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Autore: Hinata_River93    26/11/2019    3 recensioni
"[...] Il mio sguardo è rivolto fittamente al soffitto, ma le immagini che ripassano davanti gli occhi sono quelle di una serata che mi sarà impossibile dimenticare per il resto della vita: io e Jungkook abbiamo avuto un appuntamento."
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
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Ore 3.00 del mattino e di dormire non se ne parla.
Non è di certo il caldo di questa insolita notte tropicale a non farmi chiudere occhio, né tantomeno i tonfi sordi delle gocce d’acqua nel lavello della cucina.
Il mio sguardo è rivolto fittamente al soffitto, ma le immagini che ripassano davanti gli occhi sono quelle di una serata che mi sarà impossibile dimenticare per il resto della vita: io e Jungkook abbiamo avuto un appuntamento.
Non di lavoro, come quelli tenuti in agenzia da sei mesi a questa parte: finora avevamo sempre parlato seduti l’uno di fronte all’altra ai capi opposti di un enorme tavolo, mai da soli ma in compagnia degli altri membri del gruppo e degli agenti. Ad esser sincera, non si può nemmeno dire parlassimo tanto, io e lui, durante questi incontri particolarmente formali: sono pur sempre una semplice stagista e per ora è importante che ascolti chi ne sa più di me in merito ad attività di managment.
È però innegabile che i nostri sguardi si siano incrociati più e più volte. Intensamente.
Ad esempio, l’altro ieri, in occasione di una riunione piuttosto impegnativa relativa alla promozione del nuovo disco, la mia attenzione, inizialmente rivolta ai grafici affissi al muro, è stata ad un certo punto attirata dalla sagoma di Jungkook, intenta ad estraniarsi da quanto stesse avvenendo in quel momento: piuttosto che ascoltare, potevo vedere chiaramente le sue labbra scandire i versi di So What, mentre le lunghe dita facevano ruotare vorticosamente una matita su di un foglio bianco. Era evidente si stesse concentrando su quell’attività così poco stimolante per non dover pensare alla serie infinita di chiacchiere - noiose quanto necessarie - su percentuali, budget e vendite. Tuttavia, non era arrivato ad un livello di isolamento tale da non accorgersi che lo stessi osservando: infatti, improvvisamente ed inaspettatamente, sentì il suo sguardo fisso su di me.
Sobbalzai.
Era già capitato altre volte, ma solo ieri mi resi davvero conto di quanto fossero grandi e profondi i suoi bellissimi occhi neri.
E di quanto le sue labbra rosee, seppur sottili, apparissero morbide e sensuali, inarcandosi leggermente agli angoli della bocca formando quel sorrisetto malizioso che lo contraddistingueva da chiunque altro.

In quel momento realizzai che si stava prendendo gioco di me, essendo diventata più rossa di un tizzone. Un po’ infastidita dalla sua sfrontatezza, feci per distogliere lo sguardo, passandomi freneticamente una mano fra i capelli, quasi a voler far credere mi fossi semplicemente distratta. Nonostante la mia attenzione fosse tornata sui grafici, potevo ancora avvertire, lungo il collo teso, una strana sensazione, come se Jungkook lo avesse puntato: mi stuzzicava e divertiva il pensiero potessero piacergli i miei capelli cadere mollemente lungo la spalla scoperta.
A ripensarci, credo che proprio questo episodio – il nostro reciproco scambio di sguardi - abbia innescato la serie di eventi che mi hanno portata a quanto accaduto la sera scorsa.

A riunione conclusa, mi attendevano le macchinette del caffè nella reception dell’agenzia; l’atmosfera era insolita: tutti avevano fatto ritorno nei loro rispettivi uffici, ed anche i ragazzi erano già di nuovo operativi in sala prove; nei corridoi, adesso, risuonava solo la eco dei miei pensieri, ancora fermi al momento preciso in cui Jungkook mi aveva fulminata con i suoi occhi penetranti poco prima. Il tintinnio delle monetine nel distributore mi fece rinsavire per un attimo: un caffè caldo avrebbe aiutato a distogliermi dal vortice di immagini che affollavano la mente; con la punta della lingua, mi inumidì le labbra, fantasticando su quelle di Jungkook intente a marchiarmi il collo...
“... Amaro?”
Trasalì.
Di scatto, guardai nel vetro del distributore: esattamente dietro di me, abbastanza vicino da poterne percepire il calore del corpo lungo la schiena, riconobbi i morbidi riccioli neri incorniciare quel viso dai lineamenti così ben marcati. Era Jungkook.
“Eh?!”
“... Lo prendi amaro?” – Ribadì.
Mi osservava, giustamente, interdetto: la sorpresa di trovarmelo a meno di dieci centimetri mi aveva colta impreparata; il mio sguardo lasciava trasparire una sensazione di panico camuffata da fastidio. Inoltre, avevo dimenticato di zuccherare il caffè.
“Agh! Che scema...!”
“Lascia...”
Una stretta decisa mi spostò delicatamente verso destra: potevo avvertire il calore emanato dal suo corpo irradiarsi lungo il mio braccio dalle lunghe dita, le stesse che pochi minuti prima mi avevano distratta durante la riunione. Sempre attraverso il vetro, non potei fare a meno di notare la tensione del suo avambraccio nel compiere questo gesto che, come quello precedente, mi lasciò di sasso. Dovevo reagire.

“Ma tu non dovresti essere in sala prove?” – Chiesi, fintamente stizzita.
“No, non dovrei...” – Rispose, quasi con aria di sufficienza, senza rivolgermi lo sguardo, assorto com’era nel selezionare la quantità di zucchero. – “Ho altro da fare.”
“...Tipo?!” – Forse stavo esagerando nel rivolgermi a lui in quel modo, ma era più forte di me. L’immagine di quel suo sorriso malizioso rivoltomi poco prima, in ufficio, mi dannava.
Alzò lo sguardo, stavolta rivolgendolo verso di me. Rimase un secondo in silenzio ad osservarmi... Poi si lasciò andare ad una risata fragorosa. – “Ma fai sempre così?” – Mi chiese divertito, porgendomi il caffè caldo.
“...Così come?!” – Mi opposi al suo scherno con un’occhiataccia, sottraendogli la tazza con un gesto fulmineo. Non appena stretta fra le mani, realizzai di star effettivamente esagerando. Distolsi lo sguardo, sistemandomi nervosamente le ciocche di capelli dietro l’orecchio; continuai sommessamente, dicendogli: “... Comunque, grazie per il caffè”.
Sogghignò. Ebbi la sensazione che stesse di nuovo sfoggiando quel suo sorriso malizioso, ma non feci in tempo a notarlo. Non solo perché avevo ancora lo sguardo basso per via dell’imbarazzo, ma anche perché l’attenzione si spostò sul gesto che segnò la mia dipartita: sistemò le mani nelle tasche dei pantaloni e, chinando leggermente la schiena in avanti, cominciò ad avvicinarsi pericolosamente a me. Ebbi la reazione spontanea di girarmi, ritrovandomi il suo viso a meno di dieci centimetri dal mio: ero pietrificata.
Lo lasciai fare, senza avere la minima idea di cosa stesse succedendo. Sentivo solo di perdermi sempre più in quegli stupendi occhi color antracite. Virò in direzione dell'orecchio che avevo scoperto poco prima: le nostre guance si sfiorarono ed un brivido di freddo, in contrasto con il calore che il mio viso paonazzo sprigionava, mi increspò la pelle.
Sentivo il suo respiro farsi sempre più vicino al mio collo: possibile che quanto fantasticato pochi minuti prima si stesse effettivamente realizzando?
Lo stronzo estrasse la mano destra dalla tasca e la avvicinò lentamente alla zona erogena - l'incavo tra la spalla e il collo -, puntando l'indice come a volermi solleticare.
"Jungkook..." - Rantolai.

Silenzio.

Poi cominciò a sussurrare.
"... Attenta ad arrabbiarti ché ti scomponi" - Ridacchiava, mentre qualcosa di sottile schioccò sonoramente sulla pelle: con l'indice aveva tirato su la spallina del top, cascata nel sottrargli impetuosamente il caffè.
Ero in fiamme.

"Adesso devi andare." - Dissi, sorretta da quel poco di decisione rimastami, mentre il tentatore, con aria sorniona, tornava in posizione eretta. Girò su se stesso e, come se nulla fosse accaduto, se ne andò, intonando il fischiettio di DNA.
Nell'allontanarsi spavaldamente, mi rivolse un ultimo sguardo, dicendo: "Domani il caffè lo offri tu!"
Sì, tutto deve essere iniziato proprio da quella maledetta matita.

Decisamente.
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Impalata, lo guardavo allontanarsi, mentre molleggiava al ritmo di quell’irritante fischiettio, tenendo comodamente le mani in tasca. Da queste, sbuffavano le maniche della camicia a quadri, i cui lembi ondeggiavano seguendo l’andatura del suo corpo. Si faceva sempre più piccolo man mano che percorreva il lungo corridoio; poi, girò di scatto a destra, scomparendo definitivamente dalla mia vista.

Sembrava quasi che le gambe non mi reggessero, percorse com’erano da uno strano formicolio che le rendeva tremanti; dalla vita in su, invece, ero tutta un fuoco: l’eccitamento di qualche attimo prima aveva fatto spazio alla rabbia. Mi sembrò di digrignare i denti mentre accartocciavo tra le mani il bicchiere; nelle pieghe delle dita sentì farsi strada il caffè, fino ad arrivare al palmo: doveva essere bollente, ma me ne resi conto solo quando, raggiunto il bagno, notai delle ustioni leggere lungo il dorso della mano. Guardandomi allo specchio, notai anche che dalla scollatura divampava, invece, un rosso accesso: quasi si confondeva con il fucsia satinato del top che indossavo.

Dovevo calmarmi.

Sbattei le mani sul lavandino ed aprì con un gesto poderoso il rubinetto: sotto il getto dell’acqua gelida, rinfrescai prima i polsi, dai quali partì un brivido che si irradiò lungo il braccio, giungendo fino al punto del collo che, poco prima, Jungkook aveva sverginato con il suo respiro...
Un’istantanea sensazione di refrigerio mi pervase non appena sciacquai il viso; passandomi poi la mano umida fra i capelli, tirai indietro la testa, volgendo lo sguardo vacuo al soffitto, proprio come mi ritrovo a fare ora nella solitudine di questo appartamento. Pur non guardandomi, avevo la certezza che il viso fosse inespressivo, nonostante internamente si affollassero emozioni contrastanti; ero troppo irritata dal fatto che, nell’arco di soli dieci minuti, fosse riuscito a prendersi gioco di me per ben due volte, mentre io non ero stata in grado di oppormi in alcun modo, se non fingendo stizza. Allo stesso tempo, ero intrigata dal feroce turbamento che la sua presenza mi provocava; si insinuava prepotentemente un pensiero malizioso: che valesse lo stesso anche per lui?

Non sarei riuscita a dare risposta certa ad un tale quesito fino a quando non ci fossimo incontrati di nuovo l’indomani - ieri, appunto. Nella testa mi rimbombava il modo in cui si era congedato. “Domani il caffè lo offri tu!”, aveva detto. Dopo l’ennesima riunione, durante la quale, stavolta, nulla degno di nota era accaduto, mi diressi come di consueto ai distributori. Si faceva insistente la convinzione che mi avesse presa di nuovo in giro: mi avrebbe aspettata fuori dall’ufficio se avesse voluto dar fede alle sue parole; invece, senza degnarmi di uno sguardo, si era diretto spedito verso gli studi di registrazione insieme agli altri ragazzi.
Accelerai il passo, ormai infastidita dalla certezza del suo atteggiamento insolente. Piombai davanti i distributori e selezionai un caffè, anche stavolta amaro: presa com’ero dai pensieri, avevo nuovamente dimenticato lo zucchero. Bevvi tutto d’un fiato per dirigermi prontamente verso l’ascensore: avrei recuperato le mie cose in ufficio e me ne sarei tornata a casa, non prima di aver fumato una sigaretta in cima al palazzo per stemperare il nervosismo. Non appena varcate le soglie dell’ascensore, guardai fisso il quadrante per la selezione del piano, accanendomi nel premere sul bottone che riportava il numero 8.

“... Ma dove stai andando?” – Una voce mi scosse. Voltandomi verso l'uscita, lo vidi, era proprio lui: Jungkook aveva di nuovo quell'espressione interdetta, della quale stavolta non capivo la motivazione. Era stato lui a darmi appuntamento e stesso lui a darmi buca. Cosa voleva ancora?
“A fumare... Perché?” – Chiesi, fingendo indifferenza.
“Hai un caffè in sospeso, ricordi?” - Nel pronunciare queste parole, bloccò le porte dell'ascensore, che intanto  stavano chiudendosi, entrando con un balzo. Quel gesto mi spiazzò, facendomi leggermente indietreggiare. Di nuovo, eravamo a pochi centimetri l'uno dall'altra ed io cominciavo ad avvertire una strana sensazione di calore lungo tutto il corpo. Poi continuò: “Avevo lasciato in sospeso una cosa in sala, stavo arrivando”. Quante inutili giustifiche, pensai tra me e me.
“Parli come se qualcuno ti stesse aspettando” – Risposi, tenendo lo sguardo fisso sulle porte che si chiudevano mentre accennavo un sorriso sghembo, soddisfatta della risposta che gli avevo servito. Con la coda dell’occhio, notai Jungkook voltarsi: mi squadrò da capo a piedi ed emise un “Pff...”, per poi rimanere in silenzio qualche secondo. Dopodiché, si sporse a lato: passandomi davanti, coprì la visuale delle porte ormai chiuse e pigiò con decisione il bottone che segnava l’ultimo piano; nel muoversi, una scia del suo profumo avvolgente mi inebriò, portandomi a chiudere spontaneamente gli occhi e ad inspirare. Li riaprì nel momento preciso in cui lui, nel tornare indietro, mi rivolse uno sguardo fulmineo e penetrante. Credevo si fosse trattato di un gesto incondizionato, fin quando, di nuovo al suo posto, con il suo solito fare strafottente, non disse: “... Sai, i bottoni esistono per un motivo.”
“... Cosa ?!” – Dissi, scattando verso di lui con sguardo interdetto.
“La camicia ... ” – disse fissando davanti a sé – “... Dovresti chiuderla.”
Lentamente, volsi lo sguardo in basso e d’improvviso una vampa di calore mi pervase: la camicia era sbottonata proprio al centro, rendendo visibile l’intimo a chi si fosse trovato di fronte. Non riuscì a trattenere la mia espressione di estremo imbarazzo, strabuzzando gli occhi mentre richiudevo maldestramente quella traditrice. Intenta nel rimettermi in ordine, senza fiatare, sentì distintamente Jungkook ridacchiare, compiaciuto di esser riuscito a sbeffeggiarmi ancora una volta: avrei voluto sbatterlo contro la parete dell’ascensore, strattonandogli la camicia e rivolgendogli il mio sdegno con i peggiori insulti. Optai però per la carta del silenzio, limitandomi ad una delle mie occhiatacce in cagnesco accompagnata da un verso molto simile ad un ringhio: mi sarei vendicata, ma non era quello il momento giusto.

Giungemmo finalmente all’ultimo piano: come le porte si aprirono, mi diressi spedita verso il terrazzo, lasciando indietro Jungkook che intanto si dirigeva rilassato ai distributori posti sulla destra della soglia che ci avrebbe condotti all’esterno. Si comportava come se nulla fosse accaduto.
“... Ma si può sapere che fretta hai?” – chiese, inconsapevole (o forse fin troppo conscio) dello scombussolamento emotivo che la sua esternazione in ascensore mi aveva causato. Mentre lo ignoravo fingendo di non sentire, estrassi dalla borsa un accendino e, poggiandomi sulla ringhiera che contornava l’ampio terrazzo, lasciai che il fumo portasse via con sé la rabbia gustandomi una sigaretta. Nel mio girovagare incessante di pensieri, emisi spontaneamente un seccato “mah!”, senza rendermi conto del fatto che il responsabile dei miei scompensi emotivi si fosse avvicinato: realizzai quanto fosse vicino soltanto quando cominciò a canticchiare a bassa voce Euphoria, ispirato probabilmente dai colori accesi del tramonto che si palesava davanti i nostri occhi. Questo era un colpo ancor più basso dei precedenti: non potei far a meno di intenerirmi, prestando attenzione alla dolcezza della sua voce... Allo stesso tempo, avvertivo però distintamente i battiti del mio cuore farsi più frenetici, mentre un nodo alla gola rendeva i miei respiri spasmodici. Dovevo mantenere il controllo, perciò inspirai profondamente, osservando la cenere della sigaretta – che si stava ormai fumando da sola - precipitare nel vuoto. Non un filo di vento: solo il suono dei miei battiti, ormai in sincrono con la voce di Jungkook.
Non so cosa avrei dato per far sì che quel momento durasse per sempre.

D’un tratto, quel magico torpore fu interrotto da un’altra delle osservazioni non richieste della canaglia che mi stava accanto. “Il fumo fa male.” – sentenziò, stringendo fra le mani il bicchiere di caffè fumante. “Non lo avrei mai detto” – risposi, tradendo l’atteggiamento indifferente di poco prima con un tono alquanto sarcastico. Non riuscivo a capire perché non la finisse di insolentirmi. “Per quanto possa darti fastidio, ho ragione io e faresti bene a smettere” – disse, girandosi di scatto, lasciando andare la schiena all’indietro mentre si stravaccava, poggiando i gomiti lungo la ringhiera; raggiunta la posizione più comoda, si concesse un altro sorso di caffè. Nonostante per tutto il tempo avessi mantenuto lo sguardo fisso davanti a me, con la coda dell’occhio potei notare Jungkook girarsi e squadrarmi, per poi lasciarsi andare ad uno dei suoi soliti sorrisi irritanti. In quell’istante capii che il momento giusto per servire la mia vendetta era arrivato.

Con una calma solo apparente, continuai ad osservare i colori del tramonto farsi sempre più fiochi: diedi un ultimo tiro alla sigaretta, trattenendo il fumo mentre spegnevo la cicca, calpestandola sul pavimento del terrazzo; invece di dirigermi verso l’ascensore, d’improvviso virai verso Jungkook, colto impreparato di fronte questa mia inaspettata presa di posizione: lessi nel suo sguardo lo stesso sbigottimento provato da me il giorno prima ai distributori. Era in trappola.
Lo guardai intensamente mentre poggiavo una mano sulla spalla per avvicinarmi con veemenza al suo volto: notai i rimasugli del caffè che aveva poco prima sorseggiato contornargli le labbra socchiuse. Data la vicinanza pericolosa tra le nostre bocche, ero tentata dal lasciarmi andare completamente: per un attimo ho creduto sarebbe andata a finire proprio come entrambi avremmo voluto... C’erano però ancora dei conti in sospeso da regolare. Fu così che, con i miei occhi nei suoi, gli soffiai in pieno viso il fumo aspirato qualche attimo prima.  “Se il fumo ti dà tanto fastidio, stammi lontano... Sempre che tu ci riesca.” – dissi, sussurrandogli all’orecchio mentre era totalmente pietrificato, lasciando cadere il bicchiere ormai vuoto che stringeva in una mano. Lo osservai un’ultima volta profondamente, sogghignando, prima di allontanarmi e lasciare che sul mio volto prendesse spazio l’imbarazzo: non potevo credere di esser stata una tale stronza. Mi girai di scatto, guadagnando nervosamente l’uscita che mi avrebbe condotta agli ascensori, ma poi mi sentì strattonare. Jungkook mi aveva tirato a sé: l’impotenza di pochi attimi prima era già scomparsa e io mi ritrovai nuovamente inerme.
Anche solo specchiandomi nei suoi occhi potevo notare il colorito paonazzo che il mio viso aveva assunto: possibile che la risolutezza di qualche secondo prima fosse già scomparsa? Non feci in tempo a darmi una risposta che avvenne l’irreparabile: le nostre labbra si unirono e io non potei far altro che lasciarmi andare chiudendo gli occhi.
Il sapore del fumo si unì a quello del caffè, dando origine ad un’amarezza piacevole, fortemente in contrasto con la dolcezza dei movimenti sinuosi che, poco alla volta, si impossessavano della mia bocca. Le mie braccia scendevano tese lungo i fianchi, perché bloccate dalla sua presa decisa e sicura: in quelle condizioni di totale immobilità, mi fu impossibile fermarlo – ma in fondo, chi avrebbe mai voluto impedirglielo ? – dal procedere voracemente verso il collo, marchiandolo proprio nel punto che il giorno prima aveva solo sfiorato con il suo respiro. In questo impeto, dai suoi morbidi riccioli neri si diffuse un odore di buono, simile a vaniglia, ed io inspirai per poi irrompere, nel concerto di schiocchi e sospiri, con un gemito incontrollabile...

“Jungkook!... JUNGKOOK!” – una voce squillante, proveniente dall’interno dell’edificio, si intromise. “Ma dove sei?!” – continuava. Man mano che si avvicinava, potevo distinguere sempre più facilmente quel tono inconfondibile: era Jimin.
“Arrivo!” – disse Jungkook, interrompendo bruscamente ogni nostro contatto. Senza dir nulla, corse via, rivolgendomi un ultimo sguardo soltanto quando raggiunse la soglia.
Nel farlo si fermò e, continuando a fissarmi, assunse una posizione rilassata, proprio per evitare che qualcuno sospettasse un incontro fra noi non propriamente casto... Intanto, la sagoma di Jimin si faceva sempre più evidente mentre procedeva lungo il corridoio.
“Finalmente! Che fine avevi fatto? ... Ma che ... Hai fumato?!” – Chiese il collega, stupito nel percepire che dai suoi vestiti si diffondesse un odore intenso di Winston Blu.
“Ma ti pare... Andiamo.” – Lo liquidò Jungkook, tornando ad ignorarmi. Mentre i due si allontanavano, li osservavo, impalata, di nuovo, cercando di dare un senso a quanto si fosse consumato su quel terrazzo in meno di venti minuti.

Tutt’ora, stesa sul letto, incredula, ripenso a quanto accaduto e mi domando se sia successo davvero. Mi tocco il collo: sento di avvertire ancora la piacevole pressione delle sue labbra sulla mia pelle...
Sbando improvvisamente. La suoneria che annuncia l’arrivo di un nuovo messaggio fa irruzione nel silenzio tombale del mio appartamento.
È lui.
“... Hai sempre un caffè in sospeso.” – mi fa.

Che grandissimo stronzo.
   
 
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