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Autore: MoeniaDea    08/12/2019    0 recensioni
Durante un violento temporale, un uomo trova riparo dietro a una vecchia porta. Ma una volta dentro, si ritrova in un salotto vittoriano. Lì conoscerà un anziano che si presenterà come Isaia, e quella è la biblioteca di Alessandria.
Genere: Drammatico, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La tempesta batteva sulla costa con violenza. Il vento mi impediva di procedere diritto, verso la mia casa. All’improvviso, svoltando in un vicolo, notai una porta incastonata in una parete di mattoni. Era di legno, con la vernice verde acqua scheggiata. Si trovava sul vicolo traverso a quello in cui mi trovavo, e sembrava che le raffiche non la smuovessero. Mi avvicinai con difficoltà, combattendo il vento. Appena mossi la maniglia, la porta si aprì senza problemi. Entrai, era pur sempre un riparo dalla pioggia.
 
Appena entrai mi sembrò di essere tornato indietro di un secolo. Mi ritrovai in una piccola stanza, con il caratteristico arredamento vittoriano: ovunque piatti, soprammobili, quadri, e qualche riproduzione in gesso di statue classiche. Era una camera abbastanza ampia, illuminata solo da candelabri appesi al muro. Le pareti erano coperte con carta da parati rossa, e la moquette era di una tonalità più scura.
«C’è nessuno?» Ma le mie parole si dispersero nell’aria grave di polvere, senza alcuna risposta.
Davanti a me vi era un’altra porta, sempre di legno ma scura, con al centro una decorazione intarsiata con avorio. Avvicinandomi, notai che era un lavoro di abile maestria, per quanto io non comprendessi l’arte. Il falegname aveva ritratto una scena mitica, nella quale un angelo cadeva giù dalle nubi verso una voragine. In cima c’era una luce abbagliante, al centro della quale stava la figura di un uomo; nella parte superiore, la voragine presentava sulla cima delle fiamme, e in fondo qualcosa che doveva rappresentare il ghiaccio. Ripensando ai miei anni di liceo, conclusi che fosse una scena della Divina Commedia di Dante. Vexilla Regis Prodeunt Inferni. Questo motto era inciso sul fondo del disegno.
Dallo spiraglio sotto la porta vidi una luce arancione, come quella di un fuoco. Sperai tanto fosse un caminetto o una stufa. Ma quando presi in mano la maniglia, la sentii congelata. Il meccanismo sembrava però non esser stato ostruito dal ghiaccio, ed entrai senza problemi.
La stanza davanti a me, rispetto a quella precedente, era completamente spoglia di ogni arredo. In mezzo al rosso della tappezzeria, vi erano solo due poltrone nere. Erano davanti a un grosso camino, realizzato con lucidi mattoni neri. Mi tolsi la giacca fradicia, la misi sul davanzale sperando si asciugasse, e aspettai in piedi di essermi riscaldato un po’ le membra. Le poltrone davanti a me sembravano di velluto, e toccandole lo erano effettivamente. Mi sedetti.
La poltrona era così comoda, e io così stanco, che mi addormentai subito. Sarà stato complice quel misterioso tic tac che iniziai a sentire appena socchiusi le palpebre.
 
Non avevo idea di quando mi svegliai. Il fuoco si era ridotto a un mucchietto di brace, l’unica luce veniva dall’altra stanza, la cui porta era aperta. Avvicinai il mio orologio al fascio di luce, ma la lancetta dei secondi non accennava ad andare avanti. Rimbalzava tra i secondi 13 e 15. Era rimasto fermo alle 14:12.
Rimasi ad osservare le braci, e quando mi decisi ad alzarmi per provare ad uscire da quella misteriosa casa, il fuoco rinacque. Le fiamme spuntarono dai resti del legno e delle ceneri, tornando ad illuminare la stanza.
«Curioso, nevvero?» Disse una voce proveniente di fianco a me.
Sussultai, e girandomi vidi sull’altra poltrona un uomo anziano, vestito elegantemente e con degli occhiali dalla montatura dorata sulle cui lenti si rifletteva la luce del fuoco.
«Mi presento,» Il vecchio si voltò. «Sono Isaia. Bibliotecario e custode della Biblioteca di Alessandria d’Egitto.» E si tolse gli occhiali per pulire le lenti, continuando a osservare le fiamme. «O meglio, per lei è Alessandria d’Egitto, per me è solo Alexándreia. Anche se cambiasse il nome, il concetto sarebbe lo stesso.»
Provai a osservare il signor Isaia, e notai fin da subito nel suo sguardo una somiglianza coi busti di filosofi che apparivano sui libri. Indossava, sopra alla camicia bianca, un gilet grigio consumato, e dei pantaloni dello stesso colore. Mi schiarii la voce.
«Quindi siamo nella famosa biblioteca? Non era andata distrutta in un incendio?»
L’anziano ridacchiò. «Non esattamente. Questa è come un’altra dimensione, per darle un’idea da afferrare senza difficoltà. Ma non è una definizione corretta del tutto. Il sapere custodito in quella maestosa istituzione è nelle stanze di questo palazzo.»
Gli chiesi dove si trovasse di preciso quell’edificio. Lui rispose indicandosi la tempia. Poi si alzò, mi chiamò per nome prima ancora che mi presentassi, e mi fece andare verso una terza porta. Questa era decorata con un’altra scena della Commedia, nella quale Dante e Virgilio interrogavano un vecchio dalla lunga barba, con una parete rocciosa alle spalle. La porta si aprii su una nuova stanza inaspettata.
 
Dall’altro lato dell’entrata, il luogo dove Isaia si incamminò appariva come una biblioteca di notevoli dimensioni, ma entrandovi queste erano ampliate. Il pavimento terminava prima delle pareti, e dai bordi si poteva osservare in basso che le librerie erano infinite verso un abisso luminoso equamente illuminato da fiammelle bianche. La stessa cosa avveniva sopra alle nostre teste: nessun soffitto, ma un eterno proseguire di libri e scaffali. Il vecchio alessandrino saltò su una mensola, come se stesse passeggiando su un marciapiede.
«Qua dentro è conservato ogni scritto dell’essere umano, anche se non nego che vi è una piccola selezione per scegliere ciò che è meritevole di tale diritto. Nel suo tempo, vi è un abuso della carta e delle lettere senza precedenti. Costano così tanto i manuali di grammatica e i vocabolari?»
Nonostante l’iniziale confusione, provai a saltare e seguirlo in quel sentiero tra i secoli. «Ad essere sincero, non ho mai verificato così attentamente. Ma già i costi per i libri necessari allo studio scolastico sono elevati.»
L’anziano ridacchiò. «Signore, come mi dispiace per la sua Umanità.» E continuò a passare da uno scaffale all’altro.
Iniziai ad osservare meglio i libri disposti in ordine: nonostante fosse intuibile la diversa età, erano tutti in perfette condizioni, senza le rilegature rovinate o le pagine distrutte dagli agenti del tempo. Di fianco a quello che era un volume in greco ve ne era uno in tedesco, ed ancora uno italiano vicino a uno arabo.
Molte farfalle variopinte volavano da un punto all’altro della stanza infinita. Danzavano prima nel nulla, poi attorno alla testa di Isaia. Su una mensola più in alto, un uomo barbuto e vestito di cenci camminava portandosi un lungo remo sulla spalla, e cantando con la voce rauca una qualche litania in quello che sembrava greco. Il bibliotecario allora si voltò.
«Ritengo sia giusto farle notare la meraviglia di questa stanza che raccoglie tutto il sapere umano. Ma non potrei mai dire “passato, presente e futuro” a causa della differenza nei tempi dove viviamo. È qualcosa di assoluto. Quindi prego, mi segua. Non accadrà niente di negativo alla sua persona.» E si tuffò.
Tentennai, ma qualcosa nel mio profondo si fidava e voleva seguire quel bibliotecario. Così mi buttai anch’io.
 
Nella caduta persi il senso del tempo, non capivo neanche se stessi andando verso il basso o l’alto. Ero circondato da nubi di farfalle. Ogni battito d'ali pareva il battito di palpebre di occhi che mi stavano fissando. Ad un certo punto, in mezzo alla nube, scorsi uno sguardo umano. Apparve davanti a me una ragazza nuda, con capelli corvini lunghi fino alle spalle. Cadeva parallela a me, fissandomi con occhi vuoti. Una seconda nube di lepidotteri la avvolse, facendola sparire come era apparsa.
Non riuscivo a comprendere quella visione. All’improvviso il mondo smise di muoversi. Ero di nuovo con i piedi per terra, e di fianco a me l’anziano bibliotecario si stava spolverando le spalle picchiettando la stoffa con una mano. Eravamo di nuovo sulla piattaforma al di là della stanza col camino. Quest’ultimo si vedeva dall’altro lato della porta.
«Allora, che gliene pare?»
«È assurdo. Come è possibile?»
Isaia ridacchiò ancora, e ritorno nell’altra stanza. Il fuoco si era ravvivato, ed appesa sopra vi era una teiera che ero sicuro di aver visto nella stanza in cui ero entrato all’inizio, per scappare alla pioggia. Mi chiesi se avesse già smesso. Come a leggere i miei pensieri, l’anziano mi rispose. «Si figuri, la tempesta è all'apice del suo climax.» La teiera iniziò a fischiare, Isaia la tolse dal fuoco e la portò a un tavolino apparso dietro di me d’improvviso. Vi erano due tazze azzurre decorate con motivi floreali di gusto giapponese, e dentro ognuna un filtro pieno di tè. Ci mettemmo a bere la bevanda davanti al fuoco parlando dei meriti letterari di vari autori, e finii che mi addormentai senza rendermene conto.
 
Mi svegliai col suono delle onde. Non ero più nella stanza dove mi ero addormentato. Ero sdraiato sulla schiena, sopra di me vi era un cielo stellato senza Luna. Mi misi seduto, e il paesaggio attorno a me era mutato. Di fronte, un mare color sangue che rifletteva la luce delle stelle. E così anche dietro, ed attorno. Ero su una minuscola isola di sabbia bianchissima. E attorno a quest’ultima, in cerchi concentrici, enormi statue umanoidi col viso distorto dal dolore. Erano bianche come il sale, e tutte tendevano a qualcosa in cielo. Alzai la testa, cercando la stessa cosa di quelle immense presenze. In cielo risplendeva una luce accecante, una serie di cerchi di vari colori che danzavano attorno a un unico punto, fonte di luce.
Mentre contemplavo quel paesaggio inquietante e misterioso, sentii dietro di me una presenza. Mi aspettavo Isaia che ridacchiava e mi chiedeva dove fossi stato finora, ma non era l’anziano bibliotecario.
Era apparsa la stessa ragazza che avevo visto in mezzo alle farfalle mentre cadevo all’interno della biblioteca. Solo che ora piangeva, e le sue lacrime erano nere come la pece. Le gocce cadevano dal viso sulla sabbia, facendola diventare dal bianco candido a un grigio polveroso.
«La guerra è finita… il regno dei cieli non è caduto.»
La fissai. «Guerra?» Poi mi ricordai della porta decorata nella biblioteca. «Gli angeli caduti? Lucifero?»
La ragazza mi fissò. I suoi occhi erano pieni di malinconia, terribilmente umani nonostante non appartenessero ad una persona reale. «Helel…» E scoppiò in un pianto dirotto.
Le statue iniziarono a sgretolarsi. Grossi frammenti cadevano, alzando molte onde verso il lembo di terra su cui noi ci trovavamo. Non feci in tempo a reagire che venni sommerso dall'acqua. I miei sensi erano tutti intorpiditi. Cercai di riprendere il controllo, e nel tentativo di salvarmi mi ritrovai davanti una porta. Era decorata come quelle della biblioteca, ma non osservai l’incisione. La aprii e mi rifugiai dall’altro lato.
 
Ora ero di nuovo nella stanza col camino. Ma rispetto a prima, dove prima c’era la porta da cui ero entrato la prima volta ora c’era un’enorme finestra. Dall’altro lato, la città non era sotto la tempesta, ma con le strade allagate dal mare. L’acqua era sanguigna, su di essa galleggiavano cadaveri e oggetti quotidiani.
E in cielo, la Luna era distrutta. Non era una normale mezzaluna, ma qualcuno aveva fatto saltare in aria una grossa porzione del satellite. Davanti ad essa, c’era una luce. Ci misi un po’ a distinguere cosa ci fosse dentro, ma quando realizzai apparve davanti a me un’altra scena: il Giorno del Giudizio di Michelangelo.
Proprio come nell’affresco, molte anime viaggiavano verso il cielo, altre verso l’orizzonte, in basso. Mentre io avevo dormito ed esplorato quel luogo curioso, fuori Dio aveva fatto sì che la profezia di San Giovanni si avverasse.
«Non si preoccupi, lei è al sicuro.»  Mi voltai, e rividi Isaia. Il suo volto era stanco, lo sguardo malinconico. La luce rossa proveniente da fuori si rifletteva sui suoi occhiali. «Vede, signor mio, il mondo degli uomini, così come tutto l’Universo – o Multiverso, chi lo sa – è un ciclo continuo. Vi è una creazione, ma anche una distruzione. Gli esseri umani, grandi ricercatori della verità quando non sono impegnati a picchiarsi, si sono sempre ritrovati davanti al Giudizio. Ma, ad ogni “generazione” viene scelto un uomo perché conservi la memoria. Ad esso verranno infuse le memorie di tutti coloro che lo hanno preceduto nel ruolo che ha ricoperto finora la mia persona: il bibliotecario d’Alessandria. Un uomo che viene sempre dal momento esatto prima dell’Apocalisse.» E mi fissò.
Io ero il suo successore, il nuovo bibliotecario. Non comprendevo fino in fondo cosa stesse accadendo, ma ancora una volta lui mi anticipò nei pensieri.
«Quello che ha visto poco prima è ciò che rimane del campo di battaglia sul quale le forze di Lucifero e Michele si scontrarono. Ed è giusto porsi una domanda, sa? Ma se gli angeli sono così vicini a Dio, anzi, un’irradiazione del suo pensiero, come mai non posso essere al suo pari? Dove si trova la linea di demarcazione? Ho sempre cercato una risposta, ma non ci sono ancora riuscito. Per me, rimane un’ingiustizia.» Si tolse gli occhiali, me li consegnò ed esalò le sue ultime parole. «Buona fortuna.» E divenne polvere.
Isaia non mi aveva parlato della ragazza dalle lacrime color pece.
 
 
 
12 Come mai sei caduto dal cielo, o astro mattutino, figliuol dell’aurora?! Come mai sei atterrato, tu che calpestavi le nazioni?! 
13 Tu dicevi in cuor tuo: "Io salirò in cielo, eleverò il mio trono al disopra delle stelle di Dio; io m’assiderò sul monte dell’assemblea, nella parte estrema del settentrione; 
14 salirò sulle sommità delle nubi, sarò simile all’Altissimo". 
15 Invece t’han fatto discendere nel soggiorno de’ morti, nelle profondità della fossa! 
Libro di Isaia, 14-13, versetti 12-15
   
 
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