Non cambiare ciò che sei
-
-
1/09/2000
Camille
pensava di aver fatto una stupidaggine.
Quando scese
dall’enorme carrozza che accompagnava gli
studenti diretti a Beauxbatons direttamente nel cortile della scuola,
si guardò
intorno e cercò di riempirsi gli occhi con quelle
meraviglie: la fontana magica
di acqua cristallina, illuminata naturalmente come se fosse giorno e
l’immenso
parco curato e fiorito, il grande lago di acqua chiara e il fantastico,
elegante, sinuosissimo palazzo.
Tutta la scuola
era circondata da montagne dalle punte innevate
che facevano da sfondo al castello più raffinato e signorile
di tutte le scuole
di magia presenti sulla terra.
Peccato che
fosse sera e il tutto non dava la giusta
impressione come al mattino presto, però. Camille sperava
che il giorno dopo,
sulla terrazza riservata alla sua casa, il Celestecolibrì,
ammirando il
panorama e chiacchierando con le altre ragazze, si sarebbe di nuovo
riempita il
petto di tutte le sensazioni degli anni passati. Ma ora, man mano che i
bauli
venivano scaricati dalle carrozze, iniziava ad avere qualche dubbio.
Camille Lemaire,
una giovane strega purosangue di sedici
anni, aveva iniziato la scuola a Beauxbatons e aveva passato tre anni
stupendi,
ma poi era scoppiata la guerra magica nel Regno Unito, dove il Signore
Oscuro,
che i suoi genitori avevano servito con devozione e aspettativa, era
stato
sconfitto da Harry Potter e lei si era trasferita dalla sorellastra
iniziando a
frequentare la scuola di Hogwarts.
Quei due anni di
scuola non erano stati male, ma a Camille
mancava tantissimo la Francia e in particolare Beauxbatons,
così era riuscita a
convincere la sorella a finire gli studi nella sua patria natale.
Ora
però, pensava di aver fatto una stupidaggine. La scuola
non le stava dando la sicurezza che cercava. Quella che le aveva sempre
dato.
Sperava che tornando lì si sarebbe di nuovo sentita a casa e
invece… invece
niente. La solita inquietudine. Di quando si era ritrovata da sola con
la
sorella. Certo, sapeva che fosse giusto così, ma ora si
sentiva come uno dei fantasmi
che vagavano per i castelli.
Sospirò
e si avviò verso l’entrata del sontuoso palazzo.
Justine, la sua migliore amica, era vicino a Helene e Brigitte e si
incamminò
con loro. Lanciò un’occhiata di nascosto verso
Justine e la sentì ridere con
una delle altre ragazze. Sulla carrozza Camille e Justine avevano
bisticciato e
ora facevano finta di non vedersi. Camille sospirò e
seguì le altre
all’interno.
La sala da
pranzo era molto diversa da quella di Hogwarts ed
era molto più grande, visto che Beauxbatons ospitava molti
più studenti della
scuola britannica. Si avvicinò al piccolo stagno dove le
ninfe avevano iniziato
il loro canto di accompagnamento al pasto e osservò la sala.
Grandi tavoli ovali
erano sistemati per gli studenti, mentre i professori mangiavano a un
tavolo
molto più ampio, proprio vicino allo stagno delle ninfe.
Cercò
il tavolo a cui doveva sedersi e lo trovò proprio
davanti al banchetto dei professori. Un intricato disegno floreale
inciso sul
legno indicava il sesto anno della casa dei Celestecolibrì e
le sedie accostate
erano sedici. Si sedette su una sedia intarsiata ricoperta di velluto e
fece
cenno alle altre di raggiungerla. Le lunghe gonne della divisa
frusciavano sulle
gambe delle ragazze e i risolini le accompagnarono al tavolo di
Camille. Quando
si sedettero tutti, una tovaglia di broccato si materializzò
sopra le loro
teste e tutti si spostarono per permettere al tavolo di apparecchiarsi
da solo.
Justine si
sedette in fondo al tavolo, proprio dalla parte
opposta di Camille, come se fosse ancora arrabbiata con lei e Camille
la guardò
con tristezza ma senza dirle niente. Quando Camille si
spostò dalla fronte una
ciocca di scuri capelli, portandoseli dietro all’orecchio si
chinò verso il suo
vicino di posto, Paul, per dirgli qualcosa e non vide lo sguardo che
Justine le
lanciò. Non vide neanche quello che le lanciò
Lionel Moreau, dal tavolo del
settimo anno dei Celestecolibrì.
Quando le ninfe
intonarono l’inno della scuola, tutti gli
studenti si alzarono dalle sedie e volsero lo sguardo verso
l’entrata:
l’ingresso della direttrice, Olympe Maxime, fece calare il
silenzio nella
stanza: solo le ninfe continuarono il canto. Quando la direttrice
s’incamminò
verso il pulpito da cui avrebbe fatto il discorso di apertura, tutta la
sala
restò in silenzio a guardare lei e la fila dei professori
che seguiva la
preside.
Soltanto quando
tutti i professori si sedettero e Madame
Maxime prese posto al pulpito, gli studenti si riaccomodarono. A
Camille non
era mancata tanto quella rigida educazione della scuola, Hogwarts era
meno
antiquata, secondo lei.
La preside
annunciò l’arrivo dei nuovi alunni e tutte le
teste si girarono ancora verso l’entrata: una sessantina di
ragazzini varcarono
il portone e camminarono in fila ordinata a coppie, guardandosi intorno
con
stupore, incantati dall’eleganza dei tessuti, dai candelabri
dallo stile
ricercato che cadevano dal soffitto, dagli stucchi che ricoprivano le
pareti,
per non parlare degli affreschi disegnati sul muro dove giovani ancelle
guardavano
gli alunni con la loro stessa curiosità.
Camille sorrise
a vedere il volto estasiato dei piccoli
studenti; si ricordava benissimo come si era sentita entrando a
Beauxbatons la
prima volta: timorosa, ma anche curiosa e orgogliosa di poter
finalmente tenere
in mano la bacchetta e fare magie.
I giovani
studenti, tutti nelle loro divise color carta da
zucchero, si allinearono in fila e si voltarono verso la sala.
Madame Maxime si
andò a sedere e fece un cenno a una delle
ninfe per far partire la cerimonia dello smistamento. La ninfa, una
leggiadra
fanciulla dai capelli scuri raccolti sulla nuca e dalla tunica color
avorio,
cantò un melodioso brano sulla bellezza della scuola e
quando finì si inchinò.
Uno scroscio di applausi riempì il silenzio e una piccola
pergamena si materializzò
fra le sue mani. Nel momento in cui toccò il foglio, una
grossa aquila sbucò
dal laghetto e schizzando la sala di acqua cristallina si
andò a posare sul
pulpito lasciato libero dalla preside.
La ninfa
chiamò, cantando, uno per uno tutti i nuovi
studenti. Ogni volta che nominava uno studente, l’aquila si
alzava in volo e
girava tre volte sulla testa del ragazzino: leggeva i pensieri e
decideva in
quale casa metterti. Camille lo aveva sempre trovato affascinante.
Molto più
del rattoppato cappello parlante che a Hogwarts l’aveva
smistata nella casa
Serpeverde.
Quando
volò su Alain Arnaud, il primo della fila, il
ragazzino guardò in alto ammirato: non era
un’aquila come le altre, il suo
piumaggio era cangiante e di colore pastello. Quando gridò,
una piuma si staccò
dalla sua coda e volteggiò in tondo fino a cadere sulle mani
di Alain. In quel
momento divenne bianca: Biancounicorno. Alain era stato smistato in
quella
casa. La sua cravatta divenne del colore della piuma e lui
spalancò gli occhi
dalla meraviglia.
La casa dei
Biancounicorno era famosa per la saggezza e la
bontà. Sul lato dove c’erano le tovaglie candide
si sprigionò un applauso e una
sedia apparve vicino al tavolo designato per il primo anno.
Altri ragazzi
vennero smistati: Dominga Diaz, che veniva
dalla penisola iberica, venne smistata in Verdedrago, la casa dei
temerari e gli
innocenti, mentre due gemelli, Jean e Marie Dubois si sedettero
rispettivamente
fra Celestecolibrì e Violasirena.
La cerimonia
durò un po’ visto la quantità di
studenti e alla
fine, quando nessuno rimase in fila e tutti ebbero avuto la piuma di
smistamento, l’aquila, invece di tornare nelle acque del
laghetto, volò sulla
ninfa, gridando. La fanciulla alzò lo sguardo e
l’aquila gridò ancora volando
vicino alla pergamena. La ninfa la riprese in mano e
spalancò gli occhi stupita
prima di cantare l’ultimo nome: Camille Lemaire.
Anche Camille
spalancò gli occhi. Perché aveva fatto il suo
nome? Lei era già stata smistata sei anni prima: era un
Celestecolibrì. Abbassò
gli occhi sul piccolo nastrino celeste che pendeva dal suo collo, segno
che la
contrassegnava come appartenente a quella casa, ma questo divenne
limpido come
l’acqua.
Camille
seguì con lo sguardo l’aquila che si
alzò in volo
verso di lei e volò in tondo sulla sua testa. La giovane
strega rimase
imbambolata, incapace di pensare qualsiasi cosa.
Poi
l’aquila gridò e una piuma prese a cadere.
Volteggiò in
tondo per tre volte, prima di scendere, poi tornò in alto e
volò ancora su se
stessa. Camille seguiva il suo tragitto con il cuore che le batteva
forte. Cosa
sarebbe successo? Forse con il fatto che aveva passato due anni a
Hogwarts,
bisognava ripetere lo smistamento. Era una procedura burocratica.
Sicuramente.
La piuma sarebbe caduta sulle sue mani e sarebbe stata celeste, come
sei anni
prima. Ma il suo cuore non si calmò e lei ebbe quasi paura
di quello che sarebbe
potuto succedere.
Quando la piuma
le cadde sulle mani, si tinse di violetto. Un
pallido e tenue violetto. Ma sempre violetto era. Ed era molto diverso
dal
celeste. Molto, molto diverso. Proprio un altro colore.
Camille
spalancò ancora gli occhi e vide il nastrino cambiare
colore e diventare viola come l’ametista che sua sorella
aveva sull’anello.
E adesso?
Madame Maxime si
alzò dal suo posto e raggiunse il pulpito da
cui avrebbe fatto il discorso per l’inizio
dell’anno scolastico e disse, con un
Sonorus: “Tesoro, puoi per cortesia alzarti e raggiungere la
tua casa?”
Camille
sbatté gli occhi, ancora confusa. Era proprio vero: non
era più un Celestecolibrì ed era diventata una
Violasirena. Annuì senza dire
una parola e si alzò dal tavolo. Non riuscì a
guardare in faccia nessuna delle
sue compagne di casa. Ah, no, non erano più compagne di
casa, erano… cos’erano
adesso?
Camille
alzò lo sguardo su Justine che la guardò con gli
occhi spalancati e non disse niente. Beh, effettivamente neanche
Camille sapeva
cosa dirle… non era neanche sicura fossero ancora amiche,
dopo la discussione
in carrozza.
Quando fece un
passo indietro, la sedia su cui era stata
seduta fino a quel momento sparì e la stessa fine fece anche
il coperto
apparecchiato per lei. Gli altri piatti si spostarono e le sedie si
allargarono
per chiudere il buco.
Con la morte nel
cuore, Camille guardò ancora il tavolo e gli
altri ragazzi dei Celestecolibrì, poi si girò e
iniziò a camminare verso il
lato della sala dove i ragazzi del sesto anno della Violasirena erano
seduti.
Quando si
avvicinò, le sedie dei ragazzi già seduti si
spostarono
quando comparve un’altra sedia e il tavolo si
allargò per ospitare un ulteriore
coperto. Qualcuno dei maschi brontolò per il movimento e un
bicchiere cadde
quando una ragazza non lo vide spostarsi verso di lei. Dei gridolini
accompagnarono lo spostamento delle posate e la sala si
riempì di imbarazzo.
“Scusate…”
disse Camille. Si sedette alla sedia ricoperta di
velluto viola e aspettò che iniziasse la cena. Non
ascoltò il discorso della
preside, né mangiò, quella sera: si sentiva
malissimo.
Se prima lo
aveva solo pensato, ora sapeva perfettamente che
tornare a Beauxbatons era stata una scelta sbagliata.
***
L’aula
di Incantesimi aveva quel profumo di lavanda che a
Camille piaceva tantissimo, così tanto da scegliersi un
profumo di
quell’essenza quando aveva vissuto in Regno Unito. I banchi e
le sedie eleganti
con gli intarsi di legno, gli stucchi sulle finestre e le tende candide
che
danzavano con il vento le diedero un sollievo al petto: era tornata a
casa.
Si mise seduta
dal lato dei Violasirena e appoggiò la sua
borsa. Tolse il libro e aspettò che iniziasse la lezione.
Erano due giorni
che era iniziata la scuola e quella era la
prima lezione di Incantesimi, la materia preferita di Camille: lei era
bravissima in incantesimi, sarebbe andata benissimo. Sfogliò
il libro mentre il
resto dei suoi compagni prendeva posto.
La professoressa
Roux entrò in classe con il passo veloce e
la schiena dritta e tutta la classe si alzò in piedi: a
Beauxbatons erano
importanti anche il portamento e l’educazione.
L’insegnante
salutò tutti e prese a spiegare una noiosissima
lezione sugli effetti collaterali di un incantesimo lanciato in maniera
non
corretta. Dopo una lunga spiegazione, fece apparire, su ogni banco, un
vaso con
una minuscola piantina in ognuno.
“Ora,
ognuno di voi, incanterà il suo vaso con un
‘Erbivicus’
e farà crescere, lentamente, il suo seme, fino a ottenere
una pianta completa”
spiegò. Poi disse ai ragazzi che potevano iniziare e si
avventurò fra i banchi
per assistere allo svolgimento del compito.
L’incanto
Erbivicus era un incantesimo di media difficoltà ma
Camille sorrise perché sapeva svolgerlo alla perfezione:
aveva passato l’estate
nel giardino della casa di famiglia a sistemare il giardino con Pansy.
Dopo che
il ministero inglese aveva sequestrato la loro casa,
l’avevano ridotta malissimo
e a sua sorella era servito anche il suo aiuto per sistemarla.
Quando
pronunciò l’incantesimo, però, non
accadde quello che
doveva succedere, ossia la crescita della pianta rossa, che Camille
aveva visto
nel vaso del suo vicino di banco, ma il suo stelo si divise a
metà, creando due
piantine differenti e riempiendosi di foglie strane.
Tentò
di riformulare l’incantesimo, ma peggiorò la
situazione: le due piantine crebbero ancora di lato e le foglie
riempirono così
tanto gli steli da coprirlo interamente. Quando ci provò
ancora, le foglie
presero il sopravvento e le due piantine si fecero così
pesanti da appoggiarsi
ai lati del banco. Presa alla sprovvista e un po’ spaventata
Camille esordì con
un: “Finitem
incantem!”, che le si
impappinò sulle labbra e non uscì nella maniera
corretta.
I
fiori rossi apparsi l’ultima volta, erano tantissimi e
presero a gonfiarsi
sempre di più finché non scoppiarono lanciando
intorno una miriade di piccoli
pistilli gialli e macchie rosse.
Camille
si guardò la divisa e quasi scoppiò in lacrime a
vedere tutti quei piccoli puntini
sul corpetto ricoperto di un densissimo liquido rosso. La sua divisa! A
Beauxbatons era importantissimo essere eleganti, composti e ben
ordinati.
“Guarda
come mi hai ridotto il gilet!” gridò Bonnet, dal
banco accanto a lei e Camille
si girò verso di lui: anche la sua divisa era imbrattata da
quella roba strana.
“Scusami…”
balbettò la ragazza. La professoressa Roux si
avvicinò di corsa, alzando la
voce sul resto della classe.
“Calma,
calma” disse e si avvicinò al banco di Camille.
Quando le fu davanti la sua
faccia si fece un po’ severa. “Signorina
Lemaire…” iniziò, ma sembrava non
sapesse
cos’altro dire. Camille pensò che fosse delusa.
Senza dubbio lo era, delusa da
lei, lo era anche Camille!
Quando
un ragazzo ridacchiò dal lato dei Verdedrago, la donna si
voltò, lo fulminò con
gli occhi e lui abbassò lo sguardo ridimensionando la
risatina. Camille si
sentì morire e guardò anche tutti gli altri:
tutti la guardavano con un misto
di pietà e quel sollievo di non essere stati i peggiori
della classe.
“Dovrò
togliere dieci punti alla casa Violasirena…” disse
ancora la professoressa che
poco prima aveva tolto gli stessi punti a una ragazza che aveva
sbagliato
l’incantesimo.
Tutto
il lato dei Violasirena brontolò e Bonnet mormorò
a bassa voce: “Ci hanno
rifilato i loro scarti”, ma abbastanza chiara da farsi
sentire da lei.
Camille
si sentì malissimo, voleva piangere. Scappò fuori
dall’aula e corse lungo i
corridoi del palazzo fino a raggiungere uno dei bagni. Si chiuse dentro
e
pianse fino all’ora del pranzo.
***
Quando
uscì dal bagno, si trovò davanti, nel corridoio,
Lionel Moreau. Camille lo
conosceva bene, era uno dei ragazzi che frequentava anche fuori da
Beauxbatons.
“Ciao,
Lionel” lo salutò. Sperò che non si
accorgesse dei suoi occhi rossi e abbassò
lo sguardo. Era intimorita e non sapeva perché, si
conoscevano da quando
Camille aveva iniziato a frequentare Beauxbatons, ma ora, per via del
cambio di
casa, non gli aveva più parlato.
“Tutto
bene, Camille?” le chiese lui. Si avvicinò a lei e
le prese la mano. Camille si
stupì e alzò lo sguardo sul ragazzo: cosa stava
facendo? Quando si rese conto
di aver dovuto alzare di molto lo sguardo, sentì il calore
salirle al viso:
aveva sempre preso in giro Lionel perché era più
basso di lei, mentre ora lui
la superava di un bel po’. Tutto il mondo le si stava
mettendo contro e lei
iniziava a sentirsi sbagliata.
Annuì
incapace di dire qualsiasi cosa e un po’ si stupì
del fatto che fosse vero: ora
che era vicino a lui, si sentiva meglio.
Lionel
non le lasciò la mano e le fece cenno di incamminarsi verso
la sala da pranzo e
lei, non ancora in grado di dire qualcosa di senso compiuto,
ubbidì senza dire
niente e insieme si avviarono lungo il corridoio.
“Sono
contento che tu sia tornata a Beauxbatons” disse, sottovoce,
quando passando
per un corridoio stretto, lui dovette avvicinarsi a lei per lasciare
passare un
gruppetto di studenti.
“Davvero?”
chiese stupita Camille. Era contento? Non sapeva neanche che gli
dispiacesse
che se ne fosse andata, non glielo aveva mai detto. “Ma
adesso sono una
Violasirena…”
“Già,
mi spiace non incontrarti in sala comune” ammise lui.
“Manca
anche a me la sala comune” disse Camille. Le mancava tutto,
non solo la sala
comune: il palo a cui ci si aggrappava per scendere dai dormitori, i
quadri
della sala cumune, anche l’uragano che portava via i ragazzi
quando si
intrufolavano nei dormitori femminili.
Ma
soprattutto le mancavano Justine e le altre. Nessuna delle altre
ragazze le
parlava, anche se era vero che Camille non sapeva come comportarsi con
loro e
spesso preferiva evitarle quando le incontrava in corridoio.
“Com’è
la sala comune dai Violasirena?” le chiese Lionel,
rallentando il passo quando
arrivarono davanti alla porta della sala da pranzo.
Camille
alzò le spalle: non era male, ma lei preferiva ancora la
sala comune dei Celestecolibrì.
“Insomma…” disse.
“Scommetto
che ci sono dei lati buoni anche a essere dei Violasirena”
disse ancora il
ragazzo. Camille fece una smorfia. Avevano sempre preso in giro quella
casa,
quando si trovavano fra loro dei Celestecolibrì,
perché ora diceva che c’erano
anche lati buoni?
“Mmm,
non abbiamo mai parlato bene di loro” disse Camille alzando
le spalle.
“Sai,
invece, cosa si dice delle ragazze Violasirena nella camera del settimo
anno
dei Celestecolibrì?” le chiese ancora, voltandosi
verso di lei. Camille scosse
la testa. Parlavano di ragazze? Oh,
Camille, svegliati, sono ragazzi, sappiamo tutti cosa pensano i
ragazzi! “Si
dice che le Violasirena siano TUTTE molto belle, soprattutto quelle del
sesto
anno” continuò Lionel, sorridendo dolcemente. Fece
due passi indietro e sparì
dentro la sala.
Camille
sentì le guance scaldarsi e sorrise senza rendersene conto.
Cosa aveva detto?
***
Il
giorno dopo Camille era in biblioteca a studiare e Lionel si sedette
accanto a
lei, sorprendendola un’altra volta.
“Ciao,
Camille.”
“Lionel!”
Un sorriso le salì alle labbra.
“Ti
va di fare una passeggiata nel parco?” Come? Come? Lionel le
stava chiedendo di
uscire? A lei? Aveva sentito le sue compagne di stanza parlare di lui e
fare
apprezzamenti anche particolarmente dettagliati. Angelique, che dormiva
nel
letto accanto al suo, le aveva addirittura chiesto se poteva metterci
una buona
parola e convincerlo a uscire con lei.
Camille
ci pensò un attimo, ma poi si riprese subito: ma doveva
pensarci? Certo che
sarebbe andata a fare una passeggiata nel parco con Lionel!
Annuì e si alzò
radunando le sue cose.
Passarono
il resto del pomeriggio nel parco, insieme. Camille raccontò
a Lionel della sua
vita con la sorella e di come fosse Hogwarts, mentre il ragazzo le
raccontò di
lui. Quante cose non sapeva su Lionel! Cavolo, era diventato il
capitano della
squadra di Quidditch e lei non se n’era neanche accorta.
Lo
guardò meglio: perché non aveva mai notato
Lionel? Già, perché? Era gentile e
premuroso e quando le prendeva la mano a Camille si fermava sempre il
respiro.
Quando
si salutarono, prima della cena, gli diede un bacio sulla guancia e lui
le
sorrise. Sorrise anche Camille.
***
Era
quasi Natale e il freddo aveva invaso cortili e vallate, la neve aveva
imbiancato le colline e nell’aria si sentiva costantemente il
profumo di
dicembre. Camille era di cattivo umore perché sarebbe
tornata in Regno Unito
per passare le vacanze con Pansy e il suo fidanzato, e non ne aveva
voglia. Non
aveva voglia di stare con loro perché Weasley le aveva
scritto dicendole che
per Natale avrebbe proposto a Pansy di sposarlo e voleva il suo
appoggio in
tutto. Camille non poteva di certo rispondergli che non le interessava
minimamente della sua proposta di matrimonio perché tanto
per lei loro stavano
già insieme e quindi non ci vedeva niente di nuovo. Nella
sua condizione
egoistica, non riusciva ad apprezzare il fatto che il ragazzo volesse
coinvolgerla perché non si sentisse esclusa, ma pensava
solamente al fatto che
sarebbe stata lontana da Lionel per tutta la durata delle vacanze.
Aveva
passato tantissimo tempo con lui e ora, quando lo guardava sapeva
perfettamente
che quello che provava per lui non era solo un’amicizia.
Cavolo, si sentiva
stringere il petto quando lui parlava con un’altra ragazza o
soltanto le
sorrideva e quando parlava con lei, Camille si sentiva sempre
‘a casa’.
Non
aveva più parlato con Justine e le altre ragazze, anche se
Lionel le aveva
detto che Justine avrebbe voluto riallacciare l’amicizia. Ma
cosa doveva fare?
Sulla carrozza aveva discusso con Justine perché le aveva
confessato che, fino
all’anno prima, era stata innamorata di suo fratello Philippe
e Justine non
l’aveva presa bene. E ora non si guardavano neanche in faccia
quando si
incontravano in corridoio. Justine avrebbe dovuto chiederle scusa, in
fin dei
conti. Non era certamente colpa di Camille se la sua amica era
così
superficiale ed egocentrica.
Così
aveva iniziato a chiacchierare con le compagne di stanza. Michelle e
Angelique
non erano male, anche se erano molto diverse da lei, ma Camille aveva
iniziato
a conoscerle e facevano cose divertenti insieme. Aveva sempre pensato
male di
loro, ma doveva ricredersi perché alla fine, erano
esattamente come lei,
Justine e le altre: giovani streghe di sedici anni.
Camille
entrò nell’aula di pozioni sorridendo,
perché nel pomeriggio avrebbe fatto i
compiti in biblioteca e poi sarebbe andata a vedere
l’allenamento di Quidditch
dei Celestecolibrì. Magari avrebbe incontrato Justine.
Magari le avrebbe
parlato e le avrebbe detto che accettava le sue scuse.
l compito quel giorno era abbastanza
semplice: dovevano fare il Distillato della Morte Vivente. Era una
pozione
difficile ma Camille aveva imparato dai migliori amici di sua sorella,
Draco e
Blaise, molti trucchetti e suggerimenti per realizzare anche quelle
più
difficili. Quindi
per lei era semplice: pozioni
era una materia che le piaceva tantissimo e a Hogwarts aveva imparato
molto.
Quando
diede l’ultimo giro in senso antiorario e il liquido
passò da lilla a
trasparente, sorrise. Un grido compiaciuto alle sue spalle la fece
voltare di
colpo: la professoressa Marie Millefeuille era entusiasta.
“Bravissima,
signorina Lemaire! Cinquanta punti a Violasirena!”
esclamò. Tutta la parte
della classe dei Violasirena batté le mani, mentre un
mormorio basso e pesante
si diffuse dalla parte dei Celestecolibrì.
Camille
si voltò verso di loro e vide Justine che la guardava. La
ragazza se ne accorse
e distolse lo sguardo, ma così facendo sbagliò a
mescolare il liquido nel
calderone e questo divenne verde smeraldo. Justine sbarrò
gli occhi e fermò il
mestolo a metà, probabilmente sperando che si sarebbe
fermato anche il processo
di evoluzione della pozione, ma quando si chinò sul
calderone la spilla con
l’acquamarina che era appuntata sul corpetto azzurro della
divisa, cadde nel recipiente
e una piccola esplosione la coprì di liquido verde bollente.
Justine
gridò e la professoressa Millefeuille corse da lei spianando
la bacchetta e
sistemando tutto.
“Meno
dieci punti a Celestecolibrì” borbottò
l’insegnante e Camille si sentì in colpa.
Tutto il lato della classe dalla sua parte esplose in un boato di gioia
e molti
vennero a complimentarsi con lei, per la doppia gioia.
Camille
non disse niente, ma lasciò che tutti le dessero una pacca
sulla spalla,
continuando a guardare Justine, che dopo poco, con gli occhi sgranati,
scappò
fuori dall’aula in lacrime.
Camille
le corse dietro quando nessuna ragazza Celestecolibrì lo
fece. Perché nessuno
andava a consolare Justine? Perché?
“Justine…”
Camille entrò nella stanza circolare dove lei e Justine si
nascondevano sempre
al primo anno, sicura di trovarla lì.
“Cosa
sei venuta a fare, Camille?” chiese Justine fra le lacrime,
quando lei chiuse
la porta.
Camille
ebbe un po’ pietà di lei, dei suoi occhi rossi e
della sua divisa rovinata.
Però, forse le stava bene, in fin dei conti
l’aveva abbandonata quando le
avevano cambiato casa e ora se lo meritava. Alzò un
sopracciglio e disse:
“Effettivamente, tu non sei venuta da me, quando ho avuto
bisogno…”, fece per
andarsene ma Justine la chiamò ancora.
“Dove
hai imparato a fare così bene le pozioni?” le
chiese Justine. Ah, ecco, era
invidiosa di lei. Voleva dirle che erano state le sue nuove amiche, ma
poi
disse la verità.
“Ho
imparato a Hogwarts. Quando ho dato i G.U.F.O.” Justine
annuì, anche perché Camille
glielo aveva già detto.
“Scusami”
incominciò Justine, “so che è stato
stupido da parte mia, arrabbiarmi quando mi
hai detto che ti piaceva Philippe, ma io ho avuto paura che volessi
nascondermi…”
Ma
Camille la interruppe subito. “Sei stata cattiva, Justine, e
non esisti solo tu,
sai?” Camille era arrabbiata e sfogò
sull’amica tre mesi di frustazione. “Mi
hai abbandonato quando avevo più bisogno di te!”
Justine continuò a piangere,
questa volta più rumorosamente.
“Mi
dispiace… Avremmo dovuto chiarire subito, non parlo
più con nessuno neanch’io,
sai? Le altre non sono come te, a nessuno di loro piace fare le cose
che
facevamo insieme…” continuò , sempre
piagnucolando.
“E
ci credo, voi Celestecolibrì siete una palla mortale! Da noi
in sala comune si
scommette su chi di voi ragazze sia quella più
noiosa!” gridò Camille, più per
ferire la ragazza che perché fosse la verità.
Justine
spalancò gli occhi e mormorò:
“Voi… Noi? Ma cosa…”
In
quel momento Camille capì perché era finita fra
le Violasirena. Loro erano
quelli ambiziosi, che non si lasciavano trascinare dagli altri,
andavano avanti
per la loro strada senza badare nessuno e senza curarsi di chi si
faceva male.
E di solito avevano enorme successo.
“Io
sono una Violasirena adesso, ricordi cosa dicevamo di loro? Sono
stronze e
cattive, ti rubano il ragazzo e ti parlano alle spalle. E sai una cosa?
È
proprio così, NOI siamo così. E siamo migliori di
voi!”
Si
alzò e uscì dalla stanza sorridendo. Era una
Violasirena. Custodiva segreti e avrebbe
avuto successo. Nel corridoio incontrò dei ragazzi di
Biancounicorno e lei li
salutò ammicando. Li superò, ma poi ci
ripensò e tornò indietro.
Prese
uno dei ragazzi del quinto anno per un braccio e lo trascinò
lontano dagli
altri. Si chiamava Ethan e lei lo conosceva solo di vista, ma sapeva
quanto
fosse timido. Lo portò in giro per il palazzo e gli
parlò come se fosse proprio
un’ammaliatrice. Giocò con lui per
un’ora e dopo, Camille lo notò bene, lui
pendeva dalle sue labbra neanche gli avesse somministrato
un’Amortentia.
Ridacchiò
fra sé. Alla faccia di Justine che le aveva riso in faccia
quando le aveva
detto che le piaceva suo fratello! Poi una parte di lei
pensò che in verità non
le aveva riso in faccia, si era solo sentita esclusa e si era
arrabbiata per
questo.
Iniziò
a sentirsi un po’ in colpa e si arrabbiò. Non
doveva sentirsi in colpa verso
Justine, visto che non aveva fatto niente per farle sapere che le
dispiaceva e glielo
aveva detto solo quando aveva fatto il pasticcio nell’aula e
lei invece aveva
realizzato una pozione perfetta. Era invidiosa, ecco cos’era.
Si
innervosì e quando Ethan le chiese se andasse tutto bene, lo
mollò nel
corridoio da solo dicendo che doveva andare via. Le lacrime le scesero
sulle
guance e quando, in fondo al corridoio, riconobbe la figura di Lionel
che
avanzava verso di lei chiacchierando con un compagno di Quidditch,
s’intrufolò
in un bagno per evitarlo.
Nel
bagno, però, incontrò tre delle sue compagne di
stanza e Michelle, davanti allo
specchio, si girò verso di lei arrabbiata dicendole:
“Eccoti! Christiane dice
che mentre era in bagno ti ha sentito sparlare di noi. Ora vorrei
sapere chi ti
credi di…”
Camille
fece dietrofront e uscì di nuovo dal bagno, non voleva
assolutamente affrontare
le Violasirena in quel momento, non erano cattive come le avevano
disegnate nel
dormitorio della sua vecchia casa, ma preferiva evitarle. Non avrebbe
avuto una
spiegazione plausibile per quello che era successo.
Stava
ancora piangendo, quando in corridoio incontrò Lionel che fu
molto sorpreso di
vederla lì. “Camille! Cosa…”
Ma
Camille lo spinse verso una delle alcove del corridoio e, una volta al
riparo,
lo abbracciò. “Lionel, abbracciami, ti prego, oggi
tutti ce l’hanno con me!”
esclamò contro il suo petto, ma il ragazzo la
scostò.
“A
cosa stai giocando?” le chiese.
“Come?”
“Ethan
dice che ci hai provato con lui per un’ora per poi lasciarlo
da solo, Justine
dice che le hai detto delle cose orribili e ho visto delle ragazze
arrabbiate
per delle cose che hai detto tu.”
Camille
scoppiò a piangere. “Sono tutti cattivi, io non ho
fatto niente, mi sono solo
adeguata a quello che loro hanno fatto a me…”
“Ti
piace Ethan?” Camille capì che lui si stava
ingelosendo e si sentì potente. Ma
poi scosse solamente la testa. “E perché lo hai
ingannato in quella maniera?” Camille
alzò le spalle. Glielo aveva insegnato Michelle.
“Beh,
Camille, non so perché tu ti stia comportando
così ultimamente…”
“Ultimamente?”
chiese lei non capendo cosa intendesse.
Lui
sospirò. “Sì, ultimamente. Sei
cambiata, non eri così prima di tornare a
Beauxbatons, e non
sei quella che mi
ricordo… sei… cattiva e non ti riconosco
più. Forse Hogwarts ti ha cambiato o
forse dovevi rimanere lì. All’inizio pensavo che
questo cambio di casa ti
avesse confuso e ho provato a starti vicino, ma non sei più
la ragazza che in
settembre ho guardato per tutto il viaggio in carrozza e
che…”
“Hai
guardato me?” chiese ancora Camille.
“Camille,
io sono innamorato di te da l’anno scorso, ma non mi piace
quello che stai diventando,
scusami…” disse lui e se ne andò.
No!
No! Lionel era innamorato di lei? Anche lei provava dei sentimenti per
lui, non
doveva andarsene! Doveva assolutamente raggiungerlo e parlargli.
Camille
uscì dall’alcova e spalancò gli occhi
quando si trovò di fronte la preside che
le sbarrava la strada. “Madame Maxime…”
disse, sperando che lei non avesse
sentito quello che le aveva detto Lionel, vergognandosi.
“Buonasera
cara. Sai cosa penso? Penso che non dovresti mai permettere ai
cambiamenti
intorno a te di modificare la natura di quello che sei. Non dovresti
adeguarti
agli altri e neanche nasconderti.”
“Co…come?”
“Un
mio grande amico, una volta mi disse che quello che facciamo
è molto più importante
di quello che siamo. Mi sa che dovresti aver sentito questa cosa quando
hai
vissuto in Inghilterra, giusto?”
Camille
annuì, un po’ sovrappensiero. Era una frase che il
fidanzato di Pansy
diceva spesso a sua sorella e, quando
succedeva, loro si guardavano con così tanto amore che lei
desiderava soltanto
qualcuno da guardare nella stessa maniera. Annuì guardano il
corridoio dove era
sparito Lionel. Doveva assolutamente parlare con lui. Camille era una
persona
corretta e voleva continuare a esserlo. Voleva chiarire con tutti.
Sistemare le
cose con Justine, con cui avrebbe dovuto parlare appena arrivata a
Beauxbatons,
e anche con le altre ragazze Violasirena, che non si meritavano le
parole che
aveva detto su di loro. Avrebbe dovuto scusarsi anche con Ethan, per
averlo
imbrogliato. Aveva un sacco di cose di cui fare ammenda. Ma perché si era
comportata così male?
“Ora
scusami, ma devo proprio andare. Pensa a quello che ti ho
detto!” E detto ciò,
la preside strizzò un occhio e se ne andò.
Camille rimase sbalordita. Se l’era
sognato o era successo davvero? Sbattè ancora gli occhi,
mentre la stanza
girava e girava finché…
“Camille!”
La ragazza si girò al suono del suo nome: Justine,
dall’altra parte del tavolo
la stava chiamando. “Andiamo in camera?”
Camille
si guardò intorno: la cena era terminata e tutti i ragazzi
si stavano alzando
per raggiungere le camere.
Abbassò
gli occhi sul nastrino che le pendeva dal collo: era celeste.
Celestecolibrì. Oh.
Si guardò intorno: era seduta al tavolo dei
Celestecolibrì e la prima cena al
palazzo era appena terminata. Era il primo settembre.
Aveva
sognato tutto, quindi? Ma proprio tutto? Guardò verso
Lionel, ma lui si stava
alzando, poi incrociò lo sguardo della preside e lei
ammiccò. Oh. Forse… Forse
poteva fare qualcosa.
Si
alzò velocemente e raggiunse Justine. “Scusa per
prima…” iniziò a scusarsi
l’amica. Camille l’abbracciò e le disse
di non preoccuparsi.
Rivolse
un cenno di saluto a Lionel, che il ragazzo ricambiò
sorpreso e Justine le
sussurrò: “Sai che l’ho sentito
nominarti, prima, in carrozza? Mi sa che gli
piaci…”