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Autore: Ghostclimber    06/09/2019    2 recensioni
Un pomeriggio di fine estate, Nobunaga Kiyota va a casa di Soichiro Jin per farsi aiutare con i compiti delle vacanze.
L'esuberanza della matricola del Ryonan si abbatterà sulla timidezza del suo sempai.
Genere: Comico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nobunaga Kiyota, Soichiro Jin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Soichiro Jin, cecchino e nuovo capitano del Kainan, aveva passato l'ultima mezz'ora della sua esistenza a correre avanti e indietro per la propria stanza da letto, inciampando nelle cose e rischiando più volte di fare capitomboli che decisamente non gli si addicevano.

Nell'ultimo periodo, più o meno da fine aprile, quando la primavera aveva deciso di arrendersi all'evidenza del succedersi delle stagioni e sbocciare, con pigro ritardo rispetto al solito, un sacco di questioni della sua vita non gli si addicevano.

Era sempre stato un solitario, preferiva la compagnia dei libri e del pallone da basket a quella degli esseri umani. Era sempre stato un guerriero, se qualcosa non gli riusciva al primo tentativo lui riprovava, lottava con le unghie e con i denti per ottenere un risultato il più possibile vicino alla perfezione, e poi cercava via via di migliorare ancora, e ancora, e ancora.

E adesso, invece, stava cercando di rendere vivibile la propria stanza, perché stava per arrivare qualcuno che lui stesso aveva invitato, cosa che già di per sé aveva dell'assurdo: per quanto paresse folle, nessun compagno di scuola era entrato nella camera di Soichiro dopo le scuole elementari. Era geloso della propria privacy, temeva che qualcuno guardandosi in giro capisse quali fossero le sue debolezze e le usasse poi contro di lui; se c'era da fare qualche lavoro di gruppo, adduceva qualche stupida scusa per non aprire le porte di casa propria per ospitare i compagni, preferendo sempre andare lui dagli altri, a costo di sobbarcarsi viaggi sui mezzi pubblici e il sottile disagio che gli creava conoscere i genitori altrui, cercare di non far danni, chiedere ad un certo punto dove fosse il bagno e orinare sperando di non dover emettere aria, o quantomeno di farlo in maniera silenziosa e poco sollecitante per le narici.

Eppure, quando una particolare persona gli aveva chiesto un aiuto con un compito per le vacanze gli era uscito automatico invitarlo a casa propria.

Quanto alla sua testardaggine nell'ottenere il risultato, gli sembrava di averla persa ad un certo punto dei mesi passati, forse quando aveva passato una notte insonne a cercare di compiere un semplice, banalissimo movimento: sollevare un braccio, farlo ricadere con gentilezza, lasciar scorrere la mano sul cotone liscio di una t-shirt, decidere a seconda della reazione se rimanere in quella posizione o ritirare la mano sotto al cuscino.

Aveva trascorso tre ore così, a rigirarsi come un'anima in pena mentre i compagni di squadra dormivano della grossa, fin quando il sonno, la stanchezza e lo stress dei campionati nazionali non avevano avuto la meglio sul logorio della sua mente.

-Soichiro, tesoro, a che ora arriva il tuo amico?- chiese una dolce voce di donna, e sua madre apparve sulla soglia della stanza del figlio. Non molto alta, sempre di un'eleganza invidiabile, quel giorno indossava una gonna a tubino nera sotto ad una camicetta bianca dalle maniche a sbuffo. I capelli corti erano spettinati ad arte e incorniciavano un viso decorato da due occhi insolitamente grandi per una giapponese, uguali a quelli del figlio. Per un attimo, Soichiro la detestò: a causa di quegli occhi era stato preso in giro parecchio. Molti ragazzi a scuola, avevano decretato la sua omosessualità a causa dei suoi “occhi da uke”, così li avevano chiamati; conscio che la madre non avesse nessuna colpa, passò a detestare un po' se stesso, per aver involontariamente percorso la strada predetta dai bulli delle medie.

Sì, Soichiro Jin era omosessuale. Era ancora vergine, ma soffermandosi a pensare alla questione era giunto alla naturale conclusione che non si sarebbe fatto problemi ad assumere il ruolo di passivo.

-Soichiro? Ci sei?- lo richiamò la madre, con un sorrisetto che le incurvava le labbra sottili e rosse.

-Ah! Ehm... Nobunaga arriverà alle quattro.- rispose finalmente, poi si voltò di scatto sentendosi arrossire. La vivace matricola l'aveva espressamente invitato a chiamarlo per nome, e alla sua richiesta Soichiro si atteneva, ma di solito cercava di evitare, utilizzando qualche generico “ciao”, “ehilà” per salutarlo. L'unica volta che l'aveva davvero chiamato per nome era poi arrossito, ma alle prese in giro senza malizia del compagno aveva saputo ribattere che si sentiva strano a chiamare per nome qualcuno, perché non gli succedeva dalle scuole elementari.

Nobunaga sembrava aver accettato senza riserve la sua spiegazione, e aveva approfittato dell'occasione per spezzargli il cuore lanciandosi su di lui e ululando: -Allora questo vuol dire che sono il tuo migliore amico! Che bello!- Kami, se faceva male la friendzone.

-Tesoro, vuoi sederti un attimo con me, per favore?- chiese la madre di Soichiro.

-Ah, veramente devo finire di mettere a posto e...

-Siediti, Soichiro.- la voce della mamma, solitamente pacata e allegra, era stavolta seria e impositiva. Soichiro, preoccupato che fosse successo qualcosa di grave, la guardò sedersi sulla poltroncina della sua scrivania e si lasciò cadere di fronte a lei, girato di profilo sulla sedia del salotto che aveva portato lì apposta per far accomodare Nobunaga. Ebbe un fremito al pensiero che di lì a poco la bella matricola sarebbe stata lì dov'era lui.

-Sei innamorato di questo Nobunaga?- chiese la mamma a bruciapelo. Soichiro boccheggiò, arrossì, i suoi occhi si riempirono di lacrime, il petto gli si strinse in una morsa e stille di sudore cominciarono a fargli prudere il cuoio capelluto. Tutto nello stesso istante. La sensazione fu così forte, così travolgente, che Soichiro non riuscì a muoversi nemmeno per aggrapparsi alla scrivania, sebbene un capogiro minacciasse di farlo cadere a terra. La mamma gli prese una mano tra le proprie. Era strano vedere come quelle due manine, candide e piccole, con le dita incoronate da piccoli ovali di un discreto rosa perlato, sembrassero adulte al confronto con quelle del figlio, sebbene queste fossero molto più grandi, più abbronzate, dalle unghie corte e poco curate, con i polpastrelli resi duri e callosi per i ripetuti contatti con il pallone da basket.

-Mamma, io...- riuscì a spremersi a fatica.

-Tesoro, lui ti ricambia?- chiese la mamma. Soichiro alzò gli occhi nei suoi e gli parve di guardare se stesso; non vide alcun segno di astio o delusione, e ciò lo incoraggiò appena. Scosse il capo, ancora preda delle contratture muscolari, e ammise: -Non lo so, non gliel'ho mai chiesto. Ma va bene così, mamma, mi passerà.- la donna tacque. Non si dilungò in lezioni di vita, sapeva che il figlio non era in quel momento disponibile a recepirle e ricordava cosa significasse essere adolescenti, quando ogni pena d'amore pareva una questione di stato e ogni giorno difficile cresceva a dismisura fino a soffocare ogni speranza. Ma ricordava anche quanto fosse facile aggrapparsi ad un piccolo lumicino, quanto rapida fosse la gioia ad emergere ed eruttare, e il suo istinto di madre le permetteva di vedere oltre le convenzioni sociali e i dubbi di Soichiro: quante volte aveva risposto al telefono ed era Nobunaga, quante volte poi Soichiro aveva riferito che il ragazzo l'aveva chiamato solo per dirgli una cavolata. Per come la vedeva lei, Nobunaga chiamava spesso solo per sentire la voce di Soichiro, ma se l'avesse detto in quel momento il figlio non le avrebbe creduto, avrebbe fatto risalire ogni considerazione al suo desiderio che il figlio fosse felice, avrebbe sminuito ogni singola cosa per evitare alla speranza di sorgere, per risparmiarsi l'eventualità di poter crollare e di dover poi ricostruirsi pezzo per pezzo. Si sarebbe chiuso in se stesso e sarebbe stato lui stesso causa della propria rovina.

-Se hai bisogno di parlarne, sai dove trovarmi. Adesso ti lascio sistemare, perlomeno questa storia ti ha finalmente convinto a mettere in ordine questo porcile della tua cameretta.

-Mamma!- protestò Soichiro, ma la donna non rispose, limitandosi ad uscire ridacchiando.

Soichiro sospirò. Si maledisse per essersi cacciato in una situazione così spinosa, per essere stato così trasparente, e ignorò con attenzione qualsiasi considerazione positiva: che Nobunaga si rivolgeva sempre a lui, che spesso passavano del tempo insieme, che la mamma non lo giudicava per le sue inclinazioni sessuali. Si limitò a covare il proprio malumore percuotendo una pila di libri di Ken Follett per metterli in ordine meglio sullo scaffale a loro dedicato, rimpiangendo di non avere la forza d'animo di uno dei suoi personaggi, Robert von Ulrich, che nell'opprimente clima del primo anteguerra aveva comunque avuto il coraggio di amare un altro uomo.

La lancetta dei minuti sulla sveglia di Soichiro toccò il dodici mentre quella delle ore scattava di un millimetro verso il quattro, e un secondo dopo il campanello di casa trillò. Soichiro si alzò su gambe che parevano fatte di gelatina e raggiunse l'ingresso a passettini timorosi, cercando di concentrarsi solo sul suono delle ciabatte della mamma che si avviava ad aprire.

-Ciao, tu devi essere Nobunaga! Finalmente ti conosco di persona, sono la mamma di Soichiro!- disse allegramente la donna, e Soichiro entrò nell'ingresso proprio mentre Nobunaga varcava la soglia. Lo udì dire, nel solito tono di voce da strillone: -Caspita, signora, lei è davvero bellissima! Suo figlio ha i suoi stessi occhi!- e ridacchiò.

-Devi sempre farti riconoscere, eh?- disse a mo' di saluto. Nobunaga arrossì e si portò una mano a grattargli la nuca, colpendosi allo stesso tempo con la cartella: -Ahio! Ah! Mi scusi, signora, sono davvero un maleducato! È un piacere conoscerla!- la donna rise.

-Un complimento non è mai maleducato!- commentò, poi fece cenno a Nobunaga di entrare. Il ragazzo si tolse le scarpe e indossò un paio di ciabatte che erano state preparate appositamente per lui, poi guardò Soichiro in attesa di indicazioni.

-Seguimi, andiamo in camera mia.- disse lui, e si voltò prima di vedere un lieve rossore tingere le guance di Nobunaga, che dopo l'exploit di esordio era rimasto insolitamente poco chiassoso. Lo fece passare per primo e gli indicò la sedia: -Siediti pure.- Nobunaga entrò a passi lenti, guardandosi in giro con un'espressione di curiosità che faceva venir voglia a Soichiro di prenderlo per le orecchie e coprirgli la faccia di baci.

Nobunaga si accomodò, e Soichiro si sedette al suo fianco sulla poltroncina; mentre il primo sollevava la cartella per aprirla ed estrarre il quaderno, le loro ginocchia si sfiorarono. Soichiro si voltò precipitosamente e aprì un cassetto per cercare una penna, nel tentativo di nascondere al compagno l'improvviso imbarazzo. Non avrebbe creduto, davvero non avrebbe creduto che il semplice fatto di averlo lì vicino, in un ambiente più intimo, gli avrebbe creato così tanti problemi.

Quando si voltò di nuovo, Nobunaga aveva appoggiato libro, quaderno e astuccio di fronte a sé, e si era ficcato le mani nel tascone della felpa così a fondo che la stava tirando fin quasi alle ginocchia.

-Allora, a che punto sei arrivato?- chiese, ignorando la sensazione che Nobunaga si fosse accorto del suo imbarazzo e si fosse ritratto per disgusto.

-Ehm... ecco, io...- Nobunaga afferrò improvvisamente una matita e si mise a torturarla. Era sobria come il suo proprietario: verde, decorata per somigliare ad una canna di bambù e sormontata da una gomma per cancellare a forma di panda.

-Non hai neanche cominciato, vero?- Nobunaga esitò, imbarazzato, poi si gettò platealmente a terra e disse: -Non sono deeegno, non sono deeegno!- Soichiro scoppiò a ridere e lo prese per un braccio.

-Dai, alzati, cretino.- disse, riportandolo sulla sedia. Si scambiarono uno sguardo complice, finalmente rilassato, infine Soichiro rivelò: -Nakamura assegna lo stesso compito per le vacanze da diciotto anni. Parafrasiamo il mio dell'anno scorso e via.

-Ma non è un po' disonesto?- chiese Nobunaga.

-Non se io l'ho copiato da Maki, che l'ha copiato da un altro studente dell'anno prima, che...

-Ok, ok, ho capito!- rise Nobunaga, -Questo compito viene tramandato di generazione in generazione come un cimelio di famiglia!

-Esatto, ormai è tradizione del Kainan che le matricole passino un giorno d'estate a copiare il saggio sulla Rivoluzione Industriale da un sempai. Probabilmente ci crollerebbe il liceo in testa se interrompessimo la tradizione.

-Ehi, aspetta, hai detto diciotto anni?- chiese Nobunaga, raddrizzandosi sulla sedia. Soichiro si alzò e andò a prendere il quaderno dell'anno prima, che aveva già tirato fuori e appoggiato su uno scaffale, in modo che non fosse immediatamente visibile.

-Sì, o meglio: questo è il diciannovesimo anno. Così ha detto Maki.- si voltò e per poco non gli prese un colpo: Nobunaga si era alzato e l'aveva seguito, e ora le sue belle mani erano sui suoi bicipiti e lo trattenevano. I begli occhi violetti della matricola rilucevano di quelle scintille esaltate che precedevano momenti di gioco particolarmente ispirati o una delle sue assurdità. E infatti: -Soichiro, questo è il diciottesimo anno che andiamo ai campionati nazionali! Vuol dire che il Kainan c'è andato per la prima volta l'anno dopo rispetto a quando è stato assegnato la prima volta questo compito! E se tramandarsi il saggio per Nakamura fosse in realtà un atto propiziatorio? Pensa, magari l'anno prossimo cambia compito e noi l'anno dopo perdiamo il campionato!

-Ti farebbe comodo come scusa, eh?- lo punzecchiò Soichiro, allontanandolo da sé con il quaderno. Le mani di Nobunaga si chiusero su di esso e sfiorarono quelle di Soichiro.

-Che vuoi dire?- chiese, un po' rabbuiato.

-Vedi di allenarti e diventare un buon capitano, invece di affidarti a scemenze superstiziose.

-Capitano?!- sbottò Nobunaga, sgranando gli occhi. Soichiro si maledisse per un istante: la gioia nei suoi occhi era così fulgida, e così attraente. Disse: -Sei il miglior giocatore del tuo anno, e il compito di scegliere il successore spetta al capitano, cioè a me. Quindi, se continui a giocare come stai facendo adesso, tra dodici mesi esatti sarai il capitano della squadra di basket del Kainan.- Soichiro sorrise, poi un brivido caldo gli percorse la spina dorsale. Nobunaga lo stava fissando come se fosse una divinità scesa in terra. Lasciò il quaderno per interrompere quell'ombra di contatto con le mani di Nobunaga e si accorse di essere stato messo all'angolo. Per spezzare il nervosismo, aggiunse: -E con ogni probabilità starai facendo copiare questo stesso saggio a qualche...- un abbraccio lo interruppe.

Il corpo caldo di Nobunaga si premette contro il suo, le sue braccia sottili e muscolose gli cinsero le spalle e la sua fronte cozzò contro il lobo del suo orecchio.

Rimase immobile, incapace di muoversi, un po' per l'emozione e un po' perché Nobunaga l'aveva intrappolato con le proprie braccia, poi si accorse di un fattore preoccupante. Cercando di distrarsi dalla questione principale, cioè che il ragazzo dei suoi sogni lo stava abbracciando di sua spontanea volontà, stava prendendo in esame il contatto in sé; il fatto che lo stesse trovando estremamente piacevole avrebbe ben presto cominciato a notarsi. Posò le mani sui fianchi di Nobunaga e lo allontanò da sé con poco garbo proprio nel momento in cui i primi spasmi cominciavano davvero ad infiammargli il basso ventre e a provocargli qualche reazione fisica non richiesta.

-Oh.- soffiò Nobunaga, indietreggiando e facendosi scudo con il quaderno del sempai, -Oh. Scusami, non volevo essere invadente.

-Non sei invadente,- cercò di rimediare Soichiro, allungando coraggiosamente una mano a scompigliargli i capelli, -Sei Nobunaga.- sul viso della matricola si dipinse quel sorriso soddisfatto da micio che fa le fusa quando gli fanno i grattini in quel punto magico che ogni gatto ha, e per poco Soichiro non fu travolto dall'esigenza di usare quella stessa mano per trarlo a sé e baciarlo.

Fu salvato da un discreto bussare alla porta della camera: -Ragazzi, ho fatto del tè, ne volete?

-Sì, mamma, volentieri!- rispose Soichiro, e la donna entrò. Depose il vassoio sulla scrivania mentre i due ragazzi si spostavano dal loro angolo per ritornarvici, poi chiese: -Fatemi indovinare. Sempre lo stesso saggio sulla Rivoluzione Industriale?

-Sì,- rispose Soichiro, -Non so come faccia a non capire che tutti gli anni almeno metà degli studenti se lo fa passare da qualche sempai.

-Oh, lo sa. Lo sa benissimo.- rispose la donna con un sorriso sibillino.

-In che senso, lo sa?!- chiese Soichiro, attonito. La donna emise una risatina e si appoggiò allo schienale della sedia su cui era seduto Nobunaga e raccontò: -Quando io e tuo padre andavamo al Kainan, era un liceo sfigatissimo. La squadra di basket non vedeva le eliminatorie dei campionati della prefettura da qualcosa come trent'anni, eppure sono passati tanti ragazzi davvero bravi nel corso del tempo... avevano cominciato a girare voci di maledizioni, malocchio, cose così, e alla fine avevano coinvolto anche i professori. Eravamo il liceo più superstizioso di Kanagawa, e Nakamura era il comandante in capo dei più accaniti.

-Davvero?!- chiese Nobunaga, volgendo verso di lei gli occhi spalancati. Il suo profilo era regolare e affascinante: -Ma se quando parla di superstizioni a lezione prende sempre in giro la gente che pensava di vedere segni ovunque!

-Quello è parte dei suoi riti.- rispose la donna con gentilezza, -Negare, negare sempre. Dice che non bisogna rivelare ai miscredenti le tradizioni propiziatorie. Poi ovviamente lo sa tutta la scuola.

-Io non lo sapevo!- protestò Soichiro.

-Questo perché sei un asociale, piccolo mio. Comunque, diciannove anni fa, quando io ero in seconda, ha assegnato per la prima volta questo saggio. L'anno dopo, quando la squadra ha vinto, mentre ero in sala professori l'ho sentito dire che per far vincere la squadra si sarebbe messo calzini rossi ad ogni partita, l'orologio al polso destro e avrebbe assegnato quel saggio ogni anno. Ha parlato di qualcosa riguardo a Tanabata, ma a quel punto sono dovuta uscire.

-Hai visto, Soichiro? Avevo ragione, avevo ragione! E tu che mi prendevi in giro!- esclamò Nobunaga, battendo una mano sul ginocchio del sempai, che concesse: -E va bene. Avevi ragione, Nobunaga Kiyota aveva ragione, sentito tutti? Nobunaga Kiyota! Aveva! Ragione!- Soichiro sfogò il nervosismo fingendo di indicare il compagno ad un pubblico invisibile, e fu ricompensato dalle risate della madre e di Nobunaga.

-Vi lascio copiare in pace.- disse poi la mamma, avviandosi verso il corridoio, -Se volete altri biscotti venite a prenderli... ma fate in fretta, perché il mio golosone ne sta mangiando a manciate!- la porta si richiuse alle sue spalle con un suono lieve.

-Caspita, tua mamma era davvero giovane quando sei nato.- commentò Nobunaga.

-Sì, è rimasta incinta a diciannove anni. Era appena maggiorenne quando sono nato.

-Lei e tuo padre si sono conosciuti al liceo?

-Sì, sugli spalti della palestra, lei aveva quindici anni e lui sedici. Erano entrambi tifosi sfegatati di basket. È per questo che mi hanno fatto iscrivere al club, sono cresciuto a pane e NBA.

-Caspita... che bello, però, innamorarsi al liceo e poi passare tutta la vita insieme...- disse Nobunaga, lo sguardo sognante fisso fuori dalla finestra. Con il mento poggiato sul pugno chiuso e la luce del sole che gli accarezzava la pelle era davvero una visione meravigliosa.

-Ti piace qualcuna?- chiese Soichiro, senza voler davvero ascoltare la risposta. Nobunaga arrossì, si torse un po' le mani e abbassò lo sguardo sulle proprie ginocchia. Esitò, poi ammise: -Beh, ecco, c'è... c'è una persona che... ma non credo... sì, insomma, hai capito.

-Veramente no, ma non importa. Se non vuoi parlarne non è un problema, scusami se sono stato invadente. Non volevo metterti in imbarazzo.

-Ah, non è niente. Lo so che sono contagioso.- rispose Nobunaga, scuotendo il capo fingendo di essere sconsolato. Si servirono di tè e biscotti e la conversazione si spense per dare la precedenza ai compiti. Soichiro dettava, tra un boccone e l'altro, riformulando qualche frase e riordinando i vari concetti per dare una parvenza di originalità al saggio, e Nobunaga scriveva in bella calligrafia. Soichiro ebbe il tempo di rilassarsi alla vista della sua mano che tracciava kanji ordinati, si abituò alla sua vicinanza e cominciò finalmente a trarne uno strano beneficio. Gli sembrava che stessero costruendo una strana complicità, che il loro segreto di Pulcinella sul copiare il compito fosse in realtà una specie di patto che stava rinsaldando il loro legame.

Un'ora dopo, Soichiro chiuse il quaderno e annunciò: -Bene, abbiamo finito.

-Oh, per fortuna!- disse Nobunaga, lasciando cadere la penna e roteando il polso, -Cominciavo a credere che mi si sarebbe staccata la mano!

-Pensa che Maki, l'anno scorso, si era preparato già la versione un po' corretta da farmi copiare, e me l'ha dettata a velocità supersonica. L'ho scritta con una zampa di gallina pazzesca, e appena tornato a casa ho dovuto ricopiarla di nuovo, altrimenti Nakamura non avrebbe potuto decifrare i miei geroglifici. Ho passato la serata con la mano in un catino pieno di ghiaccio.- Kiyota rise.

-Ce lo vedo Maki ad andare avanti come un carro armato, lo fa sempre!- commentò. Chiuse il quaderno, lisciando la costa che aveva schiacciato appoggiandocisi sopra per tenerlo aperto, poi disse: -E... senti... a te... sì, insomma, a te piace qualcuna?- Soichiro esitò, poi aprì piano la bocca per mentire spudoratamente. Nobunaga aggiunse: -Se non vuoi dirmelo non...

-Non è una ragazza.- si sentì dire Soichiro, e inorridì. Pigolò: -Scusa.

-Ma scusa di che, sei scemo?- ribatté Nobunaga, e Soichiro ebbe il coraggio di alzare gli occhi verso di lui. Il suo bel viso era torto in un'espressione severa, insolita per lui: -Guarda che non sei mica l'unico! E non c'è niente di brutto in questa cosa, è solo...

-Dannatamente complicato.- concluse per lui Soichiro, poi si appoggiò allo schienale della poltroncina, che si inclinò appena sotto al suo peso. Si molleggiò, assaporando i lievi scossoni assecondati dal movimento della sedia.

-Pensa che c'è chi sta peggio.- disse Nobunaga a voce bassa e tremante.

-Tipo?

-Tipo Sakuragi.- Soichiro scoppiò a ridere. Nobunaga ce l'aveva sempre a morte con Sakuragi.

-No, parlo sul serio!- proseguì Nobunaga, -Pensa: lui è gay, mezzo rotto, brutto, stupido e di chi si è andato a innamorare? Di Rukawa!

-Rukawa?! Ma scherzi?!

-Te lo giuro!- Nobunaga si tracciò una X sul petto, in corrispondenza del cuore.

-E tu come lo sai?- indagò Soichiro, felice che il discorso non fosse più incentrato sullo spinoso argomento sollevato dalla domanda di Nobunaga.

-L'ho chiamato al centro di riabilitazione per sapere come stava e prenderlo un po' per il culo, solo che l'ho beccato in un momento brutto. Aveva appena scoperto che Rukawa è in ritiro con la Nazionale Juniores a tipo un chilometro da lì e l'ha visto passare sulla spiaggia. Insomma, speravo di scambiarmi quattro insulti con un amico e ho finito per prestargli una spalla.- Soichiro tacque, cercando di soffocare quelle stilettate di gelosia che avevano cominciato ad emergere al pensiero che Nobunaga avesse telefonato a Sakuragi apposta per sentire come stava. Infine disse: -Beh, non credo che sia così sfortunato. Da quel che vedo, Rukawa è indifferente a tutto tranne che al basket e a Sakuragi. Prova a pensarci un po'.- Nobunaga si prese il mento tra indice e pollice, nella plateale imitazione di un pensatore. Mugugnò: -Mh, potresti non avere tutti i torti.

-Mi fa piacere, comunque, che non ti faccia schifo.- soffiò Soichiro.

-Che non mi faccia schi... ma porca miseria, Soichiro, cosa ti dice il cervello?

-Il cervello mi dice che alle medie mi dicevano che ero gay per insultarmi, e che quindi non è una cosa automaticamente accettata!- fu la risposta, molto logica, a cui Nobunaga non seppe ribattere. Per sdrammatizzare, Soichiro disse: -In ogni caso, per quanto riguarda Sakuragi e Rukawa, credo che non dovremo aspettare molto. Un tipo impulsivo come Sakuragi non ci metterà molto a farsi prendere dagli ormoni.- Nobunaga non replicò, si umettò le labbra e si agitò sulla sedia, a disagio. Infine sembrò prendere una decisione e si alzò dalla sedia; Soichiro, nel panico, disse: -Ehi, guarda che io ho molto più autocontrollo, non ti salterò addosso, lo giu... cosa stai facendo?- Nobunaga aveva chiuso a chiave la porta della camera. Tornò a sedersi, e un fremito gli percorse una gamba, che cominciò a muoversi su e giù sulla spinta di un piede irrequieto.

-Nobunaga?- chiamò Soichiro, con gli occhi sgranati; allungò una mano per sollevare il viso del compagno verso di sé, ma all'ultimo non ebbe il coraggio di toccarlo, e lo sguardo di Nobunaga rimase ostinatamente puntato sul gomito del compagno.

-Anch'io sono impaziente.- sbottò infine la matricola, -Aspetto che i miei ormoni si facciano coraggio al posto mio.- Soichiro spalancò la bocca, attonito. Nobunaga disse a mezza voce: -Avanti, ragazzi, che aspettate?- e finalmente il ragazzo più grande capì.

Innanzitutto, capì qual era il motivo che spingeva Nobunaga a rivolgersi sempre a lui per qualsiasi cosa, invece che a chiunque altro.

Si rese conto che Nobunaga era espansivo e affettuoso solo nei suoi confronti, e capì che era un modo per racimolare del contatto fisico mentre era certo di non poterne pretendere.

Ma soprattutto, capì di essersi innamorato di un imbecille che parlava con i propri ormoni.

Scoppiò a ridere, non smise neanche di fronte allo sguardo ferito e terrorizzato di Nobunaga, lo prese per la testa e lo trasse a sé; sempre ridendo, disse: -Oh, vieni qui, stupidotto, ci penso io.- e mentre ancora Nobunaga era impreparato, intento a capire cosa stesse succedendo, lo baciò.

Fu un bacio casto, rapido, a labbra chiuse, ma tanto bastò per far ritrovare il coraggio alla matricola: Nobunaga fermò Soichiro mentre già si ritraeva, e con il solo invito di una mano sulla nuca lo riportò sulle proprie labbra. Non fu difficile.

Si baciarono a lungo, imprecisi e inesperti, ma carichi del desiderio di imparare insieme passo per passo. Timide, le loro lingue si incontrarono, si accarezzarono allo stesso ritmo languido con cui le loro mani si esploravano reciprocamente i corpi.

Soichiro si mise a cavalcioni delle gambe di Nobunaga, le cui mani scesero ad accarezzargli le natiche, poi risalirono in vita e spinsero appena. Soichiro si scostò.

-Oggi vorrei solo baciarti.- confessò Nobunaga.

-Mi sta bene.- rispose Soichiro, un po' perplesso per lo sguardo serio e deciso che aleggiava sul viso di Nobunaga, sotto al cespuglio di capelli folti ora spettinati per i ripetuti passaggi delle sue dita.

-Vorrei tanto fare altro, davvero, lo vorrei, ma...- Soichiro si alzò e tornò a sedersi sulla poltroncina. Appoggiò una mano sul ginocchio di Nobunaga e ribadì: -Va bene, non ti preoccupare.

-I miei genitori sono finiti a letto insieme la prima volta che sono usciti, ok?- sbottò Nobunaga, -E si sono lasciati quando ero piccolo! Anche i miei zii hanno fatto tutto in fretta e adesso non stanno più insieme, e anche Maki prima scopa poi chiede e le sue storie non durano mai più di un mese!

-Nobunaga, non capis...

-Io non voglio che noi finiamo così, ok? Voglio fare come i tuoi genitori, voglio diventare grande insieme alla persona di cui mi sono innamorato a scuola, va bene?- Nobunaga si interruppe e guardò Soichiro con il terrore negli occhi: -Oh, cazzo, neanche ti ho chiesto tu che cosa vuoi, mi sono imposto e basta, scusami! Scusami, ti prego, scu...- Soichiro interruppe il suo sproloquio con un altro bacio.

-Sono scusato?- suppose Nobunaga.

-Sì. Mamma e papà hanno aspettato, lo so perché appena sono cresciuto abbastanza da capire il discorso sulle api e sui fiori il papà mi ha detto che non devo mettere fretta alle ragazze, anche se vorrei fare tutto subito. Tu sei un maschio, ma... ma io credo che il discorso valga lo stesso.

-Grazie.- sussurrò Nobubaga.

-Non vorrei mai forzarti a fare qualcosa che ti mette a disagio. Succederà quando ci verrà naturale.- Soichiro esitò, poi con una risatina confessò: -Lo ammetto, però, appena andrai a casa dovrò fare qualcosa per calmarmi perché sei... sei...

-Da un lato spero che questo pomeriggio non finisca mai, dall'altro non vedo l'ora perché ho le palle blu. Dovrò segarmi come un matto tutta la sera.- disse Nobunaga. Risero insieme, le fronti appoggiate l'una all'altra, poi Nobunaga si fece serio e disse: -Suki da, Soichiro.

-Suki da, Nobunaga.- rispose l'altro, sorridendo ancora un po' di più.

-Lo so che la mia sembra una stupida superstizione da creduloni, ma...

-Ma perché rischiare?- concluse Soichiro. -E adesso baciami, perché se sorrido ancora un po' più di così...- Nobunaga non gli diede modo di finire la frase. Ricominciarono a baciarsi, beandosi nella prospettiva di avere tutto il tempo del mondo per poter crescere insieme.

 

 

 

 

 

Per Ste_exLagu, compagno Tassorosso e autore del commento numero 394 alla mia fic “L'Amore è Nell'Aria Stasera”. Il riferimento a Harry Potter con un potteriano era troppo gustoso per non cogliere l'occasione e scrivere una fic a caso.

Sugar, ricordati che se mi dai solo un estremo della crack io poi punto a vincere facile (bonsci bonsci bo bo bon) U_U

 

   
 
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