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Autore: GaTTaRa PaZZa    22/09/2019    1 recensioni
Il mito delle origini. Cercare di capire come ci siamo arrivati, su questo triste mondo malato.
Ma le interpretazioni bibliche non erano la risposta che Kathleen cercava. Lei voleva comprendere, molto più semplicemente, come fosse arrivata in quel percorso già tracciato per lei. Voleva conoscere il suo personalissimo mito delle origini, per affrontare quel ramo marcio che sapeva esserci nella sua discendenza. Fino a che punto si era propagato quel putridume?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Riddle Sr., Tom Riddle/Voldermort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Kathleen entrò ai Tre Manici di Scopa lanciando dietro di sé un paio di occhiate nervose. Non sembrava che nessuno la stesse seguendo…
Si spostò la sciarpa dalla bocca al collo, il naso rosso e gli occhi umidi, e si diresse verso il bancone guardandosi attentamente intorno. La locanda era piena di studenti come al solito, il chiacchiericcio piuttosto fitto e fastidioso.
“Un cappello rosso… un cappello da strega rosso…” cercò, alzando il collo per guardare in fondo alle sale.
-Stai cercando i tuoi amici, cara?- le domandò Madama Rosmerta, mentre stappava una bella bottiglia di birra folletta artigianale per il Professor Lumacorno.
-Sì… buongiorno, Professore…- rispose Kathleen, distratta.
-Ehm, buongiorno, ehm… cara- la salutò il Professore, alzando il bicchiere dal bancone e dandole un’occhiata veloce.
Per un secondo, Kathleen ricambiò lo sguardo, indifferente. E vide il Professore sgranare gli occhi per un attimo, il boccale sospeso appena sotto la bocca baffuta. Distolse gli occhi dai suoi e andò verso i tavolini, in cerca di qualcosa di rosso che attirasse l’attenzione.
E poi eccolo, un basco francese rosso fiamma, poggiato su una sedia vuota in un tavolino su cui sedeva sola una giovane donna, che vedeva da dietro. Camminò più velocemente, la bacchetta salda nel pugno. L’intera faccenda le era sembrata una trappola bella e buona, o un trucco per ricattarla nel fare qualcosa.
-Salve. Tu stai cercando me- si presentò Kathleen, analizzando la donna che sedeva elegantemente davanti a sé, occhiali da sole a punta da gatto bianchi sul naso. Aveva i capelli neri, corti, da maschietto, un rosso sgargiante sulle labbra e un sorriso ancora più sfavillante. Si sfilò gli occhiali, rivelando un paio di grandi occhioni neri da cerbiatta.
-Ciao Kathleen. Io sono Kim. Siediti- l’invitò, ancora sorridente. Spostò il cappello in modo che la ragazza potesse accomodarsi vicino a lei.
Tentennante, e ancora con la mano in tasca aggrappata alla bacchetta, si sedette.
-Allora. Non hai domande per me, Kathleen?- le chiese Kim, mentre analizzava perplessa la faccia apatica della Serpeverde.
-Sì. Chi sei e che cosa vuoi da me? Ti ha mandato qualcuno?- schioccò Kathleen, diffidente.
Kim l’osservò in silenzio, cauta, lo sguardo nero d’intelligenza. -Sono venuta di mia spontanea volontà a cercarti. Non ti voglio fare alcun male, vorrei solo parlare. E magari, offrirti dell’Idromele-. Sorrise, e fece materializzare un bicchiere sul tavolo. La bottiglia era già lì, accanto al suo bicchiere macchiato di rossetto. La donna riempì il bicchiere e l’offrì alla ragazza, che lo accettò ma non bevve ancora. Si sbottonò il giubbotto e il mantello e si tolse la sciarpa verde e argento, i colori della sua Casa.
-E adesso rispondo all’ultima tua domanda. Mi chiamo Kimberly Shadow e sono la sorella di tua madre, Samantha- concluse, sottovoce, gli occhi scuri fissi sul verde profondo dello sguardo di Kathleen.
Che all’improvviso non aveva altro nel cervello che un fiacco, persistente fischio d’incredulità.
Kimberly cominciò a frugare nella sua borsa a saccoccia, ma tutto a un tratto lasciò perdere. -Voglio dimostrartelo con una prova, è normale che tu possa essere sospettosa. Ma non mi sembra il caso di tirarla fuori qui, perché sarebbe estremamente pericoloso per entrambe. E bevi un sorso, ti sbloccherà-.
Kathleen bevve. Era dolce, ma asprino al retrogusto e le lasciava la gola calda. E così questa s’aspettava di essere creduta e accolta da lei a braccia aperte? Nossignore.
La studiò, guardinga. Cercava nel suo volto qualche tratto che le ricordasse il suo. I capelli nero corvino erano gli stessi, e la bocca. Non le bastava; poteva essere solo un incantesimo per camuffarsi più simile a lei. Apprezzò molto la sua discrezione ma ebbe l’impressione che quella donna sapesse un po’ troppo sulla sua situazione, considerata la sua prudenza. Oppure era un metodo per farla allontanare da un luogo pubblico, lontani da testimoni. -E perché sbucare proprio ora, dopo tutto questo tempo?-.
Kim sorseggiò il suo idromele, un’aria tutta concentrata. -È da mesi che volevo avvicinarti, ma non era mai il momento giusto. E adesso, finalmente, mi sono decisa-.
Kathleen provò a studiarla.
Già il fatto che avesse deciso di presentarsi a quell’appuntamento presupponeva che lei fosse già stata sedotta dalle parole che quella donna le aveva scritto nella lettera ricevuta più o meno una settimana prima. Aveva saputo come attirare la sua attenzione, e lei era stata abbastanza imprudente da presentarsi. Nonostante la situazione. Nonostante lei fosse una Mangiamorte, destinata dalla nascita ad esserlo. Ma sperava che, in qualche modo, potesse non saperlo.
-Kathleen, voglio mostrarti il tuo albero genealogico. Il nostro, per l’esattezza-sussurrò Kimberly, avvicinando il suo bel viso a quello della ragazza, per farsi sentire.
-Dove? Quando?- mormorò Kathleen in risposta, mentre si nascondeva il volto dietro il bicchiere di idromele.
-Adesso. Dobbiamo andare via di qui. Esci prima tu; cammini fino al negozio di musica dal Maestro- le spiegò Kim, mentre faceva roteare il bicchiere fra le sue mani con le unghie tinte di rosso. -Tanto lì non ci va un cane di nessuno, e sta nelle retrovie del villaggio, verso la strada secondaria che porta oltre le abitazioni, verso le colline-.
-Io ti raggiungerò lì fra qualche minuto. Mi finisco questo bicchiere, mi fumo una sigaretta, e arrivo- concluse, rilassando la schiena contro il sedile.
Kathleen sapeva che era una pessima scelta. Non aveva alcun senso appartarsi con una persona che non le aveva dato la benché minima prova di essere imparentata con lei. D’altro canto, Kim sembrava consapevole di non poter sbandierare ai quattro venti, in un pub, informazioni così sensibili. Si era resa benissimo conto del pericolo a cui le avrebbe esposte. E per questo aveva deciso di non mostrargliele immediatamente.
La curiosità la stava uccidendo. E poi, che avrebbe avuto da perdere? La sua vita sarebbe sempre stata servire il Signore Oscuro. Una vita che non aveva chiesto, e che alla fine, non le importava molto di restituire all’Universo. La posta in gioco era molto più alta della sua vita, ed era pronta a puntarla per vincere un assaggio di possibile verità.
-Ok. Io vado, allora- disse Kathleen ad alta voce, schiarendosi la gola. Si rimise la sciarpa e si abbottonò la giacca con calma. Alzò gli occhi dai bottoni per guardare la giovane donna negli occhi. -Vieni. Per favore- la pregò, uno sguardo spaventato di puro smeraldo.
-Ci sarò- promise Kim, allargando le labbra nel suo bel sorriso. La salutò con la mano mentre la Serpeverde camminava fuori dal locale, diretta verso il negozio di musica. Tutti sarebbero stati nei soliti posti, da Mielandia, Zonko o i Tre Manici di Scopa in quel momento, nessuno l’avrebbe notata allontanarsi.
Faceva freddo. Era Febbraio, e c’era un bel velo di neve per tutto il villaggio, e le montagne intorno erano imbiancate di fresco. Kathleen sentiva l’aria frizzante del pomeriggio pizzicarle il naso. Si sistemò la sciarpa più in alto, in modo che le coprisse metà faccia. Sperò che nessuno la vedesse. Sperò di poter tornare poi rassicurata al castello. Sperò che nella Sala Comune ci fossero tutte le sue compagne di stanza pronte ad ascoltare la sua storia. Loro potevano sapere. Loro, come lei, erano già coinvolte.
Camminò per circa una decina di minuti, per poi fermarsi all’insegna del negozio di musica del Maestro. Kathleen immaginò che fosse quello il posto dove Vitious si riforniva dei suoi leggii e della sua pergamena da spartito.
Quasi desiderò avesse anche lei una sigaretta da fumare per ingannare l’attesa e placare l’ansia, ma a lei non era mai interessato cominciare a fumare. Cominciò a pensare a una canzone da ripetere nella sua mente, giusto per tenersi la testa vuota da alcun pensiero. Non poteva permettere alla paranoia di impossessarsi di lei.
“Forse è il caso di lasciare una traccia nascosta. Se non dovessi tornare… almeno lascio un indizio” pensò, in uno slancio di lucidità. Sentiva il cuore batterle all’impazzata e il respiro accelerare. Inspirare era diventato difficile, ogni sorsata d’aria si accorciava e non bastava mai per la successiva. Si accucciò sulla neve, incapace di stare in piedi. Il panico l’aveva posseduta; doveva esorcizzarlo fuori da lei. “Forza, ragazza, respira”. Chiuse la bocca e inspirò con le narici, la mano sul petto, per sentire il battito e contarlo, per concentrarsi su qualcosa. Tracciò con un pezzetto di legno il suo nome e la data; doveva fare un incantesimo di adesione permanente, in modo che le scritte non sparissero mischiandosi alla neve che sarebbe scesa durante la notte. Poi coprì la scritta con dell’altra neve; una volta spostata, i segni sarebbero rimasti lì, indelebili, finché non si fosse sciolta.
Kate forse sarebbe riuscita a risalire alla traccia, con l’aiuto del suo cane e del biglietto che aveva lasciato in camera, sul suo letto: ‹‹Sono ai 3 manici di scopa››. Usando revelio, di sicuro avrebbe visto l’incantesimo nascosto…
Si appoggiò tentennante alla staccionata di legno, il cuore che ancora sentiva rumorosamente battere all’impazzata, vigile, bacchetta sempre salda nella mano chiusa a pugno nascosta nella tasca del mantello. Aveva sudato parecchio, doveva esserle calata la pressione; dovette ammettere di sentirsi un po' provata
Presto comparve nel suo raggio visivo un berretto rosso. Era arrivata, sola. E sorrideva, sventolando la mano guantata. Ma ancora non riusciva ad abbassare la guardia.
-Beh, sei stata molto coraggiosa a venire, Kathleen- commentò Kim, a mo’ di saluto.
Lei non rispose, né disse alcunché. Rimase fredda, impassibile, la pelle chiara quasi come il panorama intorno a loro.
-Vieni. Andiamo su per di là, gli incroci non mi piacciono, potrebbe sbucare qualcuno da ogni direzione-.
Riluttante, Kathleen la seguì per il sentiero in salita. Non voleva allontanarsi troppo. Ormai, però, era arrivata a quel punto e tanto valeva proseguire.
Kim si avventurò un po’ fuori dal tracciato, fermandosi su una panchina un po’ provata dal maltempo. Estrasse gentilmente la bacchetta dalla tasca, azione che spinse la Serpeverde a tirare fuori la sua di scatto. La giovane donna se ne accorse, e sorrise amaramente, un’espressione crucciata le indurì il viso.  -Volevo solo far sparire la neve dalla panchina, così possiamo sederci. Con il tuo permesso, vorrei fare qualche incantesimo per occultare la nostra presenza casomai qualcuno ci stesse spiando-.
Oh, così se si fosse messa a urlare nessuno l’avrebbe sentita? Si aspettava che fosse così stupida?
Kimberly sospirò; chiaramente aveva letto e interpretato benissimo la faccia sospettosa di Kathleen. Puntò la bacchetta sulla panchina: -Evanesco-.
La neve sparì del tutto dal legno scuro. -Ti do la mia parola d’onore che ti consegnerò la mia bacchetta appena finisco con gli incantesimi di protezione. Non voglio farti alcun male, Kathleen-.
Era già la seconda volta che glielo ripeteva. Kath annuì, una strana sensazione le stringeva il petto. Senso di colpa? Vergogna?
Kim cominciò a borbottare incantesimi, girando in tondo alla panchina, lanciando occhiate a destra e sinistra di tanto in tanto. Poi si sedette, la bacchetta tesa verso la ragazza, elegantemente poggiata fra i palmi delle due mani. Kathleen si accomodò di fianco a lei, incerta se prendere o meno la bacchetta… sospirò, e scosse la testa. -Tienila-.
Sorrise. -Grazie per la fiducia- Non c’era ombra di sarcasmo… sembrava, stranamente, genuinamente contenta.
Kathleen sprofondò nell’imbarazzo più totale; d’altronde, forse si era lasciata impossessare dalla paranoia molto più di quanto fosse disposta ad ammettere. E quella sua dolcezza non faceva che farla sentire ancora peggio.
La donna non smetteva di analizzarla. Continuava a mantenere quel sorriso incoraggiante, in contrasto con lo sguardo vagamente preoccupato. -Iniziamo subito da quello che ti interessa di più, okay?- propose, mentre frugava nella borsa.
Il battito accelerò di nuovo. Ma stavolta non era paura. Era un’emozione diversa, impaziente, quasi speranzosa…
Kim estrasse un rotolo di pergamena piuttosto spesso, e lo srotolò con un colpo di bacchetta. Era lungo, davvero molto lungo; la carta si era srotolata fino a terra e cominciava a inzupparsi per colpa della neve… -OOPS! Ho esagerato! Aspetta…-. Con un altro colpo di bacchetta  arrotolò di parecchio, lasciando libera solo l’ultima porzione della pergamena. -Ecco-.
Kathleen, agitata, guardò dove il dito guantato indicava.
Il suo nome. 
  
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