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Autore: Eliver93    01/12/2019    0 recensioni
"Al mattino, seduto al mio tavolo a lavorare alle mie trascrizioni, ciò di cui mi sarei accontentato non era la sua amicizia, né altro. Mi bastava alzare lo sguardo e trovarlo lì, crema solare, cappello di paglia, costume da bagno rosso, limonata. Sì, Oliver, alzare lo sguardo e trovarti lì. Perché troppo presto verrà il giorno in cui alzerò lo sguardo e non ci sarai più."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO UNO

“MI MANCHI”

 

 

ELIO

Oggi è il primo giorno senza Oliver; ieri gli ho detto addio alla stazione di Crosone, o meglio, i nostri corpi si sono detti addio. Mentre ci guardavamo, poco dopo quell’abbraccio che mi tolse il respiro, non riuscivo a dire una parola. Ero completamente paralizzato, non riuscivo nemmeno a piangere. Oliver continuava a guardarmi, io continuavo a guardarlo e ad annuire, e mi guardavo anche attorno, notando che tutto si stava muovendo così velocemente; e Dio solo sa quanto avrei voluto, invece, che tutto si fermasse. Anzi, no, che tutto tornasse indietro, fino al giorno in cui sei arrivato, ma entrambi con la consapevolezza di quello che sappiamo oggi, così da non perdere il tempo che abbiamo perso, mentre vagavamo nel buio prima di scoprire la luce.

Oliver non riuscì nemmeno a guardarmi, quando era ormai seduto all’interno della sua carrozza. Solo una rapida occhiata, forse per memorizzare il mio volto, nella speranza di non dimenticarlo mai. Era triste. Era triste per me. Sapeva che stavo soffrendo da morire, ma non poteva fare nulla per proteggere il mio cuore dal dolore della nostra separazione.

Ora lui è in America, e mi si spezza il cuore a pensare a quali saranno state le sue sensazioni, quando le sue scarpe hanno toccato terra. Una terra che non era più l’Italia; che non era più il luogo dov’è nato il nostro amore; che non era più noi, ma solo lui. Mi si spezza il cuore a pensare che ora è tutto solo con i nostri ricordi. Certo, quando era arrivato la prima volta era solo allo stesso modo, inteso come unico individuo, ma la solitudine è un qualcosa che si crea quando hai vissuto qualcosa che non c’è più. E lui adesso era solo in un modo diverso, più crudele. E lo stesso destino è toccato anche a me, naturalmente.

Cosa stai facendo, Oliver? Eh? Dai, dimmelo! Prova a comunicare con me con la mente, magari ti sento. Voglio sapere cosa stai facendo in questo momento. Sai, io sono sdraiato sul bordo piastrellato della piscina, questa mattina: il luogo dove ti piaceva tanto stare, mentre io ti guardavo quando tu non te ne accorgevi. Ora sono al posto tuo, indosso la tua camicia azzurra svolazzante, quella che mi hai regalato prima di partire. Ho deciso di nasconderla, per ogni volta che non la indosso. Ho paura che Mafalda la lavi per sbaglio e che cancelli il tuo odore. Non la laverò mai, lascerò che il mio odore e il tuo odore si fondano; almeno loro potranno restare assieme per sempre. Mafalda non deve trovarla. Non voglio che ti cancelli. Che ci cancelli.

Sto impazzendo. Non riesco ad accettare che tu non sia più qui. L’altro giorno, quando ho incontrato Marzia, ero in uno stato pietoso. Non so se si fosse accorta di cosa stesse succedendo, ma sembrava quasi compatirmi. Mi ha chiesto di essere suo amico, successivamente. E io ho accettato, le ho detto che lo saremmo stati per sempre.

Sai, più tardi, avevo intenzione di fare un salto al monumento, quello sulla battaglia del Piave, di cui non ne conoscevi la storia. Lì è dove ti ho confessato tutto, mentre ci giravamo attorno. E quando ti ho detto tutto senza dire niente, tu hai capito ogni cosa, e mi hai detto di non muovermi. Oh, Oliver… non mi sarei mosso da lì per giorni, settimane e addirittura anni se tu non fossi tornato. Ero tuo.

Cosa stai facendo, Oliver? Ancora non hai trovato la maniera di comunicare con me? Guardo il cielo e penso ai tuoi occhi; quelli che avrei guardato fino a che il treno non fosse ormai lontano, se solo non avessi distolto lo sguardo troppo in fretta. Mi manchi.

 

OLIVER

Oggi è il primo giorno senza Elio, sono di nuovo in America. Sembra tutto uguale, ed è così effettivamente: l’unica cosa ad essere cambiata, sono io. Adesso basta fare l’adulto forte, Elio non mi sta guardando. Posso finalmente piangere, e di certo nessuno lo noterebbe in questa giornata di pioggia e l’ombrello basso fino agli occhi. Cosa darei per essere di nuovo sdraiato su quel bordo piastrellato della piscina, l’afa, le chiacchiere che provengono dalle altre proprietà, Mafalda che lava i piatti, Elio che sonnecchia e io che lo guardo. Cosa ho perso. Cosa non riavrò mai più.

Il viaggio in treno, in particolare, è stato il più lungo della mia vita. Non ho avuto il coraggio di guardare Elio fino all’ultimo. Era troppo doloroso vederlo con gli occhi gonfi di lacrime. Sentivo che se l’avessi guardato più a lungo, o mi gettavo io giù dal treno o si sarebbe lanciato lui sul vagone per arrampicarvisi. Ma era inevitabile. La fine è inevitabile. E io sapevo che quella era la fine, molto più di lui.

L’ultima notte, poco dopo aver fatto l’amore, non riuscì a dormire. Lui era crollato. Io no. Io ero tremendamente sveglio e tremendamente cosciente del fatto che l’estate più bella della mia vita stava per diventare soltanto un ricordo. Lì in Italia ho imparato ad aprire un uovo alla coque, ho gustato quel fantastico succo di albicocche, ho appreso pezzi di storia che non conoscevo e ho vissuto la passione, il desiderio, ogni emozione umana. Ho conosciuto Elio e me ne sono innamorato follemente. Cosa darei per poterlo toccare ancora, per baciare i suoi piedi con tenerezza, per vedergli il naso sanguinante e immaginare che la colpa sia mia.

Oliver, Oliver, Oliver… questo te l’ho insegnato io. Ti ho insegnato a scambiarci i nomi, l’identità, a fonderci. Questa è solo una cosa nostra ed è questo il dono più grande che ti ho lasciato.

Ti capita mai di pensarmi, Elio? Mi stai pensando in questo momento? Sono sicuro che non hai smesso, conosco quella testa incasinata, quella testa che ti ho incasinato io. Ma sapessi quanto mi hai incasinato tu.

Ricordo la nostra prima volta, il mattino seguente, quando ti liberasti dalla mia stretta affettuosa. Potevo sentire il mio cuore precipitare. Pensai: “Cosa gli è successo? Si sarà pentito di quello che abbiamo fatto?”

In quel momento sentivo di aver perso tutto il mio potere e che ad averlo eri tu a quel giro. Quel sorriso che accennasti poco prima di proporre un bagno, mi rese vulnerabile come nessuno mi aveva mai fatto sentire. Avevo conquistato tutti: la tua famiglia, i tuoi amici, la gente del posto, gli ospiti, chiunque. Tutti mi vedevano come un ragazzo bello, intelligente, sicuro di se, impenetrabile, gelido, in gamba. E tu, con quel sorriso, mi distruggesti come se non fossi più nessuna di quelle cose.

Non dimenticherò mai quel giorno, davanti al monumento. Mi dicesti quanto poco sai delle cose importanti, e quella frase continua ancora oggi a rimbombare nella mia testa. Mi piaceva come dicevi le cose. Mi piaceva da morire.

Il viaggio che abbiamo fatto assieme, le cascate, le risate, i baci, noi due ubriachi che balliamo di notte come due scemi… Oh, Elio, mi hai regalato qualcosa che nessun altro amore potrà mai regalarmi. Con chiunque finirò nella vita, nessuno sarà mai all’altezza del nostro amore. Nessuno sarà mai all’altezza di te. Nessuno sarà mai all'altezza di ciò che abbiamo vissuto. E quando diventerai un giovane pianista famoso, ti ascolterò pensando che quelle note sono tutte dedicate a me. A noi. E magari penserò anche che vuoi convincermi a tornare da te, suonando la melodia giusta, quella che amavo ascoltare, e che tu per dispetto cambiavi ogni volta.

Oh, Elio, quanto mi manchi.

   
 
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