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Autore: Zomi    24/11/2019    3 recensioni
Camminava per la strada, sotto i lampioni mal funzionanti del quartiere.
I piedi gli dolevano, la pelle iniziava a rabbrividire per la frescura notturna e la crocchia malamente composta dava i primi segni di cedimento.
E anche lui iniziava ad averli.
Si passò due dita sulle palpebre socchiuse, mordendosi il labbro e stringendo il pugno nella mano opposta, mentre la sua mentre tornava ad arroventarsi di rabbia e delusione.
Cercò di calmarsi, fermo immobile sotto la luce del lampione, lisciandosi i baffi scuri e aprendo lentamente gli occhi.
Lo sguardo gli cadde sui suoi piedi.
I suoi piedi sopra il taglio netto, scuro e allucinante che divideva due mattonelle del selciato del marciapiede.
Una crepa, lieve, segnata dal tempo, sporca delle ultime foglie autunnali cadute col vento.
Una crepa, un fossato, una paura che striscia a terra e che, quando meno te lo aspetti, potrebbe afferrarti caviglia e piede in una sola artigliata e rubarti il peggior urlo.
Come quello che Wire lanciò nella notte.
[Storia partecipante al Yuri&Yaoi's 3 Days organizzato da Fairy Piece Forum]
[Storia partecipante al The Weekend Run - I Edition indetto daPiume d'Ottone (prompt n. 28)]
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Heat, Wire
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Storia partecipante al Yuri&Yaoi's 3 Days organizzato da Fairy Piece Forum

Storia partecipante al The Weekend Run - I Edition indetto da Piume d'Ottone
Prompt 28: "If you get lost you can always be found" ("Home" – Phillip Phillips)
Numero parole: 2844
 









 
Camminava per la strada, sotto i lampioni mal funzionanti del quartiere.
I piedi gli dolevano, la pelle iniziava a rabbrividire per la frescura notturna e la crocchia malamente composta dava i primi segni di cedimento.
E anche lui iniziava ad averli.
Si passò due dita sulle palpebre socchiuse, mordendosi il labbro e stringendo il pugno nella mano opposta, mentre la sua mentre tornava ad arroventarsi di rabbia e delusione.
Cercò di calmarsi, fermo immobile sotto la luce del lampione, lisciandosi i baffi scuri e aprendo lentamente gli occhi.
Lo sguardo gli cadde sui suoi piedi.
I suoi piedi sopra il taglio netto, scuro e allucinante che divideva due mattonelle del selciato del marciapiede.
Una crepa, lieve, segnata dal tempo, sporca delle ultime foglie autunnali cadute col vento.
Una crepa, un fossato, una paura che striscia a terra e che, quando meno te lo aspetti, potrebbe afferrarti caviglia e piede in una sola artigliata e rubarti il peggior urlo.
Come quello che Wire lanciò nella notte.
Mentre il suo piede pestava rabbioso e omicida la crepa.
Stupida crepa.
Stupida, stupida crepa che faceva urlare Heat, che lo costringeva  contare i passi per evitarla, che gli costava un’ora e mezza per andare al lavoro a piedi perché, dannazione, prendere il tram equivaleva a trovarsi a contatto con altre persone, che l'avrebbero sfiorato, guardato, giudicato e…
Gemette un nuovo urlo Wire, mordendosi le labbra e passandosi una mano sull'intero volto.
Heat.
Il suo Heat.
Il suo compagno, il suo convivente, l'uomo della sua vita.
Heat Vudù, magazziniere semplice.
Uomo con la sindrome di Asperger.
Uomo con una massa scomposta di dreadlocks azzurri, volto scavato e occhi enormi e scuri.
Uomo dal sorriso di bambino.
Un uomo che non riusciva a capire come lui potesse essere alto come un gigante, dato che lui di giganti non ne aveva mai visti, ma che sapeva benissimo di essere omosessuale e non si faceva molto domande a riguardo.
Heat che lo amava e lo faceva con tutto se stesso.
Heat.

Wire l’aveva conosciuto per caso.
Camminava nel centro città quando l’aveva notato avanzare a in punta di piedi, nel suoi due metri di altezza, evitando tutte le mattonelle arancioni del selciato che ricoprivano la piazza padronale.
Sembrava ubriaco, col suo passo saltellante e incerto, la schiena ricurva a controllare il colore del selciato mentre rischiava di perdere l’equilibrio a ogni movimento.
Un salto su una mattonella grigia, uno su una nera. No, quella arancione non l’aveva nemmeno sfiorata.
Avrebbe potuto sorpassarlo e andare avanti per la sua strada come facevano tutti i passanti che passeggiavano attorno a lui quel giorno, ma Wire non aveva voluto ignorarlo.
Si era avvicinato, gli aveva sorriso e chiesto se gli serviva una mano.
Poteva sempre essersi perso o aver smarrito qualcosa a terra, e per questo camminare lentamente e a quel bizzarro modo per ritrovarlo.
Heat aveva sorriso, oh il più bel sorriso del mondo!, con labbra socchiuse e una piccola nuvola di condensa per il lieve freddo di  inizio inverno, e gli occhi a mezzaluna a celare le piccole perle nere che contenevano, prima di rispondergli.
-Arancione come mandarini-
-C-come?- aveva sgranato gli occhi, ridendo di già.
-Arancione- gli aveva indicato il porfilo decolorato dalla pioggia e dal vento della piazza -Come mandarini. Heat no cammina su mandarini-


Come aveva scoperto poi in seguito, Heat non camminava nemmeno sulle crepe dei marciapiedi.
Lo terrorizzavano.
Aveva paura che qualcuno aspettasse il suo passo per afferrarlo per la caviglia e strattonarlo nel buio che si celava sotto il marciapiede.
A Heat non piaceva nemmeno il buio.
Il buio di casa loro quando rientravano la sera tardi, o di una stanza, o della stanza in cui suo padre lo rinchiudeva quando aveva un attacco emotivo tipico della sua sindrome.
A Heat non piacevano nemmeno le emozioni quando si accumulavano tra loro.
Non riusciva più a distinguerle e non capire lo confondeva ancora di più, costringendolo a dondolarsi in cerca di un equilibrio interno che mai avrebbe potuto trovare da solo, tacendo cosa lo turbava.
A Heat non piaceva nemmeno il disordine, in casa come al lavoro.
Ogni cosa aveva un suo posto, e ogni posto aveva una sua cosa.
Il dentifricio dentro il bicchiere con lo spazzolino, le scarpe nella scarpiera, i vestiti nell’armadio, il cibo nel frigo.
A ogni cosa il proprio posto, a ogni posto la propria cosa.
A Heat l’ordine piaceva in ogni ambiente della sua vita.
Come anche nei sentimenti.
Voleva capire perchè Wire si rabbuiava quando la sua squadra del cuore perdeva una partita, perchè sospirava ridendo quando apriva il frigo cinque volte, o sette se era domenica, per prendere il latte, come voleva capire perchè rideva mentre lo vedeva giocare con Momonosuke e Hiyori,  i bambini dei vicini, a nascondino, nonostante le occhiatacce di Stelly, il loro poco amabile vicino di casa a cui Heat non negava mai un sorriso.
Heat voleva capire.
E voleva essere capito.
Per questo aveva chiesto a Wire di uscire con lui quindici volte di fila per il loro primo appuntamento. Alla settima gli era sembrato che avesse tentennato nel rispondergli che sarebbe uscito con lui volentieri, e aveva continuato per sicurezza.
A Heat non piacevano tante cose, ma gliene piacevano molte di più.
A Heat piacevano gli abbracci, forti e lunghi, la frutta a buccia rossa, giocare, il suo lavoro, le giornate di sole.
A Heat piacevano un sacco di cose.
Tra queste vi era Wire, e il moro sentiva il petto allargarsi ogni giorno di più, alle sette e mezzo di mattina per essere precisi, quando si congedavano l’uno dall’altro per andare ai rispettivi impieghi, e Heat lo baciava dodici volte, diciotto se pioveva, in modo impeccabile e simmetrico sull’intero volto, finendo poi il suo rituale con un sorridente: Heat ti ama Wire.
E Wire si sentiva rinascere.
Ogni singola mattina.
Erano andati a convivere insieme appena un mese dopo essersi conosciuti sopra a mattonelle grigie di una piazza, evitando quelle arancioni.
Avevano preso casa e l’avevano resa loro.
Insieme alle mille manie di Heat, a volte difficili da sopportare.
Una casa in cui la luce, di sera, prima di coricarsi, andava spenta e accesa, spenta e accesa, spenta e accesa dieci volte.
Per essere sicuri che nessun’ombra, al buio, apparisse e prendesse Heat.
Una casa dove i fiori dovevano essere solo bianchi, perché così potevano essere di tutti i colori che si voleva immaginare, gli asciugamani gialli e le tazze azzurre.
Una casa dove alle dieci di sera la porta veniva chiusa a due mandate, tre se quel giorno Heat aveva avuto paura di qualcosa, per ben diciotto volte: nessuno doveva entrare a casa loro di notte.
Una casa dove Heat si era sentito sempre protetto e accettato, e dove Wire aveva trovato pace e amore.
Una casa.
La loro.
Dove gli amici venivano a trovarli.
Dove la domenica si preparava il polpettone, una casa dove si viveva ma soprattutto ci si amava.
Non importava quante volte Heat aprisse e chiudesse il frigo, o se la luce veniva accesa e spenta diciotto volte ogni sera.
Non importava.
Non doveva importare.
Non aveva mai importato.
Non importava quanto snervante fosse diventato il continuo schioccare della chiave nella serratura della porta ogni sera, solo al settimo apri e chiudi.
Non importava quanto noioso fosse il polpettone a ogni domenica.
Non importava la routine cinematografica delle loro sere, ripetuta settimana dopo settimana.
Non era mai importato quanto difficile fosse spiegare a Heat i propri sentimenti più e più volte per renderglieli chiari.
Non era mai importato.
Per un pò.
Poi era diventato tutto pesante, tutto difficile, tutto snervante, tutto troppo complicato, anche rispondere a Stally e alle sue quotidiane proteste per questo o quell’atteggiamento inspiegabile di Heat.
Wire se n’era accorto e si era lasciato sopraffare.
Col cuore pesnate, si passò la mano sul volto, fermandola sulla bocca e fissando il cielo notturno.
Non vi erano stelle, le nuvole cariche di pioggia per l’indomani coprivano ogni baglione naturale, e solo i lamioni provavano a rischiarare il buio nel quartiere.
Ruotò su se stesso, osservando le case pigramente illuminate dall’interno o dalle luci esterne dei giardini, emettendo piccole nuvole di condensa dalla bocca lievemente socchiusa.
Era buio, era sera, ed era freddo.
In più era mercoledì.
-I documentari naturali- parlò senza accorgersene Wire, non staccando gli occhi da una casa dal cui interno il bagliore di uno schermo indicava la presenza dei suoi inquilini.
Il mercoledì era la serata dedicata ai documentari naturali, lo sapeva bene.
Heat li adorava.
Forse non capiva tutte le nozioni della voce narrante, ma restava stregato dai movimenti e dagli habitat dei protagonisti animali.
Andava a dormire con un sorriso enorme e stringeva forte la mano di Wire tra le lenzuola, che non riusciva a staccare gli occhi da lui.
Anche quella sera avrebbe dovuto concludersi con i suoi occhi posati sul ragazzone dai dreadlocks azzurri e non a quel modo.
Non con lui che urlava e usciva rabbioso dalla loro casa, lasciando Heat da solo in un notte buia.
Non ricordava nemmeno cosa aveva detto, ma non avrebbe mai potuto dimenticare gli occhi spalancati e indifesi del suo compagno mentre gli urlava contro di smetterla, smetterla!, di aprire e chiudere la credenza nella sua litania serale nel controllare di aver sistemato le stoviglie con dovuta precisione.
Aveva avuto una giornata pesante al lavoro, il suo progetto non era stato approvato, era rimasto imbottigliato nel caos cittadino e quando era arrivato a casa, Stelly gli era piombato addosso come un avvoltoio, emergendo dalla staccionata che divideva le due abitazioni, reclamando il caos prodotto da Heat e dal suo passeggiare insistentemente nel giardino per innumerevoli volte, le luci accese e spente in pieno giorno, e le orribili urla che aveva lanciato giocando con i bambini dei vicini.
-Momonosuke e Hiyori sono bambini- aveva cercato di rabbonirlo, impegnato a trovare le chiavi nella ventiquattrore di lavoro, che si era aperta lasciando cadere a terra tutto il suo lavoro.
-Parlo di quell’essere con cui convive, mr Wire!- aveva rimbeccato il vicino, raggelando il sangue nelle vene del corvino.
-A volte mi domando come faccia a vivere con un tale personaggio: i suoi continui tic nervosi, le abitudini malsane… e quei capelli!-
Wire non era riuscito ad aprir bocca.
-È da internare: un pazzo, ecco cos’è! Ci credo che il padre lo riempisse di botte: lo aveva logorato-
Era riuscito solamente alzato gli occhi sul vicino, che aveva continuato la lunga lista di difetti del suo compagno, allontanandosi borbottante dalla staccionata e lasciandolo solo in balia della bile che aveva aumentato di volume nel suo stomaco.
Era entrato in casa furioso, e quando Heat aveva aperto e richiuso per la quinta volta il mobile dell’armadio, era esploso, urlando anche lui.
Inveendo anche lui contro Heat e le sue abitudini.
Ricordava gli occhi del compagno dilatarsi, il suo sorriso infantile appiattirsi, e le mani scivolare dall’armadietto della cucina.
L’aveva visto spalancare la bocca, forse per parlare, ma dalla sua gola era uscito solo un verso strozzato.
Confuso.
Heat non capiva perchè Wire gli avesse urlato addosso, e nemmeno lo stesso moro lo sapeva.
Per questo era scappato.
Per questo era uscito di casa furente e aveva iniziato a camminare a passo svelto, calpestando ogni stupida crepa tra le lastre del marciapiede, senza giacca e con una meta sconosciuta.
Perchè non sapeva cosa l’aveva fatto scoppiare, ma sapeva cosa aveva causato.
-Cos’ho fatto...- si passò una mano tra i fini capelli neri, la crocchia scomposta.
Si era lasciato sopraffare dagli eventi della giornata.
No, peggio.
Si era lasciato investire dalle parole di Stally e non aveva alzato un sol dito, nemmeno una sola sillaba, contro il vicino insofferente per le grida gioiose e giocose dei vicini felici.
Non aveva difeso Heat.
Non aveva risposto a Stally che forse vedeva quanto fosse difficile vivere con il suo compagno, ma non vedeva le gioie, i momenti felici e le piccole cure che quell’essere, come l0 aveva chiamato lui, gli donava gratuitamente, senza chiedere in cambio nulla.
Nemmeno un bacio, una dichiarazione o una carezza.
Heat amava Wire.
Lo amava e  non importava dove fossero, a casa o in una piazza dai ciottoli grigi e arancioni, Heat glielo aveva sempre dimostrato.
E lui?
Lui l’aveva lasciato a casa, da solo, in una notte buia, da solo, con l’eco delle sue parole, da solo!, mentre scappava da ciò che non era riuscito a fare.
Un nuovo moto di rabbia gli prese il petto e, incapace di fermarsi, riprese a correre per il quartiere.
Questa volta sapeva qual era la sua meta: casa.
Quanto era stato stupido.
Si era perso, perso nel caos giornaliero, nelle parole di un vicino di casa cieco e ottuso, perso nei difetti del compagno invece che nei pregi.
Il respiro pesante gli bruciava il petto mentre sbatteva forte i piedi sull’asfalto, mentre si rendeva conto che le dieci erano passate da un pezzo e che forse Heat aveva già chiuso e riaperto a tre mandate per diciotto volte la porta di casa.
Da solo!
Col buio fuori, nel giardino dove di giorno giocava.
Col buio dentro, dopo aver acceso e spento il lucernario della loro camera dieci volte.
Da solo.
In una casa dove Wire gli aveva urlato addosso.
In una casa che forse ora non sentiva più sua.
Rischiò di scivolare a terra quando percorse la curva del marciapiede, entrando nella sua via e intravedendo casa propria.
Il cuore fece un tuffo all’indietro nel notare la luce accesa al suo interno, e la paura che Heat fosse uscito -al buio!- da solo a cercarlo gli attanagliò il petto.
-Heat!- saltò la staccionata, salendo i pochi scalini del porticato ed entrando rapido in casa, sconvolto nel trovare la porta aperta dopo le dieci di sera.
Sconvolto nel trovare Heat, in piedi, fermo se non per i piedi che pestavano nervosi il tappeto del salotto illuminato, nel centro della stanza.
-Heat…- deglutì a fatica, avanzando di un passo verso di lui.
Heat gemette piano, avanzò di un passo ma poi si ritrasse.
E a Wire il cuore si frantumò.
-Heat- lo chiamò ancora, chiudendo la porta dietro di sé e porgendogli una mano -Heat mi dispiace io…-
-Heat ha pensato- lo zittì bruscamente.
Non vi era rabbia o delusione nella sua voce. C’era solo la voglia di farsi capire.
Wire riunì le labbra e annuì in ascolto.
-Heat ha pensato- si ripetè il ragazzo dai dreadlocks azzurri -Che a volte Heat fa cose strane. A volte Heat fa arrabbiare le persone- alzò gli occhi su di lui -Heat non vuole fare arrabbiate Wire-
Il moro scosse il capo e si avvicinò ancora.
-Non sono arrabbiato, non con te-
-Heat non vuole che Wire va via. Non vuole che prende sue cose e va a vivere in altra casa: questa casa di Wire e Heat- picchiò piano un piede a terra -Ma soprattutto Heat no vuole che Wire va via perchè se Wire va via allora… Heat no può più baciarlo-
La mano di Wire tremò, ma il moro si impose di non osare nemmeno di abbassarla.
-Heat non vuole che altri bacia Wire- arricciò il naso e scosse i rasta color del cielo di giorno -Altri no sa come baciare in modo perfetto Wire: Heat sa. Heat vuole baciare sempre Wire. Però-
I loro sguardi si incrociarono e Wire sorrise incoraggiante.
-Però?-
-Però se Heat fa arrabbiare Wire allora Wire va via-
-No Heat non-
-Allora Heat lascia porta aperta- continuò come se l’altro non avesse parlato, tendendo il braccio verso l’uscio -Così Wire può entrare. Allora Heat lascia accesa luce- indicò il soffitto da cui il lampadario li illuminava -Così Wire vede luce e sa come tornare a casa- ripiegò il braccio al fianco -A casa da Heat-
Mosse un passo verso Wire, evitando il braccio teso del moro e fiondandosi a far combaciare i loro petti, abbracciandolo con forza, troppa come piaceva a lui, e a lungo.
-Perchè Heat ama Wire-
Wire chiuse gli occhi e si lasciò cullare.
-Heat- sospirò, stringendolo forte a sé -Anche… anche Wire ama Heat-
Si sentiva a casa in quell’abbraccio, pensò Wire.
A casa accanto a un uomo dai dreadlocks azzurri che aveva chiuso la porta a chiave a due mandate solo dieci volte.
Che aveva spento e riacceso la luce della loro camera solo sei volte.
Che aveva baciato sulle labbra per venti e più volte.
Lui, non Heat.
Si sentiva a casa con lui e le sue mille routine nervose e maniacali.
Con i suoi sorrisi e gli occhi profondi e neri.
Con le sue urla di gioco con i bambini dei vicini.
Con le sue braccia forti a trattenerlo nel saltare dall’altro lato della staccionata mentre minacciava Stally  di riempirlo di quelle famose botte che secondo lui Heat aveva meritato, se avesse di nuovo osato parlar male del suo compagno.
Con i suoi passi saltellati su marciapiede dove le crepe venivano accuratamente evitate, ma con sempre il suo sorriso, pronto a indicargli la via per fare ritorno se si fosse mai perso.
Fare ritorno a casa.
Da Heat.










Angolo Autore:
In ritardo ma arrivo anch'io a partecipare all'evento di Fairy Piece: lo Yuri&Yaoi's 3Days.
Se siete arrivati fin qui vi devo un profondo ringraziamento e forse anche una piccola spiegazione. La routine giornaliera di accendi/spegni, apri/chiudi di Heat possono essere caratteristiche della sindrome di Asperger, ma oltre a ciò mi sono state ispirate da questo video. Non so se definirmi soddisfatta di questa OS; fingiamo di si.
Vi ringrazio per l'attenzione e vi saluto con un sorriso suadente come quello del nostro dottor Weisz: smile!

 
   
 
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