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Autore: Ghostclimber    11/10/2019    3 recensioni
Sakuragi si sente strano, Rukawa anche, e ha una confessione da fare.
Riuscirà Sakuragi ad accettare e a fare pace con se stesso?
Storia di contorno per Anata Dake Mitsumeteru e Sekai Ga Owaru Made Wa
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Ciao gente!

Dopo il successo della AyaHaru e della MitMiya, mi sono chiesta: ma questi due tontoloni che hanno dato l'avvio a tutto, come si saranno mai messi insieme?

…due giorni dopo avevo sette pagine di materiale.

Tenetevi pronti, perché conto di scrivere una one shot per ogni canzone della sigla, giusto perché non sono a posto col cervello e ci tengo a farlo notare.

Come sempre, se gradite battete un colpo!

XOXO

 

 

 

 

 

Sakuragi era un po' stanco, quella sera. Da quando era rientrato dalla riabilitazione, cercava di dare il meglio di se stesso agli allenamenti, ma quel giorno pareva proprio che il suo corpo si rifiutasse di collaborare. Era come se ci fosse nell'aria un inspiegabile nervosismo, che l'aveva fatto muovere a scatti e in maniera scoordinata; per fortuna, i compagni di quadra sembravano aver capito che non fosse colpa sua e avevano evitato di prenderlo in giro, persino Rukawa.

Sakuragi si sedette su una panchina dello spogliatoio, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa tra le mani; si arruffò i capelli, sfregando con i polpastrelli sul cuoio capelluto, cercando di decidersi ad alzarsi e ad andare a casa.

-Ehi, Hana, va tutto bene?- chiese Kogure, sempre sollecito.

-Mh? Sì... sì, tutto bene, non ho voglia di tornare a casa. Adesso mi muovo.- rispose Sakuragi. Kogure gli passò di fianco, gli fece una lieve carezza sulla spalla e disse: -Resta quanto vuoi, il custode si dimentica sempre di chiudere la porta sul retro.

-Ah, ti assicuro che lo so...- sorrise Sakuragi, -Ma se resto ancora un po' finisce che mi addormento qui, e poi chi la sente mia mamma!- Kogure rise teneramente e uscì. Sakuragi gli era grato per le sue attenzioni, ma la verità era che non aveva una gran voglia di parlare con lui, in quel momento, né con lui né con nessun altro. O meglio, aveva voglia di parlare con qualcuno, ma non gli veniva in mente con chi. Meditò se cercare di stordirsi tirando una capocciata ad un palo della luce, poi si rese conto di avere la testa troppo dura per certe cose.

-Sakuragi.- chiamò una voce calda e pacata, -Possiamo parlare?- Sakuragi alzò gli occhi, stupito. Di fronte a lui c'era Rukawa; aprì la bocca per mandarlo a quel paese e si sentì dire: -Sì, perché no?

-Se non ti va, possiamo...- Rukawa doveva aver percepito la sua esitazione.

-No, vai tranquillo, solo per favore mollami un cazzotto che mi fa strano parlare con te senza fare a botte. Cioè, tra noi non funziona così o sbaglio?- Rukawa non rispose, ma lo colpì con la mano semichiusa al lato della testa, poco sopra l'orecchio.

-Oh, così si ragiona.- disse Sakuragi, -Dimmi tutto.

-Puoi venire con me? È una questione... riservata.

-Oho, Volpe, segreti di stato? Andiamo, dai.- Rukawa si avviò fuori dallo spogliatoio, e qualcosa nel suo passo convinse Sakuragi di non essere l'unico un po' fuori fase, quel giorno: Rukawa sembrava titubante, frettoloso eppure restio, e gran parte della sua eleganza felina sembrava andata a farsi benedire, insieme con la sua aria di superiorità.

-Ehi, va tutto bene?- chiese Sakuragi. L'assenza della silenziosa tracotanza di Rukawa lo destabilizzava, quasi fosse un elemento imprescindibile della sua vita, ma questo non era possibile. E allora, perché si sentiva così smarrito al solo pensiero di un Rukawa insicuro, debole, forse... malato? No, non poteva essere malato.

Si fermò un passo dietro di lui, sotto ad un viale di tigli che stavano via via perdendo le foglie. Intorno a loro piovevano quelli che da bambino chiamava “elicotteri”, quei fiori con una sola lunga foglia attaccata che roteavano su se stessi fino a terra. Rukawa si voltò per fronteggiarlo, e i suoi piedi sollevarono un'onda di foglie secche; prese un respiro profondo, come un apneista che sta per immergersi, e sbottò: -Mi piaci.- cadde il silenzio.

Tra tutte le cose che Sakuragi si sarebbe potuto aspettare da Rukawa, questa era senz'altro la meno probabile. Rimase a bocca aperta, poi si guardò attorno: -Dove sono le telecamere?

-Non fare l'idiota.- ribatté Rukawa, e un tremito nella sua voce spinse Sakuragi a guardarlo in viso. Rukawa era stranamente arrossito e aveva gli occhi lucidi. Si morse un labbro e aggiunse: -Sto... cercando di... ah, cazzo, non lo so, senti, lascia perdere.

-No, aspetta!- lo richiamò Sakuragi, e allungò una mano per prendergli un polso. Rukawa si immobilizzò e rimase a guardare la grande mano di Sakuragi chiusa sulla propria pelle, come ipnotizzato dal contrasto tra il proprio pallore aristocratico e quello lentigginoso dell'altro.

-Ti chiedo scusa, Rukawa, è che... cazzo, non mi è mai successa una roba del genere, non so come reagire.- ammise Sakuragi, lasciando andare il polso di Rukawa quando fu certo che l'altro non sarebbe scappato a gambe levate.

-Di solito si dice se si ricambia oppure no.- disse il moro con voce tremante.

-Ah, cazzo. Beh, immagino... cioè, sei un bel ragazzo, eh, non fraintendermi... è che non ti ho mai considerato in quel senso, e poi la mia migliore amica è innamorata di te da tipo sempre... insomma, non mi sembrerebbe giusto nei... Rukawa, riesci a stare fermo per più di trenta secondi?

-Perché? Mi stai scaricando, cosa dovrei fare?

-Magari farmi finire di parlare?- Rukawa si bloccò. Si detestava per avergli consegnato ogni arma possibile pur sapendo di non avere alcuna chance con lui, e si detestava per covare ancora un briciolo di speranza.

-Non ti sto scaricando.- disse Sakuragi, parlando con lentezza, -Ma ho bisogno di tempo. Fammi capire cosa provo io e nel caso come metterla giù ad Haruko.

-Se provassi qualcosa per me lo sapresti. Lascia stare, davvero.

-No che non lo saprei! Cazzo, Rukawa, hai una vaga idea di cosa voglia dire essere me? Sto andando in giro con i paraocchi da mesi per evitare di rimanere scottato un'altra volta! Senti, Haruko mi ha scritto quest'estate che ci ha provato, davvero, ad amarmi, ma non ce la fa, perché ci sei tu, e io prima ti ho detestato, cazzo, perché tu potevi essere lì di fronte a lei e io no. Poi ho odiato lei, perché che bisogno c'è di dirmelo mentre sono solo come un cane? E poi mi sono detto “Bene, Hanamichi, questo è quanto. Adesso non ti innamorerai più di nessun altro.” me lo sono vietato categoricamente, lo capisci?

-Lo capisco.- rispose Rukawa, e si lasciò cadere stancamente contro un albero, -Ci ho provato anch'io. Non funziona, sappilo.- i suoi piedi scivolarono nelle foglie secche e Rukawa si sedette ai piedi dell'albero. Sakuragi si sedette al suo fianco e disse: -Lo sospettavo. Ma finora me la stavo cavando alla stragrande, quindi non ho considerato l'idea di trovarmi un'altra persona, ero troppo impegnato a scendere a patti con l'idea di morire solo. Dammi un po' di tempo, ok? Un paio di giorni.- Rukawa lo guardò con la coda dell'occhio, poi spostò di nuovo lo sguardo di fronte a sé e disse: -Ok. Cercami quando hai concluso qualcosa.

-Sarà fatto.- rispose Sakuragi, e rimasero seduti a guardare le foglie che volteggiavano giù dai rami degli alberi fin quando il sole non tramontò.

 

-Ehi, Kitsune, stasera hai da fare?- chiese Sakuragi, avvicinandosi al compagno di squadra con la scusa di dover bere dalla borraccia.

-Perché?- Sakuragi sospirò platealmente: -Perché le tue fan mi hanno assunto per informarmi sui tuoi bioritmi, secondo te perché?

-Hai...

-No. Ma mi sembra giusto cercare di conoscerci un po', non trovi?

-Nh...

-Ci stai? Una pizza e un litro di Sprite, un film con Keanu Reeves e quattro chiacchiere?

-La Sprite mi fa schifo. Fanta?- rilanciò Rukawa, cercando invano di nascondere il nervosismo.

-Va beh, non è buona ma è tanta. Mi aspetti alla fine degli allenamenti?

-Nh.

-Lo prendo come un sì.- Sakuragi sospirò e roteò gli occhi, poi si allontanò scuotendo la testa. Alzando lo sguardo, Rukawa incontrò quello di Mito, sospettoso e indagatore.

-Non è un'idea sua, vero?- gli chiese.

-No.- rispose Mito, poi si avvicinò: -Tieni duro. È una gran testa di cazzo...

-Non me ne ero accorto, guarda.- Mito ridacchiò.

-Prima o poi riuscirà a mettere insieme un pensiero coerente, abbi fiducia.- Rukawa si voltò per tornare in campo e vide che Sakuragi stava fissando Haruko, mordicchiandosi un labbro; lei era intenta a guardare Rukawa, ma si affrettò ad attaccare bottone con Ayako non appena notò di essere stata colta sul fatto. Per qualche motivo, Rukawa si ritrovò a subire un'occhiataccia da parte della manager della squadra.

Sempre più convinto che sarebbe stato molto meglio morire da piccolo, corricchiò verso la lunetta dei tiri liberi, anche se ciò che desiderava veramente era arrivare finalmente a sera.

Due ore dopo, aspettava fuori dalla palestra; era sul punto di andarsene, convinto di essere stato preso in giro, quando finalmente Sakuragi riemerse dagli spogliatoi; era curvo e abbattuto, e per prima cosa chiese: -Secondo te è possibile che il Gorilla sia schiattato e che il suo spirito sia andato ad infestare il corpo di Miyagi? Mi ha fatto una predica di un'ora sul perché dovrei smetterla di fare il minchione e cominciare ad impegnarmi seriamente...

-Ma lo stai facendo.- ribatté Rukawa; senza mettersi d'accordo, cominciarono a camminare, Rukawa che portava la bicicletta a mano mezzo passo indietro rispetto a Sakuragi, dal momento che non sapeva da che parte fosse casa sua.

-Grazie per essertene accorto, mi sa che sei l'unico.

-Senti... posso farti una domanda personale?- chiese Rukawa.

-Certo, anche due.

-Hai ancora problemi alla schiena?- Sakuragi sospirò: -No, in realtà no. Ma ho paura, alla prima fitta mi spavento e quindi nove volte su dieci finisco a contrarre i muscoli e alla fine dell'allenamento sono un pezzo di legno.

-Potremmo fare il riscaldamento insieme.- propose Rukawa, -Un po' di corsa, stretching...

-E dici che basta?

-Hai detto che non hai problemi. Si può provare. Magari se ti riscaldi bene e con calma non senti nessuna fitta e dopo un po' ti passa la paura.- Sakuragi tacque, poi troncò il discorso dicendo: -Oh, eccoci alla pizzeria! Tu che prendi?- ordinarono, Rukawa insistette per pagare il conto, Sakuragi protestò e mentre sbraitava Rukawa riuscì ad appoggiare una manciata di yen sul bancone e ad uscire con le pizze. -Ehi, guarda che non mi devi trattare come una ragazza, eh!- sibilò Sakuragi.

-Tu hai proposto, siamo a casa tua e immagino che per il film e le bibite ci avrai pensato tu, vero?

-Beh, sì...

-E stai uscendo con me solo perché ti ho detto che mi piaci. Mi sembra il minimo.

-Oh, è una cosa tipo che altrimenti ti senti in debito?

-Mettiamola così.- rispose Rukawa tra i denti, cercando di reprimere un fremito alla vista delle mani di Sakuragi che spingevano la sua bici. Tornando a casa, avrebbe appoggiato le proprie nella stessa identica posizione, sarebbe stato come tenersi per mano; sì, stava diventando melenso. Non vedeva l'ora che Sakuragi prendesse una decisione.

La pizza era ottima, il film molto meno: Rukawa si addormentò dopo un'ora, e quando ritornò nel mondo dei vivi scoprì che anche Sakuragi si era arreso. Giacevano quasi abbracciati e scomposti, Sakuragi spaparanzato con la testa sul bracciolo del divano e Rukawa con la testa sul suo fianco, sotto al suo braccio, come se si fossero addormentati fianco a fianco e poi fossero scivolati nella stessa direzione, cioè quello che presumibilmente era successo.

Rukawa si raddrizzò e scosse un fianco di Sakuragi: -Ehi, sveglia.

-Ancora un minutino...

-Non ti fa bene dormire in quella posizione, sei tutto storto.- Sakuragi rispose con un grugnito da oltretomba, poi però si decise ad alzarsi: -Il film non era bello come pensavo. Mi spiace. Ahi...- si stiracchiò, poi accompagnò il colpo di reni che l'avrebbe riportato in posizione eretta con un sonoro “oh issa!”. Rukawa non poté trattenersi: scoppiò a ridere. Dopo una serie di insulti di repertorio, Sakuragi lo accompagnò alla porta; era piuttosto tardi e Rukawa doveva tornare a casa. Sulla soglia, Rukawa esitò un secondo poi disse: -Se vuoi, l'offerta di fare riscaldamento è ancora valida. Io lo faccio comunque, mi trovi mezz'ora prima degli allenamenti al campetto esterno.

-Ci penso. Grazie, Rukawa, è stata una bella serata.

-Anche per me. Grazie a te.- Rukawa esitò, poi si sporse in avanti e depose un casto bacio sulla guancia di Sakuragi. Nessuno dei due avrebbe dormito molto, quella notte.

 

L'indomani, Sakuragi si presentò al campetto all'ora concordata. E anche il giorno dopo. E quello dopo ancora. Nel giro di due settimane, Rukawa riteneva di poterla definire un'abitudine.

Poi, arrivò un giorno così nuvoloso e nero che sembrava che il sole non sarebbe sorto. Rukawa raggiunse Sakuragi di fronte alla sua classe ed entrò, seguito da un'orda di ragazzine arrapate e desiderose di sentire la sua voce: -Oggi mi sembra rischioso allenarci all'esterno.- disse, -Potremmo andare in palestra, sono sicuro che a Miyagi non dispiacerà.

-Va bene.- rispose Sakuragi. Nient'altro. Nessuna delle solite battute, nessun proclama, niente di niente. Rukawa aprì la bocca per insistere, ma Sakuragi lo zittì: -C'è altro?

-No. No, niente. A dopo.- Sakuragi si voltò verso la finestra e non rispose.

 

Rukawa arrivò in anticipo e si cambiò. C'era qualcosa, nell'atteggiamento di Sakuragi, che l'aveva spaventato parecchio; accolse con un senso di tragedia annunciata la frase con cui il rosso esordì entrando in spogliatoio: -Rukawa, ti devo parlare.

-Nh.- rispose, cercando di mantenersi stoico.

-Io... ecco... tu mi piaci, Rukawa, davvero.

-Ma?- il moro si voltò, dandogli le spalle per non mostrare gli occhi lucidi.

-Ma non posso fare questo ad Haruko. È la mia migliore amica, se sapesse che mi sono messo con te ci starebbe da cani!- Haruko, pensò Rukawa. Sempre lei, la causa primaria della sua rovina. Se non fosse stato per quella gallina impicciona, Sakuragi non si sarebbe mai iscritto al club di basket, Rukawa l'avrebbe solo incontrato in giro per i corridoi ma non l'avrebbe mai conosciuto, non se ne sarebbe innamorato e non sarebbe intento a raccogliere i cocci del proprio cuore.

-Haruko, eh? Non è che invece hai paura?- chiese una voce. Usciva dalla bocca di Rukawa, aveva fatto vibrare le sue corde vocali ed era stata plasmata dalla sua lingua e dal suo cavo orale, ma certamente non era la sua. La mano di Sakuragi si chiuse sulla sua spalla, la ghermì con violenza e lo sbatté contro il muro: -Paura? Paura di cosa?

-Non lo so, non sono te. Io non ho paura.

-Neanche io.

-E allora dimostramelo.- Rukawa non sapeva da dove gli uscisse quella durezza; probabilmente, in maniera istintiva stava cercando di giocarsi il tutto per tutto.

-Che cosa vorresti dire?- ringhiò Sakuragi.

-Baciami. Dimostrami che non hai paura di non poter più tornare indietro.- Sakuragi emise un basso verso di gola, quasi un ruggito, poi si fiondò sulla sua bocca. Rude e inesperto, vi si avventò contro, violento, e Rukawa reagì sporgendo la lingua; Sakuragi gliela morse e la succhiò, e Rukawa gemette. Ecco qual era il prezzo di provocare quel maledetto tornado dai capelli rossi: adesso sarebbe stato lui a non poterne più fare a meno.

Morse il labbro inferiore di Sakuragi, intrappolandolo tra i propri denti e la propria lingua, e Sakuragi emise un suono a metà tra una risata e una protesta; gli lasciò andare la lingua, ma la rincorse con la propria, premendosi contro le sue labbra, aprendo la bocca come se così facendo avrebbe potuto appropriarsi di Rukawa che, dal canto suo, cercava di trattenerlo tirando a sé la sua testa, con entrambe le mani sulla sua nuca fiammante.

-...no, ma pensaci seriamente, Ayako!- disse la voce di Miyagi, risuonando nella palestra; Sakuragi e Rukawa si staccarono l'uno dall'altro, terrorizzati, -Non mi pare il caso di fare tutta quella strada per niente, solo perché forse...

-Lo so, lo so, sono una cogliona, che ci posso fare?- ribatté Ayako. Sakuragi corse in bagno e si sedette di peso su un gabinetto chiuso. Rukawa lo rincorse, maledicendosi per la propria avventatezza, alzò una mano per bussare ed esitò; lentamente, appoggiò il palmo della mano sulla porta del cubicolo, poi si allontanò.

 

Si allenarono in un silenzio inquietante, con Sakuragi che cercava di mantenere la massima distanza da Rukawa e quest'ultimo che giocava con una rabbia incredibile e le lacrime agli occhi.

Miyagi pose fine alla tortura con mezz'ora di anticipo, poi si chinò verso la panchina per raccogliere il fischietto che aveva lanciato in un attacco di rabbia; per qualche motivo, Mitsui trasalì alla vista delle sue cosce che venivano svelate dai calzoncini e si fiondò in spogliatoio. Sakuragi lo seguì quasi subito, senza emettere un fiato, e si chiuse in un cubicolo delle docce; era felice che fosse stata inserita la piacevole novità dei divisori, ogni tanto era bello farsi la doccia senza vedere Akagi che si strofina lo spacco tra le chiappe e... la porta del cubicolo di Sakuragi si aprì e un corpo maschile si premette contro la sua schiena.

Un sussurro, lieve come un alito di vento e possente come una tempesta, la voce di Rukawa: -Avanti, dimostrami che adesso puoi farne a meno... fermami.- con orrore misto ad eccitazione, Sakuragi vide e sentì la mano di Rukawa che si chiudeva sul suo pene e lo massaggiava esperto. In qualche modo riuscì a non gemere, ma ogni colpo della mano di Rukawa sembrava sottrargli energia dalle gambe; cominciarono a tremargli le ginocchia, e Rukawa gli mordicchiò sadicamente il collo. Il suo membro eretto premeva tra le natiche di Sakuragi, che ebbe la breve, masochistica tentazione di spingercisi contro e impalarcisi sul momento.

Con un'immane fatica, uno sforzo quasi fisico, Sakuragi si voltò, spinse via Rukawa e corse ad occupare un altro cubicolo, bestemmiando di certe volpi maleducate. L'erezione di Rukawa sfumò poco a poco, mentre il moro si accasciava contro il muro, disperato.

Quando fu ragionevolmente certo che se ne fossero andati tutti, Rukawa fece per chiudere la doccia; ci ripensò, un istante dopo, e lasciò scorrere l'acqua. Dallo spogliatoio non veniva un suono, e Rukawa si concesse di lasciarsi andare: pianse, emettendo solo flebili suoni che a scanso di equivoci l'acqua corrente avrebbe coperto.

 

Sakuragi era in silenzio da un quarto d'ora, e Mito cominciava ad avvertire più di una punta di ansia. Approfittando di un momento in cui gli altri erano impegnati a disputarsi l'ultimo takoyaki del cartoccio acquistato tutti insieme, si avvicinò al rosso e chiese: -Ehi, Hana, che hai?- Sakuragi aprì la bocca per rispondere, ma Mito alzò una mano. -E non dirmi “niente”, perché ti prendo a calci nel culo.

-Ho scaricato Rukawa.- bofonchiò Sakuragi, -Solo che...- si passò una mano tra i capelli, in dubbio su come proseguire.

-A me puoi dirlo, Hana, qualunque cosa sia.

-L'ho scaricato perché non saprei come dirlo ad Haruko, e lui mi ha accusato di aver paura. Ci siamo baciati, e... cazzo, Youhei, improvvisamente di Haruko non me ne frega una beneamata minchia. Vorrei solo... solo tornare da lui e baciarlo di nuovo, e fare...

-Ok, ok, fermati prima di darmi troppi dettagli, ok? Vai da lui e digli che ti sei sbagliato.

-E se fosse troppo tardi?

-Vai prima che lo diventi, imbecille!- Mito capì la pantagruelica importanza della questione da un infinitesimo particolare: invece di infiammarsi e protestare per l'appellativo, Sakuragi si alzò e corse via senza aggiungere altro, senza nemmeno premurarsi di promettere una successiva vendetta.

 

Sakuragi corse più veloce che poteva verso lo Shohoku.

Durante la strada si ripeté che non era nulla, che semplicemente Rukawa lo arrapava e intendeva godersi un po' di sperimentazione sessuale e l'ebbrezza di stare con l'idolo delle folle, e per un po' riuscì anche a ignorare quanto questa fredda opera di autoconvincimento contrastasse con il battito impazzito del suo cuore, non interamente attribuibile allo sforzo fisico: da sempre abituato a correre, di solito il suo battito cardiaco raggiungeva i livelli di guardia solo dopo una buona mezz'ora di corsa a perdifiato, non certo dopo cinque minuti scarsi.

Entrò nella palestra e tolse le scarpe prima di dirigersi verso lo spogliatoio da cui proveniva ancora il lontano rumore di una doccia in funzione e il cupo ronzio della caldaia, e si ripeté il discorso che aveva improvvisato: “Senti, Rukawa, lo ammetto. Quel bacio, prima, è stato una figata. Mi hai preso in contropiede, ecco tutto, ma secondo me ci possiamo provare. Vediamo come va, che ne dici?”. Nella sua mente suonava molto elegante e persino altruista, e avrebbe mostrato quanto era superiore lui, Sakuragi, ad accettare di avere una storia con Rukawa, cosa che in effetti era, si disse: lui non aveva certo chiesto nulla, era Rukawa ad essersi montato su quella faccenda nella testa e ad avercelo contagiato. Entrò nello spogliatoio con quello che riteneva essere un magnifico, languido e seducente sorriso.

E gli si gelò il sangue nelle vene.

 

Le lacrime sono una fiera selvatica. Rinchiuse in gabbia, possono languire giorni, se non mesi o anni, ma una volta libere non si fermeranno fin quando non avranno esaurito la loro furia. Rukawa si lasciò scivolare a terra, disperato e terrorizzato da se stesso: i suoi discreti singhiozzi erano diventati un fiume in piena di lacrime, uno sconquassamento che minacciava di spaccargli il petto in due, un dolore inusitato che gli faceva venire voglia di ficcarsi le mani nel costato e strapparsi il cuore. La sua mente allo sbando formulò il pensiero che la famosa frase “mi ha spezzato il cuore” era ben più che una metafora sdolcinata: gli sembrava che quell'organo, fino ad allora dedito solo al pompaggio di sangue, gli stesse esplodendo nel petto.

Incapace di arginare le lacrime, si impose di lasciarle defluire fin quando il suo corpo non avesse deciso che così bastava, un po' come si assecondano gli spasmi del vomito durante una brutta influenza intestinale; finalmente, dopo quello che gli parve un secolo, i singhiozzi si frammentarono in sussulti sempre più sporadici, e Rukawa riuscì a rimettersi in piedi e a chiudere la doccia.

Si trascinò fuori dal cubicolo, ringraziando mentalmente l'amministrazione scolastica che aveva deciso di installare i divisori: si sentiva così debole, così svuotato, che non avrebbe potuto reggersi in piedi da solo senza appoggiarsi. Si lanciò coraggiosamente nel vuoto per i due passi che separavano il box doccia dalla fila di armadietti, una mano protesa in avanti ad anticipare il contatto con il prossimo supporto; l'incontrò con un clangore che risuonò nella stanza vuota. Sentendosi più languido e febbricitante ad ogni passo, aggirò la fila di armadietti e si paralizzò.

Lì, al centro della metà stanza adibita al cambio degli abiti, c'era Sakuragi, in piedi con una mano al petto e le guance lucide. Una lacrima sgorgò dal suo occhio sinistro, percorse la sua gota lungo una scia già solcata dalle sue compagne, si aggrappò al suo mento e poi cadde; si infranse contro il popeline della giacca scolastica, frantumandosi in microscopici cristallini di luce.

“Ti ha sentito piangere! Adesso ti disprezzerà! Bravo coglione cazzomoscio che non sei altro!” latrò una voce aliena nella testa di Rukawa.

-Ero venuto qui...- cominciò Sakuragi in tono quasi sognante, etereo, -Per rifilarti una stronzata su... su tipo me che mi posso abbassare a stare con te perché mi hai fatto eccitare...- la gola di Rukawa si contrasse. Aveva cercato di rispondere con uno dei suoi soliti “nh”, ma l'aria si era infranta contro la barriera della sua trachea serrata.

-Cazzo, mi sento come se mi avessero strappato il cuore dal petto.- disse Sakuragi a Rukawa e a nessuno. Udire quel pianto disperato gli aveva fatto provare un dolore inimmaginabile, impossibile da paragonare a qualsiasi altro male: le vertebre incassate, tutti i pestaggi subiti, persino la volta in cui si era fratturato ulna e radio e ci aveva poi appoggiato tutto il proprio peso nel tentativo di rialzarsi. Questo dolore era esponenzialmente più grande, sordo e al contempo pungente, come se il cuore gli si fosse trasformato in pietra all'interno, mantenendo qualche centimetro di tessuto all'esterno, che qualcuno stava pugnalando con degli spilli roventi e ruvidi di ruggine.

Si avvicinò, titubante, a Rukawa, ancora appoggiato al lato del primo armadietto della fila, con una mano a cercare di aggrapparsi al metallo liscio e l'altra serrata attorno ad un lembo della salvietta che gli cingeva i fianchi. Sakuragi alzò una mano e accarezzò con il dorso una guancia di Rukawa, arrossata per lo sforzo, il caldo e la vergogna, ma Rukawa si ritrasse: -Non farlo.

-Rukawa, io...

-Non farlo, se poi devi andartene di nuovo.

-Non me ne andrò di nuovo.

-Haruko?

-Non me ne frega un cazzo di Haruko. Per lei non ho mai provato questo.- Sakuragi prese il polso di Rukawa, quello appoggiato agli armadietti, e se la posò sul petto, godendo del freddo lacustre che essa aveva guadagnato dal contatto con la superficie metallica.

Rukawa avvertì il suo cuore battere rapido, come lo sfarfallio frenetico delle ali di un colibrì; Sakuragi disse: -Credo... credo di amarti.

-Perché mi hai sentito piangere? Cos'è, hai scoperto che sono umano?- ironizzò Rukawa.

-No. Chissà quanta gente ho sentito piangere. Mito, mia madre, mio padre, Haruko, Miyagi... un sacco di gente. Ho sempre reagito nel modo giusto: ti alzi, vai lì, l'abbracci, dici che andrà tutto bene e dici “sfogati, vedrai che poi ti sentirai meglio”. Ma ora... Rukawa, io...

-Kaede.

-Kaede. Kaede, io...- Sakuragi prese un lungo respiro dal naso e lo rilasciò con lentezza, a scatti tremanti, mentre la sua mano si stringeva attorno a quella di Rukawa, sempre con la premura di non strizzare troppo. Non disse, perché non sapeva come fare, che udire il suo pianto gli aveva fatto venire voglia di correre da lui, cancellare le sue lacrime con baci e carezze, prendergli la testa tra le mani e posarsela sul petto perché Rukawa potesse trarre forza da lui, anche mangiandogli il cuore, se necessario, e poi alzarsi e uccidere, distruggere, martirizzare la causa del suo dolore, che sapeva essere lui stesso, immolarsi pur di donargli la liberazione dalla sofferenza.

Non lo disse, ma Rukawa sembrò capirlo. Si sporse in avanti e appoggiò la testa sulla sua spalla, ancora con una mano a tenere la salvietta mentre l'altra si chiudeva piano in un pugno e trovava un nido sotto al labbro, come la manina di un bimbo che sta per addormentarsi.

Le mani di Sakuragi trovarono le sue spalle e si avventurarono timide tra le sue scapole; la ruvidezza del suo palmo era un balsamo lungo la schiena fredda e umida di Rukawa, sembravano scaldare le goccioline d'acqua che la solcavano. Lo premettero incredule contro il petto di Sakuragi, e Rukawa si lasciò cullare.

-Se vuoi, possiamo tenerlo per noi.- sussurrò Rukawa, -Almeno fin quando non avrai trovato il modo di dirlo ad Haruko.

-Non ti pesa?- chiese Sakuragi. Una nota di incredulità permeava dal tono dolce della sua voce.

-Un po'. Ma capisco che non vuoi ferire una tua amica. E lo accetto.- Rukawa si scostò, rabbrividendo al solletico lieve delle mani di Sakuragi che scivolavano verso la sua vita. -È parte di te.- proseguì, -Se tu fossi diverso, non ti vorrei così tanto bene.

-Vorrei gridarlo al mondo, che ti amo... e stanne certo, un giorno lo farò. Devo solo... trovare le parole giuste.- Sakuragi sorrise, e un'ombra attraversò i suoi occhi. Per quanto fosse Rukawa quello che fino a pochi minuti prima si stava soffocando nelle proprie lacrime sotto la doccia, ora che era tra le sue braccia Sakuragi stentava a crederci: si aspettava di essere respinto da un momento all'altro, e gli pareva di giocare alla roulette russa ad avanzare pretese di fronte ad un tale dono. Gli pareva di essere un mendicante che, vedendosi offrire un panino al prosciutto, lo rimanda indietro e ne chiede uno con la cotoletta di pollo, e non faccia lo spilorcio con quella maionese, maître.

-Ti amo anch'io.- bisbigliò Rukawa.

-Anche se sono un idiota?- chiese Sakuragi.

-Dannato me... soprattutto perché sei un idiota.- Sakuragi rise, ancora incredulo ma ora rincuorato, e Rukawa alzò il viso di poco; tanto bastò perché il rosso si chinasse su di lui.

Le labbra di Sakuragi si posarono su quelle di Rukawa in un battito di cuore, le schiusero come un'ostrica e sfiorarono la corona dura dei suoi denti perfetti; Rukawa rispose al bacio sporgendo appena la punta della lingua, che affondò come in un cuscino nel labbro superiore di Sakuragi per poi incontrare con la lucida parte inferiore il lato superiore costellato di papille della lingua di Sakuragi, in un abbraccio lento e languido che fece fremere entrambi.

Le braccia di Sakuragi solcavano con tocco riverente la schiena di Rukawa, e nel loro lento percorso fecero cadere a terra la salvietta; solo allora, il rosso si ricordò che l'altro non si era ancora vestito. Si scostò e disse: -Conviene che ti vesti, prima di prendere un malanno.

-Preferirei continuare...- bofonchiò Rukawa, e Sakuragi rise: -Non ti sarà di nessuna utilità prendere la broncopolmonite. O vuoi forse implicitamente ammettere che comunque in partita non ci servi perché il Genio basta e avanza?

-Do'aho...

-Forza, vestiti. Continuiamo il discorso in un posto con una temperatura gradevole.

-Casa mia?- propose Rukawa

-I tuoi quando rientrano?

-Le nove.- Sakuragi guardò l'orologio. Erano le sei e un quarto: -Ce lo faremo bastare... per oggi.- Rukawa si vestì alla svelta, poi tese una mano. Sakuragi allungò la propria, e le loro dita si intrecciarono le une alle altre come se non avessero fatto altro per tutta la vita; si chiese come aveva mai potuto pensare di rinunciare per Haruko, e una volta tanto, solo nella propria testa, si concesse di ammetterlo: ogni tanto, Rukawa aveva ragione a dargli dell'idiota.

Ma solo ogni tanto, sia chiaro!

Rise da solo, e Rukawa lo guardò scuotendo la testa, appena un accenno di sorriso a incurvargli le labbra; poi, con un lieve strattone, lo condusse verso casa propria, dove avrebbero trovato ad accoglierli un letto ampio, una coperta calda e una gradevole, intima solitudine da condividere.

 

   
 
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