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Autore: lisi_beth99    01/11/2019    0 recensioni
Una bomba esplode davanti ad un centro per veterani e l'Intelligence si ritroverà in una lotta contro il tempo per impedire che altri innocenti possano morire. Questo caso potrebbe segnare una svolta anche nella vita di Alex Morel.
AVVERTIMENTO! Questa storia è il seguito di "Nothing will drag you down - Turiste per caso"
Buona lettura
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jay Halstead, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1


Alex posò la borsa al suolo, accanto al divano su cui era seduta. Come ogni giovedì, si trovava nello studio del Dottor Charles, all’interno del Chicago Med. Le sedute erano sempre molto utili alla giovane, parlando con il primario di psichiatria riusciva a confrontarsi meglio con tutto quello che le era successo negli ultimi mesi.

Stranamente l’uomo non aveva ancora aperto bocca da quando lei era entrata. – Mentre venivo qui mi sono resa conto di una cosa. – iniziò Alex lasciandosi andare contro lo schienale del divano – Esattamente sei mesi fa mia madre è morta. – fece una breve pausa aspettandosi qualche domanda da Charles, che però non arrivò mai – Proprio ieri ho ricevuto una lettera dall’assicurazione; finalmente hanno chiuso le indagini sull’incendio e mi concedono il risarcimento. Non sono tanti i soldi che mia madre era riuscita a mettere nell’assicurazione ma almeno non dovrò vivere con l’acqua alla gola per un po’. – .

Il dottore si appuntò qualcosa sul suo taccuino – Come ti fa sentire questa cosa? Il fatto che ci siano voluti sei mesi perché ti concedessero quello che tua madre, faticosamente, aveva messo da parte in previsione di qualcosa del genere? – Alex rimase un po’ spiazzata dalla domanda. Mai aveva pensato a ciò. – Io… non so, non ci ho mai riflettuto. – ammise cominciando a giocare nervosamente con la lampo della felpa. – Forse… Forse mia madre temeva che le potesse succedere qualcosa. Magari sapeva che Danny avrebbe pensato a lei come la spia… E magari voleva essere sicura che io e Max non restassimo senza nulla… - guardò il dottor Charles mentre le lacrime le rendevano lucidi gli occhi – Era pronta a pagare per qualcosa che ho fatto io! Questo non è giusto! – la rabbia che aveva provato per se stessa per un lungo periodo dopo aver fatto incarcerare suo padre all’età di 14 anni riaffiorò per alcuni istanti. Per un po’ Monique l’aveva incolpata di aver distrutto la loro famiglia poi però, con il tempo e dopo aver scoperto di essere incinta, comprese che sua figlia aveva avuto più coraggio di lei ed aveva trovato la forza per ribellarsi alla vita mafiosa in cui era cresciuta.
-Alex, i genitori farebbero qualunque cosa per proteggere i propri figli. Di certo tua madre non avrebbe mai permesso che si sapesse la verità su di te e su quello che avevi fatto. Non colpevolizzarti. – l’uomo era sempre in grado di trovare quelle poche parole che aiutavano la giovane. Si asciugò le due lacrime che le avevano rigato il volto poi guardò l’orologio da polso – La nostra ora è finita, dottore. Ed io ho un pranzo a cui non posso mancare! – tornò sorridente, come se nulla fosse successo.

Daniel Charles rimaneva sempre turbato dalla capacità di quella ragazza a sotterrare i propri sentimenti ogni qualvolta questi si affacciassero in superficie. Sapeva che, ad un certo punto, avrebbe raggiunto il punto di non ritorno e tutto quello che aveva seppellito e represso sarebbe esploso in un solo istante. Sperava solo che accanto a lei ci sarebbe stato qualcuno ad aiutarla, qualcuno come il detective Jay Halstead, con cui Alex aveva intrapreso una relazione a tutti gli effetti da circa tre mesi.

Dalla chiusura del caso di molteplici stupri che l’aveva portata sotto copertura per una notte, i due erano sempre più vicini; passavano buona parte delle sere assieme, quasi sempre al Molly’s. Quando uno dei due aveva una giornata no, che fosse un caso difficile o i ricordi che bussavano alle porte della memoria, l’altro era pronto a cercare di alleviare la sofferenza in ogni modo possibile. A volte Alex si svegliava nel cuore della notte di soprassalto, quasi sempre vittima dei ricordi sul suo rapimento. Jay allora la stringeva a sé e le faceva sentire di esserci per lei, non servivano mai le parole, quel contatto valeva molto di più. Ultimamente, passando sempre più notti assieme, la giovane si era resa conto che anche il detective soffriva di disturbi del sonno; che fossero tutte le cose orribili che vedeva a lavoro o gli orrori della guerra, Jay si svegliava anche più spesso di Alex e non riusciva più a riaddormentarsi, cosa che però aveva lasciato nascosto alla ragazza che continuava a dormire beatamente nella ormai sua parte del letto.

-*-

Alex entrò nel ristorante sulla 53esima dove aveva appuntamento con Madison. Non le fu difficile individuare la sua amica tra la folla: la folta chioma tinta da pochi giorni di rosso fuoco non passava certo inosservata.

Le arrivò alle spalle in silenzio per farle uno scherzo. Quando le fu a pochi centimetri, si abbassò verso il suo orecchio e – Ciao! – esclamò usando un tono di voce abbastanza altro.

Le persone che erano sedute ai vari tavoli badarono poco alle due giovani che ridevano senza contegno. – Tu sei pazza! – disse con una mano sul petto Mady – Potevi uccidermi! – continuarono a ridere fino a quando il cameriere non portò i menù.

Dopo aver ordinato ed essersi perse in chiacchiere inutili, Alex tornò seria – Allora. Per cosa mi hai invitata così, all’ultimo secondo? C’è sicuramente qualcosa che vuoi dirmi! – disse incrociando le dita e poggiandovi sopra il mento. Madison voleva un gran bene alla castana, ma quel suo sensore da detective la spaventava sempre. Non c’era occasione in cui Alex non la lasciasse ad occhi sbarrati per la sua capacità di deduzione.

Dall’emozione che stava contenendo per la notizia che doveva dare all’amica, non si accorse di giocherellare con le mani. La cosa non passò inosservata ad Alex che, focalizzata l’attenzione su dove passasse più tempo le dita, arrivò ad una conclusione: la sua amica si sarebbe sposata. Fu tentata di anticiparla ma poi, capì che per Mady era importante fare quell’annuncio senza la sua amica a rovinarle i piani.

-Mi sposo! – esclamò tutta emozionata Madison allargando le braccia piena di gioia. L’altra finse in modo impeccabile un’espressione di sorpresa e si alzò per abbracciare l’amica – Sono così felice per te! Zac è un uomo fortunato! – l’altra, con le lacrime agli occhi, ravanò nella borsa per estrarre una scatolina di raso rosso. L’aprì e si mise l’anello di fidanzamento. – Non è bellissimo?! – domandò con gli occhi a cuoricino. La montatura era d’oro bianco con un diamante a quattro carati incastonato al centro ed altri tre piccoli diamantini da ogni lato. Per Alex era decisamente troppo. Troppo grande, troppo pacchiano e troppo ingombrante, ma a Madison piaceva moltissimo quindi…

-è fantastico! – esclamò fingendo ammirazione – Deve valere una fortuna… - commentò. L’altra giovane tornò a guardare l’oggetto come se ne dipendesse la sua vita – Zac l’ha fatto fare per me! Non è romantico? Me l’ha chiesto ieri. Mi ha portata nel locale più chic di Chicago e si è inginocchiato davanti a tutti! Sono così fortunata! – Alex sorrise mentre pensava a come sarebbe morta di vergogna se si fosse trovata al suo posto. Decisamente non faceva per lei una cosa del genere…

Mady era una cara ragazza, le voleva bene, ma era anche una di quelle che guardava sempre allo sfarzo e alle cose belle. Ad Alex piaceva essere sempre ben vestita, elegante all’occasione e ci teneva anche all’apparenza, ma non avrebbe mai speso centinaia di dollari per un paio di scarpe o una borsa. Era più tipa da negozietti piccoli e poco conosciuti, con cose poco usuali.

Il resto del pranzo lo passarono a parlare del grande giorno. La sua amica aveva già in mente tutto: cerimonia in chiesa, poi pranzo al Chicago Botanic Garden che sarebbe durato fino a notte fonda. Aveva già in mente la band, il menù che voleva proporre agli ospiti ed il colore che sarebbe stato il tema di tutto.

-Zaffiro?! Non è un po’ troppo carico come colore per un matrimonio? Non sarebbe meglio, che so, turchese? O azzurro cielo… - provò Alex dopo aver sentito l’idea della sua amica – Ma no! Perché? È un colore deciso. Tu stessa preferisci i colori accesi! Tesoro, hai una maglia fucsia! – si difese Madison – Sì! Ma non sono ad un matrimonio… Immagina se tutto avesse del blu zaffiro nella chiesa, al ricevimento. Il bouquet, la pochette dei testimoni e dello sposo, i fiori, tutto! Diventerebbe un po’ troppo! Non credi? – a quella riflessione Mady non poté non considerare che Alex avesse ragione. – Forse potrei usarlo con diverse sfumature… - considerò tornando a ragionare con la testa e non a fantasticare in modo sconclusionato.
Dopo il dolce, la castana guardò l’orologio notando con disappunto che doveva scappare per non fare tardi al lavoro. – Quella che tra noi fa un vero lavoro deve andare! – disse alzandosi e salutando con un bacio l’altra che la stava prendendo in giro divertita – Non è colpa mia se non hai studiato psicologia come me e ora non sei fidanzata con un uomo che ti fa vivere nell’agio! –

-*-

Un uomo con uno zaino in spalle camminava a passo affrettato per le strade di Chicago. Lo sguardo basso ed un cappuccio calato in testa. Ad un incrocio a pochi metri dalla sua destinazione, fu centrato da un ragazzino in skateboard. Entrambi caddero al suolo, il giovane provò a scusarsi ma l’uomo, a cui era scivolato il cappuccio ed era ora a volto scoperto, nemmeno guardò il ragazzino. Si rialzò senza fatica e, mentre riprendeva il passo, si ricoprì con il cappuccio.

Osservò la scritta fuori dall’edificio dove si era fermato, la sua meta. Il 5031 di Montrose Avenue era un palazzo di soli due piani, tra un negozio che riparava cellulari ed uno che era chiuso per fallimento; il “Little Lulu’s – All natural Italian ice” era stato un punto di ritrovo per i molti ragazzini del quartiere fino a quando Lulu, la moglie del proprietario, non era morta di malattia ed il marito non aveva più avuto la forza di continuare l’attività.
L’uomo continuò a guardare il 5031: sulle quattro vetrine erano stati incollati gli stemmi degli Stati Uniti d’America e delle varie squadre facenti parte dell’esercito; “Chicago Veterans” era stato scritto a caratteri bianchi su sfondo azzurro. Quel posto era un luogo di ritrovo per i molti veterani che erano tornati in patria dopo gli orrori della guerra.

Lasciò lo zaino proprio davanti alla vetrina e si allontanò senza rimorsi.

-*-

Voight spalancò la porta del suo ufficio e, mentre si infilava la giacca di pelle, richiamò l’attenzione della sua squadra – C’è stata un’esplosione a Portage Park, davanti alla sede dei Chicago Veterans. Muoviamoci! –. Scattarono subito tutti e a passo svelto raggiunsero le loro auto in strada.
Jay fu colto da un flash back che gli riportò alla mente molte cose che avrebbe voluto rimanessero seppellite nella sua memoria; ricordi della guerra, ricordi del rientro dall’Afghanistan. Tutte cose che non voleva ricordare.

Si riscosse prontamente da quel viaggio mentale e, mentre saliva sul suo SUV, finse di non notare lo sguardo indagatore misto a preoccupazione della sua partner. – Tutto ok? – domandò lei – Certo! – rispose mettendo in moto e seguendo l’auto su cui Kevin e Kim erano montati pochi attimi prima.
Una volta raggiunta la scena del crimine, nessuno rimase impassibile davanti alla devastazione che l’esplosione aveva causato. – Mio Dio… - sussurrò Adam accanto al suo capo. Voight cercò con lo sguardo il sergente Platt per capire cosa fosse successo.

Buona parte della facciata della sede dei Chicago Veterans era distrutta; macerie di ogni dimensione e materiale giacevano sparse al suolo, anche gli esercizi adiacenti erano stati colpiti dall’ordigno, lasciando solo i muri più lontani dall’esplosione.

Molte erano le vittime, diverse ambulanze erano arrivate a sirene spiegate e stavano portando i primi soccorsi. La caserma 51 era arrivata per prima sulla scena e stava lavorando senza sosta per estrarre i feriti dalle macerie che erano estremamente instabili.

Jay non poté impedire alla sua mente di ripresentargli le scene di guerra a cui aveva assistito. Come se lo avesse colpito un pugno in pieno petto, smise di respirare per alcuni secondi, incapace di muovere anche un solo muscolo. La mano del sergente che si appoggiava sulla sua spalla lo fece sobbalzare – Jay, va’ a vedere se c’è qualche testimone. – poteva solo immaginare cosa quella scena potesse riscuotere nel suo sottoposto, l’unica cosa che pensava potesse aiutarlo era restare impegnato. Halstead fece un leggero cenno col capo e si indirizzò verso un gruppo di curiosi che, oltre il perimetro di sicurezza delineato dalla striscia gialla, osservava i soccorritori fare il loro lavoro.

Mentre attraversava la zona predisposta al triage, fu colpito da un uomo sulla quarantina. Indossava la divisa da paramedico ma, stranamente, gli mancava il logo della caserma di appartenenza. In più gli era totalmente sconosciuto, cosa strana dato che di vista conosceva ormai tutti i paramedici della città. Notò poi che aveva uno zaino sulla spalla, cosa ancora più strana…

-Halstead! – Sylvie Brett richiamò la sua attenzione. La donna stava cercando di fermare l’emorragia di un uomo che, a giudicare dalla spilletta attaccata alla camicia a quadri, era un veterano – Dammi una mano, ti prego! – lo supplicò lei indicandogli lo zaino troppo lontano dalla sua posizione. Jay fu rapido a seguire gli ordini del paramedico, perdendo però di vista lo zaino.

Dopo circa cinque minuti, ci fu una seconda esplosione proprio nella zona del triage.

 
   
 
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