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Autore: WhiteLight Girl    23/11/2019    0 recensioni
A Yokohama sembra una notte come tante, fino al momento in cui uno strano blackout lascia al buio Akira e i suoi amici. Ma assieme alla maggior parte delle luci della città sono scomparse anche centinaia di persone e quindi Akira, Ryuichi ed i loro Digimon iniziano a cercare chi è rimasto e poi, soprattutto, a tentare di capire cosa sia successo.
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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IL CORRIDORE DEL LABIRINTO (p.2)


Nove ore dopo il Blackout:

Ora che non era più solo, Yukiteru si sentì in parte libero da quella morsa che lo aveva tenuto intrappolato fino a poco prima. Se fosse stato un sogno e si fosse svegliato di soprassalto, Pitt si sarebbe preoccupato, ma lui non era lì ed ora era suo compito fare di tutto per ritrovarlo.

Rallentando, si sporse appena e sbirciò dietro uno svincolo per controllare che non vi fosse nessuno, ma non vide nulla e proseguì.

Non aveva mai percorso quella traversa in particolare, ma riconobbe uno degli edifici che si trovavano nella strada affianco e capì che si stavano avvicinando alla sua scuola.

Kat si fermò e annusò l’aria, tese le orecchie e poi le appiattì dietro la testa. Il pelo gli si rizzò e perfino Toshiaki trattenne il fiato. Non era difficile vedere in Kat l’atteggiamento di un gatto all’erta, Yukiteru non si sarebbe affatto stupito se a breve l’avesse visto soffiare contro qualcosa. Il problema sarebbe stato scoprire a cosa.

Con un movimento lento, Toshiaki si piegò a sfiorare la collottola al suo Digimon e gli grattò la pelliccia affettuosamente.

«Cosa c’è?» gli domandò sottovoce.

Yukiteru rimase pochi passi indietro, lasciò che fossero loro ad avvicinarsi per primi al vicolo da cui Kat non riusciva a distogliere lo sguardo, ma li raggiunse subito in modo da non distanziarli più che di pochi passi. Anche lui voleva sapere di cosa si trattava, ma soprattutto aveva la speranza che potesse essere Pitt. Sarebbe stato un ritrovamento troppo fortuito, lo sapeva bene, e la fortuna non era mai stata dalla sua parte, quindi si sporse oltre l’angolo e strizzò gli occhi per controllare di persona.

Il cielo pallido non forniva una grande illuminazione, là dove i grattacieli gettavano la loro ombra cupa, ma il cerchio di luce nel mezzo del vicolo era grande quanto la ruota di un’automobile e si rifletteva con violenza sui pochi Digimon silenziosi che vi stavano fermi davanti.

Per alcuni momenti, un fruscio fu l’unico suono che pervase l’aria e Yukiteru, Toshiaki e Kat osservarono in silenzio, studiando i tratti di quei Digimon dagli occhi vuoti, i loro movimenti lenti ed i loro musi serrati. Le teste oscillavano di spalla in spalla, quasi come se non avessero la forza di tenerle ferme e sollevate, e le zampe erano abbandonate contro i fianchi. Erano tutti di tipo animale e di piccole dimensioni: alcuni Mikemon, le cui code erano abbandonate sul terreno sporco, un paio di Hawkmon, piegati in avanti con le ali che ciondolavano ad un pelo da terra e le piume arruffate ed infine un piccolo Burgermon in un angolo, nascosto nell’ombra di un vecchio cassonetto ammaccato.

Nessuno di loro pareva essersi ancora accorto della loro presenza, nessuno di loro esprimeva anche solo un decimo della vitalità che Yukiteru era abituato a vedere nei Digimon e, dall’occhiata che gli mandò Toshiaki, capì che la pensava allo stesso modo. Fu tentato di avvicinarsi, di chiedere loro cosa non andasse, se poteva aiutarli in qualche modo, ma Kat lo trattenne, spingendo indietro lui ed il suo Domatore. Li costrinse ad indietreggiare, con gli artigli premuti contro le loro cosce quasi a voler fermare ogni protesta e camminò all’indietro con loro senza voltarsi.

Yukiteru non riusciva a staccare gli occhi dai Digimon, trattenne il fiato e, concentrato com’era sul non fare rumore, non notò il movimento di Kat, che balzò indietro ed ebbe un sussulto.

Toshiaki trattenne un grido spaventato riducendolo solo ad un gemito smorzato, ma non bastò e Yukiteru seppe che quei Digimon l’avevano sentito nel momento stesso in cui smisero di oscillare sul posto e sollevarono i musi arricciati inspirando. Li vide voltarsi verso di loro e andargli incontro arrancando sull’asfalto.

Continuò ad indietreggiare, spaventato dalla possibilità che un qualunque movimento brusco potesse farli scattare. Non aveva mai visto dei Digimon comportarsi in un modo simile, come uno sciame che si muoveva al rallentatore e avanzava dritto verso di loro.

Toshiaki e Kat rimasero davanti a lui, che era pronto a correre via al primo cenno di pericolo, con un ginocchio già piegato per voltarsi e fuggire a gambe levate senza guardarsi indietro, ma il momento d’attesa parve durare un’eternità ed i Digimon lo fissavano con occhi tanto vacui che si chiese se lo stessero vedendo davvero. Fu solo un secondo, prima che si muovessero e scattassero lanciandosi dritto addosso a Kat. In un primo momento, lui balzò via e li aggirò, ne abbatté un paio con due calci dietro la nuca e saltò di nuovo in strada. «Seguitemi!» gridò.

Yukiteru esitò, ma Toshiaki lo afferrò per un polso e lo trascinò via, allora corsero per la strada finendo per ritornare sui loro passi. Urtarono contro un cassonetto e ruzzolarono a terra nel tentativo di voltare l’angolo e, mentre arrancava per rialzarsi, Yukiteru intravide con la coda dell’occhio gli Hawkmon che battevano le ali ed ondeggiavano in aria perdendo e riprendendo quota come se non riuscissero a trovare un equilibrio ed una direzione. Si rifiutò di restare a guardarli, spalleggiò Toshiaki, lo raggiunse ed inchiodò rischiando di scivolare quando lo vide fermarsi di colpo. «Che fai?» gli domandò.

Il cuore gli martellava forte nel petto e quei battiti rimbombavano nella testa e nelle orecchie, trattenne il fiato voltandosi a guardare indietro e ondeggiò sul posto per trattenersi dal riprendere a correre.

«Scappare non servirà a nulla.» gli disse Toshiaki. Impugnò il Digivice e, come ad un segnale, Kat tornò indietro e si piegò digrignando i denti e soffiando contro gli strani Digimon.

«Sono tanti.» gli fece notare Yukiteru.

Avrebbe voluto avere Pitt con sé, anche se non erano abituati a combattere, né in alcun modo preparati per una situazione simile, e si trattenne dallo sfilare dalla tasca il Digivice, sapendo che sarebbe stato inutile senza avere un Digimon da potenziare.

Toshiaki strinse il pugno. «Fortuna che Kat è un livello avanti a loro, allora.»

Yukiteru fece una smorfia; in una situazione normale questo probabilmente sarebbe stato vero, ma era certo che questa non fosse una situazione normale e che gli altri fossero in vantaggio numerico. Un Hawkmon si avventò su Kat, che scartò di lato, si arrampicò su una parete e scalò un palo della luce usandolo come trampolino per lanciarsi addosso al secondo Hawkmon.

«Pugno Felino!» gridò e bastò quello perché il Digimon si dissolvesse tra le sue zampe. Scagliò con un calcio l’altro Hawkmon contro il Burgermon, poi il Mikemon gli fu addosso ed insieme rotolarono avvinghiati sull’asfalto.

Kat gemette di dolore, Toshiaki gridò, corse verso di loro e gli strappò via il Mikemon di dosso con tanto impeto che cadde all’indietro con quello addosso. Il Burgermon tornò alla carica ma Yukiteru, incapace di restare a guardare, lo afferrò e lo atterrò bloccandolo sull’asfalto con il proprio peso. Lo sentì agitarsi sotto di sé, mugugnare nel tentativo di liberarsi e poi, d’improvviso, fermarsi come un robot spento, con gli arti abbandonati e gli occhi persi a guardare il cielo. Era come se quel qualunque cosa lo avesse fatto muovere prima fosse all’improvviso svanito, lasciandolo totalmente svuotato.

Yukiteru sollevò lo sguardo e vide Toshiaki che tratteneva il Mikemon, Kat arrancava verso di lui con passo malfermo, quasi cadde in avanti e si rialzò a fatica.

«Kat, colpiscilo!» lo incitò Toshiaki e il Digimon sollevò la zampa, ma perse l’equilibrio e crollò in avanti.

«Kat!» esclamò Toshiaki. Mikemon si agitò e quasi riuscì a divincolarsi, il ragazzo strinse la presa e crollò in ginocchio, senza staccare gli occhi dal proprio Digimon. «Stai bene? Sei ferito?» gli domandò.

Kat non rispose, gli altri Mikemon lo accerchiarono. Yukiteru si domandò come avesse fatto a non notarli, perché non avessero partecipato prima allo scontro dandogli il tempo di dimenticarsi di loro. Morsero Kat, lo graffiarono e sia Yukiteru che Toshiaki lasciarono i loro ostaggi e accorsero per aiutarlo e liberarlo. Le scarpe che scricchiolavano sull’asfalto, i fiati corti e le braccia tese in avanti. Le dita di Yukiteru raggiunsero quasi il primo degli aggressori, ma Kat si dissolse prima che potesse afferrarlo. I suoi dati scivolarono addosso ai Mikemon.

Yukiteru rimase pietrificato, l’immagine di Kat che si svaniva mentre quei Digimon ancora tentavano di farlo a pezzi rimase fissa davanti ai suoi occhi e la sua mente la rivide numerose volte nell’arco di pochi istanti, fino a sostituire la figura di Kat con quella del suo Pitt.

Yukiteru sapeva che se fosse successo qualcosa a Pitt non avrebbe potuto sopportarlo, che nessun Tamer avrebbe affrontato bene la morte del proprio Digimon. Era qualcosa che aveva sempre sperato di non dover vedere e vivere ed ora era certo che dopo Kat, Pitt avrebbe potuto essere il prossimo.

La sua mente continuava a gridare: Pitt! Pitt! Pitt! Pitt! e si voltò a guardare Toshiaki senza sapere cosa dirgli, come confortarlo, ma l’espressione stravolta del ragazzo, con gli occhi sgranati e le pupille piccole nell’iride bianca, fu come un lampo fugace, perché il rumore del Digivice di lui - quello che il ragazzo stringeva tra le mani con tanta forza da dare l’impressione che volesse assimilarlo nel proprio corpo - che si rompeva fu assordante e la luce dello schermo che andava in pezzi si spense. Toshiaki sfarfallò un paio di secondi come un canale analogico preda di un interferenza, prima di svanire con un fastidioso “Tic.”.

I Digimon Zombie, perché ormai Yukiteru non riusciva a chiamarli in altro modo, erano ancora nel punto in cui avevano aggredito Kat, fermi in un cerchio nel mezzo di quella che avrebbe dovuto essere una delle strade più trafficate di Yokohama. Uno di loro lo guardò, ma lo ignorò, tornando ad oscillare sul posto come quando li avevano trovati nel vicolo. Yukiteru soffocò il conato di vomito e cercò di trattenerlo. Sapeva di essere fermo, in piedi sulle sue gambe, ma sentiva la terra mancare e le mani tremare.

Arretrò, si costrinse a respirare, si fece forza e fece l’unica cosa che in quel momento riusciva a pensare di poter fare.

Si voltò e corse via.

   
 
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