Naturalmente, tutto quello che leggerete è scritto con il massimo
rispetto per Orlando Bloom, il suo lavoro e la sua vita privata. Questa è un
opera di pura fantasia, che serve solo per avvicinare ognuna di noi all'oggetto
dei nostri sogni.
Devo aggiungere una nota: questa ff è una specie di costola di
un’altra, sempre mia, che s’intitola “Steel Flower”, già in corso di
pubblicazione in questa sezione (e presto vi metterò l’ultimo capitolo,
spero…); perciò, se siete incuriositi dal rapporto citato qui, o volete sapere
di più del personaggio di Josie, vi rimando all’altra storia! ^___^
Questa ff ha partecipato alla 15° edizione del concorso di EFP;
ringrazio la webmistress per l’attenzione. Grazie anche a tutti quelli che
leggeranno e commenteranno. Un bacio.
Sara
“E lontano
Respirando
l'odore che da
Una nuova o
qualunque città
Regalandoti al primo che ti chiamerà…”
(Nomadi)
Lontano. Di nuovo. Un’altra città, altre luci,
altre persone; io cammino sorridendo sull’ennesimo tappeto rosso, intorno a me
le solite grida, i flash. Come sempre mi diverto a scherzare con gli altri
protagonisti del film, firmo autografi a ragazzine piangenti, sorrido, do un
bacio ad una bambina bionda, rispondo alle domande dei giornalisti.
È questa la mia vita, il mio lavoro. Non mi
dispiace, amo tutto questo, mi fa sentire così gratificato, importante, e poi è
la carriera che ho scelto, per cui ho lottato; il successo è una cosa così
accecante, splendida ed effimera che finché l’avrò tra le mani non me lo
lascerò sfuggire. Sono ambizioso, lo ammetto, ma non credo ci sia qualcosa di
male.
Quando mi entusiasmo per un progetto, poi, parto in
quarta e mi faccio coinvolgere totalmente, divento così entusiasta che non
smetterei mai di parlarne; mi faccio quasi paura, parlo a raffica agitando le
mani, con gli occhi spiritati, forse s’impressionano perfino i giornalisti… no,
loro no, li conosco bene, ne ho esperienza diretta, diciamo…
Ad ogni modo, alcune volte, il mio lavoro diventa
monotono; i tour promozionali sono tutti uguali, ogni città la stessa storia:
conferenza stampa, i junkets(*), la sfilata sul tappeto rosso, le grida, gli
autografi, il film e il party. Io cerco sempre di non dare risposte uguali,
nelle interviste, mi diventa così automatico e capita di cascarci… Sì, vabbene,
più di una volta mi è successo… Forse sono un po’ noioso a volte, alcuni lo
dicono, lei lo dice, in ogni caso le mie fan sembrano non pensarlo!
Ho partecipato ad una puntata di TRL a Londra, tempo
fa, e sotto gli studi c’era una specie d’invasione: migliaia di ragazze che
urlavano il mio nome, agitavano cartelli, facevano cori e mi giuravano amore
eterno. Cavolo, non mi posso proprio lamentare!
E dire che sono passati davvero pochi anni, da
quando ero un neo diplomato pieno di boria, ma con quasi nessuna esperienza,
che fu catapultato in Nuova Zelanda a fare un allenamento da olimpionico, prima
di partecipare a “La Storia del Cinema”, come usava dire Sir Christopher Lee.
Ho avuto una gran botta di culo ad essere parte di un così grande progetto,
praticamente al mio primo film importante.
Ma sto divagando, la verità è che, certe volte, mi
prende la malinconia; sono sempre in giro, sballottato sugli aerei, in balia
dei fusi orari, anche se stanco o nervoso devo sorridere… e le luci delle
città, sono tutte uguali viste dalle finestre degli alberghi. È così difficile
trovare il sorriso ogni volta, concedersi a gente sconosciuta, che ti valuta e
ti giudica senza conoscere chi sei davvero.
Non mi devo lamentare, l’ho scelto io questo lavoro,
che mi ripaga per tutto quello che gli do; la mente, però, ogni tanto, ritorna
su quel che si è lasciato ed è inevitabile la nostalgia di casa e delle persone
che ci aspettano lì.
Quando chiudo gli occhi, sull’ennesimo letto
straniero, mi sembra di vederla: seduta alla sua scrivania, nello studio, con
alle spalle la calda luce di un tramonto californiano, tra le sue piante, con i
capelli sciolti e gli occhiali, e la musica di Springsteen in sottofondo…
Come dice il testo di quella canzone che lei ama
tanto? “…mi occuperò di te / e starò al
tuo fianco / Hai bisogno di un buon compagno per / questa parte del viaggio…”
(*) Ed io ho trovato lei, o forse… è il contrario.
Quando ho conosciuto Josie ero in un periodo della
mia vita pieno di dubbi, d’insicurezze e d’insoddisfazione anche; mi ero
attaccato al rapporto che avevo come se non potessi mai desiderare qualcosa di
diverso, come se fosse il massimo per me. Non era così.
È arrivata lei, lo spietato critico cinematografico,
che mi ha prima demolito, abbattendo anche le ultime sicurezze che mi erano
rimaste, e poi ricostruito pezzo per pezzo, insegnandomi che c’è qualcosa di
diverso e migliore per cui vale la pena vivere.
Josie sembra gelida ad un primo approccio, ma in
realtà si tratta di una maschera, o meglio, di un’armatura con cui è capace di
sconfiggere ogni nemico; in realtà anche lei ha le sue fragilità e insicurezze,
ma sono meno evidenti, bisogna scavare a fondo. Il suo modo di fare spesso mi
ha lasciato spiazzato, non riesci mai a capire quando scherza e quando fa sul
serio; è troppo sarcastica quella donna.
Non mi ero mai innamorato, prima di conoscere lei.
Innamorato davvero, dico. Certo avevo avuto altre storie, avventure, cose più
serie, ma avevo sempre confuso il bisogno di avere accanto qualcuno con
l’amore. Ora ho capito che l’amore è un desiderio così intenso che lo puoi
placare solo avendola vicino, ma altresì è lo star bene con una persona anche
mentre ci discuti; non è solo un bisogno fisico e sensuale, è una necessità
spirituale. Non pensate chissà cosa, non sono un asceta, tutt’altro, è solo che
lei è una persona così brillante, piena d’interessi, di conoscenze, che
soltanto parlandoci ti senti soddisfatto come se ci avessi fatto l’amore… Sì,
insomma, non proprio uguale…
Sono ancora molto attratto da lei, mi provoca reazioni
chimico-ormonali che non posso controllare, ne posso, comunque, separare
l’attrazione fisica che provo per lei da quella intellettuale; prima di
conoscere Josie non avrei mai pensato di trovare sensuale una donna che parla
di politica, ora mi sono ricreduto. Parliamoci chiaro, ad ogni modo, la mia è
una gran bella donna, altrimenti non avrei sprecato neanche tempo a sentirla
parlare.
Siamo abituati male, qui a Hollywood; intendo che lo
standard della bellezza, specie femminile, è alto, così finisce che le ragazze
così dette “normali”, anche se carine, in confronto a quel che vediamo ogni
giorno noi attori, sono dei cessi. Non vorrei sembrare troppo brutale, ma è
così.
Detto questo, quando ti trovi davanti una bellezza
come la sua, classica ma allo stesso tempo vagamente esotica, e due occhi
azzurro acciaio, penetranti e sensuali, un pensierino lo fai; anche se, la
prima volta che ci ho parlato, è stata così acidamente ironica che le avrei
volentieri tirato il collo. Eppure, anche allora, c’era una certa tensione tra
di noi, sono certo che lei l’ha percepita, quella volta in macchina; lo
confesso, ero incazzato come una biscia, ma allo stesso tempo, stranamente
eccitato dall’averla accanto.
Oh, se mi ha fatto penare! L’ho dovuta riconquistare
praticamente ogni volta, prima che ci mettessimo insieme (a volte anche dopo);
non ho idea se lei si sia accorta di com’ero insicuro ogni volta che tentavo un
approccio. Penso di no, perché spesso mi sono reso conto d’averla messa in
panico, con i miei goffi tentativi di sedurla. Sono sicuro che le succedeva
perché non può resistermi, e la mette in paranoia perdere il controllo, ma del
resto nemmeno io posso resistere a lei, perciò siamo pari.
Ammetto di non aver sempre avuto un comportamento
esemplare con lei, del resto sono un uomo, che vi potevate aspettare.
All’inizio credevo di odiarla e l’ho trattata malissimo, poi ho scoperto che mi
piaceva e le ho fatto una corte spietata, di quelle proprio insopportabili; non
le ho mai dato retta, quando mi consigliava di parlare con la mia ragazza di
allora, per chiarire, ho continuato a tenere i piedi in due staffe finché
questa cosa mi ha fatto addirittura finire all’ospedale… beh, sì, all’ospedale…
Sarebbe troppo lungo raccontare tutto, sappiate solo che la mia ex s’incazzò
parecchio, quando le dissi di essermi innamorato di un’altra…
Poi c’è stata quella cosa… Non mi piace parlarne,
perché questa colossale stronzata mi è quasi costata l’amore di Josie, ma ad
ogni modo…
È andata così, insomma: una mattina mi sono
svegliato accanto a lei e all’improvviso mi sono sentito in trappola. Stavamo
insieme da quasi due anni, vivevamo nella stessa casa, c’erano nell’aria poco
velati progetti di matrimonio… mi prese una specie di crisi di panico! Vedevo
al mia vita, com’era fino ad allora, crollare miseramente.
La settimana successiva Josie partì per Boston,
doveva partecipare ad una riunione di ex allievi di Harvard, ed io mi detti
alla bella vita: uscite, locali più in voga, bevute, compagnie femminili…
Quando tornò litigammo perché io volevo uscire anche quella sera, senza di lei;
uscii comunque, inviperito, non me n’importava niente se stava male o piangeva.
Quella notte diedi di fuori davvero: bevvi troppo e lasciai che più di una
ragazza mi si strusciasse addosso; stavo per fare il più grosso errore della
mia vita, quando un amico, non ricordo neanche chi, chiamò Josie a casa. Lei e
Fran, la sua migliore amica, vennero a prendermi e mi trovarono in una
posizione compromettente con una tipa di cui non sapevo neanche il nome… Non era
successo niente, ma ci mancava davvero troppo poco…
Mi portò a casa, pur nello stato in cui ero, e mi
addormentai quasi subito, senza chiedere scusa o nemmeno provarci; il mattino
dopo scoprii, con costernazione, che se n’era andata, aveva proprio fatto le
valige, lasciandomi solo un freddo biglietto d’addio. Non riuscii ad avere sue
notizie per mesi, nemmeno Fran sapeva nulla; poi, circa tre mesi dopo,
ricevetti una sua lettera.
Proprio da Josie scrivere una lettera, non
telefonare, o mandare una mail; il solo scorrere gli occhi sulla sua
calligrafia elegante e precisa mi commosse, dato lo stato in cui ero.
Ad ogni modo, mi informava che aveva passato quei
mesi in Medioriente, impegnata in un reportage sul cinema di quei luoghi, ed
ora, più disposta a considerare un mio pentimento, mi aspettava su un’isola
dell’Egeo orientale.
Non credo di dover dire che partii subito, dopo aver
disdetto qualsiasi tipo d’impegno; ormai avevo capito che non c’era nulla di
più importante di lei al mondo ed ero pronto a prostrarmi ai suoi piedi, purché
mi perdonasse.
Ricordo ancora vividamente l’azzurro del mare di
quell’isola, il bianco delle strade e delle case, del suo vestito. Mi fece un
lungo discorso, che mi fece star male da morire, ma poi disse che la lontananza
l’aveva convita che mi amava troppo per potermi lasciare.
Ci volle del tempo, per superare la diffidenza, il
timore e la rabbia per quello che era successo, ma, infine, sono convinto che
questa storia abbia rinsaldato il nostro rapporto. E adesso mi sento più libero
di prima, perché ho compreso che lei non tarperà mai le ali, ma, allo stesso
tempo, che la perderò, se non le darò il rispetto necessario.
Sono maturato più con lei in tre anni che nei
ventotto precedenti… Non so se me ne devo rallegrare…
La nostra vita in comune, purtroppo, sarà sempre
piena di compromessi, questo lo so e lo sa anche Josie; del resto non mi
stupisco che capisca, lei è molto più intelligente di me.
Io so che lei non rinuncerà alla sua carriera, fa un
lavoro che ama, e nemmeno io potrei sacrificare i miei interessi, tentiamo
dunque di essere diplomatici e, soprattutto, di consigliarci a vicenda.
Josie conosce il mio timore quando devo affrontare
un provino, il senso d’inadeguatezza che mi prende, e poi l’emozione, quando
prendo in mano un nuovo copione; adoro la pazienza con cui sopporta le mie
stranezze, quando mi preparo per un nuovo film, e la fiducia con cui mi lascia
partire per girare lontano.
Io, invece, non sopporto la malinconia che mi prende
quando le sono lontano, che riesco a dimenticare solo lavorando, buttandomi con
tutto l’impegno in ciò che so fare meglio; la soddisfazione di aver fatto bene
il mio lavoro, spesso, ripaga la lontananza da ciò che più amo.
Ogni nuovo progetto, location, spiaggia, landa
deserta, blue screen (*) amplificano il mio amore per il lavoro e la mia voglia
di conoscenza, trasformandosi in ricordi e in… ciondoli per la mia collana;
beh, sarà meglio, se non voglio diventare gobbo, che cominci a conservarli in
una scatola o in uno di quei cofanetti-carillon…
Continuerò a girare il mondo, me lo impone la mia
carriera, ma ultimamente preferisco portare soltanto un ciondolo: il simbolo
del Capricorno che mi ha regalato Josie, anche e soprattutto per il fatto che
la sua forma mi ricorda una J ed una O incastrate.
La faccenda dei ciondoli è
strana, all’inizio era divertente, poi è diventato un mio tratto distintivo,
anche se aumentavano sempre e così il loro peso. È che sono un sentimentale, mi
affeziono alle cose, e poi mi ricordavano che quello che avevo fatto era vero,
che in quei posti c’ero stato realmente, che in quei film ci avevo recitato.
C’è chi si riempie di tatuaggi, io di collanine, decisamente meno impegnative.
Solo di un’esperienza ho
voluto lasciare un segno indelebile sulla mia pelle, perché è e sarà
irripetibile; tutte le persone stupende che ho incontrato in Nuova Zelanda
hanno lasciato ricordi incancellabili dentro di me, per questo ho accettato di
portare il simbolo del legame che ci ha unito. E che, datemi del sognatore,
credo ci unirà per sempre.
Non sono così sciocco, so
che la vita, il lavoro, le distanze, dividono le persone, ma sono altresì
convinto che, quando sei stato parte di un qualcosa di così coinvolgente, la
sua traccia rimane e diventa un ricordo che ami far riaffiorare. Non ho idea se
per tutti sia stato così, ma io rammento con calore tutte le persone che mi
hanno circondato durante la lavorazione.
E poi ho imparato a tenere
con me solo i ricordi belli e guardare al futuro, ad un nuovo giorno che mi
avvicina sempre più a quello in cui tornerò a casa; il passato va scremato,
specie quando è confuso e doloroso, forse è un metodo un po’ egoista, ma
bisogna sopravvivere in qualche modo.
Così prenderò un altro
aereo, scenderò in un’altra città, pronto ancora una volta a regalare parte
della mia anima al primo fotografo, ammiratore, bambino, guardia del corpo, che
chiamerà il mio nome, ma non ho paura di perdermi, perché ho una riserva cui
attingere…
E la riserva della mia
anima è una strana casa in California, dove una donna cucina cantando Born
to run, con il cane che le scodinzola intorno, io che la guardo, sapendo
che faremo l’amore e una sensazione di pace mi avvolge. In quei momenti mi
sento felice davvero.
Farò in modo che queste
sensazioni durino il più a lungo possibile, la legherò a me più di quanto già
non lo sia; oh sì, io, prima o poi, le chiederò di sposarmi.
È strano, il pensiero di
farlo non m’inquieta come avrei creduto, dopo tutto credo di essere maturato
davvero; solo qualche anno fa, per me, sarebbe stato impossibile pensare al
matrimonio con questa serenità, ma il tempo passa e, giustamente, si diventa
adulti e le priorità cambiano.
Posso soltanto dire che non
ero mai stato così in pace con me stesso, realizzato e soddisfatto, se questo
dipende dalla donna che mi sta accanto, e che vorrei vedere molto di più,
allora è giusto che il suo ruolo sia riconosciuto. Una foto accanto a me è
troppo poco, perché lei ha tanto da dire, ed io farò in modo che succeda.
Ma la cosa più importante è
stare insieme, perché io ho bisogno del suo sostegno, per questo, ogni volta
che parto, conto i giorni che mi separano dal ritorno.
Ora sono qui, i riflettori si sono spenti, le voci
placate; io sono in piedi, davanti a questa finestra, e guardo la città sotto
di me, domani è già tempo di ripartire… Ci vorranno almeno altre due settimane,
prima che possa tornare a casa.
Sposto lo sguardo sulla scrivania, sui miei cd, i
libri, le cianfrusaglie, il mio quaderno aperto su una pagina su cui sono stato
capace di tracciare solo un profilo femminile…
Domani la girandola riparte, ed io mi farò di nuovo
travolgere e trasportare da questo turbinio di suoni e colori che, in fondo,
amo; ma la cosa più importare è che, se ora mi giro indietro, ho un porto
sicuro dove tornare, qualcuno che so… mi sta aspettando.
NOTE (*)
1. La canzone in introduzione è “Lontano” dei Nomadi, una delle mie preferite in assoluto.
2. Junkets: interviste promozionali in cui attori, registi, tecnici, parlano del film, delle loro impressioni;
3.
“…I
will provide for you / and I stand by your side / You need a good companion for
/ this part of the ride…”: la mia, ovviamente era una traduzione funzionale, cmq la canzone è la bellissima “Land of hope and
dreams” di Bruce Springsteen;
4.
Il Blue Screen: tecnica di ripresa per effetti speciali,
gli attori recitano davanti ad uno schermo blu su cui poi sarà aggiunto lo
sfondo in computer grafica (molto usato in Il signore degli anelli ^__-).