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Autore: Aslinn    29/07/2009    0 recensioni
Brian Molko non è da capire. O lo ami o lo odi. Ma a me è riservato un grande privilegio: accettarlo semplicemente. {Brian/Stefan, sul loro legame...non amicizia, non amore}
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Molko, Nuovo personaggio, Stefan Osdal, Steve Hewitt
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
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Note: Sono sempre meno convinta di questa storia, la posto comunque perché mi è servita a chiarirmi le idee. E comunque ci tengoXD
ATTENZIONE: I Placebo non mi appartengono, non mi pagano, non ho contatti con loro e non voglio certo offenderli. Caratteri e situazioni descritte sono totalmente inventati e non ispirati ad avvenimenti reali.
Commenti e/o critiche sempre ben accetti^^
Buona lettura!

Capitolo 3: Stuck between the do or die 

Non ci guardammo in faccia. Quella sera suonammo come al solito …Brian sorrise e io tentai invano, dalla sua batteria Steve non ci provò neppure. Eravamo tesi, credo che nessuno di noi stesse pensando alla musica nella sua essenza, ma solo al meccanico ripetersi delle note e delle parole. Eppure Brian infuse nella sua voce la sua solita espressività, e sembrava felice. E lo odiai, riuscii quasi a provare puro odio per lui. E’ un sentimento così forte e sottovalutato…
Finimmo e la cosa dura fu prenderci per mano e inchinarci sorridenti.
Sentire la sua mano che stringeva la mia con convinta fermezza, mentre la mia era abbandonata con poca convinzione, mi spinse quasi ad abbandonare subito il palco.
Quando scendemmo mi precipitai stanco nel mio camerino.
Mi sedetti sul divanetto prendendomi una pausa prima di rifarmi il trucco e cambiarmi. Poggiai la testa allo schienale imbottito e fissai il soffitto, finché un bussare nervoso mi destò. Poco dopo, senza attendere consenso, entrò Steve. Mi si piazzò davanti e frettoloso mi porse le sue scuse.
“Non avrei dovuto provocarti”.
“Non importa più” dissi sospirando.
“Stavo per chiamare Brian “puttanella”. Non dovevo farlo sul palco.”
Da come rimarcò queste ultime parole capii che lo pensava ancora. Si stava scusando per il modo, non il contenuto del suo sfogo.
“Avevi ragione…su di lui” ammisi con dolore.
Distolsi lo sguardo umido e lui si sedette di fronte a me.
“Cosa è successo?”
Strinsi forte gli occhi per reprimere le lacrime che mi si fermarono in un groppo doloroso nella gola infiammandola.
“Per lui non conto. A lui non importa di nessuno, vuole solo avere il suo divertimento. Gioca con le persone, è manipolatore, pericoloso. Lui è malato!”
Lo dissi con rabbia crescente, finendo per guardare Steve negli occhi, e lo vidi incerto per un attimo.
“Io…sapevo che lui sfruttava gli altri, ma non credevo che lo facesse anche con te. Lui a te ci tiene, almeno così credevo.”
Risi ironicamente, cosa che non avevo quasi mai sentito il bisogno di fare, e mi odiai per come mi ricordava i modi di Brian. Non volevo assomigliargli. In nulla.
“Lui tiene solo a sé.”

Andammo avanti per parecchio tempo così. Parecchio per me, che sopportavo male quella situazione. Il mio letto era vuoto, il mio sguardo, i miei giorni.
Non ho mai amato Brian. Vi sembrerà una contraddizione, ma non l’ho mai amato come si amerebbe il proprio ragazzo. Era qualcosa che andava oltre, tra amicizia e amore, dove i confini sono labili. Sfumare i limiti è bello, ma pericoloso e può creare confusione. La stessa che mi teneva seduto sul letto alle tre di quella notte, a riflettere. Male. Perché il buio e la tarda ora accrescevano la mia confusione mentale. Raggiungevo idee che mi parevano sublimi e il momento dopo ricadevo nel buio dell’oblio mentale o di pensieri depressi. Come supponevo vivesse Brian. E ora capivo il suo star male. Anche se non del tutto.
Come dicevo, io non lo amavo di amore. Gli volevo bene in modo incredibile, e stare senza di lui in quel modo mi feriva. Come se mi avessero strappato madre, padre e figlio in un sol colpo.
Mezzo nudo cominciai a sudare freddo e sentii un bisogno impellente di liberarmi di tutte quelle angosce. Ancora oggi non riesco a spiegarmi se quello fu un caso fortuito o qualcosa di così strano da indurmi a rivalutare per un attimo le miei convinzioni sul destino. Fatto sta che nel bel mezzo di quella mia crisi notturna, il telefonino squillò. Che benedizione!
“Sì?” risposi apatico, apparendo probabilmente svogliato.
“Ciao, sono Steve. Scusa, ti disturbo?”
“Ah Steve” risposi sorpreso che mi avesse chiamato così tardi. “No, non stavo dormendo.”
“Immaginavo, ho chiamato per questo. La mia piccola mi sta tendendo sveglio, e ho pensato che anche tu lo fossi, visto quel che sta succedendo. Ti va di parlare?”
Rimasi stranito. Steve non era il tipo che chiamava così calmo alle tre di notte per fare quattro chiacchiere, preoccupandosi di come stavi.
“Sì, certo. Di cosa vuoi parlare?”
“Di noi. Della band..”
“Ah…cosa c’è da dire?” chiesi fingendomi indifferente, non so perché, ma comunque invano.
E costatai con amarezza e rancore che non ero bravo come Brian a fingere.
“Lo sai bene. Stiamo facendo schifo alle prove. Non ci troviamo più, la tensione è troppa e comincia a innervosirmi. E visto che pare che nessuno dei due…” il pianto della figlia gli fece abbassare la voce. “Dato che nessuno di voi sembra essere abbastanza maturo da affrontare la cosa” riprese dopo aver cullato la piccola, “credo sia meglio dare un taglio da subito.”
“Cosa? No! I Placebo sono…”
“So cosa sono, ma non siamo più noi! Cazzo, un noi non esiste, Stef. Non più. O risolvete o è meglio che chiudiamo. Credimi, di litigi in band ne sono esperto ormai e ti dico che tenere tutto sotto il tappeto è peggio. Prima o poi ci si rivolterà contro.”
“E cosa dovrei fare?” chiesi quasi in lacrime, mordendomi il labbro e agitando i piedi sul lenzuolo attorcigliato…quello che non odorava più di noi. Tutto era diventato estraneo, anche ciò che prima era intimo. Anche la nostra musica. Steve aveva ragione, ma io non volevo del tutto ascoltarlo, una parte di me rigettava quelle parole, l’altra invece le sapeva fin da prima che venissero pronunciate e ne doleva, sanguinava in silenzio nel suo angolo. I Placebo per me erano tutto, e lo sono ancora. Io li ho voluti, e io li dovevo salvare. Ma non potevo da solo.
“Brian è lì in albergo con te, no?”
Era vero. Io e lui alloggiavamo in albergo, Steve in un appartamento lì vicino con la compagna e la figlia.
“Sì…”
“Parlagli. Domani ti chiamerò, e allora mi dirai se i Placebo sono morti o sono più forti di prima.”
Detto questo attaccò senza aspettare risposta o replica.
Ora spettava a me ammazzare la nostra musica, o farla rinascere.


S.A.:
Ringraziamenti: grazie a mhcm per il commento^^ E che vuoi farci, spesso le persone sbagliate ci piacciono. Non sai la sorpresa quando, poco dopo aver cominciato ad ascoltare i Placebo, ho scoperto che Stefan è gay °°
  
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