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Autore: ONLYKORINE    21/09/2019    2 recensioni
Camille era sempre stata un Celestecolibrì, a Beauxbatons, ma quell'anno l'aquila dello smistamento decise di farle cambiare casa e metterla fra quelli che odiava di più: i Violasirena.
I Violasirena erano bugiardi, ammaliatori, nascondevano segreti ed erano estremamente egoisti. Lei era ancora un Celestecolibrì, un delicato, agile e altruista Celestecolibrì, cosa ci faceva in mezzo a loro? E perchè avevano deciso di cambiarle casa?
Camille è un personaggio della mia long, 'Ritorno a Hogwarts', ma la storia si legge anche da sola.
La storia partecipa al concorso su Wattpad 'Oltre ai confini di Hogwarts'. Un nostro OC che frequenta una delle altre scuole di magia.
Buona lettura!
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuova generazione di streghe e maghi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Ritorno a Hogwarts e one shot'
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non cambiare ciò che sei

Non cambiare ciò che sei

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1/09/2000

Camille pensava di aver fatto una stupidaggine.

Quando scese dall’enorme carrozza che accompagnava gli studenti diretti a Beauxbatons direttamente nel cortile della scuola, si guardò intorno e cercò di riempirsi gli occhi con quelle meraviglie: la fontana magica di acqua cristallina, illuminata naturalmente come se fosse giorno e l’immenso parco curato e fiorito, il grande lago di acqua chiara e il fantastico, elegante, sinuosissimo palazzo.

Tutta la scuola era circondata da montagne dalle punte innevate che facevano da sfondo al castello più raffinato e signorile di tutte le scuole di magia presenti sulla terra.

Peccato che fosse sera e il tutto non dava la giusta impressione come al mattino presto, però. Camille sperava che il giorno dopo, sulla terrazza riservata alla sua casa, il Celestecolibrì, ammirando il panorama e chiacchierando con le altre ragazze, si sarebbe di nuovo riempita il petto di tutte le sensazioni degli anni passati. Ma ora, man mano che i bauli venivano scaricati dalle carrozze, iniziava ad avere qualche dubbio.

Camille Lemaire, una giovane strega purosangue di sedici anni, aveva iniziato la scuola a Beauxbatons e aveva passato tre anni stupendi, ma poi era scoppiata la guerra magica nel Regno Unito, dove il Signore Oscuro, che i suoi genitori avevano servito con devozione e aspettativa, era stato sconfitto da Harry Potter e lei si era trasferita dalla sorellastra iniziando a frequentare la scuola di Hogwarts.

Quei due anni di scuola non erano stati male, ma a Camille mancava tantissimo la Francia e in particolare Beauxbatons, così era riuscita a convincere la sorella a finire gli studi nella sua patria natale.

Ora però, pensava di aver fatto una stupidaggine. La scuola non le stava dando la sicurezza che cercava. Quella che le aveva sempre dato. Sperava che tornando lì si sarebbe di nuovo sentita a casa e invece… invece niente. La solita inquietudine. Di quando si era ritrovata da sola con la sorella. Certo, sapeva che fosse giusto così, ma ora si sentiva come uno dei fantasmi che vagavano per i castelli.

Sospirò e si avviò verso l’entrata del sontuoso palazzo. Justine, la sua migliore amica, era vicino a Helene e Brigitte e si incamminò con loro. Lanciò un’occhiata di nascosto verso Justine e la sentì ridere con una delle altre ragazze. Sulla carrozza Camille e Justine avevano bisticciato e ora facevano finta di non vedersi. Camille sospirò e seguì le altre all’interno.

La sala da pranzo era molto diversa da quella di Hogwarts ed era molto più grande, visto che Beauxbatons ospitava molti più studenti della scuola britannica. Si avvicinò al piccolo stagno dove le ninfe avevano iniziato il loro canto di accompagnamento al pasto e osservò la sala. Grandi tavoli ovali erano sistemati per gli studenti, mentre i professori mangiavano a un tavolo molto più ampio, proprio vicino allo stagno delle ninfe.

Cercò il tavolo a cui doveva sedersi e lo trovò proprio davanti al banchetto dei professori. Un intricato disegno floreale inciso sul legno indicava il sesto anno della casa dei Celestecolibrì e le sedie accostate erano sedici. Si sedette su una sedia intarsiata ricoperta di velluto e fece cenno alle altre di raggiungerla. Le lunghe gonne della divisa frusciavano sulle gambe delle ragazze e i risolini le accompagnarono al tavolo di Camille. Quando si sedettero tutti, una tovaglia di broccato si materializzò sopra le loro teste e tutti si spostarono per permettere al tavolo di apparecchiarsi da solo.

Justine si sedette in fondo al tavolo, proprio dalla parte opposta di Camille, come se fosse ancora arrabbiata con lei e Camille la guardò con tristezza ma senza dirle niente. Quando Camille si spostò dalla fronte una ciocca di scuri capelli, portandoseli dietro all’orecchio si chinò verso il suo vicino di posto, Paul, per dirgli qualcosa e non vide lo sguardo che Justine le lanciò. Non vide neanche quello che le lanciò Lionel Moreau, dal tavolo del settimo anno dei Celestecolibrì.

Quando le ninfe intonarono l’inno della scuola, tutti gli studenti si alzarono dalle sedie e volsero lo sguardo verso l’entrata: l’ingresso della direttrice, Olympe Maxime, fece calare il silenzio nella stanza: solo le ninfe continuarono il canto. Quando la direttrice s’incamminò verso il pulpito da cui avrebbe fatto il discorso di apertura, tutta la sala restò in silenzio a guardare lei e la fila dei professori che seguiva la preside.

Soltanto quando tutti i professori si sedettero e Madame Maxime prese posto al pulpito, gli studenti si riaccomodarono. A Camille non era mancata tanto quella rigida educazione della scuola, Hogwarts era meno antiquata, secondo lei.

La preside annunciò l’arrivo dei nuovi alunni e tutte le teste si girarono ancora verso l’entrata: una sessantina di ragazzini varcarono il portone e camminarono in fila ordinata a coppie, guardandosi intorno con stupore, incantati dall’eleganza dei tessuti, dai candelabri dallo stile ricercato che cadevano dal soffitto, dagli stucchi che ricoprivano le pareti, per non parlare degli affreschi disegnati sul muro dove giovani ancelle guardavano gli alunni con la loro stessa curiosità.

Camille sorrise a vedere il volto estasiato dei piccoli studenti; si ricordava benissimo come si era sentita entrando a Beauxbatons la prima volta: timorosa, ma anche curiosa e orgogliosa di poter finalmente tenere in mano la bacchetta e fare magie.

I giovani studenti, tutti nelle loro divise color carta da zucchero, si allinearono in fila e si voltarono verso la sala.

Madame Maxime si andò a sedere e fece un cenno a una delle ninfe per far partire la cerimonia dello smistamento. La ninfa, una leggiadra fanciulla dai capelli scuri raccolti sulla nuca e dalla tunica color avorio, cantò un melodioso brano sulla bellezza della scuola e quando finì si inchinò. Uno scroscio di applausi riempì il silenzio e una piccola pergamena si materializzò fra le sue mani. Nel momento in cui toccò il foglio, una grossa aquila sbucò dal laghetto e schizzando la sala di acqua cristallina si andò a posare sul pulpito lasciato libero dalla preside.

La ninfa chiamò, cantando, uno per uno tutti i nuovi studenti. Ogni volta che nominava uno studente, l’aquila si alzava in volo e girava tre volte sulla testa del ragazzino: leggeva i pensieri e decideva in quale casa metterti. Camille lo aveva sempre trovato affascinante. Molto più del rattoppato cappello parlante che a Hogwarts l’aveva smistata nella casa Serpeverde.

Quando volò su Alain Arnaud, il primo della fila, il ragazzino guardò in alto ammirato: non era un’aquila come le altre, il suo piumaggio era cangiante e di colore pastello. Quando gridò, una piuma si staccò dalla sua coda e volteggiò in tondo fino a cadere sulle mani di Alain. In quel momento divenne bianca: Biancounicorno. Alain era stato smistato in quella casa. La sua cravatta divenne del colore della piuma e lui spalancò gli occhi dalla meraviglia.

La casa dei Biancounicorno era famosa per la saggezza e la bontà. Sul lato dove c’erano le tovaglie candide si sprigionò un applauso e una sedia apparve vicino al tavolo designato per il primo anno.

Altri ragazzi vennero smistati: Dominga Diaz, che veniva dalla penisola iberica, venne smistata in Verdedrago, la casa dei temerari e gli innocenti, mentre due gemelli, Jean e Marie Dubois si sedettero rispettivamente fra Celestecolibrì e Violasirena.

La cerimonia durò un po’ visto la quantità di studenti e alla fine, quando nessuno rimase in fila e tutti ebbero avuto la piuma di smistamento, l’aquila, invece di tornare nelle acque del laghetto, volò sulla ninfa, gridando. La fanciulla alzò lo sguardo e l’aquila gridò ancora volando vicino alla pergamena. La ninfa la riprese in mano e spalancò gli occhi stupita prima di cantare l’ultimo nome: Camille Lemaire.

Anche Camille spalancò gli occhi. Perché aveva fatto il suo nome? Lei era già stata smistata sei anni prima: era un Celestecolibrì. Abbassò gli occhi sul piccolo nastrino celeste che pendeva dal suo collo, segno che la contrassegnava come appartenente a quella casa, ma questo divenne limpido come l’acqua.

Camille seguì con lo sguardo l’aquila che si alzò in volo verso di lei e volò in tondo sulla sua testa. La giovane strega rimase imbambolata, incapace di pensare qualsiasi cosa.

Poi l’aquila gridò e una piuma prese a cadere. Volteggiò in tondo per tre volte, prima di scendere, poi tornò in alto e volò ancora su se stessa. Camille seguiva il suo tragitto con il cuore che le batteva forte. Cosa sarebbe successo? Forse con il fatto che aveva passato due anni a Hogwarts, bisognava ripetere lo smistamento. Era una procedura burocratica. Sicuramente. La piuma sarebbe caduta sulle sue mani e sarebbe stata celeste, come sei anni prima. Ma il suo cuore non si calmò e lei ebbe quasi paura di quello che sarebbe potuto succedere.

Quando la piuma le cadde sulle mani, si tinse di violetto. Un pallido e tenue violetto. Ma sempre violetto era. Ed era molto diverso dal celeste. Molto, molto diverso. Proprio un altro colore.

Camille spalancò ancora gli occhi e vide il nastrino cambiare colore e diventare viola come l’ametista che sua sorella aveva sull’anello.

E adesso?

 

Madame Maxime si alzò dal suo posto e raggiunse il pulpito da cui avrebbe fatto il discorso per l’inizio dell’anno scolastico e disse, con un Sonorus: “Tesoro, puoi per cortesia alzarti e raggiungere la tua casa?”

Camille sbatté gli occhi, ancora confusa. Era proprio vero: non era più un Celestecolibrì ed era diventata una Violasirena. Annuì senza dire una parola e si alzò dal tavolo. Non riuscì a guardare in faccia nessuna delle sue compagne di casa. Ah, no, non erano più compagne di casa, erano… cos’erano adesso?

Camille alzò lo sguardo su Justine che la guardò con gli occhi spalancati e non disse niente. Beh, effettivamente neanche Camille sapeva cosa dirle… non era neanche sicura fossero ancora amiche, dopo la discussione in carrozza.

Quando fece un passo indietro, la sedia su cui era stata seduta fino a quel momento sparì e la stessa fine fece anche il coperto apparecchiato per lei. Gli altri piatti si spostarono e le sedie si allargarono per chiudere il buco.

Con la morte nel cuore, Camille guardò ancora il tavolo e gli altri ragazzi dei Celestecolibrì, poi si girò e iniziò a camminare verso il lato della sala dove i ragazzi del sesto anno della Violasirena erano seduti.

Quando si avvicinò, le sedie dei ragazzi già seduti si spostarono quando comparve un’altra sedia e il tavolo si allargò per ospitare un ulteriore coperto. Qualcuno dei maschi brontolò per il movimento e un bicchiere cadde quando una ragazza non lo vide spostarsi verso di lei. Dei gridolini accompagnarono lo spostamento delle posate e la sala si riempì di imbarazzo.

“Scusate…” disse Camille. Si sedette alla sedia ricoperta di velluto viola e aspettò che iniziasse la cena. Non ascoltò il discorso della preside, né mangiò, quella sera: si sentiva malissimo.

Se prima lo aveva solo pensato, ora sapeva perfettamente che tornare a Beauxbatons era stata una scelta sbagliata.

***

L’aula di Incantesimi aveva quel profumo di lavanda che a Camille piaceva tantissimo, così tanto da scegliersi un profumo di quell’essenza quando aveva vissuto in Regno Unito. I banchi e le sedie eleganti con gli intarsi di legno, gli stucchi sulle finestre e le tende candide che danzavano con il vento le diedero un sollievo al petto: era tornata a casa.

Si mise seduta dal lato dei Violasirena e appoggiò la sua borsa. Tolse il libro e aspettò che iniziasse la lezione.

Erano due giorni che era iniziata la scuola e quella era la prima lezione di Incantesimi, la materia preferita di Camille: lei era bravissima in incantesimi, sarebbe andata benissimo. Sfogliò il libro mentre il resto dei suoi compagni prendeva posto.

La professoressa Roux entrò in classe con il passo veloce e la schiena dritta e tutta la classe si alzò in piedi: a Beauxbatons erano importanti anche il portamento e l’educazione.

L’insegnante salutò tutti e prese a spiegare una noiosissima lezione sugli effetti collaterali di un incantesimo lanciato in maniera non corretta. Dopo una lunga spiegazione, fece apparire, su ogni banco, un vaso con una minuscola piantina in ognuno.

“Ora, ognuno di voi, incanterà il suo vaso con un ‘Erbivicus’ e farà crescere, lentamente, il suo seme, fino a ottenere una pianta completa” spiegò. Poi disse ai ragazzi che potevano iniziare e si avventurò fra i banchi per assistere allo svolgimento del compito.

L’incanto Erbivicus era un incantesimo di media difficoltà ma Camille sorrise perché sapeva svolgerlo alla perfezione: aveva passato l’estate nel giardino della casa di famiglia a sistemare il giardino con Pansy. Dopo che il ministero inglese aveva sequestrato la loro casa, l’avevano ridotta malissimo e a sua sorella era servito anche il suo aiuto per sistemarla.

Quando pronunciò l’incantesimo, però, non accadde quello che doveva succedere, ossia la crescita della pianta rossa, che Camille aveva visto nel vaso del suo vicino di banco, ma il suo stelo si divise a metà, creando due piantine differenti e riempiendosi di foglie strane.

Tentò di riformulare l’incantesimo, ma peggiorò la situazione: le due piantine crebbero ancora di lato e le foglie riempirono così tanto gli steli da coprirlo interamente. Quando ci provò ancora, le foglie presero il sopravvento e le due piantine si fecero così pesanti da appoggiarsi ai lati del banco. Presa alla sprovvista e un po’ spaventata Camille esordì con un: “Finitem incantem!”, che le si impappinò sulle labbra e non uscì nella maniera corretta.

I fiori rossi apparsi l’ultima volta, erano tantissimi e presero a gonfiarsi sempre di più finché non scoppiarono lanciando intorno una miriade di piccoli pistilli gialli e macchie rosse.

Camille si guardò la divisa e quasi scoppiò in lacrime a vedere tutti quei piccoli puntini sul corpetto ricoperto di un densissimo liquido rosso. La sua divisa! A Beauxbatons era importantissimo essere eleganti, composti e ben ordinati.

“Guarda come mi hai ridotto il gilet!” gridò Bonnet, dal banco accanto a lei e Camille si girò verso di lui: anche la sua divisa era imbrattata da quella roba strana.

“Scusami…” balbettò la ragazza. La professoressa Roux si avvicinò di corsa, alzando la voce sul resto della classe.

“Calma, calma” disse e si avvicinò al banco di Camille. Quando le fu davanti la sua faccia si fece un po’ severa. “Signorina Lemaire…” iniziò, ma sembrava non sapesse cos’altro dire. Camille pensò che fosse delusa. Senza dubbio lo era, delusa da lei, lo era anche Camille!

Quando un ragazzo ridacchiò dal lato dei Verdedrago, la donna si voltò, lo fulminò con gli occhi e lui abbassò lo sguardo ridimensionando la risatina. Camille si sentì morire e guardò anche tutti gli altri: tutti la guardavano con un misto di pietà e quel sollievo di non essere stati i peggiori della classe.

“Dovrò togliere dieci punti alla casa Violasirena…” disse ancora la professoressa che poco prima aveva tolto gli stessi punti a una ragazza che aveva sbagliato l’incantesimo.

Tutto il lato dei Violasirena brontolò e Bonnet mormorò a bassa voce: “Ci hanno rifilato i loro scarti”, ma abbastanza chiara da farsi sentire da lei.

Camille si sentì malissimo, voleva piangere. Scappò fuori dall’aula e corse lungo i corridoi del palazzo fino a raggiungere uno dei bagni. Si chiuse dentro e pianse fino all’ora del pranzo.

***

Quando uscì dal bagno, si trovò davanti, nel corridoio, Lionel Moreau. Camille lo conosceva bene, era uno dei ragazzi che frequentava anche fuori da Beauxbatons.

“Ciao, Lionel” lo salutò. Sperò che non si accorgesse dei suoi occhi rossi e abbassò lo sguardo. Era intimorita e non sapeva perché, si conoscevano da quando Camille aveva iniziato a frequentare Beauxbatons, ma ora, per via del cambio di casa, non gli aveva più parlato.

“Tutto bene, Camille?” le chiese lui. Si avvicinò a lei e le prese la mano. Camille si stupì e alzò lo sguardo sul ragazzo: cosa stava facendo? Quando si rese conto di aver dovuto alzare di molto lo sguardo, sentì il calore salirle al viso: aveva sempre preso in giro Lionel perché era più basso di lei, mentre ora lui la superava di un bel po’. Tutto il mondo le si stava mettendo contro e lei iniziava a sentirsi sbagliata.

Annuì incapace di dire qualsiasi cosa e un po’ si stupì del fatto che fosse vero: ora che era vicino a lui, si sentiva meglio.

Lionel non le lasciò la mano e le fece cenno di incamminarsi verso la sala da pranzo e lei, non ancora in grado di dire qualcosa di senso compiuto, ubbidì senza dire niente e insieme si avviarono lungo il corridoio.

“Sono contento che tu sia tornata a Beauxbatons” disse, sottovoce, quando passando per un corridoio stretto, lui dovette avvicinarsi a lei per lasciare passare un gruppetto di studenti.

“Davvero?” chiese stupita Camille. Era contento? Non sapeva neanche che gli dispiacesse che se ne fosse andata, non glielo aveva mai detto. “Ma adesso sono una Violasirena…”

“Già, mi spiace non incontrarti in sala comune” ammise lui.

“Manca anche a me la sala comune” disse Camille. Le mancava tutto, non solo la sala comune: il palo a cui ci si aggrappava per scendere dai dormitori, i quadri della sala cumune, anche l’uragano che portava via i ragazzi quando si intrufolavano nei dormitori femminili.

Ma soprattutto le mancavano Justine e le altre. Nessuna delle altre ragazze le parlava, anche se era vero che Camille non sapeva come comportarsi con loro e spesso preferiva evitarle quando le incontrava in corridoio.

“Com’è la sala comune dai Violasirena?” le chiese Lionel, rallentando il passo quando arrivarono davanti alla porta della sala da pranzo.

Camille alzò le spalle: non era male, ma lei preferiva ancora la sala comune dei Celestecolibrì. “Insomma…” disse.

“Scommetto che ci sono dei lati buoni anche a essere dei Violasirena” disse ancora il ragazzo. Camille fece una smorfia. Avevano sempre preso in giro quella casa, quando si trovavano fra loro dei Celestecolibrì, perché ora diceva che c’erano anche lati buoni?

“Mmm, non abbiamo mai parlato bene di loro” disse Camille alzando le spalle.

“Sai, invece, cosa si dice delle ragazze Violasirena nella camera del settimo anno dei Celestecolibrì?” le chiese ancora, voltandosi verso di lei. Camille scosse la testa. Parlavano di ragazze? Oh, Camille, svegliati, sono ragazzi, sappiamo tutti cosa pensano i ragazzi! “Si dice che le Violasirena siano TUTTE molto belle, soprattutto quelle del sesto anno” continuò Lionel, sorridendo dolcemente. Fece due passi indietro e sparì dentro la sala.

Camille sentì le guance scaldarsi e sorrise senza rendersene conto. Cosa aveva detto?

***

Il giorno dopo Camille era in biblioteca a studiare e Lionel si sedette accanto a lei, sorprendendola un’altra volta.

“Ciao, Camille.”

“Lionel!” Un sorriso le salì alle labbra.

“Ti va di fare una passeggiata nel parco?” Come? Come? Lionel le stava chiedendo di uscire? A lei? Aveva sentito le sue compagne di stanza parlare di lui e fare apprezzamenti anche particolarmente dettagliati. Angelique, che dormiva nel letto accanto al suo, le aveva addirittura chiesto se poteva metterci una buona parola e convincerlo a uscire con lei.

Camille ci pensò un attimo, ma poi si riprese subito: ma doveva pensarci? Certo che sarebbe andata a fare una passeggiata nel parco con Lionel! Annuì e si alzò radunando le sue cose.

Passarono il resto del pomeriggio nel parco, insieme. Camille raccontò a Lionel della sua vita con la sorella e di come fosse Hogwarts, mentre il ragazzo le raccontò di lui. Quante cose non sapeva su Lionel! Cavolo, era diventato il capitano della squadra di Quidditch e lei non se n’era neanche accorta.

Lo guardò meglio: perché non aveva mai notato Lionel? Già, perché? Era gentile e premuroso e quando le prendeva la mano a Camille si fermava sempre il respiro.

Quando si salutarono, prima della cena, gli diede un bacio sulla guancia e lui le sorrise. Sorrise anche Camille.

***

Era quasi Natale e il freddo aveva invaso cortili e vallate, la neve aveva imbiancato le colline e nell’aria si sentiva costantemente il profumo di dicembre. Camille era di cattivo umore perché sarebbe tornata in Regno Unito per passare le vacanze con Pansy e il suo fidanzato, e non ne aveva voglia. Non aveva voglia di stare con loro perché Weasley le aveva scritto dicendole che per Natale avrebbe proposto a Pansy di sposarlo e voleva il suo appoggio in tutto. Camille non poteva di certo rispondergli che non le interessava minimamente della sua proposta di matrimonio perché tanto per lei loro stavano già insieme e quindi non ci vedeva niente di nuovo. Nella sua condizione egoistica, non riusciva ad apprezzare il fatto che il ragazzo volesse coinvolgerla perché non si sentisse esclusa, ma pensava solamente al fatto che sarebbe stata lontana da Lionel per tutta la durata delle vacanze.

Aveva passato tantissimo tempo con lui e ora, quando lo guardava sapeva perfettamente che quello che provava per lui non era solo un’amicizia. Cavolo, si sentiva stringere il petto quando lui parlava con un’altra ragazza o soltanto le sorrideva e quando parlava con lei, Camille si sentiva sempre ‘a casa’.

Non aveva più parlato con Justine e le altre ragazze, anche se Lionel le aveva detto che Justine avrebbe voluto riallacciare l’amicizia. Ma cosa doveva fare? Sulla carrozza aveva discusso con Justine perché le aveva confessato che, fino all’anno prima, era stata innamorata di suo fratello Philippe e Justine non l’aveva presa bene. E ora non si guardavano neanche in faccia quando si incontravano in corridoio. Justine avrebbe dovuto chiederle scusa, in fin dei conti. Non era certamente colpa di Camille se la sua amica era così superficiale ed egocentrica.

Così aveva iniziato a chiacchierare con le compagne di stanza. Michelle e Angelique non erano male, anche se erano molto diverse da lei, ma Camille aveva iniziato a conoscerle e facevano cose divertenti insieme. Aveva sempre pensato male di loro, ma doveva ricredersi perché alla fine, erano esattamente come lei, Justine e le altre: giovani streghe di sedici anni.

Camille entrò nell’aula di pozioni sorridendo, perché nel pomeriggio avrebbe fatto i compiti in biblioteca e poi sarebbe andata a vedere l’allenamento di Quidditch dei Celestecolibrì. Magari avrebbe incontrato Justine. Magari le avrebbe parlato e le avrebbe detto che accettava le sue scuse.
l compito quel giorno era abbastanza semplice: dovevano fare il Distillato della Morte Vivente. Era una pozione difficile ma Camille aveva imparato dai migliori amici di sua sorella, Draco e Blaise, molti trucchetti e suggerimenti per realizzare anche quelle più difficili.  Quindi per lei era semplice: pozioni era una materia che le piaceva tantissimo e a Hogwarts aveva imparato molto.

Quando diede l’ultimo giro in senso antiorario e il liquido passò da lilla a trasparente, sorrise. Un grido compiaciuto alle sue spalle la fece voltare di colpo: la professoressa Marie Millefeuille era entusiasta.

“Bravissima, signorina Lemaire! Cinquanta punti a Violasirena!” esclamò. Tutta la parte della classe dei Violasirena batté le mani, mentre un mormorio basso e pesante si diffuse dalla parte dei Celestecolibrì.

Camille si voltò verso di loro e vide Justine che la guardava. La ragazza se ne accorse e distolse lo sguardo, ma così facendo sbagliò a mescolare il liquido nel calderone e questo divenne verde smeraldo. Justine sbarrò gli occhi e fermò il mestolo a metà, probabilmente sperando che si sarebbe fermato anche il processo di evoluzione della pozione, ma quando si chinò sul calderone la spilla con l’acquamarina che era appuntata sul corpetto azzurro della divisa, cadde nel recipiente e una piccola esplosione la coprì di liquido verde bollente.

Justine gridò e la professoressa Millefeuille corse da lei spianando la bacchetta e sistemando tutto.

“Meno dieci punti a Celestecolibrì” borbottò l’insegnante e Camille si sentì in colpa. Tutto il lato della classe dalla sua parte esplose in un boato di gioia e molti vennero a complimentarsi con lei, per la doppia gioia.

Camille non disse niente, ma lasciò che tutti le dessero una pacca sulla spalla, continuando a guardare Justine, che dopo poco, con gli occhi sgranati, scappò fuori dall’aula in lacrime.

Camille le corse dietro quando nessuna ragazza Celestecolibrì lo fece. Perché nessuno andava a consolare Justine? Perché?

“Justine…” Camille entrò nella stanza circolare dove lei e Justine si nascondevano sempre al primo anno, sicura di trovarla lì.

“Cosa sei venuta a fare, Camille?” chiese Justine fra le lacrime, quando lei chiuse la porta.

Camille ebbe un po’ pietà di lei, dei suoi occhi rossi e della sua divisa rovinata. Però, forse le stava bene, in fin dei conti l’aveva abbandonata quando le avevano cambiato casa e ora se lo meritava. Alzò un sopracciglio e disse: “Effettivamente, tu non sei venuta da me, quando ho avuto bisogno…”, fece per andarsene ma Justine la chiamò ancora.

“Dove hai imparato a fare così bene le pozioni?” le chiese Justine. Ah, ecco, era invidiosa di lei. Voleva dirle che erano state le sue nuove amiche, ma poi disse la verità.

“Ho imparato a Hogwarts. Quando ho dato i G.U.F.O.” Justine annuì, anche perché Camille glielo aveva già detto.

“Scusami” incominciò Justine, “so che è stato stupido da parte mia, arrabbiarmi quando mi hai detto che ti piaceva Philippe, ma io ho avuto paura che volessi nascondermi…”

Ma Camille la interruppe subito. “Sei stata cattiva, Justine, e non esisti solo tu, sai?” Camille era arrabbiata e sfogò sull’amica tre mesi di frustazione. “Mi hai abbandonato quando avevo più bisogno di te!” Justine continuò a piangere, questa volta più rumorosamente.

“Mi dispiace… Avremmo dovuto chiarire subito, non parlo più con nessuno neanch’io, sai? Le altre non sono come te, a nessuno di loro piace fare le cose che facevamo insieme…” continuò , sempre piagnucolando.

“E ci credo, voi Celestecolibrì siete una palla mortale! Da noi in sala comune si scommette su chi di voi ragazze sia quella più noiosa!” gridò Camille, più per ferire la ragazza che perché fosse la verità.

Justine spalancò gli occhi e mormorò: “Voi… Noi? Ma cosa…”

In quel momento Camille capì perché era finita fra le Violasirena. Loro erano quelli ambiziosi, che non si lasciavano trascinare dagli altri, andavano avanti per la loro strada senza badare nessuno e senza curarsi di chi si faceva male. E di solito avevano enorme successo.

“Io sono una Violasirena adesso, ricordi cosa dicevamo di loro? Sono stronze e cattive, ti rubano il ragazzo e ti parlano alle spalle. E sai una cosa? È proprio così, NOI siamo così. E siamo migliori di voi!”

Si alzò e uscì dalla stanza sorridendo. Era una Violasirena. Custodiva segreti e avrebbe avuto successo. Nel corridoio incontrò dei ragazzi di Biancounicorno e lei li salutò ammicando. Li superò, ma poi ci ripensò e tornò indietro.

Prese uno dei ragazzi del quinto anno per un braccio e lo trascinò lontano dagli altri. Si chiamava Ethan e lei lo conosceva solo di vista, ma sapeva quanto fosse timido. Lo portò in giro per il palazzo e gli parlò come se fosse proprio un’ammaliatrice. Giocò con lui per un’ora e dopo, Camille lo notò bene, lui pendeva dalle sue labbra neanche gli avesse somministrato un’Amortentia.

Ridacchiò fra sé. Alla faccia di Justine che le aveva riso in faccia quando le aveva detto che le piaceva suo fratello! Poi una parte di lei pensò che in verità non le aveva riso in faccia, si era solo sentita esclusa e si era arrabbiata per questo.

Iniziò a sentirsi un po’ in colpa e si arrabbiò. Non doveva sentirsi in colpa verso Justine, visto che non aveva fatto niente per farle sapere che le dispiaceva e glielo aveva detto solo quando aveva fatto il pasticcio nell’aula e lei invece aveva realizzato una pozione perfetta. Era invidiosa, ecco cos’era.

Si innervosì e quando Ethan le chiese se andasse tutto bene, lo mollò nel corridoio da solo dicendo che doveva andare via. Le lacrime le scesero sulle guance e quando, in fondo al corridoio, riconobbe la figura di Lionel che avanzava verso di lei chiacchierando con un compagno di Quidditch, s’intrufolò in un bagno per evitarlo.

Nel bagno, però, incontrò tre delle sue compagne di stanza e Michelle, davanti allo specchio, si girò verso di lei arrabbiata dicendole: “Eccoti! Christiane dice che mentre era in bagno ti ha sentito sparlare di noi. Ora vorrei sapere chi ti credi di…”

Camille fece dietrofront e uscì di nuovo dal bagno, non voleva assolutamente affrontare le Violasirena in quel momento, non erano cattive come le avevano disegnate nel dormitorio della sua vecchia casa, ma preferiva evitarle. Non avrebbe avuto una spiegazione plausibile per quello che era successo.

Stava ancora piangendo, quando in corridoio incontrò Lionel che fu molto sorpreso di vederla lì. “Camille! Cosa…”

Ma Camille lo spinse verso una delle alcove del corridoio e, una volta al riparo, lo abbracciò. “Lionel, abbracciami, ti prego, oggi tutti ce l’hanno con me!” esclamò contro il suo petto, ma il ragazzo la scostò.

“A cosa stai giocando?” le chiese.

“Come?”

“Ethan dice che ci hai provato con lui per un’ora per poi lasciarlo da solo, Justine dice che le hai detto delle cose orribili e ho visto delle ragazze arrabbiate per delle cose che hai detto tu.”

Camille scoppiò a piangere. “Sono tutti cattivi, io non ho fatto niente, mi sono solo adeguata a quello che loro hanno fatto a me…”

“Ti piace Ethan?” Camille capì che lui si stava ingelosendo e si sentì potente. Ma poi scosse solamente la testa. “E perché lo hai ingannato in quella maniera?” Camille alzò le spalle. Glielo aveva insegnato Michelle.

“Beh, Camille, non so perché tu ti stia comportando così ultimamente…”

“Ultimamente?” chiese lei non capendo cosa intendesse.

Lui sospirò. “Sì, ultimamente. Sei cambiata, non eri così prima di tornare a Beauxbatons,  e non sei quella che mi ricordo… sei… cattiva e non ti riconosco più. Forse Hogwarts ti ha cambiato o forse dovevi rimanere lì. All’inizio pensavo che questo cambio di casa ti avesse confuso e ho provato a starti vicino, ma non sei più la ragazza che in settembre ho guardato per tutto il viaggio in carrozza e che…”

“Hai guardato me?” chiese ancora Camille.

“Camille, io sono innamorato di te da l’anno scorso, ma non mi piace quello che stai diventando, scusami…” disse lui e se ne andò.

No! No! Lionel era innamorato di lei? Anche lei provava dei sentimenti per lui, non doveva andarsene! Doveva assolutamente raggiungerlo e parlargli.

Camille uscì dall’alcova e spalancò gli occhi quando si trovò di fronte la preside che le sbarrava la strada. “Madame Maxime…” disse, sperando che lei non avesse sentito quello che le aveva detto Lionel, vergognandosi.

“Buonasera cara. Sai cosa penso? Penso che non dovresti mai permettere ai cambiamenti intorno a te di modificare la natura di quello che sei. Non dovresti adeguarti agli altri e neanche nasconderti.”

“Co…come?”

“Un mio grande amico, una volta mi disse che quello che facciamo è molto più importante di quello che siamo. Mi sa che dovresti aver sentito questa cosa quando hai vissuto in Inghilterra, giusto?”

Camille annuì, un po’ sovrappensiero. Era una frase che il fidanzato di  Pansy diceva spesso a sua sorella e, quando succedeva, loro si guardavano con così tanto amore che lei desiderava soltanto qualcuno da guardare nella stessa maniera. Annuì guardano il corridoio dove era sparito Lionel. Doveva assolutamente parlare con lui. Camille era una persona corretta e voleva continuare a esserlo. Voleva chiarire con tutti. Sistemare le cose con Justine, con cui avrebbe dovuto parlare appena arrivata a Beauxbatons, e anche con le altre ragazze Violasirena, che non si meritavano le parole che aveva detto su di loro. Avrebbe dovuto scusarsi anche con Ethan, per averlo imbrogliato. Aveva un sacco di cose di cui fare ammenda.  Ma perché si era comportata così male?

“Ora scusami, ma devo proprio andare. Pensa a quello che ti ho detto!” E detto ciò, la preside strizzò un occhio e se ne andò. Camille rimase sbalordita. Se l’era sognato o era successo davvero? Sbattè ancora gli occhi, mentre la stanza girava e girava finché…

“Camille!” La ragazza si girò al suono del suo nome: Justine, dall’altra parte del tavolo la stava chiamando. “Andiamo in camera?”

Camille si guardò intorno: la cena era terminata e tutti i ragazzi si stavano alzando per raggiungere le camere.

Abbassò gli occhi sul nastrino che le pendeva dal collo: era celeste. Celestecolibrì. Oh. Si guardò intorno: era seduta al tavolo dei Celestecolibrì e la prima cena al palazzo era appena terminata. Era il primo settembre.

Aveva sognato tutto, quindi? Ma proprio tutto? Guardò verso Lionel, ma lui si stava alzando, poi incrociò lo sguardo della preside e lei ammiccò. Oh. Forse… Forse poteva fare qualcosa.

Si alzò velocemente e raggiunse Justine. “Scusa per prima…” iniziò a scusarsi l’amica. Camille l’abbracciò e le disse di non preoccuparsi.

Rivolse un cenno di saluto a Lionel, che il ragazzo ricambiò sorpreso e Justine le sussurrò: “Sai che l’ho sentito nominarti, prima, in carrozza? Mi sa che gli piaci…”

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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