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Autore: Shily    10/11/2019    0 recensioni
Leanne Adams ha quindici anni, un equilibrio non invidiabile e una sorprendente tendenza al mettersi nei guai.
Alta un metro e sessanta raggiunto a fatica, con una famiglia esageratamente numerosa e invadente alle spalle e un'insolita quanto spiccata vena melodrammatica, Leanne non può fare a meno di invischiarsi in ogni situazione.
Sempre e comunque.
Sarà proprio a causa di questa sua abitudine che si troverà a fare da cupido insieme alla persona, per lei, più impensabile e si troverà incastrata, senza neanche sapere come, nelle conseguenze di questa sua decisione.
Ma soprattutto, sarà proprio per questo che finirà irrimediabilmente nei casini.
Se solo si fosse fatta gli affari suoi, almeno una volta nella sua vita.
Cosa ti aspetti che facciamo?" chiese lui passandosi una mano dietro la nuca con stanchezza. "Non possiamo mica entrare lì e fingere di essere innamorati ed essere tutti abbracci, baci  e parole dolci. Sarebbe ridicolo."
L'espressione di Noah a quelle parole fu inequivocabile.
"Tu sei pazzo," lo accusò Leanne. "Tu davvero non stai bene. Pensare che noi possiamo andare lì e fingere di... di... che schifo. È assurdo."
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Una famiglia di troppo 

 

La famiglia, si sa, è sempre una questione delicata nella vita di una persona, figuriamoci per un adolescente. Bisogna tenere a mente alcune regole insindacababili e inalienabili: 

- regola numero uno: presenziare sempre ai numerosi pranzi di famiglia. Di quelli in cui sei costretto a sedere al tavolo dei piccoli, e chi se ne frega se hai passato da tempo ormai l'età delle bambole e dei seggiolini, e in cui sei bombardato da scomode domande non appena abbassi la guardia.

- regola numero due: i film si scelgono insieme, senza e se ma, anche se questo dovesse sottintendere un intero pomeriggio passato a discutere.

- regola numero tre: se si decide di fare un gioco, lo si deve fare tutti insieme. Non importa se sei vittima di un infarto fulminante, sarai sempre ricordato come colui che ha disertato.

- regola numero quattro: se uno dei tuoi cugini più piccoli ti passa una tazzina, tu ringrazi e fingi di bere il thè.

- regola numero cinque: le colpe si condividono, le punizioni sono di tutti e chi fa la spia non merita la torta della nonna.

- regola numero sei: abbandonare definitivamente qualsiasi speranza di avere un segreto. La privacy, in famiglia, non esiste.

Quest'ultimo punto, in particolare, lo conosce bene Leanne Adams: un metro e sessanta raggiunto a fatica, una notevole predisposizione ai problemi e una miriade di cugini di cui lei stessa, il più delle volte, fatica a tenere il conto, figuriamoci quindi ricordarsi i nomi. Senza contare due genitori tanto adorabili quanto decisamente troppo apprensivi; due fratelli, di quelli della peggior specie, di cui tutti, persino i più devoti alla famiglia, troverebbero da ridire: maggiori, impiccioni e tremendamente protettivi. Una sorella, o meglio -ina, alta non più di un metro e... ma siamo sicuri che raggiunga il metro? E infine, per la gioia di Leanne, Willow, il cane di famiglia - di cui la scelta del nome non era certo ricaduta su di lei, come teneva a sottolineare ogni volta.

Nome del cane a parte, argomento di cui comunque si finiva per discutere inevitabilmente a ogni riunione di famiglia, Leanne si era ben presto dovuta rassegnare a quella che, nella sua famiglia, era una realtà più che evidente: la totale assenza di privacy. Specie perché, frequentando un collegio insieme a buona parte dei cugini e i fratelli, diventava difficile tenere qualcosa nascosto.

La consapevolezza le era arrivata in una fredda mattina d'ottobre, quando non aveva più di otto anni e aveva sorpreso suo fratello intento a leggere il suo diario segreto.

Quella mattina, però, in barba all'atteggiamento con cui aveva deciso di accettare questa sua condizione, Leanne  varcava la porta della Sala Mensa borbottando parole che avrebbero fatto impallidire sua madre e uno sguardo omicida rivolto a una persona ben precisa: suo fratello Noah, il traditore. O per meglio dire, uno dei due.

Il fattore scatenante aveva un nome e un cognome: Jason Parker.

Un giovane di indubbia simpatia e carisma, come molte ragazze non mancavano di sottolineare definendolo con certezza assoluta il più carino del suo anno: e chi era lei per smentire quelle affermazioni? 

Nessuno, no di certo, specialmente da quando il più che carino Jason (come veniva spesso chiamato) aveva cominciato a sedersi al suo stesso tavolo in biblioteca, scambiando timide parole inizialmente fino a passare interi pomeriggio insieme, con i libri chiusi e dimenticati nel fondo dello zaino. 

La situazione, Leanna ancora sorrideva al ricordo, aveva poi assunto svolte inimmaginabili quando Jason, tra un capitolo di storia e un esercizio di chimica, le aveva chiesto di uscire. 

Inutile dire che la conversazione si era conclusa con un appuntamento e un adorabile sfarfallio nello stomaco di Leanne. 

Peccato che la notizia, che aveva fatto il giro dei suoi familiari in età scolastica, era arrivata anche alle orecchie dei suoi fratelli: come le cose si erano evolute, era tutto  un programma.

Erano davvero senza speranza, quei due.

A passo di marcia e con espressione furente si diresse verso il tavolo del fratello, impegnato a fare colazione insieme a un amico: "Tu!" esclamò, sbattendo la borsa carica di libri sul tavolo. "Non ho parole, non ho davvero... non posso credere che... siete davvero due idioti. Impicciarvi così della mia vita, agire alle mie spalle."

"Leanne, ma sei impazzita? Stavi per schiacciarmi il pane tostato," si offese suo fratello. "Si può sapere che ti prende?"

"Tu chiedi a me cosa mi prende? Succede che Jason Parker mi aveva invitata a uscire e ora, per colpa tua e di James, sarò fortunata se mi rivolgerà ancora la parola."

"Ah," commentò stoicamente Noah, "Hai saputo."

Lo vide scambiarsi un occhiata con l'amico al suo fianco e si trattenne dal mettergli le mani al collo.

"Dai Leanne," si intromise il suddetto amico, con tono svogliato: "Parker è un idiota, ti hanno fatto un favore se vuoi sapere come la penso."

"No Ethan, ti ringrazio ma la tua opinione era l'ultima cosa di cui avevo bisogno oggi."

Ethan Powell era, per la felicità di Leanne, il migliore amico di suo fratello, o per meglio dire colui con cui Noah condivideva l'ossigeno in ogni momento della sua giornata da tre a quella parte.

Niente da ridire, se solo questo non avesse implicato che anche lei, per la legge del "pacchetto familiare" a cui era sottoposta, fosse costretta a condividerci più tempo del necessario. 

Ed è bene sottolineare che per Leanne, Ethan corrispondeva all'anello mancante tra gli uomini e le scimmie. Ovviamente, era più vicino alle scimmie.

"Len mi dispiace davvero," Noah prese la parola e attirò nuovamente la sua attenzione, "Ma Parker... si insomma, Jason" si corresse "Non va bene per te. Per cominciare è più grande..."

"Più scemo, più inutile, più..." continuò per lui Ethan.

"Powell, se non smetti di parlare ti faccio del male fisico, questa volta dico davvero."

"Attenta piccola Adams, o potremmo rischiare che mi piacciahia... no dico, ma sei scema? Mi hai tirato un arancia in un occhio, potevi farmi seriamente male," si lamentò Ethan, massaggiandosi la fronte con aria imbronciata.

Leanne decise di ignorarlo, per rivolgersi nuovamente al fratello: "Esattamente, quando mai vi ho fatto credere di potervi intromettere nella mia vita e decidere cosa è meglio per me?  Siete proprio  dei bambini, ma aspetta che la mamma lo venga a sapere."

"Detto da una che tira arance..." 

"Powell," esclamarono all'unisono Leanne e il fratello alla sua ennesima intromissione: una irritata, l'altro esasperato.

"Leanne, senti, mi dispiace, davvero. Ma mettere in mezzo la mamma è troppo. L'ultima volta che è successo..." una smorfia si fece strada sul suo viso, mentre i ricordi riaffioravano in entrambi, "...non importa! Fatto sta che non possiamo mettere in mezzo la mamma e lo sai anche tu." Prese una piccola pausa, spostando il vassoio e alzandosi per raggiungere la sorella: "E poi, mamma non capirebbe: tu sei la nostra sorellina, la nostra piccola Lennie, lo sai che facciamo così perché ci preoccupiamo."

Leanne sbuffò: quando voleva, Noah sapeva raggiungere livelli di recitazione degni di Hollywood. 

Che attore

E che scema lei che ogni volta ci cascava: non aveva mai saputo resistere ai suoi occhi dolci, e lui lo sapeva bene.

Che stronzo, lo faceva a posta. 

"Facciamo che per il momento smetterò di insultarti," disse, dopo alcuni attimi di silenzio. "Ma questo non vuol dire che io non sia ancora arrabbiata. Sono furiosa, ma se mi guardi così finisco per dimenticarmene, per cui me ne andrò molto lontano a odiarti ancora per un po'."

Ecco fatto: come accadeva spesso, fin troppo effettivamente, aveva finito per cedere facilmente.

"Oh, vieni qua," Noah allungò un braccio e la strinse in un abbraccio da orso stritolatore, scombinandole i capelli con una mano.

Odiava quando lo faceva! 

Proprio in quel momento, neanche a farlo apposta, il primogenito della famiglia Adams fece la sua comparsa, giusto in tempo per incontrare lo sguardo ancora accigliato della sorella.

Colto da un improvviso colpo di deduzione non ci mise poi molto a collegare la scena a ciò che era avvenuto il pomeriggio precedente e, in preda a un insolito istinto di sopravvivenza, si voltò per quello che sembrava essere un grande piano: la fuga.

"E non pensare di scappare tu" lo avvistò Leanne, "Ti ho visto, e ne ho anche per te."

James, inutile dirlo, era già corso via. 

"Smettila di ridire, Poweel, che tanto dopo ne ho anche per te, lo so che c'entri anche tu in questa storia. C'entri sempre," disse Leanne a un ilare Ethan, prima di lanciarsi all'inseguimento del fratello.

Con un po' di fortuna non tutto era perduto e magari Jason avrebbe ancora avuto voglia di uscire con lei. O almeno di rivolgerle la parola. 

Le sue speranze però, dovette rendersi conto a mattinata inoltrata, erano abbastanza vane.

Non solo la maggior parte degli studenti mormorava al suo passaggio, chiaro segno che la storia aveva già fatto il giro della scuola, ma Jason sembrava essersi reso invisibile ai suoi occhi.

E pensare che nei giorni precedenti non aveva fatto altro che incontrarlo in qualsiasi angolo della scuola. 

Era palese: la evitava e non voleva più avere a che fare con lei.

Fu con l'umore sotto ai piedi, dovuta alla consapevolezza della sua triste condizione, che si sedette accanto a suo cugino Josh per la lezione di chimica.

La sua vita sentimentale aveva appena avuto inizio e già non vedeva l'ora che finisse.

"Cavolo Len, hai un aspetto così felice che mi fai venire voglia di buttarmi giù" la salutò, prima di voltarsi indietro e posare delle monete sul banco dell'amico.

"Avevate scommesso su qualcosa?" grugnì sovrappensiero, "Su di me?" il cugino, neanche a dirlo, annuì, subito imitato dal compagno di malefatte. "E cosa esattamente?"

Era ufficiale: era appena stato licenziato dal suo ruolo di cugino-migliore amico.

Quel traditore, anche lui.

"Io dicevo che non ti saresti presentata a lezione e ti avremmo trovata sepolta sotto le coperte a lamentarti," sorrise innocentemente, "Michael invece diceva che non avresti perso una lezione con Barry perché rischi già normalmente un'insufficienza. Ha vinto lui, io ho sopravvalutato la tua vena drammatica."

"Molto simpatico, Josh. Scordati, la prossima volta, di copiare i compiti da me."

"Non puoi dire sul serio" lo vide spalancare gli occhi, sinceramente terrorizzato dal l'eventualità.

"E allora smetti di scherzare su quello è successo," sbottò, ricopiando con furia gli appunti scritti alla lavagna di cui ovviamente non stava capendo nulla.

E no, non era assolutamente permalosa.

"È una tragedia e tu dovresti essere dalla mia parte," abbassò la voce, vedendo la testa del professore alzarsi alla ricerca dei disturbatori.

"Non ti sembra di esagerare?"

"Adams... entrambi, gradirei non sentire il suono delle vostre voci fino alla fine dell'ora. Se ci riusciste, in realtà, mi renderebbe incredibilmente felice non sentirle fino alla fine dell'anno" li richiamò il professore, facendoli sobbalzare.

Mormorando delle scuse, abbassarono la testa e tornarono a scrivere velocemente sotto lo sguardo dell'uomo.

Leanne finì di scrivere la frase e diede un calcio al ragazzo da sotto al banco. In cambio lui, trattenendo un'imprecazione, ricambiò la cortesia spintonandola e facendole fare un segno notevolmente grande sugli appunti appena presi.

"Ne parla tutta la scuola, non si sente altro per i corridoio: dicono che James abbiamo spinto Parker contro un muro e... beh il resto è storia," s'intromise Michael, l'amico di suo cugino che, chissà come, riusciva sempre a essere aggiornato sulle ultime novità. 

"Si sono picchiati?" quasi urlò lei, prontamente zittita da un calcio di Josh.

"Va bene," ammise lui, "Forse la questione è un po' più grave di quel che pensavo. Però abbassa la voce!"

"Cambierò scuola" si fece prendere dallo sconforto, accasciandosi sul tavolo. "Anzi, no, città. Forse è troppo poco... cambierò Stato, è deciso. Oggi chiamerò mamma e papà per comunicarglielo."

Sia Michael che Josh stavano per risponderle quando Annabeth, seduta al fianco di Michael e che fino a quel momento era stata in silenzio, parlò: "Jason Parker ti ha chiesto di uscire? E i tuoi fratelli l'hanno minacciato? Com'è che io non ne sapevo niente?"

La guardò sconsolata Leanne, pensando che era proprio la fine del mondo.

   
 
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