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Autore: Mahlerlucia    08/11/2019    4 recensioni
{Sequel di “Buon viaggio” e “Il mondo nuovo”}
Sul prato davanti casa c’era davvero un pupazzo di neve. Era grande, come aveva detto la mamma. Gli occhi e la bocca erano formati da piccole pietre, e il naso era una carota. Ma niente cappello né sciarpa, e un solo braccio: un rametto sottile preso probabilmente dalla siepe. Eppure c’era qualcosa di strano in quel pupazzo. Come se fosse orientato nella direzione sbagliata.
(Jo Nesbo)
[Bokuto x Akaashi]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'A mano a mano'
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Anime: Haikyuu!!
Genere: Introspettivo, Romantico, Sportivo
Rating: giallo
Personaggi: Koutarou Bokuto, Keiji Akaashi
Pairing: BokuAka
Tipo di coppia: Shonen-ai


 
 
 Come neve

 
 

Neve
insegnami tu come cadere
nelle notti che bruciano

a  nascondere ogni mio passo sbagliato
e come sparire senza rumore
scivolare nel corso degli anni
e non pensare sul cuore degli altri...
 

 
Dicembre

Un soffice tappeto bianco ha rabbonito l’ordinaria confusione edochiana, restituendo alla tua mente quell’armonia rintracciabile solamente in piena estate, quando la città riesce a svuotarsi per qualche giorno di refrigerio.
Hai terminato i tuoi compiti e hai ripassato gli argomenti spiegati nel corso delle ultime lezioni di algebra: il professore ha più volte sottolineato che dalla prossima settimana v’interrogherà senza considerare minimamente la possibilità di programmazione anticipatoria. Per quanto ti riguarda non cambia granché, dato che ti eri già dovuto applicare in precedenza su argomenti appartenenti al piano di studi del terzo anno per ‘salvare’ Bokuto da un eventuale rischio di bocciatura. Non era stato poi un male, dato che ora ti basta giusto una veloce rilettura per poter memorizzare i procedimenti e le eccezioni di calcolo.
Hai tentato di rilassarti ascoltando un po’ di musica classica; ma sai bene di non essere il tipo di persona che necessita ad ogni costo di un isolante emotivo, specie se si prospetta una serata da trascorrere a casa e in solitaria. Come avviene sovente, tuo padre è stato invitato – anzi... praticamente costretto! – a presenziare all’ennesima cena organizzata dall’azienda per cui lavora d’ancor prima della tua nascita. La motivazione basica per cui non ha mai avuto tempo per te e per le tue esigenze consanguinee. D’altronde, siete sempre state due entità capaci di vagare per gli stessi corridoi pensando, ognuna, al proprio piccolo universo.
Ma vi era sempre stata un’importante differenza sostanziale: tu non eri affatto quello di oggi in passato, sei solo stato costretto a trovare una strategia idonea alla tua ‘salvezza’ emotiva.

Un fragore ovattato ed inaspettato distoglie la tua concentrazione dall’ultimo paragrafo di quel terzo capitolo al quale sei giunto senza esserti nemmeno reso conto del tempo trascorso. Tua madre non ne sbaglia mai una quando si tratta di suggerimenti letterari basati unicamente sullo stato d’animo che ti contraddistingue in un determinato lasso di tempo.
Ti auguri che non si tratti del figlio dei vicini intento a palesare la sua esultanza per l’arrivo di quel soave manto bianco capace di cambiare radicalmente il paesaggio al quale è abituato. Oltretutto, non è nemmeno un orario prudente per far rimanere per strada – e in solitudine – un bambino che non ha ancora terminato le scuole elementari.
Decidi di avvicinarti alla grande finestra che affaccia direttamente sul giardino, in tempo reale per vedere una seconda pagnottella di neve infrangersi sulla superficie trasparente. Qualcuno sta cercando di attirare la tua attenzione in maniera decisamente poco consona, oltre che pericolosa.
Fai scorrere una delle due ante con parsimonia, onde evitare di essere colpito in pieno viso da un terzo ‘proiettile’ gelido e senza meta.

Ehi, ehi, ehi! Akaaaashi!”

Un richiamo che ti aveva stordito l’udito per oltre due anni scolastici e sportivi. Il tuo cognome che veniva biascicato e allungato in quel modo, per sottolineare ulteriormente l’esigenza di averti al suo fianco, di sentire la tua approvazione di fronte alle sue azioni, eticamente giuste o sbagliate che fossero. Un pugno allo stomaco capace di assemblarsi ad una sensazione di letizia che non provavi da diverse settimane, per non dire mesi.
Un sorriso ingenuo si fa spazio tra le tue guance arrossate. E non solamente per l’improvvisa folata di gelo penetrata nella tua stanza.
Ma cosa ci fa qui?

“Bokuto-san?!”

“In persona! Posso entrare nella tua umile dimora, Akaashi?”

Indossa un lungo montgomery verde ed è avvolto in un’ampia sciarpa in tartan. Figuriamoci se si è preoccupato di mettersi un cappello per ripararsi da quei fiocchi di neve che, seppur con forza moderata, continuano a cadere assiduamente dal quel cielo privato dei suoi elementi più luminosi.
Avverti gli angoli degli occhi inumidirsi mentre cerchi di trattenere il più possibile quel traboccante fiume di emozioni che sta dilagando dal tuo cuore. Richiudi la finestra e corri al piano inferiore: non vuoi di certo che Bokuto rimanga per troppo tempo all’esterno, in balia delle basse temperature di quella sorprendente serata dicembrina. Accendi tutte le luci del salotto e del corridoio, giri rapidamente la chiave nella toppa della porta d’ingresso fino a spalancarla impazientemente. Ma al cospetto del tuo sguardo irrequieto si palesano soltanto il banalissimo ‘Welcome’ riportato sullo zerbino e il portaombrelli in rame. Di Koutarou Bokuto nessuna traccia.
Ecco, sono arrivato al punto di sognarlo ad occhi aperti. Troppe ore sui libri, gli stessi che avevo già sfogliato proprio insieme a lui. Troppi indelebili ricordi...

“Akaaaashi, guarda!”

Smettila di torturarmi! Fra poco ti chiamo e...
Lo scricchiolio dei suoi passi poco distanti interrompe il flusso dei tuoi pensieri, riportandoti immediatamente alla realtà. Quel giubbotto verde è ancora davanti ai tuoi occhi, ma voltato nella tua stessa direzione.
Koutarou si trova realmente a pochi centimetri di distanza, accucciato su sé stesso e teso a sistemare qualcosa di non ancora ben definito con le sue mani già fradice di neve, nonostante i guanti.

“Bokuto-san, sei qui? Oh... Ma cosa stai facendo?”

Si solleva, spostandosi appena per lasciarti la possibilità di visionare il risultato della sua ultima fatica: un piccolo pupazzo di neve realizzato proprio in tuo onore. L’omino bianco indossa la sua vecchia sciarpa della Fukurōdani e tiene un piccolo depliant a mo’ di libro poggiato ad un braccio costituito da un ramo biforcato. Due tappi di bottiglia verdi costituiscono gli occhi, un vecchio scontrino stropicciato la bocca. La piccola opera d’arte non è ancora stata completata come si deve, ma per il momento ti sembra già più che soddisfacente. Sorridi, mostrando un’espressione colma di gratitudine, mentre un brivido freddo ti assale d’impeto e ti porta a stringerti le braccia al petto in cerca di un minimo di ristoro.

“Akaashi, non puoi star fuori senza giacca, ti verrà il raffreddore!”

Cogli una certa ironia dalle parole che ha appena sentenziato, prese gentilmente in prestito da uno dei tuoi consueti mantra carichi di premura e prevenzione nei confronti di ogni male possibile ed immaginabile; compreso un normalissimo raffreddore di stagione.

“Hai ragione, Bokuto-san. Rientriamo, così possiamo anche recuperare dell’altro materiale per poter finire il pupazzo.”

“Ti piace?”

“È molto carino.”

Koutarou piazza le mani sui fianchi ammorbiditi dall’imbottitura della giacca. Ride di gusto, come ai vecchi tempi. Si avvicina al tuo viso e punta deciso al tuo sguardo impreparato, titubante e, in un certo qual modo, spaventato.

“Sai come l’ho chiamato?”

Occhi verdi. Ipotetico libro tra le mani. Sciarpa con lo stemma e i colori della sua scuola. Manca giusto  un onigiri sull’altro rametto penzolante per completare quella rappresentazione invernale del suo essere. O meglio, della facciata esterna che solitamente gli altri percepiscono in lui. I soprannomi beceri e le battute da terza elementare non si sono di certo risparmiate nel corso degli anni. Ne porti ancora oggi le indelebili cicatrici psicologiche.

Fukurō-kun?”

Non riesci a fare a meno di prenderlo bonariamente in giro, mentre lo inviti ancora una volta ad entrare. In fondo è giusto che abbia anche tu lo spazio e l’occasione necessari per stuzzicarlo a dovere, soprattutto dopo il lungo periodo di lontananza forzata a cui siete dovuti sottostare.
Lo aiuti a togliersi la giacca e gli fornisci un paio di pantofole appartenenti a tuo padre; in realtà risultano essere ancora intonse, seppur sistemate nel loro opportuno angolo all’interno del genkan. Tua madre è l’artefice della tua dedizione all’ordine e alla metodica. Buon sangue non mente, come si suol dire.

“Ma sai che è davvero un nome figo? Comunque io ne ho scelto uno ancora più strabiliante!”

“Ah, sì?! E quale?”

Ke-i-ji! Il nome più bello del mondo.”

Il nome più bello del mondo.
D’accordo. O è ufficialmente impazzito, o ha bevuto qualche birra di troppo prima di soffermarsi definitivamente sotto casa tua per lanciare palle di neve come segnale della sua venuta. Non che non ti aspettassi che arrivasse a tirar fuori il tuo nome dalle sue idee bislacche, ma di certo non eri pronto a ricevere tutti quei complimenti in un unico frangente. Deve forse farsi perdonare qualcosa? Magari... qualche vecchia foto postata su Instagram. Vuole apparire melenso e cordiale per evitare d’incorrere nelle incomprensioni che continuate a lasciarvi alle spalle con tutte le loro più ovvie conseguenze del caso?
Bokuto-san, ormai non sono più in grado di elencare le tue debolezze come una volta. Mi duole ammettere di averti perso di vista per troppo tempo. Aiutami tu, te ne prego!
 
***
 
Koutarou avvolge gli ultimi rimasugli di quell’abbondante piatto di ramen sulle hashi che gli hai fornito. Avevi immaginato sin dal primo istante che non si fosse preso la briga di cenare prima di uscire di casa. E tantomeno di comprarsi del cibo in qualche konbini rilevato durante il tragitto. Probabilmente la sua mente sarà stata talmente infognata in altre questioni da arrivare persino a mettere da parte lo stomaco e le sue consuete richieste fisiologiche. Cosa davvero strana per un pozzo senza fondo come l’ex capitano della Fukurōdani.
Osservi quel suo bofonchiare confuso, tra un boccone ingurgitato troppo in fretta e l’urgenza di comunicarti il motivo per cui ha deciso di venire a trovarti senza darti alcun preavviso. Con una mano poggiata sotto il mento e la prontezza di portargli una seconda porzione se – con ogni probabilità – dovesse chiederla, non riesci a smettere di studiare ogni suo dettaglio, dal meno rilevante al più nostalgico.

“I miei complimenti... Akaashi! È tutto buonissimo!”

“Grazie, Bokuto-san. Ma la prossima volta non venire a stomaco vuoto, soprattutto con questo freddo.”

Strabuzza gli occhi nella tua direzione per poi mostrarti un radioso sorriso colmo di riconoscenza sia per il cibo donato – e accuratamente preparato – che per la devozione che da sempre dimostri nei suoi confronti. Ti porge il piatto vuoto e con un limpido movimento del capo ti lascia intuire di voler procedere con una replica ben preventivata.
Mentre ti alzi pigramente per dirigerti verso il piano della cucina avverti la pressione dei suoi occhi intenti a scrutare ogni tuo movimento, anche il più stereotipato. Il ginocchio destro leggermente flesso, il tallone sollevato dalla pantofola, il dosaggio del cibo centellinato come tuo solito.
Quasi rischi di rovesciarti ogni cosa addosso quando viene colto dalla splendida idea di correrti incontro e prenderti per i fianchi. La fronte poggiata sulla tua spalla, i capelli che solleticano la pelle della tua guancia imporporata dall’imbarazzo. Pare il solito gatto intento a fare le fusa al proprio padrone distratto dagli eventi della vita.

“Akaashi... scusami. So di aver sbagliato qualcosa... anche se non ho ben capito cosa.”

Posi adagio la piccola padella che tenevi tra le mani sul fornello. Liberi le tue mani da qualunque arnese da cucina tu avessi preso in considerazione per poggiarle sulle sue dita congiunte a livello del tuo addome. Non stringono, non provocano alcun dolore; si limitano a trattenerti a lui, a non lasciarti scivolare a terra, a non farti vincere dalle tue fragilità più recondite. Attendono giusto un tuo responso, un’accorta considerazione della loro presenza nonostante i giorni di lontananza e i tanti silenzi ancora da distribuire sul tavolo del vostro indecifrabile rapporto.

“Non ti preoccupare di questo.”

Non riesci a dire null’altro, mentre inizi a carezzargli delicatamente il dorso della mano con il pollice. Socchiudi gli occhi, sentendoti in colpa per averlo fatto sentire a tua volta in tale maniera. Un paradosso a cui sapevi di dover andare incontro, prima o poi.
Ma come al solito è stato Koutarou ad avere il coraggio necessario per affrontare la questione, non tu.

“Qualcosa che non va di sicuro c’è, lo vedo anche adesso, dal modo in cui reagisci. Io vorrei solo capire! Mi dispiace vederti così, credimi.”

Ti credo, Bokuto-san. Non potrei mai fare altrimenti.
Con la cautela e la calma che ti hanno da sempre contraddistinto, separi le sue mani intrecciando le tue dita alle sue. Ti volti con una lentezza disarmante, tanto da lasciargli intendere qualche reazione inaspettata da parte tua. E difatti non riesci a fare a meno di buttargli entrambe le braccia al collo e di legarti a lui, arrivando persino a sollevarti sulle punte dei piedi per poter arrivare appieno alla sua altezza, per riuscire a perderti nel migliore dei modi nel suo intenso profumo e nel ritmo cadenzato del suo respiro. La tua àncora di salvezza in un mondo in cui non hai ben compreso quale sia la strada migliore da percorrere; tantomeno quali siano le modalità più consone per poter intraprendere questo fantomatico sentiero che condurrà all’età adulta.

L’ex ace della Fukurōdani rimane per qualche istante completamente paralizzato da quel gesto inconsueto da parte tua. Era successo di rado che ti fossi lasciato andare in quei termini di fronte ai suoi occhi, e per lo più all’interno di quel rettangolo di gioco nel quale eravate soliti condividere la vostra passione per uno sport tanto nobile come la pallavolo. Ma ora è diverso, non c’è alcuna vittoria da festeggiare o coppa da alzare. Ora siete solamente voi due al cospetto di ciò che vi state trattenendo in petto probabilmente dal giorno in cui vi siete conosciuti, se non ancor prima.
Bokuto ricambia il tuo abbraccio stringendoti ancor più al suo corpo caldo, atletico, agitato. Ti bacia soavemente sulla pelle diafana del collo, mentre le sue dita affusolate si perdono tra i tuoi morbidi crini scuri e spettinati.
Le vostre fronte si toccano, i vostri sguardi s’incrociano, seppur per brevissimi attimi. Non riesci a sostenere il suoi occhi chiari e la loro aria curiosa, quasi inquisitoria. D’altronde hanno tutte le ragioni del mondo per comportarsi in quella maniera, visto che non hai ancora fornito loro la risposta che cercano con tanta devozione.

“Bokuto-san, ti devo dire una cosa importante.”

“Sono qui per questo, Akaashi!”

Sollevi appena il viso per scontrarti di nuovo con la sua fissità, con il rigore insolito con cui sta attendendo le tue parole, la spiegazione all’atteggiamento che hai messo in atto negli ultimi tempi nei suoi riguardi. Ma non è esattamente di questo che vorresti disquisire con lui, non in maniera prioritaria, perlomeno. Ancora una volta vieni vinto dai quei timori che t’inducono a concentrarti su di un qualunque altro punto indefinito della grande cucina della tua abitazione.

“Ho fatto una scelta che forse ti deluderà.”

“Magari non è così. Ti chiedo solo di dirmi tutto guardandomi negli occhi.”

“Non ci riesco...”

La tua voce diviene ben presto più incerta, offuscata da quell’opprimente convinzione di aver solamente portato alla deriva una situazione già piuttosto complicata dal principio.
Sarà la sua mano posata sulla tua guancia accaldata a riportarti a lui, alla veglia ininterrotta che si sta impegnando a portare avanti sulla tua fragile persona. E quando finalmente i vostri occhi si ritrovano e un suo cenno d’assenso ti ridà il coraggio di proferir parola, decidi di vuotare quel sacco dal peso inestimabile quanto doloroso.

“Ho inviato i documenti per la pre-iscrizione all’Università. Ho iniziato a prepararmi per il test d’ammissione per la facoltà di Medicina.”

Il viso di Koutarou s’illumina in un’espressione pregna di sincera gioia dovuta alla tua scelta. Con ogni probabilità avrà iniziato a fantasticare su un eventuale ritorno alle origini: ogni giorno insieme, tra viaggi in metropolitana, aule studio, campus e pallavolo. Del resto, la Nittaidai ha una rinomata facoltà di Terapia e Medicina Sportiva.

“Sono sicuro che lo passerai senza problemi. Anzi, se vuoi posso darti delle dritte su qualche professore!”

“Bokuto-san, io non frequenterò la Nittaidai, ma la Tōdai. È lo stesso ateneo in cui si è laureata mia madre, seppur in Scienza dell’Educazione. Onestamente, sento che per quel che concerne lo studio, la mia strada deve essere questa. Ma questo non significa che... beh...”

“Akaashi, cosa vuol dire ‘concerne’?”

Guardi Koutarou con un fittizio punto interrogativo disegnato sulla fronte. Non comprendi fino in fondo il motivo per cui, tra tutto quello che gli hai appena comunicato, lui voglia soffermarsi su un particolare decisamente poco rilevante. Ad ogni modo, è riuscito ancora una volta a trovare un escamotage per non incombere nello sconforto più totale o, peggio ancora, per non ritrovarsi ad innervosirsi accidentalmente di fronte ad una notizia che non si aspettava; non senza il benché minimo preavviso, almeno.

“Significa ‘riguardante’.”

“Vedi? È giusto che sia così. È giusto che tu vada a frequentare l’Università che reputi migliore per te. Sai troppe cose per infiltrarti in posti in cui arrivano addirittura ad accettare stupidotti come me. E poi la Tōdai si trova comunque qui a Tokyo, no?! Non ci sarà nessun problema allora! Pensa se uno di noi due avesse deciso di iscriversi in qualche ateneo di Ōsaka o di Nagoya, ad esempio. Ecco, quello sì che sarebbe stato un bel problema!”

“È incredibile.”

“Cosa?”

“Come fai a trovare sempre il lato positivo di ogni cosa? Altro che ‘stupidotto’!”

“Ognuno è intelligente a modo suo. Ma tu lo sei di più.”

Non ti lascia alcun diritto di replica, completamente accecato dal desiderio di possedere le tue labbra. Non aveva fatto altro che fissarle mentre rispondevi alle sue domande e alle sue piccole – dolci – provocazioni.
In un primo momento ti senti pienamente stordito dal quel contatto intimo, intrigante, inatteso. Ti lasci coinvolgere da quell’unione fisica che viene a mano a mano approfondita dal vostro timido gioco di lingue voraci. Torni ad aggrapparti letteralmente al lui, stringendo le tue mani bisognose d’attenzione attorno a lembi di stoffa appartenenti alla sua nuova felpa attillata. Tra una carezza ed un gemito, ti sospinge contro la porta del frigorifero, dalla quale scivola inesorabilmente una vecchia calamita. Uno degli ultimi ricordi materiali di quel viaggio londinese risalente ad almeno una decina d’anni prima. Speri almeno che non si sia rotta in maniera indelebile; l’ultima cosa che vorresti sarebbe proprio quella di arrecare un dispiacere alla tua adorata genitrice. Non se lo meriterebbe, visto e considerato come stanno andando le cose con tuo padre da troppi anni a quella parte.

“Bokuto-san...”

Ti fai conquistare dalle sue lusinghe, da quei baci fugaci rilasciati sulle guance, sulla fronte, sulla punta del naso, sulle nocche. Ti lasci trascinare dalle sue mani fameliche che s’infilano sotto il tuo maglione e si mettono immediatamente a contatto con il calore emanato dal tuo addome, dal tuo petto, dai tuoi capezzoli eccitati. Infila un paio di dita oltre l’orlo dei tuoi pantaloni sportivi, lasciandoti chiaramente intendere di non averne ancora avuto abbastanza. La sua scelta di venire sino a casa tua non era stata casuale; anche se, a dire il vero, nemmeno lui avrebbe mai potuto immaginare che sareste arrivati sin lì, ovvero sino a quel punto di non ritorno dal quale potete vedere insieme le migliori stelle tra quelle che hai citato il giorno esatto in cui avevi avuto la fortuna di conoscerlo.
La luce in grado di rischiarare i quotidiani pensieri uggiosi di un’esistenza fin troppo impostata.

“Il pupazzo... il pupazzo di neve...”

Keiji!”

I tuoi occhi diventano enormi dal momento che avverti il tuo nome pronunciato in quella maniera funesta da colui che ti sta praticamente invitando a fare l’amore. Non che tu non lo desideri quanto lui, ben inteso. Ma ti troveresti dinnanzi ad un concetto del quale possiedi giusto qualche base teorica o, tutt’al più, preliminare. Ed il sesso non può essere solo questo. Non potrà mai considerarsi come un insieme di istruzioni da eseguire alla lettera, è fuori discussione.

“Il pupazzo di neve si chiama Keiji, te ne sei già dimenticato?”

Il pupazzo di neve.
Sì, avevi quasi completamente dimenticato il suo nome. Troppi contraccolpi emotivi verificatisi in una sola serata possono mandare letteralmente in tilt la mente funzionale di chi è sempre stato abituato a ragionare in maniera analitica e consequenziale. E in un contesto del genere c’è davvero ben poco da sviluppare. Il rischio di perdersi in quisquiglie umorali e cianfrusaglie verginali potrebbe raggiungere i massimi livelli, lasciandosi alle spalle tutto il resto.

“Hai ragione, me l’hai detto poco fa.”

“Vogliamo andare a renderlo ancora più simile all’originale?”

L’impaccio destato da quel simpatico paragone ti porta ad arrossire ancora una volta. Un sorriso si fa largo su tuo viso contratto, donandoti un’aura fanciullesca e delicata. L’idea esatta che Koutarou si è da sempre costruito in riferimento al tuo volto e alle diverse espressioni che abitualmente preferisci mostrare. Una creatura esile che necessita di essere compresa e protetta, ma sempre pronta a rendersi a sua volta disponibile nel momento del bisogno. Un amico sul quale ha potuto contare sin dal primo giorno, un amante che ha bramato sin dall’iniziale incrocio di sguardi.

“Sì, certo. Bisogna vedere se ci riesci, Bokuto-san!”

Ehi, ehi, ehi! Ci devo riuscire per forza. Per il tuo compleanno dovrai aver il ‘Keiji’ più bello di tutto il quartiere!”

Il mio compleanno!
Lanci una fugace occhiata alla data mostrata dal calendario: quattro dicembre. Ora si spiega tutto!
Annuisci trattenendo il desiderio di stringerti nuovamente a lui. Decidi di limitarti a chiedergli di avere un attimo di pazienza per andare a recuperare il materiale necessario.

Vi avvolgete in fretta in sciarpe, guanti e cappotti, infilate al volo scarpe e scarponcini e tornate in giardino.
Keiji è ancora lì, intento a scrutarvi con i suoi occhi verdi in plastica; pronto ad indossare quel vecchio cilindro che tuo padre ti aveva regalato proprio in occasione di un tuo passato compleanno.
Calza meglio a lui piuttosto che a te. Decisamente.
 
 
 
… Perché quello che sono
l'ho imparato da te
tu che sei la risposta
senza chiedere niente
per le luci che hai acceso
a incendiare l'inverno
per avermi insegnato a cadere
Come neve... 










 

Angolo dell’autrice


Ringrazio in anticipo tutti coloro che avranno voglia di leggere e recensire questa mia piccola one-shot! :)

Il #Writober2019 è ufficialmente finito, ma il mio amore per la BokuAka continua e continuerà a lungo! Ho deciso di proseguire la precedente shot creando una serie dal titolo ‘A mano a mano’ (traendo ispirazione dalla celebre canzone di Rino Gaetano). Prossimamente avremo nuovi aggiornamenti, garantito! ;)

In questa terza fase ritroviamo i nostri due eroi di partenza.
Bokuto decide di andare a fare una sorpresa ad Akaashi, presentandosi sotto casa sua alla vigilia del suo compleanno. La neve lo porta all’idea di costruire un bel pupazzo bianco a lui dedicato (tanto che gli attribuisce il suo stesso nome di ‘battesimo’); Akaashi non potrà che apprezzare. Ma ciò che conta davvero in questo nuovo incontro sono i chiarimenti che latitano e, soprattutto, i noti sentimenti ancora da palesare a dovere. Dal punto di vista fisico pare non ci siano grosse difficoltà (tolta l’inesperienza del più giovane fra i due), ma per il resto la strada è ancora lunga e ‘tortuosa’. **
In questa one-shot ho voluto mettere sullo sfondo la famiglia Akaashi, a piccole dosi. Scopriamo che la madre è un’educatrice, il padre un manager d’azienda e che i due hanno un approccio completamente differente con il proprio (unico) figlio. Io adoro mettere in mezzo il background familiare, sappiatelo! :)

Un ultimo appunto sulla questione Università. Sia la Nittaidai che la Tōdai esistono realmente a Tokyo. ‘Googlate’ i due nomi e troverete tutte le informazioni in merito.

Il titolo della one-shot riprende quello della canzone di Giorgia ft Marco Mengoni ‘Come neve’ (della quale riporto la prima strofa e il ritornello all’inizio e al termine del testo).
Il testo è scritto in seconda persona e al tempo presente (salvo qualche piccolo riferimento al passato).

Grazie a tutti coloro che passeranno di qua! **

A presto,

Mahlerlucia

 
   
 
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