.
Avrei potuto sforzarmi di capire i suoi sguardi, ogni tanto persi in un punto in aria, che minimizzava con un’alzata di spalle se gli chiedevo che gli prendeva
e aggiungeva quel sorriso grande e fanciullesco per rassicurarmi.
E per me andava tutto bene.
Sorrideva in quel modo, mentiva in quel modo, e per me era tutto okay mentre dentro sicuramente lui accumulava ogni momento “no” e ogni preoccupazione,
anche piccola.
Quelle piccole sono le peggiori, come sottili aghi che si infilzano uno dopo l’altro nel cuore.
Ed io cosa ho fatto? Pensate davvero che non avrei potuto fare nulla ora che vi ho detto che me ne accorgevo di quei momenti bui?
Non ho fatto le cose giuste. Non voglio dire che non ho fatto abbastanza perché lo amavo con tutto me stesso, anche di più.
Lo amavo…più di ogni altra cosa che desideravo ardentemente. Più dei miei sogni. E l’ho perso, lui, il mio sogno ad occhi aperti.
Glielo dissi che lo era, per me. L’unico sogno che potevo toccare, veder vivere, parlarmi, qualcosa di concreto.
Lui mi ha fatto una faccia buffa e sapete cosa mi disse?
“Jimin-ah, speriamo in un sogno più bello però.”
Sorrisi dicendogli che non sapeva neanche accettare un complimento e lui rise di rimando. Finì lì.
Forse non si reputava bello abbastanza per essere considerato un sogno. Forse il fatto che gli ho detto che era il mio di sogno, non gli bastava.
Ho pensato anche a questo: io non gli basto.
Lui mi bastava, invece.ù

Comunque, alla fine ho capito molte cose.
Ho capito che è difficile far aprire le persone se dopo un’espressione terribilmente triste ti fanno un sorriso per far passare ogni tua preoccupazione.
È una situazione delicata, in cui ci si sente sul filo del rasoio.
Ne vuole parlare? Non vuole? Passerà? È qualcosa di grave?
Se insisto lo farò arrabbiare, sa che ci sono per lui, meglio se non appesantisco di più qualcosa che può essere una sciocchezza e bla bla bla.
Sbagliato. Se la pensate così, mi permetto di dirvi che vi state sbagliando.
E dopo quello che è successo a me e a lui mi darete ragione. Litigateci se si chiude e non ne vuole parlare.
Rischiate. Siate insistenti. Fatela scappare via quella persona, ma tornerà.
Tornerà fragile, distrutta, dopo aver litigato con voi ma è proprio in quel momento che avete l’occasione di aggiustare i suoi pezzi, o meglio di aiutarla ad aggiustarli.
Magari ricadranno, ma l’avete già affrontato e sarete così bravi che arriverà il momento in cui la persona che amate sarà ancora con voi e non si sarà buttata da un palazzo di tredici piani come ha fatto la mia persona amata.
‘Ma tu hai fallito, come puoi sapere che funziona?’, direte.
Perché lui l’ha fatto con me. Lui è riuscito con me dove io ho fallito con lui.
E stavo bene, dio, mi sono sentito forte e tranquillo come mai lo sono stato dopo che lui mi ha pazientemente riattaccato i pezzi.
Forse ero troppo concentrato a godermi la mia gioia che non ho visto i suoi, di pezzi. Togliamo pure il forse.
E vedeva che ero di nuovo me, di nuovo al fresco di quella giornata primaverile senza più una tenda irremovibile davanti e si è messo da parte,
ha messo da parte ciò di cui lui aveva bisogno per farmi rimanere al sole, al fresco, tra il profumo dei fiori.
Ma ha lasciato che quel profumo mi inebriasse così tanto che non mi sarei accorto del marcio che in lui stava crescendo.
Questo ha fatto: mi ha protetto, mi ha accarezzato con la sua voce di velluto ed io non desideravo nient’altro. Mi ha amato meglio di chiunque altro.
Avevo il vero amore e l’ho…dato per scontato. Alla fine, nessuno l’ha salvato, esattamente come non l’ho fatto io.
È terribile da dire, ma questa frase ha alleggerito il peso del senso di colpa che provavo.
Se non mi ripetessi e costringessi a pensare questa cosa che non vorrei pensare, sarei già con lui sicuramente. E lo vorrei.
Ma lui non vorrebbe vedere la vita che ha salvato lasciare tutto quello che è riuscita a conquistare con il suo aiuto, quindi vivo per lui, per non rendere i suoi sforzi vani. Voglio prendermi cura di me stesso ora perché in me ci sono tutti i giorni che ho passato con lui, tutti viaggi, le canzoni, le infinite cene.
In me ci sarà sempre più lui che me, in realtà, e non lo farò morire.
Le immagini di lui che ho nella mia mente sono preziose, forse neanche la madre ha mai avuto momenti con lui come li ho avuti io.
Non posso rinunciare a tutto questo, a quello che sono stato con lui, che siamo stati insieme.
Se penso che devo farla finita e che non potrò più ricordare i suoi dettagli, i suoi bronci, la sua espressione delusa per una foto bellissima ma non soddisfacente abbastanza per un piccolo dettaglio…Dio quanto ci rimaneva male.
Era capace di parlarne per giorni.

‘Ho sbagliato l’angolazione di così poco’, ‘Avrei potuto farla a colori’, ‘ho perso l’stante perfetto’. E il 70% delle volte succedeva così.
Eppure, le sue foto erano tutte così personali, così sue, così Taehyung, che non capiva che quei difetti che vedeva erano ciò che le rendevano degne di essere chiamate arte.ù
Lui era arte in ogni cosa che faceva. Esisteva e io vedevo nella quotidianità momenti in cui sentivo che poteva diventare un quadro da un moment all’altro.
Questo non glielo dissi mai, ero troppo imbarazzato per farlo.
Poi dopo il mancato tentativo di fargli il complimento del sogno, quello di cui ho parlato prima, non ci ho più pensato a fargliene un altro così serio.
Forse se avesse saputo questo, se gli avessi detto che racchiudeva l’arte di cui mi ero innamorato…forse non…”

Fu il primo momento che si permise di riprendere fiato e forza per tenere su la facciata sicura e decisa mentre diceva queste parole che gli uscivano a raffica.
Non sapeva neanche perché fare i discorsi ai funerali fosse così importante.
Perché sfogarsi dopo aver visto la morte davanti agli occhi?
Perché scegliere delle belle parole ed elogi per il defunto quando in bocca si ha solo il sapore della morte stessa che non ti lascia,
ti ricorda quanto la vita possa essere inutile.
Stava divagando tra i suoi pensieri, ma sentì oltre la giacca e la camicia il calore di un amano grande, quella di Yoongi, con il suo volto serio ma apprensivo.
Annuì per fargli capire che stava bene, che non sarebbe scoppiato a piangere come nei migliori funerali cinematografici, no.
A volte, il dolore non fa rumore.
Quel suo dolore non faceva rumore.
Era solo un eterno nero che si era portato via tutti i colori.
Strinse le mani al bordo della piccola colonna in legno posta davanti alla bara, su cui non erano poggiati fogli.
Dover scrivere un discorso per la morte di Tae lo fece ridere tantissimo.
Era così ridicolo.
Eppure, era lì a farlo, un discorso, con il corpo del suo migliore amico morto dentro ad una bara circondato da fasci di fiori che hanno la presunzione di voler apparire più bello di Tae.
Impossibile.
‘Togliete quei fiori, lui odia le margherite’ si disse Jimin in quel flusso di pensieri incessante.
Fissò il centro di quel quadrato legnoso e chiaro.
Si sentivano dei passi calmi oltre la porta della piccola sala in cui c’erano i più cari a Tae.
Non alzò lo sguardo, e continuò.
“Era la mia anima gemella. Non romanticamente. I fidanzati si lasciano, le coppie si stancano, gli sposi si rendono conto di aver preso un impegno
che li lega troppo indissolubilmente e l’ansia di quel legame gli fa venire mille dubbi e paranoie e, dio, non mi sposerò mai.
No, noi avevamo vincoli, regole o…pretese. Noi eravamo di più. Noi eravamo la nostra certezza. Non ci serviva stabilire cosa eravamo.
Eravamo noi, e sapevamo che non saremmo mai finiti. Mai. E non finiremo. La mia mano stringe la sua. Anche ora.
Questo lo facevo così spesso, era naturale cercare con lui un contatto e gli stringevo la mano.
Lui mi lasciava fare perché in fondo anche lui era una persona a cui piaceva stare a contatto con le persone.
Era caloroso, ti dava fiducia ed era così sensibile, con quei suoi occhi grandi a volte velati di lacrime per un nonnulla, una scena tenera tra un genitore e il suo bambino, un sorriso di qualcuno, una frase. C’erano cose che solo lui vedeva.
Voglio dire, c’erano queste cose e lui in queste cose vedeva altro, come se arrivasse al cuore pulsante di ciò che guardava e sentiva, nel vero senso del verbo, sentiva ciò che pochi riescono a sentire.
Aveva un’anima delicata per ciò che lo circondava e questo lo rendeva difficile da capire, ma quando ci sono riuscito sapevo di avere davanti un miracolo.
Ma non di quelli grandi. Lui…è uno di quei miracoli che nascono dal nulla, che semplicemente è stato messo qui con quel suo portamento elegante e quegli occhi velati di lacrime per la poesia del mondo che solo lui coglieva. Lui…”

Strinse gli occhi e ci si passò le dita sopra.
Stava straparlando, erano cose senza senso quelle che stava dicendo, gli era anche venuto il mal di testa ormai.
Namjoon piangeva in totale silenzio a quelle parole.
Incrociò lo sguardo di Jimin e Jimin sapeva che il suo hyung era un’anima affine a quella Tae, solo un po' più gestibile e razionale.
Sorrise lievemente e Namjoon non resse quel piccolo sorriso.
Si portò la mano alla bocca fermando i singhiozzi.
“Mi sento incredibilmente fortunato ad averlo avuto vicino. So che anche voi vi sentite così. Avere vicino una persona così non capita a nessuno.”
La voce era più stanca di prima.
“Scusatemi se vi ho trattenuto con i miei pensieri.”
Yoongi gli si avvicinò di nuovo.
Si abbracciarono come se non lo facessero da tempo.
Si diventa così fragili con il dolore.
Si diventa come una nuvola in balia del vento ed ogni cosa potrebbe essere la tua fine, ciò che ti fa dissolvere per sempre.
Erano tutti come nuvole su cui incombeva una tempesta, ma da dentro.
Non parlò nessuno, solo Jimin.
Namjoon uscì velocemente dalla piccola stanza che divenne soffocante, in tutti i sensi.
Jimin, appena vide la figura slanciata andare via, lo raggiunse.
“Hyung”
Namjoon faceva avanti e dietro in quelle sue scarpe lucide nere eleganti.
“Perché cazzo siamo vestiti come se dovessimo andare a ritirare un Grammy, porca puttana.”
La voce rabbiosa, ma profonda e bassa.
Il minore non lo aveva mai sentito parlare in quel modo.
Mai.
Non si fermava quel leader sfiancato da tutto quello, esausto, distrutto, arrabbiato.
Ma più di qualunque altra cosa, si sentiva impotente e questo Jimin lo sapeva.
Avevano parlato, e Jimin sapeva il peso che la morte di Taehyung aveva lasciato in Namjoon.
“hyung, fermati.”
Si fermò.
Piantò i piedi a terra e si abbassò piegando le ginocchia.
Mani tra i corti capelli color cioccolato. ù
Era un leader che di fierezza ne aveva ben poca in quel momento.
Non era per niente fiero di non essere stato abbastanza.
Non era fiero del leader che era. non era fiero dell’amico che era stato.
E sapeva che era diventato inutile ormai.
“Andiamo a casa, Nam.”
ùSi permise confidenza come poche volte se l’era permessa, ma Jimin sentì che era il momento giusto per fargli sentire che non era solo,
che non era costretto a stare male più degli altri perché era il leader e che se voleva disperarsi più degli altri poteva farlo comunque,
lui sarebbe stato lì a sorreggerlo da ogni spasmo causato dal pianto.ù
Non lo avrebbe mai giudicato, mai.
Voleva soprattutto fargli sentire che la responsabilità di ciò che sarebbe successo al gruppo l’avrebbe divisa con gli altri cinque fratelli che gli erano rimasti.
Questo ancora non rassicurava Namjoon.
La spada era ancora in profondità nel suo petto e il sangue scorreva copiosamente.
Sentiva questo.
“Okay.”, rispose sospirando tra le lacrime.
Quegli occhi a mezza luna gonfi e rossi, così devastanti, eppure così belli.
Come quelli di Tae, che nonostante tutto lo schifo che sentiva dentro, erano occhi potenti più di un terremoto.
Occhi espressivi, seducenti, veri.
Quelli di Nam erano diversissimi da quelli di Tae, ma Jimin ci vedeva la stessa convinzione, la stessa curiosità che anche il suo migliore amico aveva stampata nelle iridi,
lo stesso modo di percepire e voler conoscere il mondo in un certo senso.
Per questo, arrivati alla BigHit, Jimin prese Namjoon in disparte perché proprio non riusciva a togliersi dalla testa quello che gli voleva dire,
e si era ripromesso che mai più non avrebbe fatto complimenti a qualcuno che amava.
Nam si sciacquò il viso nel lavabo della piccola cucina in una delle sale dell’agenzia.
Dovevano passare prima di lì per discutere su delle cose, anche se era troppo presto anche solo per pensare a ste stessi figuriamoci al lavoro.
Ma il dovere verso ciò che erano era forte, e avrebbero fatto di tutto per il gruppo.
“Non so cosa vuoi dirmi, ma vorrei solo finire presto la riunione con i manager e…dormire.”
Dicendo ciò, si sbottonò i primi due bottoni della camicia avendo già buttato la cravatta sul tavolo in vetro di fronte alla cucina in quella stanza illuminata
dalla luce fredda di grandi faretti.
Il colore panna delle pareti era davvero orribile con l’arredamento moderno di quella specie di open space.

“Io volevo dirti che mi ricordi molto Tae.”
Il maggiore si morse l’interno della guancia e gli salirono di nuovo le lacrime al solo sentire quel nome.
“M-Ma che dici…siamo totalmente diversi.”
Le lacrime gli scesero ancora e ancora.
Era poggiato al piano cottura, reggendosi con le mani.
Jimin non lo vide mai così sfatto e così poco Namjoon.
“Andavate molto d’accordo, più di quanto lui andava d’accordo con me. In otto anni, non avete mai litigato. Quando stavate insieme, sorridevate teneramente e ti ho visto sorridere come mai ti ho visto sorridere, hyung. Tu eri diverso con lui. Lui, come dire…Penso che lui avesse un potere su di te enorme, in modo positivo intendo. 
E i tuoi occhi rispecchiano tanto la sensibilità che aveva Taehyung nell’affrontare il mondo e le cose che amava fare. È così, credimi.”
Namjoon si sentì nervoso, quasi avrebbe voluto correre via da quelle parole appena dette.
Lo spaventavano tremendamente, perché un po' lo pensava anche lui.
Sapeva che lui e Tae viaggiavano sulla stessa lunghezza d’onda quando si trattava di provare emozioni e creare qualcosa.
Erano come una tela e i colori: inutili divisi, ma necessari insieme.
Ma Namjoon era la persona più negativa e arrabbiata in quel momento e scosse la testa sussurrando un grazie per niente convinto.
“Pendevi dalle sue labbra, Nam. Eri il suo punto di riferimento e non dico come leader, non ha mai avuto bisogno di un leader e sapevi come la pensava nello sceglierne uno.”
“Già.”
Rispose con quello che sembrò un piccolo sorriso.
“Pensava che sceglierne uno a cui affidare più responsabilità fosse ingiusto, e gli davano anche un po' fastidio tutti quei doveri verso un leader, sì, insomma…era uno spirito libero, ma diceva sempre tutto con rispetto e non nascondo che sono sempre stato d’accordo con lui su questo.
Ma la questione è più complicata di un ideale anarchico e molto naïve, soprattutto all’inizio quando ci siamo appena conosciuti.
Qualcuno che vi tirasse le orecchie a volte vi serviva.”
Si guardarono malinconici, come se tutto quello che erano stati finora stava per essere spazzato via e già gli mancava.
“Io invece a volte non lo capivo. E lui…beh, lui andava da te. Non ne abbiamo mai parlato perché rispetto il vostro rapporto.”
“Rispettavo.”ù
Jimin corrugò la fronte.
“Hai detto rispetto, al presente, ma devi usare il passato. Non c’è più niente ormai.”
Il minore si zittì.ù
“Namjoon hyung”
Incrociò le braccia, avendo negli occhi un’espressione mista tra la paura e la voglia di sapere nonostante temesse la risposta.
“Che c’è Jimin?” gli chiese, vedendolo così nervoso.
“Eri innamorato di Taehyung?”
Nessuna sorpresa sul volto del leader, nessun tentativo di negare, nessuna voglia di mentire o di dare spiegazioni.
Era la verità e lui non ci ha mai potuto fare nulla e non ci poteva fare nulla neanche in quel momento.
“Ha importanza ora?”
Quella domanda lasciò Jimin rotto.
Sentì il corpo spezzarsi in tutte le direzioni.
“Non stare male anche per me, Jimin.”
Gli sorrise davvero sincero, con il viso ancora rigato dalle lacrime.
“Mi sa che sei l’unico che se ne è sempre reso conto e ti ringrazio per non averne fatto una questione e per aver rispettato me e ciò che provo.”
Si rese conto di aver parlato al presente.
Ci sarebbe voluto un bel po' prima che i tempi verbali sarebbero diventati al passato.
E poi amava ancora Tae, e lo avrebbe amato per sempre, da vivo, da morto, da mera idea, in qualsiasi modo, luogo o tempo
e tutte quelle robe fataliste e struggenti che si dicono in queste circostanze,
perché Tae gli aveva insegnato una cosa in cui non aveva mai creduto prima: l’amore, di per sé, è semplice.
“Hyung io lo avevo sospettato ma…vedevo che nessuno dei due faceva il primo passo quindi pensavo solo che eravate molto vicini.”
“Ne sei triste. Perché?”
La voce di Nam risuonò dura.
“Non ne sono triste. Sono triste che non avete avuto l’opportunità di provarci.”
Il maggiore annuì e ormai era inutile tentare di fermare le lacrime.
“Già. Mi sarebbe piaciuto vedere cosa potevamo combinare insieme.” Rise.
E quella veloce risata si mutò in singhiozzi.
Si abbracciarono ed era così inusuale vedere uno scricciolo come Jimin essere di supporto all’imponente figura di Namjoon.
Eppure, guardandoli, si capiva esattamente chi fosse di supporto.
La fronte del maggiore gli premeva sulla spalla e gli massaggiava la schiena ricurva su di lui.
Quando i respiri si fecero più stabili, Nam si scusò e si sedette sul divano due posti color mogano posizionato contro il muro di fianco al tavolo.
Jimin gli andò accanto, poggiando i gomiti sulle ginocchia sapendo che in questi momenti anche solo la presenza di qualcuno era abbastanza.
Ma Nam parlò.
Voleva spiegare delle cose a Jimin, glielo doveva.ù
“Mi sono innamorato di lui...”
Tirò su col naso e si asciugò il viso con la manica della sua giacca.
“…perché mi ha insegnato, o meglio, mi ha…mi ha fatto vivere quanto l’amore è semplice, capisci?
Sono le persone sbagliate se non funziona, non il sentimento amore.
Le persone non lo vivono come dovrebbero e allora dicono tutte quelle cose negative sul come è avere un fidanzato una fidanzata, sai?”
Jimin si limitò ad annuire e ascoltare perché capitava raramente che il suo amico si confidasse e parlasse apertamente di certe cose faccia a faccia.
“Dicono che ci vuole pazienza, che ci sono giornate orribili, che non ci si capisce ed io davo loro ragione perché siamo sette miliardi di persone diverse, con convinzioni diverse e come fai a mischiare sette miliardi di pietre diverse? Non si può, è un lavoro che richiede decenni e non si incastrano tra di loro come dovrebbero.
Quello che voglio dire è che trovare anche solo una pietra la cui forma si adatti alla tua e viceversa, è utopia.
Però non ci si rinuncia all’amore e ci si accetta e si smussano i bordi per combaciare, no?”
Jimin non nascose la sua confusione, ma aveva capito che per stare con qualcuno, se lo si ama, si dovrebbe scendere a compromessi.ù
Forse questo intendeva il maggiore.

“Beh, non è mai stato così con Taehyung per me. Non abbiamo mai fatto un passo indietro l’uno per l’altro semplicemente perché il nostro ritmo era perfetto e non c’era bisogno di compromessi. Mi faceva essere chi ero, senza volere che smussassi i miei bordi.
Non voleva che cambiassi, anche quando gli dava fastidio qualcosa che facevo. Era più di accettazione. Era completa fiducia, come se non gli interessasse se doveva passare attraverso le fiamme dell’inferno bendato se sapeva che c’ero io a stringergli la mano.
Mi diceva che gli facevo sperare che sarebbe andato sempre tutto bene e se non fosse andato tutto bene, diceva che almeno alla fin aveva il mio di bene, il mio amore. Cazzo, capisci cosa ho perso, Jimin?”
Lo sguardo che si piantò nei suoi occhi con quella domanda fu insostenibile.
“No. Ma capisco come ti sentivi con lui, perché anche io mi sentivo libero di essere me stesso con lui ed è…”
“Ha fatto avverare un’utopia, Jimin.”
“Sì, hyung.”
Ci fu silenzio.
Ma non fu un silenzio pesante, anzi.
Era necessario dopo quello che avevano affrontato.
Era un silenzio rigenerante, come quello in uno stadio dopo la partita del secolo.
“Lo amavi, Jimin?”
Jimin subito scosse la testa.
“Ho ascoltato quello che hai detto, ma mi sembra strano che tu non lo ami in quel modo.”
“Io effettivamente non so qual è stato il nostro confine, sai, tra amicizia e amore. Per me era entrambi. Lui per me è indispensabile.”
Alzò le spalle, non sapendo proprio come spiegarlo.
“So che non è il momento di parlarne, o forse è il momento perfetto e un po' sento che lo è, ma…lo hai mai desiderato? Il suo corpo, le sue labbra.”
Jimin arrossì così tanto che Namjoon si scusò ancora e gli disse di lasciar perdere.
“E’ solo che…io volevo capire la differenza di quello che io provo rispetto a te. Non perché ne dubito, ma è una cosa che mi ha sempre fatto pensare molto, un tarlo fisso.” Il minore si mosse piano poggiando la schiena al divano e incrociando le mani davanti a sé che nervose presero a torturarsi.
Non voleva che Namjoon rimanesse con qualche dubbio o che ci stesse ancora male avendo la errata convinzione che lui amava Tae in quel modo,
quindi confessò cose che non aveva mai confessato a nessuno, ma che il suo amico in quel momento meritava di sapere, finalmente, dopo anni di punti di domanda e dopo la morte di qualcuno a loro caro che sicuramente avrebbe voluto che le due persone che più amava al mondo si volessero ancora bene.
“Quando avevamo, non so, sedici anni, forse diciassette, entrambi ci sentivamo molto intimi l’uno con l’altro.
Facevamo la doccia insieme e per noi era naturale, eravamo noi, Jimin e Taehyung. Ma abbiamo scoperto tante cose insieme sul nostro corpo e…sai che sono etero, ma lui mi ha chiesto di fare quello che stai immaginando e…non c’è mai stato nulla di più. Non mi piaceva farlo mentre a lui piaceva anche troppo.”

Sorrise grattandosi la nuca e nascondendo il volto.
Non vide la reazione del maggiore, ma Namjoon avrebbe voluto sprofondare nel nucleo incandescente della terra in quel momento.
“Diceva che voleva provarlo per capirlo per davvero, che aveva una volgia matta di farlo, ma non si è mai innamorato di me. Davvero, hyung. Non ci siamo mai mentiti a riguardo e abbiamo sempre messo le cose in chiaro e nonostante io glielo chiedessi quasi ogni mese, lui mi diceva sempre che non gli piacevo come fidanzato,
che cercava altro, sia come estetica che come carattere ed io capivo perfettamente e non perché sono etero, ma perché semplicemente ognuno
ha dei gusti diversi e cerca cose diverse, indipendentemente se si è uomini o donne. Lo credo per davvero.
Se fosse stato donna, neanche in quel caso ne sarei stato romanticamente coinvolto. Ne parlammo molto e più di una volta, e ci capivamo.
Ne sono stato sempre felice di questo, che tra noi non ci fossero mai disguidi o cose non dette. Beh, tranne te. Di te non mi aveva detto mai nulla.”
Namjoon ascoltò tutto molto preso e rimase quasi stupito dalla maturità che Jimin aveva dimostrato riguardo quell’argomento.
“Capisco. Hai una mentalità che apprezzo molto. Comunque, non ti ha detto nulla perché neanche noi sapevamo ancora cosa fossimo l’uno per l’altro. Cioè, abbiamo avuto bei momenti e…per noi era chiaro cosa provavamo. Ma il gruppo, le famiglie…Preferivamo avere momenti intimi fuori da tutto quello, non dirlo a nessuno.
Volevamo viverci finchè potevamo, senza decidere ancora nulla.”
“Uno spirito libero come sempre.”
Commentò sorridendo e Nam annuì.
“Io concordavo con lui. Siamo stati davvero bene insieme, Jimin. Sapevamo avrebbe potuto essere…”
“Per sempre.”
“Non lo so, fa paura quella parola ma…sì, direi di sì.”
Erano entrambi più rilassati, sia per aver cacciato fuori cose che gli esplodevano dentro da anni, sia perché erano esausti dopo quella giornata e le precedenti.
Si alzarono e Jimin aggiustò la cravatta a Namjoon.
Poggiò le mani sul suo petto, guardandolo con un sorriso dolce, per poi aggiustargli anche i bordi della giacca e il colletto della camicia.
“Se fosse qui sarebbe tutto emozionato e fremente con quel suo sorriso soddisfatto in faccia.” disse Jimin.
“Dio, quanto hai ragione.”
“Bene. Andiamo ora, sennò questa giornata non finirà mai.”
Ma Nam lo fermo per il polso e lui si girò di nuovo.
“Promettiamo di renderlo sempre felice, come avremmo fatto se fosse stato qui, okay?”
Alzò la mano fermandola a mezz’aria e porgendo il mignolo a Jimin.
“Anche nelle cose quotidiane. Se sappiamo che a Tae farebbe piacere qualcosa, facciamola.”
Strinse il mignolo del suo amico, mentre brividi gli percossero la spina dorsale.
“Promesso.”
“Promesso.”


Anche se li circondava un eterno nero, il nero è il colore che assorbe tutti gli altri colori.
Dentro esso, Jimin e Namjoon avrebbero sempre trovato i colori di Tae con cui tingere le loro vite.
   
 
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