STORIA DI UN UOMO LIBERO
Seduto
sul suo sdraio nel grande giardino della sua villa californiana, ripensò a
quando, quasi vent’anni prima, era andato ai funerali dell’uomo che fino
all’ultimo istante aveva creduto di essere suo padre, e che gli aveva lasciato
in eredità tutti i suoi averi. E, in quell’occasione, aveva pensato alle sue
origini, alle famiglie in cui era vissuto, a ciò che era divenuto.
Era
nato nel Bronx, da una donna alcolista, che in seguito poi avrebbe cambiato
questa sua dipendenza con un’altra ben più affascinante, la droga. Aveva tre
fratelli, tutti bastardi come lui, figli di diversi uomini con cui era stata
quella povera donna, la quale non si era presa nemmeno la briga di dare
un’identità giuridica ai figli, che pertanto nella società americana erano
solamente dei fantasmi. E perciò lui, come gli altri due ragazzini, non aveva
un nome. Però, ciò di cui era sempre stato consapevole fin da allora, era più
intelligente degli altri due. Tant’è vero che, aiutato da una vecchia maestra
che viveva in un palazzo vicino, aveva imparato a leggere e a scrivere,
conosceva la storia del suo paese, ed era un genio in matematica. Non sapeva a
dove quelle conoscenze lo avrebbero portato, però si rendeva conto che fuori
dal Bronx, fuori da quel mucchio di spazzature, di criminalità e di ignoranza,
c’era un altro mondo. Un mondo che lui voleva conoscere. Questa situazione di
disagio, di prigionia che sentiva fin da allora, andò ad accrescersi quando,
una notte, il fratello più piccolo fu ucciso a bastonata da una mandria di
delinquenti ubriachi e fatti. Voleva andarsene da lì, non doveva più starci.
Ma,
prima che gli accadesse la buona occasione, passarono anni, durante i quali il
fratello maggiore si diede alla criminalità, e la mamma si beccò l’AIDS.
Una
sera era di ritorno dalla casa della vecchietta, chiamato dalla vicina di
appartamento che le aveva detto che la madre aveva avuto un’altra crisi, che
aveva chiamato l’ambulanza, ma probabilmente la donna non ce l’avrebbe fatta a
sopravvivere.
Mentre
usciva, si fermò proprio di fronte alla casa una grande limousine. Ne scese un
uomo, alto, elegante, ricco. Molto ricco. Quando lo vide, i suoi occhi si
riempirono di lacrime. Gli fece cenno di avvicinarsi. Poi gli chiese come si
chiamava la madre.
“Lilia”
Rispose. L’uomo divenne rosso.
“Sono
tuo padre.” Gli disse.”Tua madre in passato mi ha scritto in continuazione,
parlandomi di te… sei tu questo?” Gli disse, mostrandogli la foto di un bimbo.
No, non era lui. Era quel fratello che anni prima era morto, pestato a sangue
da quei mostri.
“Sì,
sono io.”
“E
tua madre…che fine ha fatto?”
“Non
lo so, è scomparsa da tempo.”
L’uomo
si rigirò nervosamente la foto fra le mani.
“Scusa
il ritardo ma… non sono potuto venire prima. Ero sposato, e mia moglie non
voleva tenere il figlio di una… un’altra donna. Lei è morta, e non ho altro
figlio che te. Così, mi sono chiesto se volevi seguirmi. Avrai tutto ciò che
vuoi, tutto ciò di cui bisogni, tutto ciò che non ho potuto darti prima.”
“Va
bene, vengo.”
L’uomo
sorrise, e per la commozione lo abbracciò. “Come ti chiami?”
“Gli
amici mi chiamano Slan.”
“E
tua madre come ti chiamava? Nelle lettere non mi scriveva mai il tuo nome.”
“Lei
non mi chiamava affatto. Dubito anche che mi riconoscesse.”
Il
signorotto lo aveva portato a casa sua, lo aveva trattato come un figlio, amato
più di se stesso, e gli aveva dato davvero tutto ciò che gli aveva promesso.
Gli aveva dato un’identità, un’istruzione, amici ricchi e potenti. Soldi, tanti
soldi. Finalmente se ne era andato da quella gabbia in cui era nato, finalmente
ora era libero di fare ciò che voleva.
Almeno,
così era agli inizi. Poi le cose cambiarono. Si sentiva stretto anche in quella
nuova vita. Non gli piaceva avere un’identità fissa, era come avere una palla
al piede, che gli impediva qualsiasi movimento. Stava cadendo di nuovo in una
gabbia, anche se questa volta d’oro.
All’età
si settant’anni il padre morì, lasciandogli tutti i suoi averi in eredità. Per
lui, fu come liberarsi di una di quelle catene che lo avevano di nuovo legato.
Ora però era necessario liberarsi anche delle altre.
Andò
al funerale del padre solo perché aveva lì fissato un appuntamento con un
grosso uomo d’affari. Quello stesso giorno vendette alla concorrenza l’azienda
che per generazioni era appartenuta alla famiglia del padre.
Dopo
di che cambiò nome, cognome, lavoro, e si sposò, iniziando così una nuova vita.
Quando però anche questa incominciò a soffocarlo, mollò tutto e scomparve nel
nulla, lasciando una moglie e due figli.
Fece
questo varie volte. Ogni volta che si sentiva chiuso in trappola. Ogni volta
che la sua libertà veniva intaccata. Aveva figli dappertutto, legittimi e
illegittimi, mogli che lo piangevano, e a lui si doveva la catastrofe
finanziaria di numerosi uomini che avevano investito gran parte dei loro averi
nelle sue floride aziende, le quali però, senza alcun motivo, proprio nell’acme
del successo erano state da lui chiuse.
Ora
guardava davanti a sé, la sua bella moglie e la figlia che giocavano nella
piscina insieme. Nessuna di loro due era al corrente delle azioni da lui fatte.
E probabilmente, nessuna di loro lo avrebbe saputo, almeno finché non le avesse
fatto la stessa cosa.
Sapeva
che ciò che faceva era orribile, tuttavia non se ne curava, non sentiva pesi
sulla coscienza. Fin da piccolo aveva sempre avuto questo grande desiderio di
libertà, desiderio che crescendo era divenuto una malattia per lui. Eppure era
grazie a questa malattia che era riuscito ad andarsene dal Bronx.
Molti
uomini raggiungono alte vette perché desiderano il potere. Lui aveva raggiunto
tale grandezza solamente perché voleva essere libero.
Libertà
e potere, sebbene siano due mondi inconciliabili, tuttavia si assomigliano.
Entrambi sono due sottilissimi veli di seta che volano via alla minima brezza;
bisogna dunque essere molto abili per poterli trattenere. E per riuscire in
questo, ogni mezzo è accettato.
Il
giorno della sua morte fu anche il giorno in cui finalmente raggiunse la
libertà.
Perché,
agli occhi di tutti, in quel momento lui non era più nulla. E, al contempo, era
tante cose insieme.
Chi
poteva dire, ora, di averlo conosciuto veramente? Nessuno.
Lui
era tutto. Lui
era nulla. Lui
era libero.