Distrutto, spezzato e tormentato.
Il suo animo non trovava quiete neppure durante la notte - soprattutto durante la
notte.
Il suo mondo grigio e vuoto era un atomo stilettato da lame affilate,
forgiate in un passato ancora più oscuro. Esse creavano
cicatrici profonde,
incidevano la carne e lì rimanevano: tra i muscoli e i
tendini, tra un osso e
l’altro. Il suo cielo era cosparso di stelle e pianeti troppo
lontani da
stringere tra le dita e troppo distanti da schiacciare sotto le suola
delle
scarpe. Nelle sue giornate non esisteva alcuna forma di calore, vigeva
soltanto
un’amara indifferenza ricoperta da una bambagia di ironia e
di arroganza.
Fredda era l’immensità eterna
dell’universo che non decideva mai di abbassarsi
a preoccuparsi delle povere anime che ciondolavano e che si affannavano
senza
meta. Ghiaccio crudo e sottile era l’isolamento in cui si era
relegato,
aggrappandosi ad una patetica forza di volontà nata dal
risentimento, cresciuta
dall’odio e rafforzata dalla consapevolezza di essere stato
tradito da chiunque
- persino dal suo Maestro - e di essere stato abbandonato
da ogni membro della
propria famiglia. Così tanto solo,
così tanto potere
sprecato. La solitudine
aveva assunto la consistenza di una panacea in grado di inglobare
l’anima della sua persona, di masticarla e di rigettarla
nella galassia nelle sembianze di un
involucro vuoto e spaesato. Una trasformazione lenta e dolorosa. Una
muta di
pelle, ossa e sangue di cui chiunque avrebbe riconosciuto i sintomi
soltanto nell’esatto istante in cui il cambiamento sarebbe
oramai diventato
irreversibile. Come i pianeti disgregati dalle lame rosse dei tiranni.
Come i
residui scricchiolanti di alcuni stralci di polvere scura, generati
dalla
collisione di neuroni impazziti, piegati dall’uso di un
affrettato schiocco di
dita. L’universo gridava e nessuno riusciva a percepirlo
nell’ingrossarsi delle
vene: lamenti capaci di strappare le orecchie a mani nude, urla che
nulla
avevano di umano e che tutto avevano delle bestie primordiali. La
sofferenza
sradicava, divorava e conquistava. Non esisteva pietà, non
esisteva compassione.
Non
esisteva misericordia.
Rimaneva
soltanto la certezza di una verità ineluttabile: o sei un
granello di sabbia o sei un colosso di ferro. Ma che significato
avrebbe mai
potuto assumere questa verità ai suoi occhi e alla sua
mente? Lui non era
neppure riuscito a diventare l’ombra di un uomo. Bambino era stato
definito.
Un
bambino spaventato che avvolgeva il suo volto in una maschera nera - un
giocattolo che non rappresentava null’altro se non il suo
patetico tentativo di
eludere ogni timore, ogni confronto e ogni dubbio.
Una maschera che era il suo
nome, era la sua storia, era il suo sangue. Avrebbe dovuto generare nel
suo
animo un senso di confortante appartenenza a un qualcosa - alla sua famiglia,
al suo destino, a ciò che doveva essere e a ciò che
sarebbe potuto diventare -
e invece gli aveva procurato soltanto vergogna. Gli aveva ricordato i
suoi
fallimenti e la sua inferiorità, chi non riusciva ad
eguagliare e chi non
sarebbe mai riuscito ad inorgoglire. La certezza della sua condizione e
la
staticità di certe scomode realtà erano un
groviglio di spine e lenzuola
conficcato con forza nella sua gola. Nodi di schegge che gli
trapassavano la
fronte e che gli occludevano ogni possibilità di fuggire da
se stesso. Perché
non si può mai sapere in quali posti sia più
opportuno rifugiarsi quando delle
notti incolori e indesiderate riescono a rapire la tua attenzione, a
possedere i
tuoi pensieri e a trasformarli in qualcosa di cui pentirsi. Possono
afferrare i
tuoi piedi e legarli a delle punte aguzze di alcune stelle crudeli che
inghiottiscono il loro stesso corpo e si trasformano in buchi neri di
vacua
speranza di salvezza. Possono illuminare ogni desiderio represso negli
angoli
più imperscrutabili della tua mente e ricordarti il tuo
patetico passato e il
tuo ancora più patetico presente. Loro erano la causa per
cui non gli era più
possibile negare la verità che gli stringeva il ventre e gli
fracassava le
costole: ogni notte la
sua presenza confortava il suo petto e dilaniava la sua
anima - dissacrante realtà di un pugno di nervi immerso nel
suo costato
dolorosamente aperto.
Era vulnerabile, sconvolto,
coinvolto. Trascorreva ogni sera crogiolandosi
in una lenta e tortuosa agonia. Perché c’era
sempre Rey al suo fianco. Lui era
sempre più sfiancato dal grave peso del suo quotidiano
comandare e dall’onere
di dirigere le operazioni contro la Resistenza. Nulla pareva
confortarlo. Nulla
aveva le sembianze di una casa.
Quando
Kylo decideva di sdraiarsi e di riposare, non appena spostava le
lenzuola e il suo peso sformava il materasso, compariva la ragazza al
suo
fianco. Lei era lì. Lei era sempre
lì, silenziosa come una maledizione sibilata
dall’anima e non dalla bocca. Immobile, in posizione supina,
ostinata nella sua
decisione di considerarlo alla stregua di un oggetto inanimato e rotto.
Osservava il soffitto e non faceva niente altro. Non gli parlava, non
lo
guardava, non rispondeva mai alle sue domande e neanche alle sue
più dure
parole. Non c'era alcuna soddisfazione nella guerra fredda che si
consumava tra
i loro corpi e le loro menti: erano troppo giovani e troppo inesperti
con le
pedine della loro esistenza. A Kylo non importava il modo in cui erano
erroneamente giunti ai confini di una sfida che nessuno dei due avrebbe
più
avuto la forza di vincere. Lui aveva preferito rifugiarsi - scavando con le
unghie rotte e zeppe di sangue - nel bozzolo del suo
orgoglio ferito e fremente
di impaziente vendetta, un dolore antico che bruciava le sue vene viola
e le
sue ossa oscure. Mentre Rey sembrava aver deciso di non voler
più sprecare la
sua voce e il suo tempo con una tale causa persa. Ogni notte si
rifiutava di
voltarsi o di guardarlo negli occhi o anche solo di sfiorargli le
spalle.
Avrebbe voluto urlare e strappare il Legame. Calpestare il loro Legame
ridotto
in brandelli e chiedere perché - perché,
maledizione, perché, perché - era
costretto a
vivere una tale tortura. Averla vicino e non averla mai.
Sentire ogni notte il
suo respiro, ma mai le sue parole. Osservare soltanto la sua nuca, ma
mai il
suo viso. Non osava toccarla, non osava avvicinarsi, non osava nulla.
Era come
masticare sale e zucchero, inghiottire spine e petali. Una disperazione
infinita che non gli concedeva tregua e che squassava ogni suo giorno e
ogni
secondo della sua vita. Era un tormento di pensieri illogici e
disordinati.
Ti
ho salvato. Ho combattuto per te. Ti avevo soltanto chiesto di restare
al mio fianco. Sai che cosa è significato per me pregarti?
Ti ho chiesto di
restare al mio fianco e ti ho pregata, tu tentennavi e io ti ho
pregata. Ti
prego, ti ho detto. Ti prego.
Tu
hai tentennato e il ragazzino debole e sciocco è tornato.
Ben Solo era
morto, io stesso gli avevo strappato voce e volontà. Era un
ragazzo solo,
spaventato e tradito: doveva necessariamente morire. Credevo che di lui
fosse
rimasto soltanto un ricordo e un rimpianto. Eppure non è
andata così, non è vero?
Ti prego, ti ho detto. Stupido incosciente. Disposto ad umiliarmi pur
di averti
con me. Per te non è stato abbastanza. Per te nulla di
ciò che faccio è mai
abbastanza. Ti prego, ti ho detto, e tu mi hai abbandonato lo stesso.
Ciò che
abbiamo condiviso non ha significato niente. Ciò che
potevamo essere non ti ha
mai interessato e non ti ha mai tormentato, neppure una notte. Io
invece sono qui.
Perso
ad osservare la mia stanza buia e a pregare che questo istante non
finisca mai. Tu, al mio fianco. La Forza ci costringe ad incontrarci
ogni sera.
E ogni sera tu non parli, ogni sera tu non mi guardi. Ho provato ad
allontanarmi da te.
Ma
cercare di allontanarti è come ferire una persona brandendo
il pugnale
dalla parte della lama: il risultato è una mano scavata da
un taglio profondo,
grondante sangue. A cosa ci porterà tutto questo? Quanto
lontani potremo mai
essere? Per quanto tempo ancora? Tu non mi parli, tu sei furiosa.
Vorresti
uccidermi. Colma di ira e di rancore, io sento che vorresti farmi del
male. Lo
sento ogni notte, lo sento da mesi. E sento ancora il tocco della tua
mano
sulla mia pelle. È un marchio che non smetterà
mai di bruciare i miei nervi e
il mio sangue. Mi ricorda che sono ancora vivo.
Angolo autrice.
Ciao a tutti! Spero questo primo capitolo possa avervi incuriosito. Io
amo Ben e Rey in maniera viscerale, spero di aver reso loro giustizia.
Ditemi cosa ne pensate, ne ho un estremo bisogno. Spero anche di poter
aggiornare al più presto :) Tra pochissimo avremo Episodio
IX, evviva!