Tredici
minuti
“Buongiorno,
Ted!”
Ted
Brown voltò il viso verso la nuova centralinista
della ‘Insurance Inc.’ e le fece un cenno con il
capo: non sapeva il suo nome.
Si
diresse velocemente verso il suo cubicolo e si
sedette alla scrivania.
“Oggi
solo due!” esclamò Rosie, sua moglie, entrando
dietro di lui. Ted la guardò: i suoi capelli biondi erano
lisci e sciolti,
mentre i suoi occhi scuri erano ancora grandi ed espressivi, solo il
suo
colorito era un po’ pallido, ma lo era da quando era morta e
Ted non si stupiva
più.
Rosalind
Brown era morta da due anni, dopo una lunga
malattia che lo aveva distrutto, ma, dopo tre giorni, si era presentata
nel suo
ufficio, sostenendo di aver bisogno di lui e promettendogli che
avrebbero
passato del tempo insieme.
Ted
non si era fatto tante domande, non gli
interessava sapere perché il fantasma di Rosie volesse stare
con lui, ma
poterla vedere tutti i giorni era fantastico e lui aveva accettato la
cosa
senza problemi.
Rosie,
quella volta, si era seduta sulla sua scrivania
con in mano un blocchetto e una penna trasparenti e aveva iniziato a
presentargli un po’ di persone. Persone morte, per
l’esattezza; tutti quelli
che lei gli presentava erano fantasmi. E tutti avevano bisogno di lui.
Ted
aveva capito che ciò che impediva loro di
attraversare la barriera e di lasciare per sempre il mondo dei vivi
erano le
questioni irrisolte e Rosie voleva assolutamente che lui aiutasse tutti
quegli
spiriti a compiere il grande passo e lasciarsi alle spalle il passato.
Così
lei aveva ideato un piano per poter accontentare
tutti: lui li avrebbe aiutati a sistemare le cose che non potevano
più fare e
gli spiriti lo avrebbero aiutato nel suo lavoro sfruttando le loro
capacità.
Andava
avanti da due anni e funzionava a meraviglia: un
fantasma voleva far sapere ai familiari di aver lasciato nel pc un
manoscritto
che avrebbe voluto pubblicare? Ted lo avrebbe aiutato e lo spettro, in
cambio,
avrebbe scoperto se la persona su cui Ted indagava per lavoro, stesse
tentando
di imbrogliare l’assicurazione.
Uno
scambio equo, insomma: centinaia di spiriti che
potevano oltrepassare la barriera, lasciandosi alle spalle le questioni
irrisolte, e lui che poteva fare carriera semplicemente compilando il
registro
degli assistiti fraudolenti o meritevoli di risarcimento.
“Due?”
chiese. Bene, quel giorno non avrebbe poi
lavorato tanto, sperando che non fossero cose troppo impegnative. La
settimana
prima aveva dovuto scavare una buca al parco cittadino
perché un fantasma non
riusciva a perdonarsi di aver nascosto al fratello il suo giocattolo
preferito
e di averlo sotterrato perché nessuno potesse trovarlo e
scoprire che era
rotto.
E
dopo innumerevoli buche dovute a vuoti di memoria ed
essere scappato dalla polizia per violazione di proprietà
comunale, Ted era
riuscito ad avere il giocattolo e un gran mal di schiena che lo aveva
accompagnato per tre giorni.
“Sì.
Ti lascio prendere il caffè e torno dopo” si
congedò la moglie, sparendo.
Ted
rimase di sasso: caffè? Quale caffè?
“Ted,
vuoi un caffè?” La centralinista si
affacciò
alla porta aperta e gli sorrise. Era una ragazza strana: aveva una
matita
infilata sulla sommità della testa, in una crocchia di
capelli ricci e un paio
di occhiali scuri dalla forma bizzarra le facevano risaltare gli occhi
chiarissimi.
“Oh,
sì grazie…” Si bloccò quando
non seppe come
chiamarla.
“Ecco!”
esclamò lei, senza accorgersi della sua gaffe.
Entrò nell’ufficio con una tazza in mano.
“Due zollette e poco latte, giusto?”
Lei gli sorrise e Ted non seppe cosa dire. La ragazza
arrossì e spiegò,
sottovoce: “L’ho sentito mentre lo dicevi a Nick
Torn della contabilità…”
Ted
annuì. Era vero, aveva spiegato a Torn che doveva
ricordarsi di rimettere il latte in frigo, dopo averlo utilizzato,
così che lo
potessero usare anche gli altri. Era un idiota.
“No,
non è un idiota” disse lei, stranita.
Oh.
Ted s’imbarazzò e non disse più niente.
Che figura
da povero sciocco aveva appena fatto! “Scusa, ho parlato a
voce alta…” cercò di
scusarsi.
Lei
fece un sorriso triste e annuì. “L’ho
sentito
dire”. Cosa?
“Cosa
hai sentito?” le chiese.
“Che
quando sei da solo parli a voce alta...” Come?
Chi lo diceva? Si guardò intorno, ma vide solo le pareti del
suo cubicolo. Ma,
mentre guardava il calendario dei Grifondoro, sentì Jerome,
del cubicolo a
fianco, borbottare contro il computer e anche la voce di Tamara, di due
uffici
più giù, che spiegava al telefono come spedire un
modulo.
Non
ci aveva mai fatto caso. Chiunque poteva sentire
quello che si diceva e probabilmente qualcuno lo aveva sentito mentre
parlava
con Rosie o gli altri fantasmi.
Il
telefono del centralino suonò e la ragazza corse
via per andare a rispondere.
Ted
finì il suo caffè e aprì una cartella
sul pc:
l’elenco degli assistiti. Stava leggendo di come la casa di
un certo Sprike
fosse stata svaligiata senza portare danni agli infissi, quando una
voce lo
distrasse dai suoi pensieri. “Sei Ted?”
Ted
girò lo sguardo dal monitor alla porta e vide,
sulla soglia, un ragazzino di circa dieci anni vestito in jeans, ma con
la
camicia, la giacca e la cravatta.
“Buongiorno”
lo salutò Ted. Il ragazzino fece un passo
avanti dopo aver guardato dietro di sé.
“Mi
vedi davvero?” domandò e lui annuì.
Non
era facile incontrare bambini in un posto come
quello, così Ted gli chiese: “Sei morto,
giusto?” Lui annuì. “Mi spiace, ma per
avere il mio aiuto, dovrai passare da Rosie e metterti in
fila…” gli spiegò.
“Cosa
dovrei fare?” chiese il piccolo con una vocina
strana e mettendo il broncio.
Ted
sospirò. “Siediti” gli disse, spostando
la sedia
da sotto la scrivania con il piede. Il ragazzino si sedette e si
guardò
intorno.
“Come
ti chiami?” gli chiese Ted, un po’ imbarazzato.
Cosa si faceva con un fantasma? Gli si offriva da bere? No. Loro non
bevevano.
Una caramella? No, neanche, ma tanto non ne aveva.
“Nick,
Nicholas Peek” rispose il fantasmino, guardando
l’orologio di Harry Potter alla parete. Ted lo
guardò e gli ricordò Rosie:
glielo aveva regalato lei.
“Non
sei un po’ cresciuto per credere in Harry
Potter?” gli chiese il ragazzino, un po’ acido,
mentre guardava con uno sguardo
strano il portapenne a forma di Cappello Parlante sulla sua scrivania.
Ted
si grattò la testa. Era la prima volta che
incontrava un ragazzino a cui non piacesse Harry Potter, che lui invece
adorava. Si guardò intorno: aveva tantissimi gadget.
“Sto
parlando con un ragazzino morto che indossa una
cravatta, vedi tu” sostenne, in tono forse un po’
presuntuoso. Beh, se lui aveva
bisogno del suo aiuto, poteva almeno essere gentile, no?
Il
fantasma alzò un sopracciglio e il suo sguardo,
nonostante fosse pallidissimo, lo trafisse come se fosse stato un
bambino in
carne e ossa. Un bambino odioso. “Giusto” disse,
con una smorfia.
“Ehi,
eri così simpatico
anche
da vivo?” gli chiese, ironico. Il piccolo inclinò
la testa e Ted si pentì di
aver usato quel tono.
“Ascolta…
mi hanno detto che puoi aiutarmi, devo
sembrarti simpatico per avere il tuo aiuto? Se vuoi posso anche dirti
che mi
piacerebbe infestare Hogwarts, se può servire”
domandò, in tono stizzito.
Veramente odioso.
“Conosci
il nome della scuola. Cos’è, ti vergogni a
dire che ti piace il maghetto?” esclamò Ted,
divertito per la prima volta da
due anni a quella parte.
“Mi
ricorda brutte cose” disse il bambino e Ted si
sentì stupido: gli ricordava la vita.
“Cosa
dovrei fare per farti passare la barriera?”
domandò, per sviare il discorso.
Il
fantasma tornò a guardarlo e si fece più attento.
“Vorrei che le dicessi che non è stata colpa sua e
che non la odio, anche se
l’ho detto” disse, tutto d’un fiato.
Come?
Ted si mise più dritto e finì con un lungo sorso
il suo caffè prima di posare la tazza sulla scrivania.
“A chi lo devo dire, a
tua madre?” chiese.
“A
mia sorella” precisò Nick.
Ted
aveva conosciuto fantasmi che erano stati uccisi e
desideravano vendetta, ma uno spirito che gli chiedesse di parlare con
qualcuno
per confortarlo, no, non gli era ancora successo.
“Glielo
dirai?” chiese ancora Nick. Ted lo guardò:
sapeva che non doveva farsi coinvolgere. Se iniziava a distribuire
favori senza
avere nulla in cambio sarebbe stata la fine, ne avrebbero approfittato
tutti.
Ma
era un bambino, cavolo. E aveva dieci anni. Aveva
mai vinto una partita di baseball? Aveva mai saltato una lezione a
scuola?
Aveva mai baciato una ragazza? Quante cose si era perso? E ora voleva
che
consolasse qualcun altro. Era un bravo bambino. Odioso, ma bravo.
Poteva
dirgli dei tredici minuti. Solo a lui, a nessun
altro. Tredici minuti sarebbero bastati per parlarle.
“E
tu chi sei?” esclamò Rosie. Anche il ragazzino si
girò verso sua moglie.
“Vuole
che dica delle cose a sua madre” spiegò Ted.
“Mia
sorella, ho detto!” esclamò il piccolo,
indispettito. “Sei sicuro di sapere quello che fai?”
“Sì,
che so quello che faccio, altrimenti fattelo da
solo!” Anche Ted si era innervosito. Nick incrociò
le braccia, sbatté un piede
per terra e sparì.
“Che
succede?” chiese Rosie, avvicinandosi a lui,
quando notò il suo nervosismo.
Ted
ci pensò un po’. Non sapeva come fare.
“Vorrei
aiutarlo… Se gli dicessimo dei tredici minuti?”
propose.
Rosie
sospirò. “È un rischio, se lo sapessero
tutti…”
Sarebbe
stato il caos, lo sapeva bene. “Solo a lui”
precisò.
Tentarono
di abbracciarsi ma rimasero delusi quando
non riuscirono a toccarsi. “Cavolo!”
gridò.
“Tutto
a posto, Ted?” La centralinista mise la testa
dentro al piccolo ufficio e gli fece un sorriso. L’uomo
rimase a guardarla. Lei
avrebbe potuto toccarla.
“Dille
di sì, Ted” gli suggerì Rosie.
Ted
scosse la testa per scacciare il pensiero e
rispose: “Sì, sono inciampato”. Non
voleva che lo trovasse strano. La ragazza
annuì e se ne andò.
“È
carina” disse Rosie. Ted, che guardava ancora la
porta, borbottò qualcosa. “Ti piace?”
chiese ancora Rosie. Ted la guardò.
“Ma
che domande fai!” esclamò. Quando si rese conto di
aver gridato, abbassò la voce: “Sei mia
moglie!”
“Sono
morta, te ne sei accorto?” domandò e lui
sbuffò.
“Ma
sei qui!” Cercò di tenere il tono della voce
basso.
“E
ti sei chiesto il perché?”
“Avrai
questioni in sospeso” rispose, scrollando le
spalle.
“Tipo
far sapere a mia sorella che ho baciato il suo
ragazzo quando lei aveva la varicella?” La voce di Rosie era
un po’ strana.
“Hai
una sorella?” Ted corrugò la fronte: ma non era
figlia unica?
“Ted!
La mia questione in sospeso sei tu!”
“Io?
Perché?” Anche Rosie sbuffò.
“Non
riuscivo a lasciarti. Avevo paura a lasciarti
solo. Ma ora…” continuò, guardando
verso la porta dove era uscita la ragazza.
“Devo scoprire qualcosa su quella ragazza. Dovreste uscire
insieme” disse,
sparendo dall’ufficio.
No!
Ted avrebbe voluto fermarla. Lui non voleva uscire
con la centralinista carina. Perché sua moglie voleva farlo
uscire con
un’altra? Sbuffò e si rimise al pc: tanto valeva
lavorare e non pensare alla
ragazza. Però forse…
***
“Buongiorno
Ted!” lo salutò la centralinista il giorno
dopo.
Ted
sorrise. Sì, effettivamente era carina.
“Buongiorno” le rispose. Si fermò senza
procedere verso il suo ufficio.
Invitarla a uscire forse non era sbagliato. Si sforzò di
leggere il nome sul
cartellino: dannazione, era troppo lontano. Sarebbe stato scortese
chinarsi in
avanti?
Tentò
un movimento per guardare meglio, ma una voce lo
spaventò: “Si chiama Catherine, Ted”, e
lui sobbalzò.
“Lo
so!” mentì alla moglie, quando se la
trovò
accanto.
“Ted?”
gli chiese, stranita, la ragazza.
“Sì,
Catherine, scusami” si scusò lui.
“Bravo!
Così sa che sai il suo nome! Ora chiedile di
uscire” esclamò Rosie.
Il
fantasma di Nicholas apparve accanto alla moglie e
chiese: “Cosa state facendo?”
“Ted
sta per chiedere a Catherine di uscire” spiegò
Rosie al fantasmino.
“No!”
gridarono sia Ted che Nicholas; subito dopo si
guardarono stupiti. “Perché non vuoi?”
chiesero, di nuovo insieme uno
all’altro. Ted si innervosì. Perché il
ragazzino che odiava Harry Potter non
voleva che uscisse con la centralinista?
“Ted…”
iniziò di nuovo Catherine “Sei sicuro di
sentirti…” Ted si voltò verso di lei e
le sorrise ancora. Ora voleva chiederle
di uscire solo per far dispetto al ragazzino.
“No,
sto bene. Pensavo… ti piacerebbe… uscire
insieme…” iniziò, ma poi
s’intartagliò. Come si chiedeva a una ragazza di
uscire? Erano secoli che non lo faceva. Guardò sua moglie
che gli sorrideva e
annuiva: certamente era una situazione bizzarra.
“Venerdì”
consigliò Nicholas, con una strana smorfia.
“Sì,
venerdì è perfetto!” esclamò
anche Rosie.
“Venerdì
non posso io!” sbottò Ted.
“Ted…”
Catherine girò intorno alla reception e gli
andò vicino, mettendogli una mano sul braccio “Non
preoccuparti, anch’io
venerdì ho un impegno…” disse ancora,
con un sorriso timido. Ted immaginò che
fosse una scusa, che lo credesse un imbranato e cercò di non
rimanerci male.
“Ti
sta liquidando, vieni via, amico” disse il
ragazzino, con un ghigno sul viso. Ted lo guardò malissimo.
Era alle spalle
della ragazza e non dovette sforzarsi più di tanto.
“Ok,
ho capito” disse, rassegnato. Il ragazzino rise
forte e lui girò le spalle per non rispondergli male.
“Facciamo
la settimana prossima?” chiese lei. Ted la
guardò: l’aveva impietosita? Oddio che situazione!
Non doveva andare così.
Scosse le spalle e si allontanò camminando
all’indietro.
“La
conosci, vero?” Rosie si avvicinò a Nicholas e
insieme osservarono Catherine che tornava al suo posto guardando Ted
andare
via. Il ragazzino annuì.
“È
mia sorella. O devo dire ‘era’? È
successo tempo
fa…” rispose il fantasmino.
“È
con lei che devi scusarti?” Lui annuì e Rosie
continuò: “Ok, facciamo così: io ti
svelo come fare per parlarle e tu mi aiuti
a farli mettere insieme. Sembra una brava ragazza e vorrei che Ted
fosse
felice”. Il ragazzino la guardò un po’
stranito. “La tratterà bene, non
preoccuparti” disse ancora.
“Certo
che siete strani, voi” dichiarò. “Ma va
bene”.
Le allungò la mano, ma poi la ritrasse: era un fantasma,
niente contatti.
“Tredici.
Tredici è il numero della morte e della
rinascita. Nella notte di Ognissanti, tredici sono i minuti, dopo la
mezzanotte, in cui il mondo dei vivi e quello dei morti entrano in
contatto. In
quei tredici minuti lei potrà vederti e tu potrai parlarle,
ma solo quella
notte. La sera del trentuno ottobre, allo scoccare della mezzanotte,
potrete
salutarvi” spiegò Rosie, serissima.
“Solo
tredici minuti?” chiese Nicholas,
pensando.
“Ben
tredici minuti!” lo corresse Rosie. Nick annuì.
“Catherine
venerdì andrà alla…”
iniziò a spiegare e
Rosie, quando scoprì l’impegno della ragazza,
sorrise felice.
***
“Non
verrò stasera, ok?” Rosie guardava il marito
vestirsi
e impugnare la bacchetta: sarebbe andato alla festa di Halloween. Solo.
“L’avevo
immaginato: vuoi lasciarmi” rispose Ted,
inforcando un paio di occhiali finti dalle lenti tonde.
“Ted…”
La voce di Rosie si perse, ma era ancora sicura
“Te l’ho spiegato: è giusto
così. Non hai voglia di tornare ad amare? Di
baciare o abbracciare qualcuno?” Stranamente, Ted
annuì.
“Lo
so, hai ragione. È che mi sembra di tradirti.”
“Ci
siamo amati, finché sono stata qui, ora è
arrivato
il momento di andare avanti” spiegò. Lui
annuì ancora e lei continuò, cercando
di sdrammatizzare il momento: “Devi farti la cicatrice sulla
fronte”.
“Non
sarò Harry Potter. Alla festa a tema ce ne
saranno tanti. Io sarò James, suo padre.
Quest’anno è l’anno dei cambiamenti,
no?” spiegò. Rosie annuì.
“Andrai da Rob Pittor? Il tuo ex?” le chiese
uscendo
di casa, sorridendo.
“Pensavo
di andare da mia madre… ma quello stronzo di
Rob si meriterebbe un bello scherzetto, effettivamente!”
Risero tutti e due.
***
Quando
vide il piccolo Nicholas, Ted non si meravigliò
più di tanto. “Tua moglie mi ha detto dei tredici
minuti” incominciò. Ted annuì
e il piccolo gli raccontò della sorella, a cui aveva gridato
di odiarla prima
di essere investito. Lei ora si sentiva in colpa e lui voleva che lei
potesse
andare avanti. “Vorrei che fosse felice…”
Doveva
essere più o meno quello che voleva Rosie per
lui. Annuì. “Sei un ragazzino in gamba. Lei
è qui?” gli chiese.
Il
piccolo indicò una ragazza dai capelli rossi vicino
alla portafinestra. “Anche lei adora Harry Potter. Ma
ricorda, è vestita da
Lily Evans, non da Ginny” spiegò. Ted sorrise
senza capire bene.
“Sono
emozionato” disse Nick, guardando la sorella.
“Andrai
alla grande” lo incoraggiò Ted e pensò
di dargli
una pacca sulla spalla, ma si ricordò che lui era un
fantasma.
“Buona
fortuna” disse, quando si sentì un orologio
scoccare la mezzanotte: la ragazza si girò e Ted riconobbe
Catherine. Ecco perché
non poteva uscire con lui! Il piccolo sparì e Ted si diresse
alla terrazza:
Rosie non sarebbe venuta ma non si sentiva più
così solo come prima. Uscì solo
dopo aver spiegato a ben due ragazze che non era Harry Potter e
sbuffò: forse
aveva sbagliato tutto.
“Tesoro!”
La voce di Rosie lo fece voltare di
colpo e lei si avvicinò a lui, posandogli le mani sulle
guance. Si chinò su di
lui e lo baciò delicatamente sulle labbra. “Ti
voglio bene”
Era
venuta a salutarlo. “Anch’io, Rosie.
Addio” le
disse, stringendole la mano e lei sparì, sorridendo.
Quando
le note di una canzone lenta arrivarono sulla
terrazza, si avvicinò a Catherine, seduta su una panchina
che guardava il
cielo.
“Lily,
balli con me?” le chiese, inchinandosi.
Lei
alzò gli occhi di colpo e lo riconobbe.
“Ted!”
Rise. “Sei James!”
“E
se fossi Harry?” chiese lui.
“Non
hai la cicatrice” disse lei, semplicemente.
Ted
sorrise e le prese la mano, facendola alzare.
“Ecco perché Nick mi ha detto di cercare
l’unico sfigato vestito da James!”
esclamò lei divertita e, mentre la guardava, Ted
notò che aveva gli occhi rossi
di pianto.
“Volevo
scusarmi per come mi sono comportato, ti giuro
che non sono pazzo” disse lui. Catherine annuì.
“Lo
so. Hai fatto in modo che potessi vederlo l’ultima
volta” disse lei e Ted annuì. “Grazie,
allora. Accetto il tuo ballo, James”.
Alzò
lo sguardo dietro di lei e vide Rosie e Nicholas
salutarlo mentre si tenevano per mano. Quando sparirono,
riportò lo sguardo su
Catherine e la prese fra le braccia.
***Eccomi giusto in ritardo con una storia su Halloween!!! Altro contest, non so perchè abbia aspettato tanto a pubblicare effettivamente... vabbè... traccia rigidina... e 'solo' 3000 parole