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Autore: ChiiCat92    18/10/2019    1 recensioni
"Spesso si ritrovava a rintanarsi in bagno, un giro di chiave o due a bloccare la porta, ancorato con le mani ad artiglio al lavandino nella speranza di trovare sollievo. Un sollievo per un dolore di cui non capiva bene la provenienza.
Allo specchio riconosceva l’immagine di Isa, i suoi occhi verdi, il suo velato sorriso senza paura, ma quando scostava lo sguardo continuava a vedere Saïx: la cicatrice a X che gli deturpava il volto sembrava volerlo ribadire."
Questa storia partecipa al Writober2019 di Fanwriter.it, lista PumpFIC, prompt Hurt/Comfort.
#writober2019, #fanwriterit, #halloween2019
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axel, Isa, Roxas, Xion
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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18/10/2019

 

Doloroso Conforto 


C’era sempre confusione in casa, un vociare continuo, piccoli, improvvisi sprazzi di gioia. Suoni che Saïx non era abituato a sentire, che lo mettevano a disagio. 

Spesso si ritrovava a rintanarsi in bagno, un giro di chiave o due a bloccare la porta, ancorato con le mani ad artiglio al lavandino nella speranza di trovare sollievo. Un sollievo per un dolore di cui non capiva bene la provenienza.

Allo specchio riconosceva l’immagine di Isa, i suoi occhi verdi, il suo velato sorriso senza paura, ma quando scostava lo sguardo continuava a vedere Saïx: la cicatrice a X che gli deturpava il volto sembrava volerlo ribadire.

Anche se l’incubo era finito, lui non si era veramente risvegliato, o forse aveva paura che fosse così, che in realtà tutto ciò che lo circondava fosse falso. Era questo il dolore che sentiva in petto? O era semplicemente il battito di un cuore che non sentiva contro le costole da troppo tempo? 

Fuori, oltre l’esile protezione della porta del bagno, qualcuno lanciò un gridolino soddisfatto, insieme con la parola “JENGA!”. 

Giocavano, giocavano sempre, e quando non erano impegnati con qualche strano gioco da tavolo mangiavano il gelato, passeggiavano, recuperavano il tempo perso passandone il più possibile insieme. 

Saïx avrebbe potuto stare con loro, Axel continuava ad invitarlo con gli occhi, il posto accanto a lui sempre vuoto e pronto ad accoglierlo. Ma non ci riusciva, semplicemente non ci riusciva.

Gravitava intorno a loro, pericoloso come una meteora, senza farsi catturare dal loro campo gravitazionale. Aveva paura che se fosse successo l’ombra della distruzione si sarebbe abbattuta su di loro. 

Scoprire di non volere che soffrissero era una tiepida novità, scaldava di poco il cuore ancora atrofizzato dal lungo inutilizzo, e lo disturbava.

E poi, ovviamente, c’erano gli occhi del ragazzino. 

Lei riusciva a rispettare la sua presenza, abbassava o scostava lo sguardo con zelante prontezza, ormai assuefatta ai giochi di potere che intercorrevano da troppo tempo tra loro, ma lui…

Lui lo sfidava. Non apertamente, perché altrimenti Axel si sarebbe arrabbiato, ma con meschini sguardi di fuoco, sottili e penetranti come aghi.

Lo guardava ora con sdegno, ora con altezzosità, ora con rabbia. Solo sguardi, blu cobalto cosparsi di polvere d’odio che si dissipavano quando si voltava a guardare ora Axel ora Xion.

Ci fu un altro urletto, un “Jenga” più contenuto, poi lo sbuffo infuocato di Axel: il gioco era finito.

Saïx ricompose la sua immagine allo specchio, implorando perché il verde dei suoi occhi restasse senza incrostarsi d’oro, e uscì, con la sua abituale nonchalance. 

 « Ho perso di nuovo! » ci tenne ad informarlo Axel, mentre i due ragazzini raccoglievano i mattoncini del Jenga, litigandoseli amorevolmente. Due bambini, due cuccioli, capaci di uccidere e combattare ma non di badare a loro stessi. Non ora che erano umani.  

Saïx rispose ad Axel solo con un vago sorriso, che morì quando Roxas alzò la testa.

Fisso, e con la schiena rigida, le mani strette intorno ai mattoncini del Jenga, lo guardava come si guarda un serpente. Xion, invece, con le guance imporporate, riponeva silenziosa i pezzi del gioco nella scatola. 

Si guardarono per un attimo, poi le acque cangianti negli occhi di Roxas si rivolsero ad Axel, piene e calde, baciate dal suo sole.

 « È perché sei un incapace. » scherzò, rispondendo volutamente alla frase che era stata rivolta a Saïx. Così, Axel fu ingenuamente costretto a voltare la testa verso di lui, un broncio arrabbiato sulle labbra.

 « Io non sono un incapace. È il gioco che è truccato. »

 « Ah sì? Era truccato anche il Cluedo? »

 « È difficile capire chi è l’assassino! » 

L’esasperazione di Axel fece ridere i due ragazzini. Saïx si sarebbe unito a loro, se solo non fosse stato per lo sguardo di Roxas. 

Messo in ordine il Jenga, Axel borbottò che non ci avrebbe più giocato, nossignore, mai più. Poi un’occhiata all’orologio lo fece sobbalzare.  « Oh no, la spesa! »

Anche i ragazzini alzarono la testa verso l’orologio, evidentemente non capendo la correlazione tra l’ora e la spesa, e lo stesso, con vergogna, fece Saïx. 

Erano ancora ben lontani dall’abituarsi ai loro nuovi bisogni, all’essere fatti di carne e sangue e non gusci di oscurità senza cuore. Cose come nutrirsi non erano necessità, solo il capriccio di una vita passata.

Per fortuna Axel si prendeva cura di loro.

 « Xion, vieni con me? »

Saïx avrebbe voluto rispondere per lei. No, ovviamente no, certo che no, sei impazzito

Era più semplice sopravvivere al dolore quando si trovava solo con Xion, lei non si avvicinava e lui non richiedeva la sua presenza: un equilibrio perfetto. 

Ma rimanere solo con Roxas? 

 « Sì, okay. » rantolò disperata la ragazzina. In un’altra vita forse sarebbe stata punita per quella decisione, in questa non aveva fatto niente di male. 

A quel punto Saïx sperò che Roxas si opponesse, o che decidesse di andare con loro, ma il suo silenzio ostinato suonava snervante alle sue orecchie. 

Axel mise le scarpe, prese una giacca, si occupò di fare lo stesso anche per Xion, salutò entrambi con un sorriso smagliante. E uscì.

Senza la sua fiamma in casa c’era più freddo, un freddo strano, tangibile. 

Saïx rimase qualche istante di troppo a fissare la porta, le mani che si contraevano e rilassavano in un pulsare confuso, il respiro stranamente affannato. 

Quando si voltò non si stupì di ritrovarsi di fronte il ragazzino.

 « Non aspettavi altro, mh. » si rese conto troppo tardi di averlo detto ad alta voce, ma non se ne pentì. Quel moccioso doveva solo provare a fare qualcosa. Qualunque cosa. 

Saïx immaginò il peggiore degli scenari, quello in cui doveva difendersi da un attacco di Roxas, quello in cui doveva ferirlo per rendergli impossibile l’attaccarlo, quello in cui rischiava di ammazzarlo perché perdeva il controllo. L’avrebbe fatto se l’avesse costretto, il fatto che sentiva tutto il corpo formicolare ne era una prova.

Quello che non aveva immaginato, però, era che Roxas abbandonasse l’espressione ostile, che il cobalto dei suoi occhi si spianasse in una calma, lunga mareggiata, e che le braccia si chiudessero intorno al suo corpo non per attaccare ma per confortare.

Saïx rimase teso in quella stretta, confuso, imbarazzato: sotto l’orecchio Roxas di certo sentiva il battito furioso del suo nuovo cuore. 

Cosa dirgli, come scacciarlo, come liberarsi. 

Non voleva quel contatto, non voleva che lo toccasse, non voleva essere costretto a sentire il colore che emanava, il dolore che scemava, stemperato in blu puro. 

Tentò di agitarsi, di scrollarselo di dosso, ma si accorse con orrore che non aveva mosso un muscolo, che il suo corpo gioiva dell’abbraccio.

Era un doloroso conforto di cui non sapeva di avere bisogno, e non voleva rinunciarvi, non adesso che l’aveva scoperto. 

Roxas rimase allacciato a lui per un tempo infinito, poi si separò, ma il calore del contatto non abbandonò il corpo di Saïx. 

 « Gioca con noi stasera. » gli disse, serio.  « Axel fa davvero schifo a qualsiasi gioco. » Saïx aprì le labbra per dire qualcosa (chissà cosa poi, perché tutto suonava imbarazzante nei suoi pensieri) ma il ragazzino lo interruppe.  « Per favore, Isa. »

Sentirgli pronunciare quel nome, il suo vero nome, scosse qualcosa dentro, forte, lo sentì rimbalzare contro le pareti del suo essere. 

Non più Saïx, ma Isa, umano e senza colpe, rinato a nuova vita. Perdonato. 

Roxas gli volse le spalle per andare a sedersi sul divano, doveva aveva lasciato una partita a metà sul suo videogioco. Lui gli gravitò intorno, ma si sedette lontano.

 

Quella sera, dopo cena, Axel propose di giocare a Monopoly, dichiarando in anticipo che avrebbe vinto, e che Viale dei Giardini sarebbe stato suo al primo giro. 

Isa sedette accanto a lui, di fronte a Roxas la cui ostilità si era fatta impalpabile nebbia, e scelse il cappello argentato dalle pedine da mettere sul tabellone.



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The Corner 

Avrei voluto scrivere qualcosa del genere per un altro prompt della challenge, ma per qualche ragione è spawnata l'idea per questa volta. Non so se il prompt è stato rispettato ma...boh, sono comunque contenta di quello che sono riuscita a scrivere. E questo e quanto.

Chii
   
 
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