One shot partorita in un momento di
follia, come si evince dal testo che vi apprestate a leggere. E'
strana, vi avverto. E' assurda però mi piace, e spero che
anche voi possiate apprezzarla almeno un po'. Non so dire
esattamente cosa mi abbia ispirato per scriverla, ma pian
piano si è formata nella mia mente ed è uscita,
prepotente, e si è sfogata nelle righe che seguono.
Spero in qualche commento. ^^
Il
Mondo
al di là del
Cancello
{ Genio e Follia hanno qualcosa in
comune: entrambi
vivono in un Mondo diverso da quello che esiste per gli altri. }
Arthur Schopenhauer
Il grande cancello di ferro rumoreggiava
fastidiosamente
ogni qualvolta veniva aperto; chissà da quanti anni si
trovava
lì, da quanto tempo aveva il compito di segregare coloro che
erano considerati pericolosi per la società. Era un poco
rugginoso ma ancora fiero e maestoso, gelido d'inverno ed ustionante
al tocco in estate, costantemente immobile sotto il sole cocente. Chi
stava fuori poteva osservare, al di là di esso, delle povere
anime rinchiuse e sofferenti; dei fantasmi patetici che vagavano ogni
giorno, con gli occhi spenti e i movimenti incerti, per l'enorme
cortile.
“ Mamma, perché quei
signori se ne stanno
sempre lì dentro? Non possono uscire? ” chiedevano
spesso i
bambini alle loro madri, quando passavano di fronte a quell'Inferno
terrestre.
E loro rispondevano sempre allo stesso modo: “ Tesoro,
lascia perdere, quello è un posto brutto e tu non vi
entrerai
mai, stai tranquillo ”.
Come facevano ad esserne così certe, poi?
Ogni essere umano racchiude dentro di sé un poco
di follia; se essa resta sopita va tutto bene, se
invece viene
esternata sei etichettato a vita.
Pazzo.
Con tale termine era definito chi veniva internato in
quel posto.
Le mura che delimitavano il cortile e dunque lo spazio a
disposizione dei pazienti erano alte e per questo invalicabili; solo
attraverso le robuste sbarre del cancello si poteva vedere cosa
accadeva al di fuori della struttura denominata ospedale
psichiatrico. Le auto che sfrecciavano, le famigliole felici che
passeggiavano, i palazzi che man mano aumentavano e i parchi giochi
che inesorabilmente scomparivano. Che scempio; eppure, l'erbetta
fresca sulla quale si rotolavano un tempo, quand'erano ancora
innocenti, era così piacevole al tatto.
V'erano tre scomodi inquilini nel luogo del dolore, che
non facevano altro che parlare, discutere, e rimuginare sul mondo al
di là di quelle oppressive pareti di cemento. Incatenati,
legati al loro triste destino tramite fili invisibili. Si conoscevano
fin da quando erano bambini, dai tempi in cui giocavano assieme sotto
casa ed erano ancora innocenti. Quanti anni erano passati... venti,
per la precisione. Dopo mesi e mesi trascorsi ognuno alla ricerca
della propria strada, si erano ritrovati lì assieme; che
strana combinazione.
Ma val la pena raccontare una conversazione
interessante, al fine di comprendere al meglio le loro
personalità
visibilmente disturbate.
Quella sera si trovavano nello stesso posto di sempre:
seduti su degli sgabelli di legno davanti al cancello, ad osservare
il cielo e il mondo moderno, e tutte le sfumature che li
contraddistinguevano.
“ Guardate quei palazzi, i
grattacieli... per quale
motivo costruiscono tali oscenità? Con materiali fragili,
destinati a consumarsi col tempo. Prima o poi cadranno. Si dovrebbe
essere orgogliosi solo di una creazione eterna ” aveva
commentato
un ragazzo dai capelli rossi, con la sua solita calma e discrezione.
Egli si considerava un artista geniale, adorava costruire marionette
dalle sembianze umane; qualche volta aveva addirittura usato corpi di
persone fatte di carne e sangue, allo scopo di renderli eterni ed
indelebili.
“ Bah, non fai che parlare di
queste stupidaggini,
uhn! Pensa invece a quanto sarebbe bello vedere quelle strutture
andare in frantumi, magari in seguito ad una splendida esplosione...
oppure, immagina se fosse il sole a scoppiare e a lasciarci in
eredità parti di sé che presto perderanno la loro
luminosità. Quale sublime espressione artistica sarebbe
”
aveva ribattuto un giovane dai lunghi capelli biondi lisci come seta,
con gli occhi azzurri rivolti al cielo.
Inutile dire che si era divertito varie volte a
nascondere bombe in case od automobili, per poter poi godere della
visione delle devastanti conseguenze.
Ed infine v'era un tizio che non pretendeva di essere il
creatore di qualcosa d'indimenticabile, ma sicuramente non era dotato
di modestia, né di affabilità. Le sue iridi
d'ametista
si erano più volte specchiate in quelle colme di terrore di
coloro che aveva annegato nel mare che bagnava la loro
città,
perché avevano osato deridere la sua morbosa passione per
l'acqua e il nuoto.
“ Tutte cazzate, queste. La
più grande
soddisfazione la si ha quando si uccide qualcuno utilizzando la cosa
che più si ama ” aveva asserito convinto, con lo
sguardo a
cercare l'orizzonte che da lì non si poteva vedere ad occhio
nudo. Quanto gli mancava il mare! Potersi tuffare di notte sotto un
cielo stellato, privo di abiti e pieno di entusiasmo.
Non si trovavano mai d'accordo, eppure fra di loro c'era
un'intesa speciale; qualcosa di inspiegabile a parole, di
incredibilmente profondo. Sospesi fra genio e follia, Sasori, Deidara
e Suigetsu vivevano alla giornata, discutendo per ore intere e
talvolta toccandosi intimamente, alla ricerca e scoperta di piaceri
peccaminosi.
Erano stati rinchiusi in quel posto più o meno
nello stesso periodo, a dicembre; nevicava e l'aria era gelida, ma
l'assassino non si cura di certe cose. Uccide e basta,
perché
necessita di una valvola di sfogo. Quando avevano varcato quella
soglia, sorpresi con le mani nel sacco, sapevano bene che non
sarebbero mai tornati indietro; e quel mare, quelle bombe, e le
centinaia di marionette fatte di legno sarebbero rimasti ad attendere
un evento che mai sarebbe accaduto.
Così, annoiati, avevano trovato
conforto nello stringersi l'uno all'altro, ricercando calore ed
estatiche sensazioni. Amore no, non sapevano neppure cosa fosse.
I dottori che li avevano presi in cura – per modo di
dire – si facevano vedere poco; li avevano abbandonati al
proprio
destino, insulsi peccatori ed inutili esistenze.
“ Non siete altro che degli
stupidi ragazzini. Non vi
rendete conto di quanto sia gratificante costruire qualcosa che non
morirà mai ” aveva detto sprezzante Akasuna no
Sasori,
sospirando.
E Deidara aveva osato contraddirlo per l'ennesima volta,
ostentando fiero la sua ferma convinzione: “ L'arte
è
esplosione ”.
Arte... un concetto che solo Suigetsu non comprendeva.
Perso nel suo universo fatto d'acqua e sangue, si divertiva ad
osservare i suoi due compagni bisticciare. Sorrideva altezzoso di
fronte alla loro inferiorità, principe
di un regno
costruito all'interno dei suoi sogni di gloria. Però amava
quando il biondo compare lo strattonava per la maglia senza
gentilezza alcuna, e catturava le sue sottili labbra in avidi baci.
Come se volesse nutrirsi della sua essenza, della sua linfa vitale,
lo divorava con gli occhi e con i denti, riempiendo di morsi il suo
corpo magro senza mai scostare lo sguardo dal suo. Sciogliendosi in
esso, fondendosi col suo amante. E il rosso li guardava darsi
reciproco piacere, partecipando a volte, ghignando nel constatare che
in certi momenti erano entrambi completamente alla sua mercé.
“ Cazzate ” aveva
ripetuto l'Hozuki, senza però
aggiungere altro.
Alla fine, che scopo avevano mai tali conversazioni? In
verità, nessuno.
Il mondo al di là del cancello non li avrebbe più
considerati, ormai feccia della società. Eppure, per qualche
oscuro motivo, non si sentivano particolarmente tristi.
Poi, anche quella sera, era accaduto: si erano donati
reciprocamente piacere, sotto la luce della luna. Non gli importava
di essere visti, né di essere sentiti; desideravano solo
sentirsi vivi.
~ ~ ~
Le giornate erano sempre uguali, in quel
posto. Il tempo
scorreva lento e dava alle sue vittime la dolorosa
possibilità
di osservare la civiltà mutare, erigere grattacieli sempre
più
alti, distruggere senza pensarci troppo quel che originariamente gli
era stato donato. Eppure loro tre si divertivano. Guardavano il
genere umano perire sotto i bombardamenti che tanto entusiasmavano
Deidara, e ridevano.
“ Hai visto quell'edificio?
Quanti piani avrà,
secondo te? Eh, Pinocchio? ”
domandò il ragazzo dagli
occhi d'ametista, rivolgendosi a Sasori col soprannome che
più
odiava; gli era stato affibbiato perché si era messo in
testa
di voler diventare come una delle sue marionette. Sentiva che prima o
poi avrebbe trovato un modo per vivere in eterno.
“ Che cosa vuoi che ne sappia?
Piuttosto, pensa a
quante schifezze saranno state scaricate, fino ad oggi, nel mare che
tanto ami ” ribatté lui, pacato e pungente allo
stesso
tempo.
“ Quanto è bello
vedere quel palazzo crollare.
Guardate... chissà quanto esplosivo hanno usato per
abbatterlo
” disse il biondo, con un tono di voce maledettamente
innocente e
quasi bambinesco, in netto contrasto col concetto che aveva appena
espresso.
E gli altri avevano riso, per l'ennesima volta. Deidara,
alla fine, era l'unico motivo per il quale entrambi avevano perso la
ragione. Perché per quell'angelo dagli occhi di cielo
avevano
venduto al miglior offerente la propria anima, divenendo degli
spietati assassini; per difenderlo dall'usura del tempo, e dalle
insidie che il mondo moderno nascondeva nelle sue viscere. Per questo
l'Akasuna aveva deciso di cercare un modo per preservare per
l'eternità la vita dell'essere umano, e unicamente per lui
Suigetsu aveva fatto fuori coloro che cercavano di adescarlo,
convinti si trattasse di una ragazza, traditi dai suoi lineamenti
femminei.
Ossessione. Primo sintomo di follia intrinseca.
Erano passati diversi anni da quando erano stati presi
“in cura”, così come ne erano trascorsi
molti dall'ultima
sera in cui un bambino aveva chiesto alla propria madre che cosa ci
facessero lì.
I loro volti non erano più quelli di tre giovani
freschi e sani, le occhiaie erano oramai divenute marcate e le loro
espressioni stanche, perse. Continuavano ad ostentare le loro
convinzioni ma, se la mente conservava ancora un po' di quel genio
–
unito a pazzia – che alla nascita gli era stato donato, lo
stesso
non si poteva dire del fisico, debilitato, distrutto dagli
psicofarmaci e dalla triste consapevolezza di non poter dimostrare
alle persone al di là del cancello d'esistere ancora.
Celate dietro falsi sorrisi,
anime impure.
Nascosti da immobili ed impietose mura,
fantasmi e paure.
“ E dire che avremmo potuto
cambiare il mondo... ”
disse Suigetsu in un sussurro, rimirando il cielo non più
stellato, disturbato da minacciose nuvole nere di fumo.
Deidara non fiatò mentre Sasori, stringendo fra
le braccia l'angelo dalle ali spezzate, guardò con fierezza
dritto davanti a sé, e pronunciò testuali parole:
“
Lo abbiamo già fatto ”
“ Eh? ”
Schegge di legno, pezzi di vetro e pietre.
Una pioggia
li assalì, unita all'assordante rumore di un pianeta che si
sgretolava, che depositava i propri frammenti su chi aveva vegliato
sulla incurabile malattia che lo affliggeva.
Chissà mai chi o che cosa aveva deciso di
ribellarsi, in quel momento. Una cosa però era certa: loro
non
sarebbero morti per mano di un'entità sconosciuta.
{ ULTIME NOTIZIE }
“ Tre degli internati dell'ospedale psichiatrico della città sono stati trovati senza vita nel cortile della clinica, pare si sia trattato di un omicidio. I corpi sono stati rinvenuti in una pozza di sangue, sembra che le vittime siano state accoltellate. Si sta cercando il colpevole, ma per il momento non ci sono indizi. ”
“ Ma guarda... il giornale di cinque anni fa. Chissà cosa ci fa qui ” commentò una quarta persona, camminando tranquillamente per la strada mentre il mondo attorno a lui andava in frantumi, “ Alla fine non mi hanno mai scoperto. Jashin-sama mi ha protetto, e continua a farlo ” rise, osservando le persone terrorizzate correre a destra e a manca senza meta, nel disperato tentativo di sfuggire alla catastrofe, “ Lo sapevo che prima o poi avrebbe distrutto questo mondo malato. Ed è giusto che quei tre stupidi, che quand'eravamo piccoli non facevano altro che deridere me e la mia fede, non possano vedere questo spettacolo... grazie a me ” ghignò, prima di essere investito da un'automobile in corsa, alla ricerca di una salvezza, di un'utopica speranza di sopravvivere.
“ Avete visto, ragazzi? L'ha
ucciso! ” esclamò
felice Suigetsu, cercando di scavalcare il cancello, ma Deidara lo
fermò.
“ Stai buono, razza di idiota.
Lo sai che non possiamo
andare di là, uhn! ”
“ Secondo voi si
salverà? Eh? ” chiese poi,
euforico, riferendosi all'investitore.
“ Nessuno si salverà,
e lo sai bene anche tu ”
disse atono Sasori.
“ Beh... in effetti è
meglio così ”
mormorò poi l'Hozuki, guardando Deidara negli occhi,
“ Sì,
è meglio così ”
Author's Notes:
che dire... spero si capisca qualcosa, ma per sicurezza metto delle
note esplicative. Colui che legge il giornale è chiaramente
Hidan, penso non ci sia bisogno di dirlo così come non
è stato necessario inserire il suo nome nel testo.
Quest'ultimo, un po' per invidia e soprattutto per rabbia - e follia,
ovviamente -, uccide i tre, rei d'averlo deriso per l'attaccamento al
Dio in cui crede, vale a dire Jashin. Nel giorno della fine del mondo
è convinto che sia proprio Jashin a giudicare, quando invece
si tratta di qualcun altro. Chi? Un altro Dio forse,
un'entità sconosciuta, qualcosa d'inspiegabile... chi
può dirlo. Come al solito, ho voluto lasciare qualche
particolare all'immaginazione del lettore.
Quanto a Deidara, Suigetsu e Sasori, dove si trovano? Purgatorio,
Paradiso, o Inferno? Non l'ho specificato perché in
verità non ci ho pensato. Volevo solo che rappresentassero
delle figure dannate ma allo stesso tempo beneficiarie d'una grazia
divina: poter stare insieme per sempre continuando ad osservare il
mondo al di là del cancello.
Owari ~