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Autore: Blackvirgo    05/10/2019    4 recensioni
Salvatore guardò il calice che reggeva in mano. Le bollicine continuavano a salire verso la libertà, fregandosene di tutto: del suo malumore, della faccia tosta di Lui, della preoccupazione di Gino. Avvicinò il bicchiere alla bocca, ma cambiò idea. Aveva già bevuto abbastanza e non era mai uscito nulla di buono quando succedeva.
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Iniziativa: questa storia partecipa al #Writober2019 di Fanwriter.it
Prompt.04: champagne, love triangle
Numero parole: 1874
Serie What a Wonderful World.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Gino Hernandez, Salvatore Gentile
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'What a Wonderful World'
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Iniziativa: questa storia partecipa al #Writober2019 di Fanwriter.it
Prompt.04: champagne, love triangle
Numero parole: 1874

 

Le bollicine se ne fregano

“È sempre un piacere incontrarti, Salvatore.”
Gentile squadrò la figura che si era parata di fronte a lui, nella cornice illuminata della porta: erano passati parecchi anni, ma rimaneva sempre un bell’uomo. E non poteva negare che gli facesse ancora un certo effetto trovarselo davanti, così come la r arrotata gli faceva scendere i brividi lungo le braccia.
“Non lo pensi anche tu?” chiese di nuovo.
“Quindi adesso lavori per la federazione francese?” Era meglio rimanere formali e su argomenti poco personali. A costo di imbastire un dialogo fatto solo di banalità perché, di personale, non avevano più niente da dirsi.
“Sai com'è, ora che mi sono ritirato dal calcio giocato, ho bisogno di un modo per passare il tempo.” L’uomo fece qualche passo in avanti, fino ad appoggiarsi sulla balaustra. “E tu cosa combini?”
Salvatore svuotò il calice champagne che aveva in mano in un sorso solo. “Io gioco ancora.”
“E poi?”
“Non credo che ti riguardi.”
L'altro snudò i denti bianchissimi in un sorriso. “Non sei cambiato per niente.” Lo squadrò da capo a piedi e Salvatore lo lasciò fare, contrapponendo la miglior faccia da poker che riusciva a mettere insieme. Gli aveva dato la possibilità di fargli del male in passato, ma la concessione di quel diritto gli era stata ritirata da parecchio tempo.
“Probabilmente neanche tu,” replicò Salvatore, impassibile.
“Non suona come un complimento.”
“Non voleva esserlo. Se vuoi scusarmi.” Gentile lo superò con ampie falcate e tornò nell'ampio salone dove sperava che il chiacchiericcio spegnesse i suoi pensieri. Appoggiò il bicchiere vuoto su un tavolo e accettò immediatamente l'offerta di uno pieno da parte di un cameriere. Lo svuotò in due sorsi. Sapeva benissimo che berci su non era mai una buona soluzione, ma aveva bisogno di anestetizzare il tumulto, di dimenticare quella breve conversazione e di ributtarsi nella mischia. E voleva che quelle vecchie ferite diventassero cicatrici e la smettessero una buona volta di fare del male.

Gino odiava quei ricevimenti. Faceva buon viso a cattivo gioco perché rientrava nei suoi doveri di giocatore della nazionale, ma l'unica cosa che desiderava era di fuggire prima possibile. Era piacevole rivedere persone che poteva incontrare solo in quelle occasioni, ma tutto il resto del mondo a cui elargire sorrisi e frasi di cortesia erano semplicemente di troppo. E per lui la parte divertente era finita da un pezzo. Si portò la mano al nodo della cravatta e lo allentò, giusto per alleviare per qualche secondo la sensazione di claustrofobia che quell'ambiente gli dava. Si guardò intorno per cercare Salvatore che, al contrario, in quelle situazioni era perfettamente a suo agio. Alzò lo sguardo oltre i volti delle persone che componevano il gruppetto di cui faceva finta di ascoltare i discorsi e vide il difensore rientrare a passo spedito da una portafinestre, dirigersi verso un tavolo, appoggiare un bicchiere vuoto e tracannare uno pieno preso al volo da un cameriere di passaggio. Quindi si voltò e vide rientrare un altro uomo dalla stessa portafinestra e, con una nonchalance invidiabile, dirigersi nella direzione opposta rispetto il difensore. Gino tornò a guardare Salvatore, di nuovo con un bicchiere pieno in mano e notò una rigidità inusuale nei suoi modi.
“Scusatemi,” mormorò il portiere al gruppetto che ormai ignorava. Attraversò la sala e raggiunse Salvatore, preoccupato.
“Tutto bene?”
Gentile stava roteando lo champagne nel bicchiere, la schiena appoggiata al muro. “Certo!” Alzò lo sguardo dal pavimento. “Perché me lo chiedi?”
Gino notò che il difensore aveva gli occhi lucidi e un poco arrossati. E che, nonostante fosse sempre stato bravo a dissimulare, gli si leggeva in faccia che non era così. Peccato che quello non fosse il luogo adatto per mettersi a parlare di argomenti seri. Il portiere gli appoggiò la mano sulla spalla: “Non è vero e lo sai.”
“È così strano che abbia soltanto voglia di ubriacarmi?”
“Sì.”
“Si vede che non mi conosci abbastanza bene, Hernandez.”
“Possibile,” ammise Gino. “Ma questo non mi impedisce di preoccuparmi per te.”

Salvatore guardò il calice che reggeva in mano. Le bollicine continuavano a salire verso la libertà, fregandosene di tutto: del suo malumore, della faccia tosta di Lui, della preoccupazione di Gino. Avvicinò il bicchiere alla bocca, ma cambiò idea. Aveva già bevuto abbastanza e non era mai uscito nulla di buono quando succedeva. Serrò le mandibole e chiuse gli occhi per un momento: aveva bisogno di schiarirsi le idee. Perché lui non era una bollicina e se poteva anche dimenticare di aver incontrato di nuovo quel Lui che faceva parte solo del suo passato, non voleva – e non poteva – ignorare gli occhi di Gino e quello che ci leggeva dentro. Perché aveva sempre desiderato qualcuno che lo guardasse così, come se fosse l'unica persona importante in un mondo pieno di gente e se era Gino a farlo, l'uomo che aveva scelto, allora tutto il resto si eclissava. Deglutì la saliva assieme al groppo di sentimenti e appoggiò il bicchiere sul tavolo. Avrebbe voluto abbracciarlo, Gino, lì davanti a tutti, e baciarlo. E quindi, una volta che quei benpensanti di merda si fossero scandalizzati con gli occhi spalancati e la mano sulla bocca, andarsene mano nella mano e chiudersi in camera e fare l'amore. E inebriarsi davvero, in un modo che l'alcol – e nessun altro a parte Gino – era mai stato in grado di fare, in quel modo che non ti lasciava mal di testa e voglia di vomitare, ma solo la felicità.
Salvatore si avvicinò appena al portiere. “Scusa.”
Hernandez annuì. “Vieni.”
Lo guidò verso la terrazza in cui, poco prima, aveva incontrato il suo passato. Gentile respirò a fondo l'aria calda di quella sera di un autunno che non si decideva ad arrivare e gli sembrò improvvisamente più leggera.
“Ho visto che prima eri qui con... uff, come si chiama? Giocava alla Juve anni fa, no?”
Salvatore annuì. Non credeva che Gino l'avesse osservato tanto da vicino durante quella serata. Al portiere non erano mai piaciuti quegli eventi mondani in cui erano chiamati a partecipare – questa volta colpa della nazionale – e, in passato, si era divertito a tirarlo in mezzo e magari metterlo anche in imbarazzo. Niente di cattivo, ma ai tempi non aveva trovato altro modo per catturare l'attenzione e pure una blanda antipatia era preferibile all'indifferenza.
Non aveva pensato che Gino fosse stato così attento a lui. “Di solito non ti piacciono questi eventi.”
“Già.”
“È per questo che mi hai tenuto d'occhio?”
Gino sorrise, la testa appena piegata. “Di solito non c'è ne è bisogno dato che è facile trovarti in mezzo alla confusione. Il fatto che non fossi lì mi ha insospettito.”
Gentile si avvicinò a lui. La voglia di baciarlo era ancora più prepotente di prima, ma doveva controllarsi. Allungò le mani verso il nodo della cravatta di Gino e glielo sistemò. Odiava vederlo storto.
“Quello di cui non ricordi il nome...”
“A proposito: come si chiama?”
“Lascia perdere. Io ho fatto di tutto per dimenticarlo.”
Gino aggrottò la fronte. “Era lui, vero? Quello sposato con cui hai avuto una storia.”
A Salvatore scappò una risatina nervosa. “Credevo che non me lo avresti mai chiesto.”
“Devi iniziare a raccontarmi quello che vuoi che io sappia di te. Lo sai che non mi piace fare domande. E che mi interessa tutto quello che mi vorrai dire, anche se non insisto per sapere.”
“Se io facessi la stessa cosa, non saprei nulla di te.”
“Ma ora stiamo parlando di te, non di me.” Gino sorrise.
Touché, pensò Salvatore.
“Raccontami.”
“Cosa? Di quanto sono stato giovane e scemo?”
“Hai paura che non possa capirti?”

Gentile si strinse nelle spalle. “Ormai è acqua passata.” Rimase in silenzio per un lungo momento e Gino pensò che per lui la questione fosse finita lì. Invece Salvatore riprese. “È stata una storia malata. Io ero innamorato perso di lui, ma non credo che mi ricambiasse. Hai presente quei film in cui viene sempre fuori che l’amante non può pretendete che il lui della situazione lasci la moglie? Ecco, se non la lascia per un’altra donna, figurati per un uomo!” Lasciò andare una risatina nervosa e imbarazzata. “Ero giovane, praticamente ero appena entrato in prima squadra e lui era un giocatore più esperto. Divenne una specie di mentore per me: mi insegnò tantissime cose, mi faceva sentire importante in campo e fuori. E io stravedevo per lui. Poi dopo un festa particolarmente movimentata eravamo entrambi più brilli del dovuto ed è successo. Ci siamo baciati e poi siamo finiti a letto insieme.”
“Eri innamorato?”
Salvatore scosse il capo. “Era un amore malato in cui mi sono perso senza nessuna possibilità di riprendermi.”
“Quanto tempo è andata avanti?”
“Un anno e mezzo o giù di lì.”
“Eri felice?”
“Non lo so. Ero talmente innamorato da non capire più niente. La cosa più importante era rubare momenti per stare con lui. Ovunque, Gino, ovunque! Nei bagni, negli spogliatoi, nelle camere d'albergo quando eravamo in trasferta, a casa mia...”
“Alla villa?” chiese Gino. Si sentì sciocco, ma gli piaceva pensare di essere stato l'unico a poter dire di aver fatto l'amore nel suo letto, a casa sua. Aveva paura che qualcuno avesse invaso il loro spazio.
“No, lì ci sono andato a vivere dopo. Avevo un appartamento qua in città.” Salvatore sospirò e Gino gli fece eco con un sospiro di sollievo. “Ci sono stato malissimo. Era come una droga: vederlo era la mia dose, mi faceva toccare le stelle. Ora mi sono molto chiari i periodi di astinenza.”
Gino abbassò gli occhi: si vergognò della sua stessa gelosia. Non era il momento di pensare a se stesso: il dolore di Salvatore traspariva da ogni parola ed espressione. E meritava che Gino fosse lì per lui e solo per lui. “Non ne parli come di un’esperienza positiva.”
“Perché non lo è stata.” Cercò gli occhi di Hernandez, l’espressione triste.
“Come hai fatto a rendertene conto?”
“La verità è che non sono stato io. Non sono sicuro che ce l'avrei mai fatta. Ma un paio di amici che, incidentalmente, erano anche miei compagni di squadra, hanno fatto due più due e lo hanno attaccato al muro, letteralmente.” Aveva un sorriso triste. “Avrei voluto vederla quella scena, ma forse è stato meglio così. Ero talmente scemo che avrei rischiato di difenderlo.”
Gino gli mise due dita sotto il mento e glielo sollevò. “Non si può far sempre tutto da soli, ricordi?”
Salvatore scosse il capo, perplesso.
“Me lo hai insegnato tu,” proseguì Gino. “Lascia che per una volta sia io a fare qualcosa per te.”
Salvatore chiuse gli occhi per un lungo momento e si godette la carezza che Gino gli fece scivolare leggera sul viso.
“Andiamo a salutare tutti e torniamocene in albergo.” Propose il portiere.
“Sei sicuro?”
“Certo che sì. Hai voglia di restare ancora?”
Salvatore scosse la testa. “Allora andiamo e basta, senza salutare. Loro non si accorgeranno della nostra assenza. Quanto a noi... è tutta la sera che ho voglia di abbracciarti. E per quanto tu sia bellissimo così, i vestiti sono di troppo.”

***

Black notes:

  • e niente, in ritardo di dieci minuti... ma vabbé, non siamo troppo fiscali

  • e anche stavolta siamo due prompt al prezzo di uno! È stato un caso però... questa fic l'avevo abbozzata per il writober dell'anno scorso, ma non l'avevo finita... e così ci stavano talmente bene entrambi che ne ho approfittato! Anche se, devo ammettere, la tematica triangolo è appena accennata (e io intendo quella di Salvo-Lui-moglie di Lui).

  • Ecco sì. Lui non ha un nome. È una scelta.

  • Grazie a tutti di essere arrivati fin qui! Vi abbraccio!

 

 

   
 
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