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Autore: bathtubreadings    04/10/2019    3 recensioni
[1006 parole]
[#writober2019]
[past Junmyeon/Jongdae]
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Era sbagliato. Era tutto così sbagliato.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chen, Chen, Suho, Suho
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'WRITOBER 2019'
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Sapeva che quel giorno sarebbe arrivato, entrambi lo sapevano, ma non per questo Junmyeon era preparato.

 

Erano giorni che Junmyeon funzionava meccanicamente, sapeva che doveva alzarsi, lavarsi, fare colazione e andare a lavoro. Ma quando era tornato a casa, quasi una settimana dopo che Jongdae se n’era andato, Junmyeon vide tutto quello che – non – aveva davanti.

 

Era ancora fermo sulla soglia di casa, non si era nemmeno tolto le scarpe ancora, perché là davanti a lui, sul tavolino in salotto c’era ancora la tazza di tè che aveva usato Jongdae quella mattina. L’aveva lasciata là, come ogni altra mattina, era sempre Junmyeon a portarla in cucina, metterla nella lavastoviglie che avrebbero fatto partire la sera, entrambi troppo pigri per lavare un paio di piatti.

 

Gli si riempirono gli occhi di lacrime.

 

Diresse velocemente lo sguardo verso il basso, la casa era piena di fotografie di loro due, felici, abbracciati, innamorati. In quel momento non erano nessuna di quelle cose. Non lo erano da un po’ ormai. Non esistevano più quelle due persone. Non voleva guardarle in faccia.

 

Chiuse velocemente la porta dietro di sé. Per un attimo si dimenticò di chiuderla a chiave. Non la chiudeva mai a chiave, Jongdae sarebbe arrivato dopo una decina di minuti, l’avrebbe chiusa lui. Ma ora non più. Girò la chiave, poi si tolse le scarpe.

 

Le lacrime minacciarono di scendere. Cercò di trattenerle.

 

Non alzò la testa nel dirigersi in camera da letto, era più facile camminare se tutto quello che vedeva erano i suoi piedi e le piastrelle bianche.

 

La porta della cameretta – era solo camera sua adesso, non si sarebbe mai abituato – era chiusa. Mise la mano sulla maniglia, ma non ebbe la forza di abbassarla, non ancora.

 

Andò invece in bagno per sciacquarsi la faccia, rinfrescarsi un attimo, riprendersi. Non riconobbe l’uomo riflesso nello specchio. Aveva un volto familiare, simile al suo, ma era stanco, triste, distrutto, con le occhiaie e l’ombra della barba. Si sarebbe dovuto rasare.

 

Si guardò distrattamente intorno. Sullo scaffale vicino allo specchio c’era ancora la schiuma da barba di Jongdae, il suo dopobarba, il suo profumo preferito. Dallo specchio Junmyeon poteva vedere anche il suo shampoo, ancora nel portaoggetti della doccia.

 

Strinse gli occhi cercando di scacciare le lacrime. Non voleva piangere.

 

Dopo aver preso un grosso respiro, si decise a entrare nella loro stanza.

 

La prima cosa che lo colpì fu l’odore: nonostante l’odore di chiuso fosse pungente – avrebbe dovuto aprire la finestra e lasciar arieggiare la stanza – non poté fare a meno di sentire il suo profumo potente, forte, ovunque.

 

Sentire una lacrima scappare alla presa delle sue ciglia gli fece realizzare quanto essere da soli in quella casa, in quella camera, fosse sbagliato. Il letto era sfatto, da entrambi i lati, anche il suo, quello di Jongdae, perché Junmyeon non ce l’aveva fatta a cambiare le lenzuola, a lasciare andare quello che rimaneva di lui, in quel punto più che nel resto della casa. Il cuscino profumava ancora di lui, ma non sentire una presenza al suo fianco, del calore mentre dormiva, non ci aveva ancora fatto l’abitudine. L’armadio era aperto, c’erano ancora alcuni vestiti di Jongdae appesi e piegati sulle mensole, non li aveva portati via tutti, e Junmyeon non li aveva toccati, non si era azzardato. Non ne aveva avuto il coraggio.

 

Ma andò verso l’armadio, il profumo di Jongdae ancora più forte, più di quello che poteva sentire sul letto, impregnato sui suoi vestiti, nonostante fossero ancora freschi di lavatrice. Aveva lasciato appeso il suo maglione preferito, quello che usava quando era malato, quando voleva essere coccolato, accudito, come se fosse un bambino, quando voleva che gli si portasse la cioccolata calda a letto, mentre era avvolto nelle coperte.

 

Junmyeon lo accarezzò delicatamente con la punta delle dita. Un’altra lacrima scese.

 

Fu una decisione impulsiva quella di togliersi la cravatta, lasciarla cadere per terra, slacciarsi i primi bottoni della camicia e infilarsi quel maglione, con le lacrime che scendevano ormai copiose sul suo viso.

 

Era sbagliato. Era tutto così sbagliato. Junmyeon non sarebbe dovuto essere là da solo, davanti un armadio con vestiti di due persone, con indosso il vecchio maglione di Jongdae, con le braccia avvolte intorno al suo busto in un abbraccio solitario, immaginando che invece fosse Jongdae ad abbracciarlo, consolarlo, a dirgli che andava tutto bene, che tutto si sarebbe risolto. E Jongdae non sarebbe dovuto uscire da quella porta una settimana prima, portandosi via una piccola parte delle sue cose, perché così facendo aveva in realtà portato via anche una piccola parte di Junmyeon.

 

E avrebbero dovuto parlarne. Risolvere. Capire perché non erano più felici. Scoprire cosa li aveva divisi. Non avevano fatto niente di tutto ciò. Avevano smesso di parlare, si dicevano solo il minimo indispensabile. Non dormivano più abbracciati da tempo, ma ai lati opposti del letto, dandosi la schiena, un abisso a separarli. Un abisso incolmabile che aveva finito per separarli definitivamente, irrimediabilmente.

 

Junmyeon si girò verso la cameretta, dando le spalle all’armadio. Era disordinata, sporca, avrebbe decisamente dovuto lavare il pavimento. Ma era viva, piena di oggetti appartenenti a entrambi: la sciarpa di Jongdae ai piedi del letto, le candele di Junmyeon su entrambi i comodini, altre foto di loro due insieme, abbracciati, spensierati, innamorati.

 

Un singhiozzo scappò dalla bocca di Junmyeon; si portò una mano coperta dalla manica del maglione alla bocca.

 

Invidiava quei due ragazzi nelle foto, in alcune erano giovani, altre erano più recenti, ma erano sempre sorridenti. Gli mancavano, erano felici, erano una coppia, erano una cosa sola. Ma non esistevano più, e Junmyeon piangeva, impotente. Si sentiva stupido, era anche colpa sua se i ragazzi delle foto appartenevano ormai al passato. E non poteva farci niente ormai, non sarebbero mai tornati indietro, non sarebbero più esistiti.

 

Avrebbe voluto rimediare, ma come? Era troppo tardi, non poteva tornare indietro nel tempo, cancellare quegli ultimi tre mesi, quelle ultime due settimane in particolare. Avrebbe dovuto fermare Jongdae prima che uscisse da quella porta, da quella casa, confrontarlo, parlargli, risolvere.

 

Ma non poteva, non più.



 


TERZO GIORNO, TERZO RITARDO, WATCH ME PUBBLICARE TUTTO IL MESE IN RITARDO DI QUALCHE ORA PERCHE' NON SO ESSERE PUNTUALE SHDJDKFS
D U N Q U E
Chi mi segue su twitter (seguitemi su twitter sdjfhk giuro che non mordo) probabilmente avrà visto i tweet dove piango mentre scrivevo questa one shot: è stata un'esperienza che non voglio ripetere mai più in vita mia, scrivere puro angst è difficile, faticoso, è più complicato scriverlo che leggerlo, e probabilmente passerò la nottata a cercare foto di Junmyeon e Jongdae insieme su pinterest per riprendermi.
Fatemi sapere cosa ne pensate! Sentire i vostri pareri mi fa sempre piacere!!
Aggiungetemi su facebook, giuro che sono simpatico!
Potete trovare il thread con tutte le fic del writober sul mio twitter.

Un bacio!

 
   
 
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