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Autore: ChiiCat92    14/10/2019    0 recensioni
"Nell’aria c’era profumo di neve. Fredda, gelida, pungeva il naso e faceva formicolare gli arti. La pelle scoperta era accapponata e tutto in lui gridava, desiderando calore.
Ma aveva paura, paura di quello che poteva diventare quella notte.
Teneva le braccia strette intorno al corpo, tremava così tanto che gli battevano i denti, camminare si era fatto difficile.
I piedi nudi non erano abituati a percorrere strade asfaltate ma era peggio se camminava nel sottobosco: sassolini e rametti si conficcavano nella pianta facendolo uggiolare.
Ma non poteva...non poteva."
Questa storia partecipa al Writober 2019 di Fanwriter.it, lista PumpINK.
#writober2019 #fanwriterit #halloween2019
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Isa, Lea
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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13/10/2019

 

Luna Piena


Nell’aria c’era profumo di neve. Fredda, gelida, pungeva il naso e faceva formicolare gli arti. La pelle scoperta era accapponata e tutto in lui gridava, desiderando calore. 

Ma aveva paura, paura di quello che poteva diventare quella notte.  

Teneva le braccia strette intorno al corpo, tremava così tanto che gli battevano i denti, camminare si era fatto difficile.

I piedi nudi non erano abituati a percorrere strade asfaltate ma era peggio se camminava nel sottobosco: sassolini e rametti si conficcavano nella pianta facendolo uggiolare. 

Ma non poteva...non poteva.

Cominciò a nevicare pianissimo, un fiocco alla volta. Era la prima volta che la guardava dalla strada, e la prima volta che a coprirla non c’era niente se non la sua pelle lattea. 

Quando un fiocco gli cadde sulle spalle rabbrividì tutto, sentì i capelli rizzarsi sulla nuca. 

Continuare a camminare ritto su due gambe gli faceva male, e desiderava ora più che mai la sua pelliccia calda.

Alzò lo sguardo verso l’alto, il cielo era un compatto muro grigio scuro ma da dietro la nuvole, cariche di tempesta, si intravedeva l’occhio della Luna, grande, rotondo, pieno, implacabile.

Un brivido gli percorse la schiena, e stavolta non per il freddo. 

Riprese a camminare, tenendo lo sguardo sui propri piedi, più svelto, più in fretta. Il respiro si condensava nell’aria, candido. 

Non era lontano, e questo lo spaventava e lo eccitava insieme.

I lampioni illuminavano a chiazze la strada e nella loro luce riusciva a vedere il vorticare dei fiocchi di neve, ora più spessi e fitti.

L’odore nell’aria gli diceva che la tempesta si sarebbe scatenata da un momento all’altro e che non era rimasto molto tempo. L’urgenza di coprirsi, di stare al caldo, di sentire la terra sotto le zampe lo prese allo stomaco, subito seguita dalla paura. Una paura profonda, terribile, gli attanagliò i sensi, nascose per un attimo la strada di fronte a sé.

Se avesse lasciato che Lui prendesse il sopravvento non sarebbe stato in grado di mantenersi lucido, scappare non sarebbe servito a niente, e non avrebbe mai più avuto la forza di andarsene. 

Lasciò che il dolore, rosso e bruciante, che sentiva al viso spronasse la sua forza di volontà. 

Poteva farcela, doveva farcela. 

 

Le luci lo spaventavano, ma la neve copriva la sua esile figura.

Non era mai stato così vicino agli esseri umani o vicino alle loro abitazioni. Aveva cercato di camminare lontano dalla strada, ma ora che era nel bel mezzo del centro abitato la cosa si era fatta difficile. 

La pista che stava seguendo si era fatta più forte, così come la sua speranza di sopravvivere a quella notte.

Ed ora attendeva. Non sapeva cosa ma...attendeva. 

Il prato della casa era ben tenuto ma era gelido, i piedi gli facevano male. Riusciva a scorgere una luce tiepida provenire dalle finestre, forse c’era un camino all’interno perchè nell’aria avvertiva sottile odore di fumo.

Si avvicinò, cauto, alla finestra.

La notte era densa e la neve più fitta che mai, non l’avrebbero visto...o almeno così sperava. 

L’interno non era come la tana in cui lui viveva con il branco, e d’altronde sapeva che gli umani vivevano in modo diverso, confuso. Troppa luce, troppo calore, troppo cibo. Troppo.

Vagò con lo sguardo alla ricerca di un’immagine familiare, il naso arricciato per carpire ogni odore.

Poi lo vide. 

Un lampo rovente di capelli rossi, occhi verdi, un sorriso al miele sulle labbra piccole. Si ritrovò a poggiare una mano sul vetro, avvertì il calore provenire dall’interno e quasi sospirò per il piacere.

Il ragazzo non era solo, c’era un’umana stavolta con lui. Sembrava addormentata davanti ad una scatola piena di immagini in movimento. Le stregonerie degli umani non gli erano chiare, e in ogni caso quello che gli interessava era il ragazzo. 

Sentì il peso del cielo sopra di lui, la luce della Luna che lottava per perforare le nuvole. Non c’era più tempo, non c’era tempo!

E lui cominciava ad avere davvero paura. 

Ticchettò con un dito alla finestra, non si stupì di non avere più sensibilità: la pelle era diventata blu, le unghie violacee, senza la sua pelliccia stava congelando.

Per un attimo osservò come il bianco pallido della sua carnagione cambiava colore avvicinandosi alla punta delle dita, sfumando sulla mano, stupendosi di quanto strano potesse essere il suo corpo quando non era un lupo.

Sentì un rumore e sollevò lo sguardo di scatto. Se avesse avuto la forza sarebbe saltato indietro automaticamente, ma era stremato, congelato, e...solo, così solo.

Il branco era lontano, la ferita al viso si era cristallizzata per il freddo e tirava la pelle, i piedi gli facevano male, ma il gelo rendeva il suo corpo piacevolmente insensibile.

E ora quell’umano lo guardava dalla finestra, gli occhi sgranati e la bocca al miele appena spalancata. 

Non riusciva a non pensare al miele quando lo guardava, sì, miele, quello che stillava dai favi in primavera, in cui lui affondava il muso squarciandoli, ignorando le api che si perdevano nella spessa pelliccia blu scuro. 

Poi crollò nella neve. L’abbraccio soffice e gelato lo accolse come un manto. Perse i sensi quasi subito. 

 

Si risvegliò di soprassalto, terrorizzato, emettendo un grido scomposto.

« Wo, ehi! » si voltò di scatto, mugolando per lo spavento. Il ragazzo dai capelli di fiamma gli stava a fianco, poco distante. Era spettinato e scomposto, doveva essersi addormentato. « È tutto okay. Sei al sicuro adesso. »

Perse qualche istante per capire il senso delle sue parole, poi sollevò le mani. Avvolte in guanti caldi di lana avevano ritrovato sensibilità, poteva aprire e chiudere le dita anche se formicolavano dolorosamente.

Lanciò uno sguardo fuori, era ancora notte fonda, la nevicata si era trasformata in una tempesta. La Luna era lontana e, al caldo, avvolto in un bozzolo di coperte, era lontano anche il richiamo del branco. 

Cercò di togliersi i guanti e gemette quando si ritrovò ad annaspare, stupidamente spaventato, perché non venivano via.

« Ti aiuto io, aspetta. » il ragazzo si avvicinò e per un attimo valutò l’idea di ringhiargli contro. Ma voleva solo aiutarlo, come la notte in cui l’aveva liberato dalla tagliola dei cacciatori nel bosco. 

Si lasciò fare, tremando appena, e quando le mani furono libere le portò al viso. 

Il ragazzo aveva bendato la ferita, non faceva più troppo male. Il dolore, però, aleggiava nei sui ricordi. 

« Come hai fatto a trovarmi? » chiese il ragazzo, quei grandi occhioni spalancati, in ammirazione.

Lo sguardo di lui cadde sulle proprie gambe, ora rannicchiate al petto. C’era una cicatrice banca alla caviglia, dove la tagliola aveva inciso e divorato la carne. Il ragazzo rosso l’aveva liberato, e medicato con un pezzo di stoffa strappato dalla sua maglietta. L’odore di lui era rimasto impregnato nelle sue narici per ore, almeno finché non era stato costretto a togliersi quel bendaggio di fortuna e fingere.

Non aveva mai finto con il capobranco, non ne aveva mai avuto il coraggio. 

« Mi hai trovato...con l’odore? » azzardò il rosso, arricciando in un sorriso quelle labbra al miele. 

Lui annuì in risposta, pian piano. Non poté fare a meno di chiedersi dove si trovasse il branco adesso. Sulle sue tracce, correndo a perdifiato con le zampe immerse nella neve? Forse avrebbero aspettato l’indomani per cercarlo, o forse avrebbero seguito le sue impronte prima che la nevicata le cancellasse. 

« Io mi chiamo Lea. Tu ce l’hai un nome? » chiese il rosso, piegando appena la testa di lato. Era carino quel suo modo ingenuo di scoprire il collo. Avrebbe potuto azzannarlo e lui non si sarebbe neanche accorto di stare per morire. Gli esseri umani erano tanto fragili quanto stupidi. 

« Isa. » mormorò lui. 

« Isa. » ripeté il rosso, soddisfatto. « Avevi le mani gelate, per questo ti ho messo i guanti. Però, insomma… » lo sguardo verde indugiò sul suo corpo, e Isa si rese conto di essere nudo. 

La nudità non era un problema per lui, né gli causava imbarazzo, ma l’umano non sembrava a suo agio. L’unico motivo per cui vedeva necessario vestirsi era perché il corpo umano era troppo fragile per resistere alle intemperie. 

« D’accordo. » acconsentì.

Tenne le gambe strette a sé finché Lea non gli diede degli abiti da indossare. Al tatto erano caldi, li accarezzò lentamente, sentì il bisogno di indossare la sua pelliccia piuttosto, ma resistette. 

Si vestì con calma. L’aveva fatto una volta e, anche se non era propriamente sicuro di come funzionassero i bottoni, riuscì a coprirsi.

Lea, però, ridacchiò, intenerito.

« Non così. » si avvicinò a lui e stavolta niente impedì ad Isa di ringhiare. Solo che non sortì l’effetto desiderato: il rosso non se ne sentì minacciato. « Li hai abbottonati tutti storti, ecco, guarda, così va meglio. » 

Le sue mani, contro la pelle gelata dalla neve, erano calde, piacevoli, come quando gli aveva medicato la caviglia. Era passato così tanto tempo eppure gli sembrava che fosse accaduto solo poche ora prima.

Un rumore li fece sobbalzare entrambi. Isa sentì tutti i peli del corpo rizzarsi, scoprì i denti in un ringhio silenzioso, mentre Lea lo intimò al silenzio portandosi una mano alla bocca.

Il rosso saltò verso la porta della stanza, la socchiuse quanto bastava per affacciarsi.

« Sei ancora sveglio? » sua madre aveva la voce assonnata, gli occhi socchiusi, e stava venendo a controllare che dormisse come faceva tutte le notti prima di andare a letto.

« No ma’, sto andando a letto. » il ragazzino uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. Il cuore in corsa gli impediva di pensare lucidamente, voleva solo che sua madre se ne andasse senza entrare. Cosa avrebbe potuto dirgli? Che un ragazzo lupo con un principio di congelamento stava rannicchiato sul suo letto? 

« Bene, perché è veramente tardi. » stancamente la donna rivolse una pacca sulla testa rossa del ragazzino poi, sbadigliando, continuò verso la sua stanza.

Lea aspettò che chiudesse la porta e spegnesse la luce prima di tornare da Isa.

Intanto, il ragazzo lupo gironzolava per la stanza, annusando tutto e guardando tutto con occhi incuriositi ma esitanti.

Non aveva raccontato a nessuno del loro incontro e d’altronde chi gli avrebbe creduto? Ma non aveva smesso di pensare a lui neanche per un istante. Quando suo padre gli aveva proposto di tornare in campeggio lui si era dimostrato, per la prima volta, entusiasta. Ma del lupo, di qualsiasi lupo, non avevano trovato traccia.

Era giunto alla conclusione che non c’era mai stato nessun incontro, che se l’era in qualche modo immaginato, che doveva essersi fatto impressionare dai racconti sui lupi mannari del padre. 

Eppure gli occhi d’ambra del ragazzo non avevano smesso di popolare i suoi sogni. 

« Tutto okay. » mormorò, appoggiandosi per un attimo alla porta. « Era solo mia madre. » sospirando, si sedette sulla sponda del letto. Il ragazzo lupo continuò il suo giro esplorativo della stanza. Non sembrava un selvaggio, o un animale, era solo qualcuno che non aveva mai visto un abat-jour o uno scendiletto. « Tu ce l’hai una madre? »

Isa scosse la testa, senza guardarlo, tutto impegnato a guardare un modellino del sistema solare che Lea aveva costruito per una fiere delle scienze a scuola. 

« E un padre? » continuò Lea.

Isa scosse di nuovo la testa. Con la punta delle dita toccò la Terra, una pallina da ping pong attaccata ad una più grande di polistirolo con del fil di ferro che doveva essere la sua orbita. 

« Quindi...sei tipo un orfano? »

« Il branco è la mia famiglia. » 

Stavolta si voltò a guardarlo, lo sguardo ambrato intenso a tal punto da fargli venire i brividi. 

« O-okay. Scusa. » come se ci fosse qualcosa per cui scusarsi. Non sapeva neanche di averlo offeso. « Come ti sei fatto...quella ferita? » 

Isa portò una mano a toccare la fasciatura che aveva in viso. Il dolore lo fece quasi sobbalzare ma...non era reale, era dentro di lui, nei suoi ricordi, nella sua essenza. Sentì urgente il bisogno di scappare accompagnato da una fitta di panico.

Ma stava bene, Lui era lontano, la neve copriva le sue tracce. Era al sicuro. 

« Posso stare qui...stanotte? » chiese, incerto, lo sguardo che esitava ora da una parte ora dall’altra.

« Oh, ehm...sì, certo. » annuì Lea con un sorriso. « Puoi dormire nel mio letto, io prendo il sacco a pelo e… »

Isa si tuffò sul letto, vicino a lui, acciambellandosi come un cucciolo. Nonostante il pigiama che gli aveva dato sentiva che la sua pelle era fredda, un pezzo di ghiaccio bianco latte. Chissà per quante ore aveva camminato nella neve. 

Lea non aveva i mezzi per capire se fosse davvero un principio di congelamento o meno, ma di certo aveva bisogno di essere scaldato.

« Uhm...che ne dici se ci mettessimo sotto le coperte? »

Isa non se lo fece ripetere due volte. Ubbidiente, scivolò sotto le coperte con lui, la schiena rivolta alla finestra come se non avesse voluto vedere il cielo, e la Luna che ancora occhieggiava tra le nuvole. 

Lea coprì entrambi. Il freddo di lui quasi lo fece rabbrividire, ma preso l’equilibrio di calore tra i loro corpi rese l’ambiente tiepido e piacevole.

Si chiese perché Isa non tornava lupo, con la pelliccia addosso avrebbe avuto di certo meno freddo, ma se era scappato nella sua forma umana di certo una ragione doveva essersi.

Si riscoprì a sorridere, riusciva a pensare così lucidamente in quella situazione completamente priva di logica. Un ragazzo in grado di trasformarsi in lupo che aveva salvato quasi due mesi prima se ne stava accucciato al suo petto con gli occhi chiusi e l’espressione beata e lui riusciva a pensare a tutto con chiarezza.

L’indomani mattina, con un po’ di fortuna, sua madre sarebbe andata a lavoro, lui avrebbe preparato la colazione per entrambi e allora gli avrebbe fatto altre domande.

Era stato qualcuno del suo branco a ferirlo? 

Era scappato per questo? 

Lo stavano inseguendo? 

Il tepore ritrovato del suo corpo contro il proprio gli fecero ben presto prendere contatto con la realtà. Poteva concedersi di godersi quella notte, solo quella notte. Ci avrebbe pensato con calma l’indomani.

Mentre scivolava nel sonno solo una parte della sua mente registrò l’ululato di un lupo, il muso in alto verso la Luna piena. 

 
   
 
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