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Autore: Celtica    04/10/2019    8 recensioni
Soulmate!AU! SanSan
Sandor lavora in un bar, e Sansa è cliente.
A Sandor piace Sansa, ma non trova il coraggio di avvicinarsi. Quando finalmente si decide ad andare a parlare con lei, entra Petyr e le siede vicino.
Questa storia è ispirata a un prompt di Relie Diadamat, e partecipa alla Ottobre Challenge: Trick or Treat? indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joffrey Baratheon, Petyr Baelish, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The sound of silence

Questa storia partecipa a Ottobre Challenge: Trick or Treat? Indetta sul gruppo facebook Il Giardino di Efp.
Prompt: odore di pioggia.
 

Prompt di Relie:
A lavora in un bar. B è cliente.
Ad A piace B, ma non trova il coraggio di avvicinarsi. Quando finalmente si decide ad andare a parlare con B, entra C e si siede accanto a B.

  

Sandor ha 36 anni e Sansa 21.

 

 

 

The Sound of Dream

 

 

 

Sansa era seduta al solito posto, a leggere il solito libro.
La tazza di tè sul tavolo davanti a lei aveva smesso di fumare da almeno un quarto d’ora. Sandor aveva seguito ogni scia di vapore da dietro il bancone, finché non era stato chiamato da un altro cliente.

«Ehi, Mastino, portami da bere. Il mio bicchiere è vuoto.»

«Lo sai che detesto quel nome» ringhiò lui, servendo altro vino a Joffrey.
«Ma è quello che sei, no?» Il sorriso di Joffrey si allargò su quel volto da ragazzino. «Un cane. Con quella faccia… dimmi, Mastino, che effetto fa suscitare ribrezzo in ogni donna? Che effetto fa trovartele davanti tutti i giorni e sapere di non poter…»

«Sentimi bene, ragazzino.» La mano di Sandor picchiò forte sul tavolo. «Sopporto la tua presenza qui solo perché devo un favore alla tua famiglia. Altrimenti…»

«Altrimenti cosa, Cane?» Joffrey si appoggiò allo schienale della sedia. «Come hai detto, hai un debito con i Lannister. Quindi mi servirai buon vino ogni giorno, gratis, e sorriderai ogni volta che ti chiamerò Mastino. Perché è questo che voglio, capito, Mastino
Sandor nascose il ringhio dietro un sorriso. «Buon vino, certo.»

«Bene. Ora che hai capito, portamene un’altra caraffa. Stavolta di bianco.» Poi Joffrey lanciò uno sguardo lascivo in direzione di Sansa. «Mi va di cambiare.»
«Corro.» Sandor sollevò le labbra a scoprire i denti. Passò davanti al tavolo da biliardo, raggiunse il bancone e riempì un quartino con vino bianco, il migliore che aveva.
Si accorse di Sansa, che aveva seguito la scenetta con Joffrey e continuava a lanciare occhiate nella direzione di entrambi. Il giovane Lannister intercettò il suo sguardo e sorrise seducente.
Lei strinse gli occhi e si chinò sul suo libro.

«Ecco qui.» Sandor sbatté la caraffa sul tavolo, richiamando l’attenzione di Joffrey. «Il miglior bianco della città.»
«Bene. Dirò a mia madre che mi hai servito bene.»

«Ma il bianco migliore non vale niente senza il suo ingrediente speciale» aggiunse Sandor, chinandosi in avanti.
«E quale sarebbe questo ingrediente speciale, Mastino? Non ti ho mai visto servire niente di speciale qui dentro.»
«Lo riservo solo ai clienti migliori.» Sorrise.
«Mmm, sì, lo capisco.» Joffrey si stava annoiando. «E sia, aggiungi questo ingrediente e, se sarà speciale come dici, riferirò a mia madre. Vedrò di farti abbassare un po’ il debito.»

Sandor afferrò il quartino con due mani. «Troppo gentile.» Poi ci sputò dentro.

Appoggiò la caraffa di fronte al volto sconvolto di Joffrey, tra l’ilarità generale. «Ecco fatto. Servizio speciale per un ragazzo speciale.»
Joffrey schizzò in piedi, gli occhi fuori dalle orbite e l’indice puntato verso Sandor. Se fosse stato più vicino – se solo gli avesse sfiorato il petto con quel dito – glielo avrebbe spezzato.

«Lo dirò a mia madre!» prese a farneticare, tremando. «Nessuno metterà più piede qui dentro, nessuno! Ti farò chiudere, hai capito, Mastino? Chiudere!»
Poi se ne andò facendo sbattere la porta.

Gli altri clienti ridevano ancora, quando Sandor si avvicinò al bancone e gridò: «Questo giro lo offro io!»
I bicchieri si alzarono nella sua direzione, chi per brindare e chi aspettando di vedersi riempire il calice fino al bordo.
Li servì tutti, uno dopo l’altro, tenendo lei per ultima. Sansa non si era unita alle risate generali, e Sandor avrebbe voluto vederle spuntare in volto almeno un sorriso.
Quando si avvicinò, stringendo una tazza di tè tra le mani, non la vide nemmeno sollevare lo sguardo. Sentì solo la sua vocina sottile che saliva al suo orecchio.

«No, grazie.»

«Che hai detto?»
Sansa incontrò i suoi occhi per un istante brevissimo, e tornò subito a concentrarsi sul libro che stava leggendo. «Ho detto: no, grazie.»
«Che c’è? La scena ha divertito tutti tranne te?»

Il campanello della porta suonò di nuovo, ma Sandor non ci fece caso.
Una mano bianca e sottile salì a sfiorare la tazza di tè, ancora intonsa sul tavolo. Sandor riuscì solo a pensare che era proprio lì che lui l’aveva toccata.
«Ho ancora la mia tazza di tè. Non riuscirei comunque a berne un altro.» Poi, vedendo che lui non se ne andava, alzò di nuovo lo sguardo. «Comunque grazie.»

Il brusio della sala lo intontì. Fece per prendere la tazza nuova e fumante sul tavolo – era di un nuovo servizio arrivato giusto la settimana prima, che Sandor stava conservando per lei – quando qualcuno gli rubò il tè da davanti al naso.

«Grazie» disse una voce bassa, roca – maschile – che fece subito sollevare i begli occhi azzurri di Sansa. «Lasciala pure. La bevo io.» L’altra mano accarezzò la sedia più vicina alla ragazza. «Posso?»

Solo allora Sandor si ridestò dal torpore, osservando l’uomo che gli stava rubando la tazza dalle mani – e la ragazza nel suo locale.
Corse a riprendersi la tazza, e Sansa lo guardò spaventata.

«Questa era offerta dalla casa per la ragazzina.» A quella parola, la paura svanì dagli occhi di Sansa e lasciò il posto a un cipiglio arrabbiato. «Tutti quelli che hanno riso a una certa cosa, avvenuta prima che ti presentassi qui, ne hanno diritto. Tu no.»
L’uomo sorrise solo con le labbra. «Allora credo che ne ordinerò una tazza tutta per me. Che ne dici? Può andare?» Poi tornò a rivolgersi a Sansa. «Quel libro è affascinante. L’ho letto tre volte, e il finale continua a stupirmi…»
Sansa sembrò dimenticarsi completamente della sua presenza. Si sporse in avanti, verso l’uomo in piedi, facendogli segno di sedersi.

«È un bel libro» disse con la sua vocina da ragazzina. Quella che faceva impazzire Sandor. «Non l’avevo mai letto.»

Sandor sarebbe rimasto ad ascoltarla per ore. Certi giorni le portava latte, zucchero e caffè solo per sentirsi dire di riportarli indietro. Un pomeriggio in cui si era sentito particolarmente audace, si era presentato al suo tavolo con diversi pasticcini – e lui non serviva pasticcini nel suo locale, ma quelli li aveva ordinati apposta per lei – e due bicchieri di limonata. Aveva insistito tanto solo per sentirle dire quelle due parole – limonata e pasticcini – scelte perché abbastanza lunghe da fargli ascoltare bene la sua voce.
Ma ora, mentre lo sconosciuto sedeva al tavolo – il suo tavolo, dove avrebbe dovuto accomodarsi lui, offrendole una tazza di tè e spingendola a parlare ancora – capì che il suo errore era stato quello di non interessarsi mai alle sue letture.
Sansa si presentava sempre con un libro in borsa. E non se ne andava se non erano le sei in punto e non aveva terminato il capitolo.

«L’ho… l’ho letto anch’io» sussurrò, per non farsi sentire dagli altri clienti.
Sansa e l’uomo – comodo, seduto accanto a lei, il braccio proteso verso il suo libro, le dita a sfiorare le pagine – lo guardarono come se avesse interrotto qualcosa. Poi l’educazione di lei le impose di rispondere.

«Come?»

Sandor cercò di controllare la voce. «Ho detto… che l’ho letto anch’io.»
Lo sconosciuto sorrise sotto i baffi, e lui capì che lo stava deridendo. Frenò l’impulso di prenderlo per il bavero della giacca e sbatterlo fuori dal suo locale, in mezzo alle prime foglie cadute della stagione.

«Potrei avere il tè che ho ordinato, per piacere?»

Sandor avrebbe voluto rispondere tante cose, farne altrettante, ma Sansa lo stava osservando.
Grugnì in risposta e si allontanò con la tazza tra le mani, senza perdere d’occhio quei due. L’estraneo aveva aspettato di avere campo libero per spingersi in avanti e appoggiarsi alla sedia di Sansa con l’altro braccio. Sandor schiumò di rabbia vedendola arrossire.
A quella distanza, con le voci degli altri clienti, non riusciva a sentire cosa stesse dicendo. Ma quando la vide sorridere non ce la fece più. Si ripresentò al tavolo con la stessa tazza di tè che aveva portato via, e un bicchiere di vino per sé.

«Già fatto?» chiese lo sconosciuto, inarcando le sopracciglia. «Che servizio velocissimo… e che adorabile tazza. Sembra proprio quella di prima, vero, cara?»
La cosa che più irritava Sandor era che non smetteva mai di sorridere.

Sansa ridacchiò. «Oh, Petyr…»
Oh, Petyr. Oh Petyr! Ma chi era Petyr? E cosa diavolo aveva da ridacchiare? Sandor strinse i pugni, prese una sedia e sedette insieme a loro.

«Non pensavo che avrei incontrato qualcuno che conoscesse questo libro.» Poi si accorse di lui, alla sua destra, e il suo sorriso si spense.

«Come dicevo» ringhiò Sandor, stringendosi sulla sedia troppo piccola, «l’ho letto anch’io.»
Petyr-come-diavolo-si-chiamava rivolse le sue attenzioni su di lui. «Ma davvero? E qual è la parte che hai gradito di più?»
Sansa infilò il segnalibro tra le pagine e chiuse il libro, accarezzandone il dorso. Sandor sentì una stretta allo stomaco. Deglutì e cercò di concentrarsi sull’immagine di copertina.

«Il faro. Quando vanno tutti al faro» buttò lì.
Gli occhi di Sansa si abbassarono, pieni di imbarazzo, mentre Petyr si sporse in avanti.
«Ma non mi dire… e cosa fanno precisamente al faro?»
«Ora basta, Petyr.» La voce di Sansa si fece più matura, e Sandor percepì una certa durezza nel suo tono. «Non mi sembra il caso.»
«Hai ragione, mia cara. Non è il caso. Ma giusto perché tu lo sappia, amico mio, non c’è nessun faro nel libro.»

Forse fu l’imbarazzo di Sansa a farlo reagire. Forse il fatto di non incontrare mai il suo sguardo. Fatto sta che Sandor si erse in tutta la sua altezza, e afferrò Petyr-il-diavolo per il collo. Gli bastò una mano sola per sollevarlo da terra.
Lo sentì scalciare contro il tavolo.

«Se lo rovini, lo paghi» ringhiò Sandor, mostrando i denti.

Lo trascinò alla porta così, sollevato da terra, con due mani intrecciate al suo braccio, mentre Petyr cercava di non soffocare. Era divertente vedere come tentasse di gridare, senza riuscirci.
Con la mano libera, Sandor aprì la porta e uscì in strada. L’aria era gelida e il cielo preannunciava tempesta. Il cumulo di foglie secche che aveva raccolto quella mattina stava raschiando la strada. Troppo tardi si era accorto di non avere sacchi in cui metterle… e ora osservava il suo lavoro rotolare sul marciapiede, di fronte al parco dove Joffrey e i suoi amici andavano a fare baldoria.
«Met-ti…metti-mi… giù» sibilò quel diavolo che stringeva tra le dita.

«Come vuoi.»

Sganciò la mano dal suo collo, e Petyr ruzzolò a terra, sotto lo sguardo impietrito dei clienti del locale. Non c’erano altri testimoni per strada. C’era odore di pioggia e faceva troppo freddo.
Petyr gattonò lontano da lui il più in fretta possibile. E quando girò l’angolo, Sandor si pulì le mani nel grembiule e tornò dentro.
Si trovò davanti Sansa, in piedi davanti alla porta, con il libro stretto al petto. Aveva un tale fuoco negli occhi che Sandor avrebbe voluto prenderla e portarla sul retro.
«Che hai da guardare?» disse, facendo un passo verso di lei, pensando di vederla indietreggiare. «Non hai mai visto gettare via la spazzatura?»
Ma Sansa rimase muta e immobile. Non la smetteva di fissarlo.

Sandor fece un altro passo avanti. «Allora, ragazzina? Hai perso la voce?»

«Sei un bruto.» Solo allora Sansa fece un passo indietro. Sandor avanzò ancora.
Nel locale scese il silenzio. Troppi occhi erano puntati su di loro. Troppe orecchie pronte ad ascoltare e riferire. Qualche bocca avrebbe interferito, di questo era certo.
Così, senza staccare gli occhi da quelli di lei, Sandor alzò le braccia.

«Fuori» disse.
E stavolta nessuno interpretò male le sue parole. Sciamarono tutti verso la porta, lasciandoli soli. Nessuna interferenza, quel giorno.

 n

 

N.d.A.:

Ho il prompt di Relie da parte da circa un anno e mezzo. L’ho trovato per caso, e ho pensato subito che fosse perfetto per una piccola long! Fatemi sapere cosa ne pensate!
Celtica

   
 
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