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Autore: Crystal Aerya Faery    08/05/2005    3 recensioni
Insomnie. Francia, anno 2005. Una semplice ragazza viene assalita da un vampiro: Louis Von Black non riesce però ad ucciderla, e decide di fare di lei una vampira. Ma c'è qualcosa di diverso in Lucien... Il suo sangue reagisce diversamente alla luce del sole... Il contatto con l'acqua sacra è nullo.. La veggenza è nei suoi occhi dorati... Chi è Lucien? Cosa significano le sue capacità? Forse è lei la Grande Guerriera Nera, la donna vampira citata nelle antiche profezie dei libri ritrovati in Transilvania?
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parigi 5 Maggio 2005, Via dell'Eterneit Blauchebun

 

Parigi 5 Maggio 2005, Via dell'Eternel Blauchebun

Nella via desolata, avvolta in una giacca di pelle, una ragazza camminava sormontata dal velluto universale delle stelle e del cielo nero. Silenziosa, quella via, al limite della sua interpretazione vitale: non un locale aperto, non un negozio, in quell'ora magica che precede l'alba.

Il passo, cadenzato ma non troppo, rivela di lei l'animo fanciullesco e ancora giovane: il rintocco degli stivali si mescola al ronzare dei grilli nascosti nei cespugli del parco lì vicino, i capelli, neri come macchie d'inchiostro sbarazzine e ribelli, sono condensati sulla sua testa bianca, dal volto rivolto verso l'alto.

La sua storia è una storia difficile. Non ha casa, ha una famiglia a metà, non ha lavoro. Ha in compenso 17 anni di tragicomica vita passata cercare di comprendere il senso insensato del mondo dove abita.

Si chiama Lucien, ma questo non importa... Il suo nome era un numero, nel censimento della Terra. E un numero sarebbe rimasto, per sempre. Faceva parte di quella schiera di gente che non avrebbe avuto un nome importante, che non sarebbe divenuta eroica...

Ombra tra le ombre di quella notte stellata, Lucien camminava diretta ad una panchina nel parco di grilli canterini. Era la pace e il silenzio della natura che cercava, in quel pianeta fatto di caducità, morte, insonnia.

Si sedette e sospirò una nuvoletta di pallido vapore biancastro.

Quel vapore venne visto anche in lontananza, come una vampata di fuoco, da qualcuno che forze non si trovava lì per caso, e che già da qualche tempo la stava seguendo.

Uscì dai cespugli con un silenzioso incedere. Si mescolava bene all'oscurità: lei era sua madre. Nuvole grosse di pioggia coprirono il volto della luna, e la fanciulla seduta sulla panchina, a qualche metro da lui, fu avviluppata dal nero della notte.

Si passò la lingua sui denti scintillanti: una preda, finalmente. Erano giorni che aspettava invano, e ora assetato e bramoso fissava con le iridi rubino la stupenda cena passionale che gli si presentava. Non era abbastanza lucido per anteporre al pasto un corteggiamento... No, sarebbe calato sulla vittima e l'avrebbe uccisa senza troppi convenevoli.

Camminò leggero sull'erbetta del parco. I suoi passi non furono uditi da niuno, e anche i grilli, suoi fratelli notturni, continuarono a cantare come se nulla fosse.

Arrivò fino alla panchina, e lì rimase. Non aveva bisogno di respirare...Da secoli non lo faceva più. Lei non si sarebbe neanche accorta di morire.

Quando la Luna tornò a illuminare la scena, poté vedere con nitidezza il collo diafano e liscio della ragazza. Brillò, quel collo perlato alla luce della luna, e per un attimo fu tentato da rimandare il pasto, per travolgere quel delicato fiore di giglio dalla sua spudorata lussuria.

Ma no... Non c'era tempo, e l'alba era vicina. Sarebbe perito, un altro giorno senza la sua linfa purpurea. Così aprì la bocca, e posò il suo gelido fiato sul collo di lei.

Lucien sentì una brezza carezzarle il collo, e infastidita dal gelo che sciupava la calma della notte, si coprì fino al naso con la giacca nera di pelle. Gli occhi dorati continuarono a fissare però la luna e le stelle sopra di lei, intervallate dalle nuvole di pioggia.

Poi, qualcosa di ignoto si avventò su di lei, una mano dalla presa d'acciaio le si serrò sul volto, impedendole di gridare. Fu rovesciata all'indietro, mentre una mano artigliata armeggiava su di lei, strappando come fosse seta il pesante giaccone di pelle.

Lo schienale della panchina la aiutò a rimanere ancora per metà seduta. Sentì solo il suo, di respiro, e il gelo della mano sconosciuta le fece correre un brivido sulla schiena. Il panico le affondò nel cuore, mentre sotto i raggi della luna, si dibatteva, mugolando e gemendo.

Quando sentì cedere lo schienale della panchina, comprese che nulla al mondo avrebbe impedito allo sconosciuto assalitore di fare di lei ciò che voleva. Fu portata a terra, tra l'erba umida e odorosa del parco, la mano ancora sul suo volto, a bloccarle le labbra in una smorfia di paura.

La Luna fu oscurata di nuovo, e lei non poté vedere chi ora era su di lei. Cercò annaspando, di scivolare via da sotto di lui, menando calci e schiaffi all'aria. Alla fine aprì le labbra rosse e addentò la carne fredda della mano impertinente, e non mollò la presa per nulla al mondo.

Nessun grido, nessun dolore. La Luna tornò, da oltre le nubi, e Lucien riuscì a vederlo.

Quando di nuovo tornò la Luna, lui sentì la ferocia e la prepotenza abbandonargli la mano che voleva chiudere sul volto della ragazza per frantumarglielo.

Fissò gli occhi di lei: dorati, lucenti e luminosi come fossero il Sole stesso. E poi il suo naso, leggermente aquilino, la fronte delicata e fanciullesca, gli zigomi alti...La pelle così chiara, le labbra così rosse. I capelli, una chioma notturna, le ricadevano appena sulle spalle, di un nero fluido e impenetrabile.

Capì in quell'istante che la voleva al suo fianco, non sotto terra assieme alle schiere dei mortali. Capì che aveva tra le mani una stupenda creatura, una stupenda fonte di passione. Sorrise, a quella vista, e storse il suo volto in un ghigno.

"Sta zitta o ti uccido." Sibilò amorevolmente. "Non sentirai nulla."

Lei più si dibatteva, più lui la immobilizzava, chiudendo le gambe sulle sue, e posandosi su di lei come una nera falena parassita. Decise che non sarebbe morta, e che non l'avrebbe dilaniata come invece qualche secondo prima avrebbe voluto.

E poi la morse.

 

  
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